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ANGELA DI CARLO

 

LA DIFESA DEL MAGISTRATO AMMINISTRATIVO O CONTABILE IN SEDE DISCIPLINARE

 

 

1. Le disposizioni oggetto della declaratoria di incostituzionalità.

D’ora in poi anche i magistrati amministrativi o contabili, sottoposti a procedimento disciplinare, potranno ricorrere alla difesa tecnica di un avvocato. È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 87 del 2009, che ha sancito l’illegittimità costituzionale degli articoli 34, comma 2, della legge 27 aprile 1982, n. 186 e 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117, nella parte in cui escludono che, nell’ambito di un procedimento disciplinare a carico di un magistrato amministrativo o contabile, quest’ultimo possa farsi assistere da un avvocato del libero foro.

La Corte ha così accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte[1], nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dei decreti con i quali era stata irrogata al procuratore regionale della Corte dei conti la sanzione dell’ammonimento. Il magistrato, vistosi negare dall’organo disciplinare la possibilità di avvalersi di un difensore di fiducia, aveva eccepito, dapprima nella stessa sede disciplinare e poi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale, l’illegittimità costituzionale delle norme che gli precludevano tale facoltà. L’art. 10, comma 9, della legge n. 117 del 1988 contiene, infatti, un rinvio, per la disciplina del procedimento disciplinare dei magistrati contabili, all’art. 34, comma 2, della legge n. 186 del 1982, il quale prevede che nel corso dell’udienza di trattazione il magistrato amministrativo ha facoltà di farsi assistere da altro magistrato, con evidente esclusione della possibilità di ricorrere ad un difensore di fiducia.

Il tribunale rimettente, dopo aver affermato la rilevanza della questione, ha sostenuto la non manifesta infondatezza della stessa in riferimento agli articoli 3, 24 e 108 della Costituzione. Le disposizioni censurate sarebbero, a suo giudizio, in contrasto con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. e con il principio di indipendenza dei giudici speciali previsto all’art. 108, comma 2, Cost., in quanto tali norme, limitando le facoltà difensive del magistrato amministrativo o contabile, finirebbero in sostanza «per menomare in parte anche il valore dell’indipendenza», così come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 497 del 2000[2] a proposito dei magistrati ordinari. Le argomentazioni sviluppate dai giudici costituzionali in quell’occasione sono state richiamate dal rimettente anche a sostegno delle proprie considerazioni in merito al contrasto tra l’art. 3 Cost. e le disposizioni impugnate. Quest’ultime, infatti, a detta del tribunale amministrativo, porrebbero in essere una irragionevole disparità di trattamento tra i magistrati amministrativi o contabili e i magistrati ordinari, per i quali il divieto di ricorrere alla difesa da parte di un avvocato in sede di disciplinare è venuto meno proprio con la sentenza n. 497 del 2000, che ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del r.d.lgs n. 511 del 1946.

 

2. L’art. 108 Cost. come parametro chiave della pronuncia di incostituzionalità.

La sentenza n. 87 del 2009 ha riconosciuto ai magistrati contabili e, in forza del rinvio operato dall’art. 10, comma 9, della legge n. 117 del 1988 all’art. 34, comma 2, della legge n. 186 del 1982, ai magistrati amministrativi la facoltà di avvalersi, se sottoposti a procedimento disciplinare, di un avvocato del libero foro, in linea con quanto la medesima Corte aveva già stabilito in riferimento ai magistrati ordinari nella citata sentenza n. 497 del 2000.

Sorge, allora, spontaneo chiedersi se fosse davvero necessaria una nuova pronuncia in materia per le magistrature amministrativa e contabile o se fosse, invece, possibile estendere a tali magistrati, già in forza della sentenza n. 497 del 2000, la facoltà allora riconosciuta ai magistrati ordinari[3]. L’art. 32 della legge n. 186 del 1982 contiene, infatti, un espresso rinvio alle norme in materia di sanzioni e procedimento disciplinare previste per i magistrati ordinari, ma limita tale rinvio a quanto non diversamente disposto dalla medesima legge, motivo per cui la dottrina ha interpretato in vario modo la disposizione.

Da un lato, è stato, infatti, sostenuto che l’inciso dell’art. 32, che limita il rinvio a «quanto non diversamente disposto dalla presente legge», escluda il rinvio alle norme sulla magistratura ordinaria in merito al procedimento, essendo quest’ultimo compiutamente disciplinato dai successivi articoli 33 e 34[4]. Dall’altro, si è affermato che la non chiara formulazione della norma permetterebbe, invece, di applicare alle altre magistrature le disposizioni sul procedimento per i magistrati ordinari che «introducono ulteriori garanzie procedimentali», tra le quali rientra indubbiamente la possibilità di avvalersi della difesa tecnica da parte di un avvocato[5].

Fondata o meno che sia sul piano teorico, va rilevato che la questione circa la possibile estensione in via automatica della facoltà riconosciuta ai magistrati ordinari non deve essersi posta in concreto successivamente alla sentenza del 2000, se da tale pronuncia sono trascorsi ben nove anni prima che il problema venisse sottoposto all’attenzione della Corte anche in merito alle magistrature speciali. Quel che è certo, tuttavia, è che nella sentenza n. 497 del 2000 i giudici costituzionali avevano già posto le basi per la successiva pronuncia. Allora, infatti, la Corte aveva affermato che in riferimento ai magistrati «l’esigenza di una massima espansione delle garanzie difensive si fa, se possibile, ancora più stringente, poiché nel patrimonio di beni compresi nel loro status professionale vi è anche quello dell’indipendenza, la quale, se appartiene alla magistratura nel suo complesso, si puntualizza pure nel singolo magistrato, qualificandone la posizione sia all’interno che all’esterno»[6].

Ed è proprio la garanzia dell’indipendenza della magistratura a rappresentare lo snodo fondamentale delle argomentazioni poste dalla Corte alla base della dichiarazione di incostituzionalità delle norme che, in sede disciplinare, impongono ai magistrati amministrativi o contabili di avvalersi esclusivamente della difesa di un collega.

A sostegno di tale affermazione, sarà utile richiamare brevemente i parametri costituzionali violati, a detta del tribunale rimettente, dalle norme oggetto di censura. Si tratta dell’art. 3 Cost., per l’irragionevole disparità di trattamento che tali disposizioni creerebbero tra magistrati ordinari e magistrati amministrativi o contabili; dell’art. 24 Cost., per la menomazione che l’obbligo di ricorrere alla difesa da parte di un collega magistrato produrrebbe al diritto di difesa del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare; infine, dell’art. 108 Cost., per l’incapacità del sistema di garanzie, predisposte in favore del magistrato incolpato, di assicurare la sua indipendenza anche nel corso del procedimento disciplinare.

Un’attenta lettura della sentenza in commento alla luce di tali parametri induce a ritenere che, se la questione di legittimità costituzionale non fosse stata sollevata anche in riferimento all’art. 108 Cost., i soli articoli 3 e 24 Cost. non sarebbero stati, di per sé, sufficienti a condurre alla declaratoria di incostituzionalità delle disposizioni impugnate, per le ragioni che seguono.

L’esplicita previsione in Costituzione di differenti modi di esercizio del potere giurisdizionale, corrispondenti alla magistratura ordinaria e alle magistrature speciali, si è tradotta sul piano della legislazione ordinaria nella predisposizione di discipline autonome, le cui diversità ordinamentali sono molteplici. Tra queste - per quel che qui rileva – vi è la differente natura che il legislatore ha voluto attribuire al procedimento disciplinare. Giurisdizionale per quanto concerne i magistrati ordinari[7], amministrativa per quel che riguarda i magistrati amministrativi o contabili[8].

In riferimento a tale diversa natura del procedimento, la Corte ha in passato affermato che «il diritto di difesa non si estende, nel suo pieno contenuto, oltre la sfera della giurisdizione, sino a coprire ogni procedimento contenzioso di natura amministrativa»[9], pur dovendosi garantire anche in tali casi il contraddittorio, al fine di salvaguardare quel nucleo essenziale di valori inerenti i diritti inviolabili della persona tutte le volte in cui, dal procedimento, possa derivare una sanzione che incida su beni costituzionalmente protetti.

Circostanza che i giudici costituzionali hanno, tra l’altro, ribadito di recente, in occasione di un ricorso avente ad oggetto le norme che escludono che un agente di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, possa avvalersi della difesa tecnica di un avvocato. In tale pronuncia[10] la Corte, nel dichiarare non fondata la questione in riferimento ai medesimi parametri costituzionali di cui si discute, ha nuovamente osservato che la garanzia costituzionale del diritto di difesa è limitata al procedimento giurisdizionale e che «l’esercizio della funzione disciplinare nell’ambito del pubblico impiego, della magistratura e delle libere professioni si esprime con modalità diverse che caratterizzano i relativi procedimenti a volte come amministrativi, a volte come giurisdizionali […] in rispondenza a scelte del legislatore, la cui discrezionalità in materia spazia entro un ambito molto ampio».

In quell’occasione come nel caso che ha dato adito alla sentenza n. 87 del 2009, la natura amministrativa del procedimento disciplinare determina, quindi, una parziale applicazione del diritto di difesa, che il legislatore può diversamente regolare e adattare alle speciali esigenze dei singoli procedimenti, «purché non ne siano pregiudicati lo scopo e le funzioni» (Corte cost. sentenze n. 159 del 1972, n. 119 del 1974 e n. 62 del 1975). Pertanto, secondo la Corte la «mancata previsione […] della possibilità di nominare quale difensore un avvocato, anche se il legislatore potrebbe nella sua discrezionalità prevederla seguendo un modello di più elevata garanzia (sentenza n. 356 del 1995), non viola né il diritto di difesa, né il principio di ragionevolezza»[11].

Alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale appare, pertanto, ragionevole sostenere quanto sopra affermato: se la questione di legittimità costituzionale avverso le norme che limitano le facoltà difensive del magistrato amministrativo o contabile fosse stata sollevata soltanto in riferimento agli articoli 3 e 24 Cost., il giudice delle leggi avrebbe senz’altro dichiarato infondata la questione, sulla base di quanto affermato nella precedente sentenza n. 182 del 2008 a proposito degli agenti di pubblica sicurezza.

Stante, dunque, la natura amministrativa di entrambi i procedimenti disciplinari, che cosa conduce a dichiarare incostituzionale per le magistrature speciali ciò che la medesima Corte ha ritenuto ragionevole per gli agenti di pubblica sicurezza?

La risposta ci consente di tornare ad occuparci del principio di indipendenza della magistratura.

 

3. La garanzia dell’indipendenza del magistrato in sede disciplinare.

Nel sistema di garanzie previsto dalla Costituzione a tutela dei soggetti preposti alla funzione giurisdizionale, il principio di indipendenza svolge un ruolo fondamentale. Ne è prova il fatto che le norme costituzionali in materia di organizzazione giudiziaria, relative tanto alla giurisdizione nel suo complesso quanto ai singoli magistrati, sono tutte finalizzate, direttamente o indirettamente, alla tutela del medesimo interesse pubblico[12]: l’indipendenza, per l’appunto.

Di tale garanzia si occupano, nello specifico, l’art. 104 Cost., che a proposito della magistratura ordinaria stabilisce che essa «costituisce un ordine autonomo e indipendente», e l’art. 108 Cost., che al secondo comma attribuisce al legislatore ordinario il compito di assicurare l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali. La diversa formulazione delle due disposizioni evidenzia, peraltro, come i Costituenti si siano preoccupati di predisporre, direttamente nella Carta costituzionale, un complesso di garanzie quanto più ampio e completo per la magistratura ordinaria - l’unica a costituire un ordine in senso proprio - mentre, per quanto concerne le magistrature speciali, si siano limitati a riconoscerne l’indipendenza, rinviando al legislatore la determinazione delle forme e dei modi per rendere effettiva tale garanzia[13].  

Sulla base di tale distinzione operata dalla Costituzione, la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato che, pur sussistendo un’innegabile unitarietà in senso lato dell’esercizio della giurisdizione, nell’ambito di tale unitarietà «trovano collocazione gli specifici e diversi ordinamenti delle indicate magistrature, corrispondenti ai motivi di tradizione storica accolti dal Costituente»[14]. Si tratta di una differenziazione organizzativa che i giudici costituzionali hanno ritenuto non pregiudichi di per sé «il corretto esercizio della funzione giurisdizionale», dal momento che gli art. 102 e 103 Cost. «espressamente riconoscono l’esistenza di modi diversi di esercizio di tale funzione, identificabili nella magistratura ordinaria e nelle altre magistrature, le quali, in coerenza con tali aspetti differenziati, conservano peculiarità di ordinamento quanto alla rispettiva organizzazione ed alle relative garanzie costituzionali»[15].

E proprio in riferimento a queste ultime, la diversa disciplina che ha connotato nel tempo i magistrati speciali sembra aver risentito dell’idea che la Costituzione, probabilmente a causa della diffidenza mostrata dai Costituenti nei confronti dei giudici speciali[16], abbia previsto tali magistrature come giurisdizioni “in deroga” a quella ordinaria, finendo così per qualificarle come speciali in termini di minore indipendenza[17]. Basti pensare, ad esempio, alla diversa configurazione dei rispettivi organi di autogoverno o alla già richiamata natura amministrativa – e non giurisdizionale – dei procedimenti disciplinari relativi alle magistrature speciali, su cui si avrà modo di tornare in seguito.

Se questo è il quadro sul quale va ad incidere la sentenza che si commenta, pare allora potersi affermare che con tale pronuncia la Corte compie un passo in avanti. E lo fa nel momento in cui, dopo aver ricordato che la Costituzione distingue sì tra giurisdizione ordinaria e giurisdizioni speciali ma prevede anche una serie di norme generali a tutela della funzione giurisdizionale, giunge ad equiparare tutte le magistrature sul piano dell’indipendenza. Un principio, quindi, cui i giudici costituzionali attribuiscono un’importanza tale nel quadro delle garanzie necessarie al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale da ritenere che, ogni qual volta vi sia il rischio di un indebito condizionamento, l’esigenza di garantire l’indipendenza del magistrato debba prevalere su eventuali interessi contrapposti, indipendentemente dalla natura ordinaria o speciale del magistrato.

In materia di responsabilità disciplinare, la necessità di garantire l’indipendenza del magistrato rileva in modo particolare «perché la prospettiva dell’irrogazione di una sanzione può condizionare il magistrato nello svolgimento delle funzioni che l’ordinamento gli affida». La Corte, quindi, sostiene che l’esigenza di tutelare l’indipendenza del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare prescinda «dal dato oggettivo, relativo alla natura dell’organo e del procedimento», poiché dipende esclusivamente dall’essere il soggetto coinvolto titolare della funzione giurisdizionale, ossia dal mero dato soggettivo.

In altre parole – e per tornare a quanto si diceva nel precedente paragrafo – la natura amministrativa del procedimento disciplinare relativo ai magistrati amministrativi e ai magistrati contabili attiene ad una scelta che il legislatore ha compiuto nell’esercizio della discrezionalità che gli è propria. Ciò, in linea di principio, dovrebbe comportare un’applicazione più attenuata delle garanzie difensive derivanti dall’art. 24 Cost., non trattandosi di un procedimento a carattere giurisdizionale[18]. Tuttavia, ogni qual volta sia controversa la responsabilità disciplinare di un magistrato, la necessità che venga garantita pienamente la sua indipendenza impone che, anche in tale sede, sia assicurata la massima espansione del diritto di difesa, diversamente da quanto avviene in riferimento ad altre categorie di pubblici dipendenti per i quali non sussiste tale esigenza[19].

Il riconoscimento del principio di indipendenza quale valore irrinunciabile per i magistrati di ogni giurisdizione consente di ricostruire la portata generale di tale principio in sede disciplinare, alla luce della giurisprudenza costituzionale che negli anni ha provveduto a smantellare alcuni istituti di chiaro stampo corporativo. La Corte, chiamata in più occasioni a pronunciarsi sulla disciplina contenuta nel r.d.lgs n. 511 del 1946 in merito ai magistrati ordinari, ha compiuto un percorso definito in dottrina tortuoso e, talvolta, contraddittorio[20]. In un primo momento, infatti, essa aveva affermato la necessità che il legislatore bilanciasse la tutela dell’indipendenza del singolo magistrato con un altro interesse costituzionalmente rilevante, costituito dal prestigio dell’ordine giudiziario, alla cui tutela si riteneva sottesa la stessa natura giurisdizionale del procedimento[21]. Le pronunce successive hanno poi evidenziato come a prevalere sia stato, in realtà, proprio quest’ultimo interesse, tanto che la Corte, nel continuare a considerarli come valori distinti, ha finito in alcuni casi per non censurare norme sottoposte al suo vaglio, le quali si ponevano in evidente contrasto con il diritto di difesa del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare[22].  

Il tassello conclusivo del quadro tracciato dalla giurisprudenza costituzionale è rappresentato dalla più volte citata sentenza n. 497 del 2000, efficacemente definita in dottrina “una rivoluzione copernicana” «sviluppatasi sui tre distinti piani della legislazione, della dottrina e della giurisprudenza costituzionale, che nel rapporto tra ordine dei magistrati e mondo esterno ha sottratto al primo la posizione di centro dell’universo giuridico rappresentato dall’insieme delle prerogative (prestigio e indipendenza del corpo) che con il procedimento disciplinare si riteneva di dover tutelare e rafforzare»[23]. Con tale pronuncia la Corte ha sancito il definitivo abbandono della passata concezione di prestigio dell’ordine giudiziario, visto non più come interesse corporativo, bensì come valore che appartiene «alla generalità dei soggetti e, come del resto la stessa indipendenza della magistratura, costituisce presidio dei diritti dei cittadini». Superata, quindi, la precedente concezione del prestigio dell’ordine, ancorata ad antichi pregiudizi corporativi contenuti in una normativa previgente alla Costituzione, i giudici costituzionali hanno assunto come criterio di valutazione della disciplina concernente il procedimento disciplinare dei magistrati ordinari «l’interesse pubblico al corretto e regolare svolgimento delle funzioni giurisdizionali e al prestigio dell’ordine», finendo così per spostare il problema relativo alla questione di legittimità costituzionale dal piano del bilanciamento tra interessi contrapposti a quello dell’interpretazione della disposizione impugnata[24]. Ciò in quanto «l’inquadramento concettuale della responsabilità disciplinare secondo logiche corrispondenti all’autentico significato che l’indipendenza della magistratura assume nel sistema costituzionale», ossia come garanzia dei diritti e delle libertà dei cittadini, ha comportato il venir meno del passato contrasto tra la tutela del singolo magistrato e quella del prestigio dell’ordine di appartenenza.

La nuova concezione di indipendenza nel quadro della responsabilità disciplinare del magistrato ha, quindi, costituito la premessa teorica per la dichiarazione di incostituzionalità della norma che limitava le facoltà difensive del magistrato ordinario e, ora, anche per quella concernente il magistrato amministrativo o contabile.

 

4. La difesa tecnica nel procedimento disciplinare come garanzia della massima espansione del diritto di difesa: il preludio a nuove aperture da parte della Corte?

Nel momento in cui la Corte afferma che, in forza del principio costituzionale di indipendenza della magistratura, è necessario che sia assicurata in sede disciplinare la massima espansione del diritto di difesa, si pone il problema di capire quali strumenti siano effettivamente in grado di realizzare tale livello di tutela. Tanto più se si considera che ciò, pur valendo in linea di principio per tutte le magistrature in ragione dell’equiparazione operata dalla Corte, assume una connotazione specifica in riferimento ai magistrati speciali, la cui responsabilità disciplinare continua ad essere accertata mediante un procedimento avente natura amministrativa, non giurisdizionale.

Nella sentenza in commento, i giudici costituzionali, pur ritenendo ancora giustificabile la difesa da parte di un altro magistrato, in quanto «ritenuto in possesso dell’idoneità tecnica per assumere una siffatta difesa», affermano la manifesta irragionevolezza del divieto di farsi assistere da un avvocato, che è «la figura alla quale l’ordinamento riconosce in primo luogo questa funzione». Una conclusione che oggi può apparire ovvia, ma che in realtà è frutto della svolta compiuta in materia dalla Corte – e da tempo auspicata in dottrina[25] - con la più volte citata sentenza n. 497 del 2000.

Proprio in quell’occasione la Corte, nell’affermare il reale significato che il principio di indipendenza assume nell’ordinamento costituzionale, ha accolto una nozione sostanziale di prestigio dell’ordine giudiziario, in base alla quale il procedimento disciplinare cessa di essere visto come strumento per porre rimedio ad una lesione dell’interesse dell’istituzione, per essere collocato nel quadro degli strumenti a garanzia del corretto esercizio della funzione giurisdizionale. È chiaro, quindi, che in tale ottica il passato divieto di ricorrere alla difesa di un avvocato del libero foro nel corso del procedimento disciplinare perde tutta la sua ragion d’essere, la quale, come rilevato in diverse pronunce dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, consisteva essenzialmente «nell’esigenza di salvaguardare un interesse che travalica quello del singolo magistrato, quello cioè di assicurare allo stesso procedimento disciplinare la maggiore riservatezza possibile a tutela del prestigio dell’intero ordine giudiziario»[26].

La stessa Corte costituzionale, pur non essendo potuta entrare nel merito della questione prima della decisione del 2000, ha manifestato il proprio orientamento sul tema in una serie di occasioni nelle quali è stata chiamata a pronunciarsi su questioni attinenti alla difesa del magistrato. In particolare, con la sentenza n. 220 del 1994[27] la Corte aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 34, comma 2, del r.d.lgs n. 511 del 1946, nella parte in cui non consentiva alla Sezione disciplinare di disporre d’ufficio la nomina di un magistrato difensore, mentre l’anno successivo con la pronuncia n. 119[28] aveva ritenuto non fondata la questione di legittimità sollevata in riferimento alla medesima disposizione, nella parte in cui non prevedeva l’obbligatorietà dell’assistenza dell’incolpato. In tali sentenze la Corte, nel riconoscere al magistrato sottoposto a procedimento disciplinare la possibilità di optare per l’autodifesa, aveva ribadito l’attitudine di chi è professionalmente investito di funzione giurisdizionale tanto a far derivare esclusivamente da una valutazione personale la propria linea difensiva quanto ad assumere la difesa di un collega. Attitudine che, peraltro, non può essere oggetto di valutazioni caso per caso, «secondo logiche di mera convenienza processuale affidate ad un incontrovertibile giudizio della stessa sezione disciplinare», ragion per cui la Corte ha ritenuto non fondata la questione relativa all’obbligatorietà dell’assistenza difensiva.

Quel che è interessante notare, tuttavia, è che, trattasi di autodifesa o di difesa da parte di un collega, il ragionamento della Corte in merito alle facoltà difensive del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare fino al 2000 ha continuato a ruotare attorno alla magistratura stessa, avallando in tal modo l’idea che la presenza di un difensore del libero foro fosse «un elemento estraneo e del tutto incompatibile con l’impianto rigorosamente organicistico del giudizio disciplinare»[29].

Con la sentenza n. 497 del 2000 la Corte ha finalmente fatto proprio l’orientamento dottrinale che da tempo sosteneva la necessità di tale apertura, mentre non ha placato le critiche mosse nei confronti della possibilità, che ancora permane, di avvalersi di un collega magistrato quale difensore. Da più parti, infatti, è stata e continua ad essere sostenuta l’inidoneità del magistrato alla difesa, in quanto questi, pur possedendo indubbiamente una preparazione adeguata, difetterebbe dei meccanismi captatori e persuasivi della logica difensiva, tipici del difensore di professione e ritenuti in antitesi con la forma mentis propria di chi è «abituato a valutare ogni questione con atteggiamento di giudice e non di parte»[30].

È, quindi, evidente che con la sentenza n. 87 del 2009 il giudice delle leggi non ha fatto altro che estendere alle magistrature speciali le argomentazioni sviluppate in riferimento ai magistrati ordinari al termine di un lungo iter giurisprudenziale, sia per quanto concerne il superamento del divieto di ricorrere alla difesa tecnica in sede disciplinare sia per quanto attiene alla riconfermata possibilità di avvalersi della difesa di un collega. Si tratta di un’estensione che si presenta quale corollario dell’equiparazione di tutte le magistrature sul piano dell’indipendenza effettuata dalla Corte, equiparazione che prescinde dalla natura del procedimento disciplinare mediante il quale viene accertata la responsabilità del magistrato. E proprio tale ultima circostanza offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni conclusive.

L’apertura realizzata dalla Corte con la sentenza in commento appare indubbiamente apprezzabile, ma solleva qualche interrogativo in merito al rapporto tra la premessa di partenza e la conclusione cui pervengono i giudici costituzionali. Se, infatti, l’esigenza di assicurare l’indipendenza del magistrato è tale da comportare la necessità che ogni qual volta vi sia il rischio di indebiti condizionamenti, interni od esterni, il valore in questione non subisca alcuna irragionevole compressione, ci si chiede se da una simile premessa non si possa giungere a dubitare della ragionevolezza del persistere di procedimenti disciplinari aventi differente natura.

In altre parole, posto che l’aver disciplinato il procedimento relativo ai magistrati amministrativi e contabili secondo gli schemi del procedimento amministrativo rientra, come già detto, nella discrezionalità del legislatore, che ben avrebbe potuto - e potrebbe -  circondare l’accertamento della responsabilità disciplinare dei magistrati speciali con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale[31], sorge spontaneo domandarsi se dalla sentenza in esame si possa ricavare l’affermazione, sia pur implicita, della strumentalità del modello giurisdizionale rispetto ad una effettiva tutela del valore dell’indipendenza.

Ciò in quanto la Corte, nel momento in cui sostiene la necessità di estendere, per i fini più volte richiamati, una garanzia propria del procedimento giurisdizionale – quale è il diritto di difesa nella sua massima espansione – ad un procedimento di natura amministrativa, è come se affermasse l’inidoneità, in termini di tutela dell’indipendenza, del modello scelto dal legislatore per il procedimento disciplinare delle magistrature amministrativa e contabile. Con la conseguenza che, in deroga con quanto già affermato dalla Corte medesima circa il diritto di difesa e in deroga, soprattutto, a quanto previsto per i procedimenti disciplinari delle altre categorie di dipendenti pubblici, i giudici costituzionali riconoscono la più ampia espressione del diritto di difesa al magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, attraverso il ricorso alla difesa tecnica.

In conclusione, pur non essendo ancora possibile affermare l’esistenza di un binomio giurisdizionalità-indipendenza, se il passo in avanti compiuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 87 del 2009 non si rivelerà un’isolata apertura, non è azzardato ipotizzare che un ulteriore avvicinamento tra le garanzie assicurate in sede disciplinare alle diverse magistrature possa condurre verso una riforma della conformazione del procedimento disciplinare delle magistrature amministrativa e contabile[32].

 



[1] Tar Piemonte, sez. I, 30 luglio 2008 n. 57, in Foro Amm. tar, 2008, 1929.

[2] Corte cost., 16 novembre 2000, n. 497, in Giur. cost., 2000, 3830, con note di R. Pinardi, Un avvocato per il giudice od un giudice come avvocato? Luci ed ombre di una pronuncia (comunque) apprezzabile, ivi, 3841; F. dello Sbarba, La difesa dei magistrati da parte degli avvocati nei giudizi disciplinari, ivi, 3849; F. Biondi, Il diritto di difesa, l’indipendenza del magistrato e la tutela del prestigio dell’ordine giudiziario nel procedimento disciplinare, ivi, 3857.   Su tale sentenza si avrà modo di tornare ampiamente in seguito, in quanto essa costituisce il tassello conclusivo di una lunga vicenda giurisprudenziale, che ha condotto, infine, la Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma – art. 34, comma 2, del r.d.lgs 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura) – che impediva ai magistrati ordinari di avvalersi di un avvocato del libero foro in sede disciplinare.

[3] A proposito della possibilità di estendere alle altre magistrature in modo automatico le modifiche in senso più favorevole riguardanti espressamente una sola magistratura, si fa presente un orientamento giurisprudenziale in materia di trattamento economico dei magistrati. Tale giurisprudenza, muovendo dalla premessa che nella disciplina in esame il legislatore fosse costituzionalmente vincolato ad una sorta di agganciamento reciproco ed automatico del trattamento economico di tutte le magistrature e degli avvocati dello Stato, aveva delineato il principio in base al quale «ogni mutamento di trattamento economico in favore di una delle categorie di magistrati si ripercuote automaticamente e si estende in via interpretativa in favore delle altre, anche senza bisogno di una norma ad hoc». A sostegno del principio dell’assoluta parità retributiva tra magistrati, la giurisprudenza aveva richiamato quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1 del 1978, laddove si constatava come «dato obiettivo costantemente rilevabile nella disciplina legislativa di tale materia» fosse l’assoluto parallelismo tra il trattamento economico dei magistrati ordinari e quello degli altri magistrati, in ossequio alla necessità che, alla stregua del principio della proporzionalità retributiva sancito dall’art. 36 Cost., la retribuzione fosse prevista dalla legge «in misura identica per le corrispondenti qualifiche di magistrati ordinari e di quelli del Consiglio di Stato». Si veda Tar Lazio, sez. I, 15 luglio 1981 n. 563, in Foro it.,1982, 2, III, con nota di R. Romboli; Cons. Stato, ad. plen., 16 dicembre 1983 n. 27, in Foro it., 1984, 1; Cass. civ., Sez. Unite, 31 maggio 1984 n. 3316, in Foro it., I, 1491. In materia è poi intervenuto il legislatore con la legge 6 agosto 1984, n. 425.

[4] In tal senso, v. Levi Sandri, Sul nuovo ordinamento della giustizia amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, 418. Il citato articolo 33 della legge n. 186 del 1982 disciplina la titolarità dell’azione disciplinare ed istruttoria del procedimento, mentre l’articolo 34 - oggetto di censura nella sentenza in esame – regola la fase di trattazione del procedimento e la relativa decisione.  

[5] Cfr. R. Chieppa, Ordinamento della giurisdizione amministrativa, in Enc. Giur. Treccani, XXII, Roma, 1990, 9. In tal senso, anche R. Pinardi, Un avvocato per il giudice od un giudice come avvocato? Luci ed ombre di una pronuncia (comunque) apprezzabile, cit., p. 3841.

[7] Sulla natura giurisdizionale del procedimento disciplinare dinanzi alla sezione del CSM, si veda Corte cost., 2 febbraio 1971, n. 12, in Giur. cost., 83, con nota di G. Zagrebelsky, La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura come giudice a quo: possibili implicazioni. In tale pronuncia la Corte osserva come il legislatore abbia conferito, in modo esplicito e non controvertibile, «carattere giurisdizionale alla funzione ora esercitata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura» affinché «al provvedimento destinato ad incidere sullo stato dell'interessato, adottato con un atto che la legge definisce "sentenza" (cfr. la rubrica dell'art. 35 del r.d.l. n. 511 del 1946) e contro il quale è ammesso il ricorso alle Sezioni unite della Cassazione (art. 17, ultimo comma, legge 24 marzo 1958, n. 195), si addivenga con le garanzie che sono proprie e tipiche della funzione giurisdizionale». Tuttavia, F. Biondi, Il diritto di difesa, l’indipendenza del magistrato e la tutela del prestigio dell’ordine giudiziario nel procedimento disciplinare, in Giur. cost., 3857, fa notare come «la Corte, successivamente, non solo non era andata esente da “ripensamenti” (sent. n. 100 del 1981), ma soprattutto, per lungo tempo, non aveva tratto da essa (la natura giurisdizionale del procedimento, ndr) le dovute conseguenze, tanto che la dottrina affermava che il procedimento disciplinare si trovava in “un limbo non ben definito”».

[8] Il carattere indiscutibilmente amministrativo del procedimento disciplinare a carico dei magistrati amministrativi o contabili è dimostrato da numerosi elementi. Tra questi, si ricorda la natura dell’organo competente, i soggetti titolari dell’azione disciplinare, la forma del provvedimento, le regole che disciplinano il procedimento, il regime delle impugnazioni. Per una panoramica a riguardo, si rimanda a L. Salvato, Osservazioni sul procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi, in Giust. civ., 2002, 9, 2172.

[9] Corte cost.,13 luglio 1995, n. 356, in Giur. cost., 1995, 2631. La Corte tradizionalmente esclude che il diritto di difesa possa essere invocato in riferimento ad un procedimento amministrativo, ancorché disciplinare. Cfr., ad esempio, la sentenza 239 del 1988, relativa al procedimento disciplinare nel pubblico impiego; la sentenza 380 del 1992, in riferimento alla difesa nel procedimento disciplinare innanzi ai Consigli nazionali degli ordini forensi; la sentenza n. 57 del 1995, che esclude la riferibilità dell’art. 24 ad un procedimento a carattere disciplinare; nonché, del medesimo anno, le sentenze nn. 71, 128 e 210.

[10] Corte cost. 30 maggio 2008, n. 182, in Giur. cost., 2008. La questione di legittimità costituzionale ha ad oggetto l’art. 20, comma 2, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell’Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), nella parte in cui impone all’agente sottoposto a procedimento disciplinare di farsi assistere da un difensore appartenente alla propria Amministrazione, escludendo in tal modo il ricorso ad un avvocato del libero foro.

[12] Sul punto, G. Landi, voce Magistrato (dir. vig.), in Enc. dir., vol. XXV, Milano, 1990, 199. Sempre sull’indipendenza in generale, A. Meloncelli, voce Giurisdizione (disciplina costituzionale della), in Enc. giur. Trecc., vol. XIX, 1989, Roma; U. Goldoni, voce Magistrati e magistratura, ivi, vol. XXIII, 1991, Roma.

[13] G. Landi, voce Magistrato (dir. vig.), cit., rileva a tal proposito che «non si può nemmeno far torto ai Costituenti per non aver dettato, per gli altri ordini di magistratura, qualche disposizione diretta, perché […] le singole magistrature hanno caratteristiche ed esigenze proprie, che mal si prestano ad essere regolate in un testo sintetico, qual è (o dovrebbe essere) una carta costituzionale». A suo giudizio, pertanto, il problema risiede nella «constatata inettitudine del legislatore ordinario», che non ha provveduto a dare compiuta attuazione alle direttive della Costituzione.

[16] La diffidenza manifestata in sede di Assemblea costituente nei confronti delle magistrature speciali ha, tra l’altro, condotto all’enunciazione del divieto contenuto nell’art. 102, comma 2, Cost., laddove si prevede che «non possono essere costituiti giudici straordinari o giudici speciali». Divieto, peraltro, da leggersi in combinato disposto con la VI disposizione transitoria e finale della Costituzione.

[17] A tal proposito, A. D’Aloia, Autonomia e indipendenza dei giudici delle magistrature speciali: riforme legislative e orientamenti della Corte costituzionale, in Pitruzzella-Tarchi (a cura di), Giudici e giurisdizioni nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Torino, 1997, 78, osserva che la Corte costituzionale si è quasi sempre orientata nel senso di «giustificare le pesanti disomogeneità di assetto “statutario” tra i diversi complessi magistratuali, condividendo sostanzialmente la rappresentazione del sistema costituzionale della giurisdizione secondo una logica di differenziazione netta tra la magistratura ordinaria, punto di riferimento centrale dell’istituzione “giustizia”, e le altre magistrature, collocate lungo una linea di progressiva specialità, incidente in modo sensibile sulla conformazione dei livelli di autonomia e indipendenza». Da ultimo, A. Bertoldini, La Corte costituzionale sancisce l’illegittimità costituzionale del divieto posto ai magistrati amministrativi e contabili di avvalersi di un avvocato di fiducia nel procedimento disciplinare, in Foro Amm. CDS, 2009, 3, 629.

[18] V. sul punto nota 9.

[19] Si richiama a tal proposito la sentenza n. 182 del 2008 relativa agli agenti di pubblica sicurezza (v. nota 10). In merito alla difesa tecnica nell’ambito dei procedimenti disciplinari a carico di professionisti, si veda anche Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2007, n. 835, laddove si afferma che «l’assenza della difesa tecnica non è pertanto causa di nullità del procedimento e non confligge con i principi costituzionali del diritto di difesa, ben potendo il professionista farne a meno, attesa la natura squisitamente tecnica delle questioni coinvolte». Nello stesso senso, Cass. civ., S.U., 9 dicembre 2004, n. 23000; Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2006, n. 12119.

[20] Così F. Biondi, Il diritto di difesa, l’indipendenza del magistrato e la tutela del prestigio dell’ordine giudiziario nel procedimento disciplinare, cit., 3857 e ss, la quale a sua volta richiama F. Rigano, Status costituzionale dei giudici e applicabilità della disciplina del pubblico impiego, in Giur. cost., 1992, 2221 e S. Panizza, L’assistenza al magistrato nel procedimento disciplinare tra Corte costituzionale e Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in Giur. cost., 1995, 559.

[22] Ci si riferisce, oltre alle norme in materia di tutela del diritto di difesa del magistrato (v. sentenze nn. 220 del 1994 e 119 del 1995), a quelle relative alla segretezza delle udienze dinanzi alla sezione disciplinare del CSM (v. sentenza n. 12 del 1971, nonché il successivo intervento del legislatore con la l. n. 74 del 1990), all’imprescrittibilità dell’azione disciplinare (v. sentenze nn. 145 del 1976 e 196 del 1992) ed alla mancata tipizzazione degli illeciti previsti nel r.d.lgs n. 511 del 1946 (v. sentenza n. 100 del 1981).

[23] F. dello Sbarba, La difesa dei magistrati da parte degli avvocati nei giudizi disciplinari, in Giur. cost., 2000, 3850.

[24] Così R. Pinardi, Un avvocato per il giudice od un giudice come avvocato? Luci ed ombre di una pronuncia (comunque) apprezzabile, in Giur. cost., 2000, 3845.

[25] Numerosi i contributi in tal senso. Tra i tanti, si segnala G. Fici, L’assistenza difensiva nel giudizio disciplinare a carico dei magistrati, in Giust. civ., 1986, 2522, per il quale la difesa tecnica costituiva già allora la soluzione ottimale, sacrificata per l’esigenza di tutelare altri interessi ritenuti meritevoli; V. Mele, La responsabilità disciplinare dei magistrati, 1987, secondo il quale l’unica ragione sostanziale che ha determinato la scelta legislativa è quella diretta a mantenere nell’ambito della corporazione ogni conoscenza ed ogni valutazione degli illeciti disciplinari dei magistrati; G. Silvestri, La difesa del magistrato nel procedimento disciplinare tra garanzia oggettiva e tutela corporativa, in Giur. cost., 1994, 1837, il quale giudica il divieto di avvalersi di un avvocato «un retaggio di un tempo in cui la sanzione disciplinare a carico del magistrato era affare che interessava la corporazione e lo stesso magistrato, non la collettività»; C. Montali, Il procedimento disciplinare a carico dei magistrati ordinari, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1997, 1073, che osserva come il giudice costituzionale abbia mostrato scarsa sensibilità verso i problemi relativi all’indipendenza interna in un momento così delicato per il magistrato, quale è per l’appunto l’esser sottoposto a procedimento disciplinare. 

[26] Consiglio sup. magistratura, 28 maggio 1974.

[27] Corte cost. 8 giugno 1994, n. 220, in Giur cost.,1994, 1832, con nota di G. Silvestri, La difesa del magistrato nel procedimento disciplinare tra garanzia oggettiva e tutela corporativa, 1837.

[28] Corte cost. 13 aprile 1995, n. 119, in Giur cost.,1995, 547, con nota di S. Panizza, L’assistenza al magistrato nel procedimento disciplinare tra Corte costituzionale e Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, 559.

[29] Così G. Silvestri, La difesa del magistrato, cit, 1837. Anche  G. Fici, L’assistenza difensiva nel giudizio disciplinare a carico dei magistrati, cit., osserva come «sia stata immanente la preoccupazione che attraverso la presenza nella procedura di soggetti estranei alla magistratura potesse essere aperta una breccia in quell’alone di sacralità e segretezza che, invece, per il prestigio dell’Ordine giudiziario, si riteneva fosse necessario mantenere».

[30] Sempre G. Fici, L’assistenza difensiva nel giudizio disciplinare a carico dei magistrati, cit., 2525. V. Mele, La responsabilità disciplinare dei magistrati, cit., osserva anche che sussiste il rischio di una sudditanza psicologica nei confronti del collegio giudicante da parte del magistrato che assume la difesa di un collega, dal momento che tale organo costituisce pur sempre una sezione interna al Consiglio superiore della magistratura, cui spetta ogni valutazione in merito a promozioni, trasferimenti, incarichi direttivi e, più in generale, alla carriera dei magistrati.

[31] A tal proposito, vale la pena ricordare che il legislatore, per quanto concerne l’ulteriore magistratura speciale prevista dall’art. 103 Cost., nell’istituire il Consiglio della magistratura militare con la legge 30 dicembre 1988, n. 561 al fine di colmare una lacuna normativa, «ha preso a modello il Consiglio superiore della magistratura, sino a definire le attribuzioni e le procedure dell’istituto che si andava a costituire mediante rinvio alle attribuzioni ed alle procedure previste per l’organo di garanzia dell’indipendenza della magistratura ordinaria», finendo così per configurare come giurisdizionale il procedimento disciplinare che si svolge dinanzi ad esso (Corte cost. 1 marzo 1995, n. 71).

[32] In tal senso anche L. Salvato, Osservazioni sul procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati amministrativi, cit, il quale sostiene la necessità di approfondire l’indifferibilità di una riforma che assicuri, in sede disciplinare, piena tutela al principio di indipendenza della magistratura amministrativa.