Sentenza n. 19 del 1962

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SENTENZA N. 19

ANNO 1962

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 656 del Cod. pen., promosso con ordinanza emessa il 29 dicembre 1960 dal Pretore di Ascoli Piceno nel procedimento penale a carico di Cappelloni Guido, Luzi Marcello e Amadio Giovanni, iscritta al n. 30 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 1 aprile 1961.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 7 febbraio 1962 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

Nel procedimento penale a carico di Cappelloni Guido, Luzi Marcello e Amadio Giovanni, imputati del reato di pubblicazione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico, previsto dall'art. 656 del Cod. pen., il Pretore di Ascoli Piceno, in accoglimento di una eccezione della difesa, con ordinanza del 29 dicembre 1960 ha rimesso a questa Corte la questione di legittimità costituzionale del citato articolo, per la parte in cui punisce la pubblicazione e diffusione di notizie tendenziose, in relazione agli artt. 18, 21 e 49 della Costituzione.

Premesso che la notizia tendenziosa non é "di per sé falsa", che la tendenziosità non può essere intesa come finalità di ledere l'ordine pubblico, e che va considerata come tendenziosa soltanto la notizia "presentata, attraverso un commento o mediante la stessa formulazione letterale e le parole usate, in modo tale da essere sfruttata al fine della propagandazione di determinate correnti di idee, da essere rapportata alla professione di un dato principio, alla difesa di un certo interesse", l'ordinanza argomenta la non manifesta infondatezza della questione sollevata, col rilievo che il divieto di un siffatto modo di presentare una notizia é inconciliabile con un ordinamento basato sul riconoscimento della libertà di pensiero e dei partiti politici.

Nel febbraio 1961 l'ordinanza é stata notificata agli imputati, al Procuratore della Repubblica di Ascoli Piceno, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ed é stata comunicata ai Presidenti delle due Camere; il 1 aprile 1961 é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 83, edizione speciale.

Innanzi a questa Corte si é costituito soltanto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, con atto d'intervento depositato il 23 febbraio 1961.

In questo si osserva in primo luogo che l'art. 18 della Costituzione, che riguarda la libertà di associazione, é malamente invocato, dovendo considerarsi prevalente su di esso, per ciò che riguarda l'associazione in partiti politici, l'art. 49, specificamente dedicato a questa ultima.

Aggiunge l'Avvocatura dello Stato che comunque anche l'articolo 49 é male invocato. Tendenziose sono le notizie "false nel modo", e cioèquelle che si risolvono "nel creare, attraverso il modo della rappresentazione, una falsa impressione del vero". Comunque, pur accogliendosi l'interpretazione del Pretore, non si capisce come l'art. 656 possa incidere sulla libertà di associazione politica. Questa é riconosciuta dall'art. 49 della Costituzione solo a condizione che si pratichi il metodo democratico; ed é al di fuori di tale metodo la divulgazione di quelle notizie tendenziose per le quali possa esser turbato l'ordine pubblico, essendo "canone principale di ogni condotta democratica" il "comportarsi in modo che dalle proprie azioni non derivi un pericolo di turbamento per la collettività".

Osserva, poi, l'Avvocatura che l'insufficiente attenzione dedicata alla presenza, nella fattispecie legale del reato, della turbativa dell'ordine pubblico ha provocato anche l'erroneo convincimento del Pretore circa l'illegittimità costituzionale alla stregua dell'art. 21 della Costituzione. L'ordine pubblico non può esser sacrificato, infatti, a quelle manifestazioni del pensiero che appaiano idonee a porlo in pericolo. Né, ciò posto, ha importanza che in base all'art. 656 del Cod. pen. il reato sussista indipendentemente dall'elemento intenzionale e da ogni convincimento del reo circa l'idoneità della notizia a turbare l'ordine pubblico.

L'Avvocatura conclude osservando che, se fosse esatta la tesi enunciata nell'ordinanza, dovrebbe ritenersi illegittimo anche lo art. 265 del Cod. pen., che punisce come delitto la diffusione e comunicazione in tempo di guerra di notizie tendenziose, le quali possano "destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della Nazione di fronte al nemico". Infatti, secondo l'Avvocatura, la diversità del bene tutelato (nell'un caso l'ordine pubblico, nell'altro la personalità internazionale dello Stato) non può bastare a differenziare sul piano costituzionale le due fattispecie.

In una memoria del 25 gennaio 1962 l'Avvocatura aggiunge che la libertà di manifestare il proprio pensiero senza limiti che non siano quelli del buon costume, indubbiamente affermata dalla Costituzione (con preclusione, quindi, della possibilità di limitare preventivamente la libertà stessa), non importa "l'esonero da responsabilità se il contenuto del pensiero manifestato sia, dal legislatore ordinario, ritenuto rilevante ai fini penali", così come accade, ad esempio, nei casi di incidenza del pensiero manifestato sull'onore e la reputazione dei privati e - ciò che preme nel caso in esame - sull'ordine pubblico. Ogni diritto costituzionalmente garantito non può essere esercitato recando offesa "ad altro diritto parimenti riconosciuto"; ed é nella "comune opinione" che "il cittadino abbia il diritto che la collettività giuridicamente organizzata gli assicuri possibilità di vita operosa in un ambiente in cui l'ordine pubblico sia assicurato". "Posti nei due piatti della bilancia i due beni meritevoli di tutela, é del tutto legittimo che il legislatore ordinario non consenta che l'uno sia offeso dall'altro".

All'udienza di discussione l'Avvocato dello Stato ha insistito nelle tesi e nelle conclusioni svolte.  

Considerato in diritto 

1.- L'art. 656 del Cod. pen. punisce come reato la pubblicazione e diffusione di "notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l'ordine pubblico". Ma la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Pretore di Ascoli Piceno investe soltanto quella parte dell'articolo che riguarda le notizie tendenziose.

Per notizie tendenziose, ai sensi dell'anzidetta disposizione, bisogna intendere quelle che, pur riferendo cose vere, le presentino tuttavia (non importa se intenzionalmente o meno) in modo che chi le apprende possa avere una rappresentazione alterata della realtà. Il che può avvenire pel fatto che vengano riferiti o posti in evidenza soltanto una parte degli accadimenti (eventualmente quelli marginali e meno importanti), sottacendone o minimizzandone altri (eventualmente di pari o maggiore importanza, o comunque idonei a spiegare o addirittura a giustificare quelli riferiti); pel fatto che gli accadimenti vengano esposti in modo da determinare confusione tra notizia e commento; e in altri simili modi.

Suscitando in chi le apprende una rappresentazione alterata della realtà, le notizie tendenziose deformano, dunque, la verità; e appunto sul presupposto di ciò ne viene punita dal Codice penale la pubblicazione e diffusione, quando questa (indipendentemente dall'intento dell'agente) sia idonea a porre in pericolo l'ordine pubblico.

La fattispecie legale della cui legittimità costituzionale il Pretore di Ascoli Piceno dubita non comprende, dunque - contrariamente a quanto una certa parte della giurisprudenza ritiene - il caso di chi divulga interpretazioni, valutazioni, commenti, ideologicamente qualificati, e persino tendenziosi, relativi a cose vere; ma semplicemente il caso di chi divulga notizie, falsandole attraverso la maniera di riferirle, e cioè notizie che, in un modo o nell'altro, non rappresentano il vero.

In sostanza l'espressione "notizie false, esagerate o tendenziose" impiegata nell'art. 656 del Cod. pen. é una forma di endiadi, con la quale il legislatore si é proposto di abbracciare ogni specie di notizie che, in qualche modo, rappresentino la realtà in modo alterato. Il problema relativo alla legittimità costituzionale della disposizione dell'art. 656 riguardante le notizie tendenziose non si pone, dunque, in termini diversi da quello riguardante le notizie false od esagerate.

2. - Proseguendo nella disamina, é da rifiutare l'affermazione dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale il riconoscimento da parte dell'art. 21 della Costituzione della libertà di manifestazione del pensiero, se importa, di massima, l'esclusione di interventi preventivi dei pubblici poteri nei confronti di chi intenda esprimere il proprio pensiero, non importa tuttavia in alcun caso un "esonero da responsabilità" per il pensiero ormai manifestato. Nei limiti in cui opera - segnati dalla necessità di non incidere nel campo degli altri diritti e interessi costituzionalmente garantiti -, il precetto dell'art. 21 non può non comportare, infatti, l'impossibilità giuridica che il soggetto del pensiero manifestato commetta alcun illecito penale.

3. - Potrebbe, invece, porsi - in tutti i casi, o quanto meno in quelli in cui l'agente sia consapevole della non rispondenza a verità - il problema se la pubblicazione e diffusione di notizie non vere o alterate possa esser configurata come manifestazione del "proprio" pensiero, in quanto tale protetta dall'art. 21 della Costituzione. Ma la questione di legittimità costituzionale sollevata con l'ordinanza che ha promosso il presente giudizio può esser dichiarata infondata anche senza affrontare tale problema.

4. - L'art. 656 del Cod. pen. punisce, infatti, la pubblicazione e diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, solo in quanto idonee a turbare l'ordine pubblico. E quest'ultimo - inteso nel senso di ordine legale su cui poggia la convivenza sociale (cfr. la sentenza di questa Corte n. 2 del 1956) - é un bene collettivo, che non é dammeno della libertà di manifestazione del pensiero.

L'esigenza dell'ordine pubblico, per quanto altrimenti ispirata rispetto agli ordinamenti autoritari, non é affatto estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, né é incompatibile con essi. In particolare, al regime democratico e legalitario, consacrato nella Costituzione vigente, e basato sull'appartenenza della sovranità al popolo (art. 1), sull'eguaglianza dei cittadini (art. 3) e sull'impero della legge (artt. 54, 76-79, 97-98, 101, ecc.), é connaturale un sistema giuridico, in cui gli obbiettivi consentiti ai consociati e alle formazioni sociali non possono esser realizzati se non con gli strumenti e attraverso i procedimenti previsti dalle leggi, e non é dato per contro pretendere di introdurvi modificazioni o deroghe attraverso forme di coazione o addirittura di violenza. Tale sistema rappresenta l'ordine istituzionale del regime vigente; e appunto in esso va identificato l'ordine pubblico del regime stesso.

Non potendo dubitarsi che, così inteso, l'ordine pubblico é un bene inerente al vigente sistema costituzionale, non può del pari dubitarsi che il mantenimento di esso - nel senso di preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale, instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a renderle inoperanti mediante l'uso o la minaccia illegale della forza - sia finalità immanente del sistema costituzionale.

Se per turbamento dell'ordine pubblico bisogna intendere l'insorgere di un concreto ed effettivo stato di minaccia per l'ordine legale mediante mezzi illegali idonei a scuoterlo - ed é da escludere che possa intendersi altro -, é perciò chiaro che non possono esser considerate in contrasto con la Costituzione le disposizioni legislative che effettivamente, e in modo proporzionato, siano volte a prevenire e reprimere siffatti turbamenti. Né può costituire impedimento all'emanazione di disposizioni del genere l'esistenza di diritti costituzionalmente garantiti. Infatti, la tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite insuperabile nella esigenza che attraverso l'esercizio di essi non vengano sacrificati beni, ugualmente garantiti dalla Costituzione. Il che tanto più vale, quando si tratti di beni che - come l'ordine pubblico - sono patrimonio dell'intera collettività.

Occorre perciò concludere che anche la libertà di manifestazione del pensiero (come del resto questa Corte già ha avuto occasione di affermare nelle sentenze n. 1 del 1956, e nn. 33, 120 e 121 del 1957) incontra un limite nell'esigenza di prevenire o far cessare turbamenti dell'ordine pubblico.

E da escludere, quindi, che, in alcuna delle sue parti, contrasti con l'art. 21 della Costituzione il precetto dell'art. 656 del Cod. pen., il quale prevede come reato la pubblicazione e la diffusione di notizie, che, comunque alterando la verità, si rivelino idonee a turbare l'ordine pubblico. La mancanza di contrasto é, poi, tanto più chiara, in quanto la valutazione circa l'idoneità alla turbativa dell'ordine pubblico é rimessa al giudice, il quale - come é proprio di ogni valutazione giudiziaria - la esegue secondo criteri obbiettivi e rigorosi, tenendo presente l'effettiva realtà del momento.

5. - Il richiamo che l'ordinanza di rimessione fa agli artt. 18 e 49 della Costituzione - i quali garantiscono rispettivamente la libertà di associazione in generale e quella di associazione in partiti politici in particolare - ha evidentemente carattere rafforzativo rispetto alla tesi, già confutata, secondo la quale l'art. 656 del Cod. pen. contrasterebbe con la libertà di manifestazione del pensiero. Dal fatto che l'ordinamento costituzionale italiano é un ordinamento democratico, basato, tra l'altro, sulla libera possibilità di associazione e sulla libera organizzazione di partiti politici al fine di concorrere a determinare la politica nazionale, l'ordinanza vorrebbe trarre ulteriori argomenti in favore della tesi della illegittimità costituzionale della norma penale che punisce come reato la pubblicazione e diffusione delle notizie tendenziose. A meno di intendere in maniera del tutto deformata il concetto della lotta politica in uno Stato democratico pluripartitico, non si vede però come la libertà di associazione in generale e quella di associazione in partiti politici in particolare possano valere a far considerare coperta da garanzia costituzionale quella possibilità di divulgazione di notizie alterate, idonee a turbare l'ordine pubblico, che l'art. 21, come si é visto, non protegge affatto.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara non fondata la questione proposta con l'ordinanza indicata in epigrafe, relativa alla legittimità costituzionale dello art. 656 del Cod. pen., in riferimento agli artt. 21, 18 e 49 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 Depositata in cancelleria il 16 marzo 1962.