Sentenza n. 144 del 1970

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 144

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 108, 109 e 145 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773; del D.Lg. 11 febbraio 1948, n. 50 (sanzioni per omessa denuncia di stranieri o apolidi) e della relativa legge di ratifica 22 aprile 1953, n. 342, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 17 gennaio 1969 dal pretore di Orbetello nel procedimento penale a carico di Farri Luciana ed altri, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale deila Repubblica n.78 del 26 marzo 1969;

2) ordinanza emessa l'11 febbraio 1969 dal pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Cassaniti Salvatore ed altro, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 98 del 16 aprile 1969;

3) ordinanza emessa il 25 gennaio 1969 dal pretore di Gemona del Friuli nel procedimento penale a carico di Gamberini Lorenzo, iscritta al n. 216 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 2 luglio 1969;

4) ordinanze emesse il 22 aprile 1969 dal pretore di Sampierdarena nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Bisio Gian Paolo e di Galli Natala, iscritte ai nn. 232 e 233 del registro ordinanze 1969 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 172 del 9 luglio 1969;

5) ordinanza emessa il 25 marzo 1969 dal pretore di Tione nel procedimento penale a carico di Semprini Maria Luisa ed altro, iscritta al n. 255 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 186 del 23 luglio 1969;

6) ordinanza emessa il 17 giugno 1969 dal pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Deiana Italia, iscritta al n. 282 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 200 del 6 agosto 1969.

Visti gli atti di costituzione di Farri Luciana e d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 17 giugno 1970 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Augusto Addamiano, per la Farra, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Con ordinanza del pretore di Orbetello in data 17 gennaio 1969 é stata sottoposta alla Corte questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 108, comma primo, del testo unico delle leggi di P.S., approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, - il quale, in collegamento con l'art. 665 del codice penale, vieta di esercitare l'industria di affittare camere o appartamenti mobiliati, o altrimenti dare alloggio per mercede, senza farne preventiva dichiarazione all'autorità locale di pubblica sicurezza - ritenendo che esso sia in contrasto con la libertà di iniziativa economica disciplinata dagli artt. 41 e seguenti della Costituzione.

2. - Con la stessa ordinanza del pretore di Orbetello e con quella del pretore di Bologna in data 11 febbraio 1969, é stata poi sottoposta alla Corte questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 109, commi primo e secondo, del medesimo testo unico delle leggi di P.S. - che vieta agli albergatori, e in genere a coloro che danno alloggio per mercede, di alloggiare persone non munite di documento d'identità - ritenendo che esso sia in contrasto con gli artt. 16, comma primo, della Costituzione, relativo alla libertà di circolazione e 17, comma secondo, relativo alla libertà di riunione.

3. - Inoltre, con ordinanza del pretore di Gemona del Friuli in data 25 gennaio 1969 e dello stesso pretore di Bologna in data 17 giugno i969, é stata proposta questione anche sul terzo comma dell'art. 109 di cui sopra - che impone agli albergatori e agli altri esercenti l'obbligo di annotare in apposito registro le generalità e il luogo di provenienza delle persone alloggiate e di comunicarne giornalmente all'autorità locale di P.S. l'arrivo, la partenza e il luogo di destinazione - ritenendo che esso sia costituzionalmente illegittimo in relazione agli artt. 13, 14, 15, 16, 17, comma secondo, e 41 della Costituzione, relativi alla libertà personale, alla inviolabilità del domicilio e della corrispondenza, alla libertà di circolazione e di riunione ed alla libertà economica.

4. - Infine, con la già citata ordinanza del pretore di Bologna in data 11 febbraio 1969, con due ordinanze del pretore di Sampierdarena in data 22 aprile 1969 e con altra del pretore di Tione in data 25 marzo 1969, sono state sottoposte alla Corte questioni di legittimità costituzionale relative alle norme del D.Lg. 11 febbraio 1948, n. 50, recante sanzioni per omessa denuncia di stranieri o apolidi.

In merito al detto decreto, mentre l'ordinanza del pretore di Bologna ne denuncia la totale illegittimità, con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, perché esso sarebbe stato sottoposto alla ratifica del Parlamento dopo la scadenza del termine previsto dal D.Lg.Lgt. 16 marzo 1946, n. 98; tutte le anzidette ordinanze propongono questioni di legittimità costituzionale delle norme di cui agli artt. 1 e 2 dello stesso decreto - che inasprisce le sanzioni previste dal T.U. delle leggi di P.S. quando la persona cui viene dato alloggio sia di cittadinanza straniera o sia apolide, e impone a chiunque dà alloggio, ovvero ospita o assume alle proprie dipendenze uno straniero o un apolide, anche se parente o affine, di comunicarne, entro le ventiquattro ore, le generalità alla autorità locale di pubblica sicurezza - in quanto ritengono che tali norme, unitamente a quella dell'art. 145 del testo unico citato, e che é pure denunciata, siano in contrasto con gli artt. 2, 3 e 10 della Costituzione, che tutelano i diritti inviolabili dell'uomo, l'uguaglianza e il rispetto delle norme internazionali, e siano altresì in contrasto con gli artt. 8, 14 e 16 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, stipulata il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848; articoli relativi al diritto alla riservatezza e a quello di eguaglianza.

5. - Nel giudizio proposto con l'ordinanza del pretore di Orbetello é intervenuto dinanzi alla Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, con deduzioni del 25 marzo 1969, ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate.

Per quanto attiene alla pretesa violazione degli artt. 41 e seguenti, l'Avvocatura, dopo aver richiamato i principi più volte affermati dalla giurisprudenza costituzionale, osserva che dalle disposizioni impugnate é agevole enucleare i fini di ordine sociale cui sono ispirati i controlli disciplinati dalla legge di pubblica sicurezza e ritiene che le garanzie di legalità concesse dall'ordinamento siano sufficienti ad escludere ogni eventuale distorsione dei poteri concessi al questore nella materia in esame.

Anche la seconda censura, prospettata dal pretore di Orbetello, con riferimento all'art. 16 della Costituzione, é, secondo l'Avvocatura, priva di fondamento, perché gli obblighi imposti dalla legge agli esercenti non si risolvono in limitazioni apprezzabili alla libertà di circolazione e di soggiorno se sono fatti salvi, come nella fattispecie, i diritti della persona costituzionalmente garantiti.

6. - Nello stesso giudizio si é inoltre costituita Farri Luciana, rappresentata e difesa dall'avv. Addamiano, che con deduzioni del 6 febbraio 1969 chiede che le norme sottoposte all'esame della Corte siano dichiarate incostituzionali. Sostiene la Farri che le limitazioni cui, secondo la Costituzione, può essere sottoposta l'iniziativa economica privata, sono tutte a carattere negativo, mentre la comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza, richiesta dalle norme impugnate, costituisce una prestazione a carattere positivo da cui esula ogni finalità sociale: essa ha invece funzioni di prevenzione e di controllo, e perciò, in contrasto con i già richiamati precetti costituzionali, trasforma il cittadino in un incaricato di pubblico servizio con compiti di polizia di sicurezza.

7. - In tutti gli altri giudizi, come sopra proposti, non vi é stata, avanti questa Corte, alcuna costituzione di parti.  

Considerato in diritto 

1. - Le questioni di costituzionalità proposte con le sette ordinanze citate in epigrafe si riferiscono a disposizioni di legge strettamente connesse e pertanto le cause relative, insieme trattate, possono essere decise con unica sentenza.

Con tali ordinanze viene infatti impugnato l'intero complesso di norme che regola l'attività dei gestori di albergo, degli affittacamere e, in genere, di tutti coloro che danno alloggio per mercede, in merito alla comunicazione che essi sono tenuti a dare all'autorità di P.S. circa l'inizio del loro esercizio (art. 108 del testo unico del 1931), al divieto che é fatto loro di alloggiare persone sfornite di documento di identità (art. 109, commi primo e secondo, stesso T.U.) e all'obbligo loro imposto di annotare in apposito registro le generalità delle persone alloggiate e di comunicare giornalmente alla detta autorità i loro spostamenti (art. 109, comma terzo, stesso T.U.).

Inoltre, viene anche impugnata la disciplina riservata agli stranieri e apolidi dall'art. 145, sempre dello stesso testo unico, e dal D.L. 11 febbraio 1948, n. 50, concernente l'obbligo di denunciare all'autorità di pubblica sicurezza l'alloggio loro a qualsiasi titolo fornito, unitamente alle loro generalità e ai loro spostamenti, e di denunciare altresì la loro assunzione al lavoro alle proprie dipendenze.

Le norme sono, nelle ordinanze, ritenute in contrasto con vari articoli della Costituzione che vengono in prosieguo citati nell'esame gradato delle questioni proposte.

2. - L'art. 108 del T.U. stabilisce che non si può esercitare l'industria di affittare camere o appartamenti mobiliati o altrimenti dare alloggio per mercede senza una preventiva dichiarazione da presentarsi all'autorità locale di P.S. E la legge 16 giugno 1939, n. 1111, cui é opportuno far riferimento, perché concerne la specifica "disciplina degli affittacamere", aggiunge che sono sottoposti ad essa coloro che danno abitualmente alloggio per mercede, in camere ammobiliate, nonché coloro "che affittano abitualmente appartamenti mobiliati nelle stazioni di cura, soggiorno e turismo".

É ora sembrato al pretore di Orbetello che questa disciplina, "nell'inquadrare i casi di cui all'art. 108 del T.U. delle leggi di P.S. nel più ampio genere degli esercizi pubblici, impone ai proprietari degli obblighi (dichiarazione alle autorità di P.S., preventiva licenza di P.S.) i quali contrastano con il regime della proprietà sancito dagli artt. 41 e seguenti della Costituzione".

La questione non é fondata.

L'art. 108 disciplina l'attività di affittare camere e appartamenti mobiliati o altrimenti dare alloggio per mercede, qualificandola "industria", e la legge n. 1111 del 1939 pone tra i suoi elementi costitutivi l'abitualità del suo esercizio; essa disciplina cioè un'attività economica a carattere imprenditoriale, e quindi professionale (art. 2082 c.c.), esercitata dal proprietario dei locali o da altri. La locazione di appartamenti mobiliati da parte di chi, con ciò, non esercita un'attività professionale, é pertanto da ritenersi fuori dalla detta normativa.

Nella fattispecie, non é quindi alla disciplina della proprietà privata dell'art. 42 della Costituzione che occorre fare riferimento, ma a quella della iniziativa economica privata dell'art. 41. E poiché questa deve svolgersi in modo, tra l'altro, da non recare danno alla sicurezza, intesa come garanzia di un normale vivere civile in un ordine democratico (v. sentenza 19 del 1962), non sono, sotto questo profilo, illegittime quelle norme che richiedono, per l'esercizio di attività economiche, licenze ed autorizzazioni, quando occorra, anche di polizia (sent. 61 del 1965 e 7 del 1966).

Nel caso, l'art. 108 del T.U., col prescrivere, per l'esercizio dell'industria di affittare abitualmente camere o appartamenti mobiliati, la previa dichiarazione all'autorità di P.S., tutela preventivamente proprio quella sicurezza dell'ordinato vivere civile, che può essere compromessa - se il locatore non dà affidamento - là dove si avvicendano, spesso con frequenza, persone di varia e diversa provenienza.

Proprio, nello stesso art. 108, e precisamente nel terzo comma - che va ovviamente letto in coordinamento con il primo che é stato impugnato - é infatti spiegata la ragione dell'intera disciplina: l'autorità di polizia deve essere preventivamente informata appunto perché possa eventualmente vietare in qualsiasi tempo l'esercizio della detta industria se l'esercente "sia nel novero delle persone di cui all'art. 92 (pregiudicati per vari reati) o se abbia ragione di ritenere che nel locale si intenda esercitare la prostituzione clandestina (ora lo sfruttamento della prostituzione), o il giuoco d'azzardo o si faccia uso di sostanze stupefacenti.

3. - Dello stesso T.U. é stato poi denunciato anche l'art. 109, commi primo e secondo, che vieta agli albergatori e in genere a coloro che danno alloggio per mercede di alloggiare persone non munite di documenti di identità.

Tale articolo, secondo le ordinanze dei pretori di Orbetello e di Bologna, sarebbe innanzi tutto in contrasto con l'art. 16, comma primo, della Costituzione, che tutela la libertà di circolazione, in quanto violerebbe la riservatezza delle persone alloggiate; ma sarebbe anche in contrasto con l'art. 17, comma secondo, che tutela la libertà dei cittadini di riunirsi in luogo aperto al pubblico, senza preavviso, giacché, imponendo la conoscenza dei nomi di coloro che intendono riunirsi in alberghi o altri luoghi ove si alloggiano in genere persone, limiterebbe quella libertà.

Le questioni sono infondate.

L'art. 16 infatti non tutela la segretezza dei movimenti di ogni cittadino, ma la libertà di circolazione e di soggiorno, che non é compromessa dall'onere di portare o di esibire il documento di identificazione, documento i cui dati, portati a conoscenza dell'autorità di polizia, consentono a questa di svolgere i propri compiti istituzionali per i fini accennati più sopra.

La sistematica annotazione di tali dati consente infatti quell'opera di vigilanza sulle persone, da parte della P.S., che é connessa al suo dovere di ricercare latitanti, o soggetti in genere sospettati di reati.

Quanto poi al contrasto dello stesso articolo 109, primo comma, con l'art. 17, comma secondo, della Costituzione, deve osservarsi che la richiesta dei documenti di identità riguarda coloro cui viene dato alloggio, e cioè cui viene messa a disposizione una stanza. La prescrizione perciò non riguarda coloro che sostano soltanto in locali di utilizzazione comune, adibiti a trattenimento, e dove possano svolgersi anche riunioni. In questa ipotesi é sufficiente che l'esercente, ai sensi dell'art. 68 dello stesso T.U., richieda la licenza nei termini e nei casi esaminati e ritenuti dalla Corte nella sentenza n. 56 del 1970.

4. - Dello stesso articolo 109 é stato infine denunziato anche il terzo comma, il quale prescrive l'obbligo, per chi dà alloggio per mercede, di annotare in apposito registro le generalità delle persone alloggiate e di dare di esse comunicazione quotidiana all'autorità di P.S., unitamente a quella degli arrivi, partenze e dei relativi luoghi di provenienza e di destinazione. (Invero gli ultimi due dati da molto tempo non vengono di fatto più annotati, a seguito della circolare del Ministero degli interni in data 16 settembre 1954, protocollo 1039906/13000).

Secondo le ordinanze dei pretori di Bologna, di Sampierdarena e di Tione, queste norme violerebbero, per l'esercente, l'art. 41, e, per le persone alloggiate, gli artt. 13, 14, 15, 16 e 17, comma secondo, della Costituzione.

Quanto all'asserita violazione degli artt. 16, 17 e 41, nulla deve aggiungersi, a proposito della registrazione e comunicazione di quei dati, a ciò che é stato già detto circa la rilevazione di essi mediante l'esibizione dei documenti di identità, giacché la loro richiesta é preordinata proprio a questi fini.

Per quanto concerne poi la pretesa violazione dell'art. 13, si osserva che le notizie da fornire all'autorità di pubblica sicurezza sul movimento delle persone non limitano, in sé, la libertà, anche intesa come salvaguardia della dignità della persona.

Parimenti é a dirsi del pur richiamato art. 14 della Costituzione, la cui tutela, secondo la Corte ebbe a ritenere nella sentenza 104 del 1969, "non copre la sfera di quegli obblighi personali di informazione e comunicazione che la legge può imporre al cittadino, anche se connessi all'uso che egli fa del luogo da lui adibito a suo domicilio".

Infine, per quanto attiene alla pretesa violazione dell'art. 15, relativo alla libertà e segretezza della corrispondenza, deve osservarsi che nessuna connessione vi é tra questa disposizione e l'obbligo di informazioni sulle generalità delle persone prescritto dall'articolo 109, terzo comma, del T.U. di cui si discute.

5. - Vengono da ultimo in esame le varie questioni relative al decreto legislativo 11 febbraio 1948, n. 50.

L'eccezione al riguardo sollevata dal pretore di Bologna, e concernente l'asserita violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione, perché, secondo si assume, tale decreto sarebbe stato ratificato fuori del termine previsto dal D.Leg.Luog. 16 marzo 1946, n. 98, é infondata.

Secondo questo ultimo decreto, tutti i provvedimenti legislativi emessi nel periodo della Costituente e prima dell'inizio di attività del nuovo Parlamento, dovevano essere sottoposti a ratifica entro un anno dalla sua entrata in funzione. Il decreto n. 50 del 1948, di cui si discute, fu sottoposto a ratifica con richiesta da parte del Governo il 4 maggio 1949, e quindi in termine.

La questione é stata trattata e decisa nella sentenza 104 del 1969; e poiché l'ordinanza che la ripropone non aggiunge nessun nuovo argomento in contrario, null'altro deve osservarsi in proposito.

6. - Nella stessa ordinanza del pretore di Bologna, e in quelle dei pretori di Sampierdarena e di Tione, sono poi denunciati i due articoli di cui si compone il suddetto D.Leg. n. 50 del 1948.

Tale decreto, all'art. 1, dispone un aumento delle pene comminate dal già esaminato art. 109 del T.U. di P.S. per coloro che, dando alloggio per mercede, omettono, nei confronti degli stranieri o apolidi, quelle denunzie di arrivo, partenza e destinazione, cui sono tenuti per tutte le persone alloggiate; e all'art. 2 estende l'obbligo della denunzia, con la relativa sanzione per la sua omissione, a tutti coloro che danno alloggio od ospitalità a stranieri o apolidi, anche se parenti o affini, o li assumono al lavoro.

Nelle richiamate ordinanze tali norme sono ritenute contrastanti con gli artt. 2, 3 e 10 della Costituzione e con gli artt. 8, 14 e 16 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Di tutte le questioni sopra enunciate, meno che di quella relativa all'assunzione al lavoro dello straniero, la Corte si é ampiamente occupata nella già richiamata sentenza 104 del 1969, dichiarandole infondate. E poiché su di esse non vengono esposti nelle ordinanze argomenti nuovi, mentre nulla é qui da aggiungere, appare ovvio che debba concludersi nello stesso modo.

Resta quindi soltanto da prendere in considerazione, in rapporto alle stesse norme di riferimento, l'unica questione che in quella sentenza non é stata esplicitamente esaminata e che attiene all'obbligo fatto a "chiunque assuma alle proprie dipendenze uno straniero, di comunicarne, entro le ventiquattro ore, le generalità all'autorità locale di pubblica sicurezza, specificando il servizio cui é adibito".

Per risolvere anche quest'ultima questione nel senso della sua infondatezza non occorre un esame approfondito del contenuto e delle norme di raffronto indicate, sia di quelle della Costituzione come di quelle della Convenzione europea, né della forza di resistenza che si assume spettare a queste ultime.

Tale indagine non é necessaria, perché il principio che dal complesso di tali norme si intende desumere, e che concerne l'eguaglianza dello straniero rispetto al cittadino nella sfera dei diritti fondamentali, secondo é stato dalla Corte più volte ritenuto (sentenze 120 del 1962 (rectius 1967: nota della redazione) e 104 del 1969), può ormai ritenersi pacifico.

Ma la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità dei diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi fra i soggetti differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non nella razionalità del suo apprezzamento (cit. sent. 104).

Ora, nel campo dell'assunzione al lavoro, non é dubbio che esistano tra il cittadino e lo straniero differenze sostanziali, perché, mentre il primo é inserito nel sistema di avviamento al lavoro predisposto, in conformità dell'art. 4 della Costituzione, dalle leggi che prescrivono l'iscrizione presso gli uffici di collocamento e regolano l'assorbimento delle forze non occupate, il secondo non entra nel giuoco di questa normativa se non quando, avendo chiesto il visto consolare per l'ingresso nel nostro Paese al fine di lavoro, ha ottenuto il relativo consenso, che può essergli concesso solo se non vi siano lavoratori nazionali idonei per il posto che chiede (condizione, quest'ultima, però non richiesta per i cittadini degli Stati con cui esistano appositi accordi e trattati, come, ad esempio, quello della C.E.E., ma per i quali pur sempre occorre un nulla osta di ammissione al lavoro: art. 2 detto trattato).

Lo straniero che intende recarsi in altro Stato deve infatti, per prassi internazionalmente ammessa, chiedere alle autorità consolari di quello Stato il visto d'ingresso, indicando le ragioni per cui vuole recarvisi e il tempo che desidera trattenervisi.

Dopo di che, uscendo, munito di passaporto, dal proprio Paese, ed entrando in quello in cui si reca, deve presentarsi all'autorità locale di polizia. Da noi, ai sensi dell'art. 142 del T.U. della legge di P.S., deve farlo entro tre giorni, mediante la dichiarazione di soggiorno che, per l'art. 261 del Regolamento al detto T.U., deve parimenti contenere le indicazioni dello scopo e durata del soggiorno stesso e la professione, industria - commercio o lavoro che vi eserciti o intenda esercitare, ove si rechi per svolgervi un'attività, all'esercizio della quale gli sia stato già dato il consenso. Dunque interest rei publicae conoscere se l'ingresso é a scopo di turismo e diporto - che é il caso comune - o di lavoro, e quale.

É logico quindi che all'autorità di P.S., preposta alla vigilanza sugli stranieri (Titolo V T.U.), a fine sia di controllo che di protezione, e che cura perciò la loro registrazione, debba rivolgersi quella denunzia di assunzione al lavoro e di dimissione prevista dall'art. 145 del T.U. e 2 del decreto n.50 del 1948.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 108, comma primo, 109, commi primo, secondo e terzo, e 145 del testo unico delle leggi di p.s. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773), nonché degli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 11 febbraio 1948, n. 50, sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento agli artt. 2,3,10,13,14, 15, 16, comma primo, 17, comma secondo, 41 e 42 della Costituzione, e in relazione agli artt. 8,14 e 16 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, stipulata il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848

Dichiara inoltre la manifesta infondatezza della questione relativa allo stesso decreto n. 50 del 1948 proposta in riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1970.