Sentenza n. 356 del 1995

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SENTENZA N. 356

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 73, primo comma, 74, primo comma, e del combinato disposto degli artt. 60, primo comma, numero 6) e 63, lettera d), della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 1994 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto sul ricorso proposto da Gaetano D'Andrea contro il Ministero della difesa ed altra, iscritta al n. 796 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di costituzione di Gaetano D'Andrea; udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 1995 il Giudice relatore Cesare Mirabelli; udito l'avvocato Antonino Romeo per Gaetano D'Andrea.

Ritenuto in fatto

1. -- Con ordinanza emessa il 14 aprile 1994 nel corso di un giudizio promosso dal sottufficiale dell'Aeronautica militare Gaetano D'Andrea per ottenere l'annullamento del decreto del Ministero della difesa con il quale gli era stata comminata la sanzione disciplinare di stato della perdita del grado per rimozione, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale concernenti: a) l'omessa previsione dell'obbligo di nominare un difensore d'ufficio nel procedimento disciplinare e l'impossibilità per il difensore di intervenire dinanzi alla Commissione di disciplina in assenza dell'incolpato (artt. 73, primo comma, e 74, primo comma, della legge 31 luglio 1954, n. 599, sullo "Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica"); b) la genericità della norma che prevede i comportamenti sanzionati con la rimozione e conseguente perdita del grado, norma che risulta dal combinato disposto degli artt. 60, primo comma, numero 6) e 63, lettera d), della legge n. 599 del 1954.

2.-- In relazione al primo ordine di questioni, il giudice rimettente ritiene che le disposizioni denunciate, in quanto non prevedono l'obbligo della nomina del difensore d'ufficio (art. 73, primo comma) e nella parte in cui stabiliscono l'impossibilità per il difensore eventualmente designato di intervenire dinanzi alla Commissione di disciplina in assenza dell'incolpato (art. 74, primo comma), violino il diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione). La garanzia di effettività del contraddittorio sarebbe lesa sia se l'incolpato non nomini un difensore, sia se, avendolo nominato, ma rimanendo assente dinanzi alla Commissione di disciplina, non possa essere difeso da chi lo assiste. Ad avviso del giudice rimettente questa regolamentazione determinerebbe anche un'irragionevole disparità di trattamento tra chi sia incolpato di un illecito disciplinare punibile con una sanzione di stato e chi incorra in un illecito disciplinare passibile della sanzione di corpo della consegna di rigore, giacchè solo in quest'ultimo caso il militare avrebbe diritto all'assistenza di un difensore d'ufficio, secondo quanto prevedono le norme di principio sulla disciplina militare (art. 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382). La soluzione del dubbio di legittimità costituzionale è considerata dal giudice rimettente pregiudiziale per la decisione del giudizio principale, in quanto il procedimento disciplinare si è svolto dinanzi alla Commissione di disciplina in assenza dell'incolpato e del difensore, il quale, se nominato, non avrebbe potuto assistere il militare incolpato non comparso.

3. -- In ordine alla questione concernente la fattispecie sanzionata disciplinarmente, il giudice rimettente ritiene che la formula "per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari", adottata per definire i casi nei quali è prevista la perdita del grado (art. 60, primo comma, numero 6), della legge n. 599 del 1954), sia estremamente generica, potendosi riferire a tutte le mancanze previste dal codice di disciplina. In tal modo l'incolpato non sarebbe posto in grado di conoscere preventivamente i comportamenti puniti con la sanzione della rimozione, mentre all'Amministrazione sarebbe attribuita la più ampia discrezionalità nello stabilire in relazione a quali illeciti infliggere la rimozione, che determina la cessazione dal servizio, quando per le sanzioni disciplinari di corpo i comportamenti per i quali può essere inflitta la consegna di rigore devono essere specificatamente previsti dal regolamento di disciplina (art. 14, ultimo comma, della legge n. 382 del 1978). Il giudice rimettente ritiene che questa normativa sia in contrasto con il principio di legalità (art. 25, secondo comma, della Costituzione), in mancanza di una definizione precisa e riconoscibile delle fattispecie sanzionate con la grave sanzione della rimozione, e violi il principio di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione), perchè il potere disciplinare risulterebbe dilatato in misura difficilmente sindacabile anche in sede di tutela giurisdizionale. Anche la soluzione di questo dubbio di legittimità costituzionale è considerata pregiudiziale rispetto alla decisione del giudizio principale, in quanto al sottufficiale, già sanzionato penalmente per diserzione, è stata addebitata, con una contestazione equivalente ad una generica trasgressione dei doveri d'ufficio, la violazione di norme del regolamento di disciplina militare che riguardano il comportamento contrario al giuramento prestato, al grado, al senso di responsabilità ed al contegno del militare (artt. 9, 10, 14 e 36 del d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545).

4. -- Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituita la parte privata, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate fondate.

Considerato in diritto

1. -- I dubbi di legittimità costituzionale investono, sotto due profili, le norme sullo stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica, che regolano il procedimento per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari di stato e la configurazione delle violazioni disciplinari punibili con la perdita del grado per rimozione. Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto ritiene che siano in contrasto con i principi di ragionevolezza e di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), come pure con il diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione), la mancata previsione dell'obbligo di nominare d'ufficio un difensore che assista l'incolpato dinanzi alla Commissione di disciplina, quando questi non lo abbia designato, e l'esclusione dell'intervento del difensore dinanzi alla Commissione stessa quando si proceda in assenza dell'incolpato (artt. 73, primo comma, e 74, primo comma, della legge 31 luglio 1954, n. 599). Il giudice rimettente sottolinea che la presenza di un difensore è sempre assicurata dalle norme sulla disciplina militare nel procedimento previsto per irrogare la sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore (art. 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382). Con riferimento alla disciplina sostanziale, la genericità della definizione della condotta ("per violazione del giuramento o per altri motivi disciplinari") che può essere sanzionata con la perdita del grado per rimozione (artt. 60, primo comma, numero 6) e 63, lettera d), della legge 31 luglio 1954, n. 599) è ritenuta in contrasto sia con la garanzia di legalità in relazione alle sanzioni punitive amministrative (art. 25, secondo comma, della Costituzione), sia con il principio di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione (art. 97 della Costituzione), alla quale sarebbe attribuito un potere discrezionale eccessivamente ampio e difficilmente sindacabile in sede di tutela giurisdizionale.

2. -- I dubbi di legittimità costituzionale relativi all'assistenza di un ufficiale difensore dinanzi alla Commissione di disciplina sono solo in parte fondati. Il primo di essi riguarda l'art. 73, primo comma, della legge n. 599 del 1954, nella parte in cui stabilisce che "il sottufficiale può farsi assistere da un ufficiale difensore, da lui scelto o designato dal presidente della Commissione di disciplina". Secondo il giudice rimettente questa disposizione non prevede che in ogni caso vi sia un difensore nel procedimento per l'irrogazione delle sanzioni di stato, come invece è disposto dall'art. 15, secondo comma, delle norme di principio sulla disciplina militare (legge n. 382 del 1978) per infliggere la sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore. Assumendo come parametro di scrutinio l'art. 3 della Costituzione, le due situazioni sono state già ritenute dalla Corte non comparabili. Difatti l'assistenza obbligatoria di un difensore, prevista per la sanzione disciplinare di corpo della consegna di rigore, che può essere comminata per un massimo di quindici giorni, attiene al principio di libertà personale, garantito dall'art. 13 della Costituzione, che la consegna di rigore coinvolge (sentenza n. 17 del 1991). Inoltre la consegna di rigore è inflitta, seguendo una procedura semplificata, direttamente dal comandante di corpo o di ente, sentito il parere di una commissione consultiva nominata dal comandante stesso (artt. 66 e 67 del d.P.R. 18 luglio 1986, n. 545). È quindi evidente l'esigenza che siano altri a rappresentare le ragioni dell'incolpato di fronte all'autorità che determina la sanzione da irrogare ed alla quale il militare è, e continuerà ad essere, sottoposto. L'adozione delle sanzioni di stato è circondata da maggiori garanzie, sia per la composizione della Commissione di disciplina, al cui giudizio è sottoposto il sottufficiale (il quale ha anche la facoltà di ricusarne un componente), sia per il disegno del procedimento, non dissimile da quello previsto dallo statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), nel quale pure non vi è l'obbligo per l'impiegato di farsi assistere da un difensore (si veda, ancora, la sentenza n. 17 del 1991). In riferimento all'art. 24 della Costituzione, è da rilevare che il diritto di difesa non si estende, nel suo pieno contenuto, oltre la sfera della giurisdizione, sino a coprire ogni procedimento contenzioso di natura amministrativa, nel quale tuttavia deve essere salvaguardata una possibilità di contraddittorio che garantisca un nucleo essenziale di valori inerenti ai diritti inviolabili della persona (sentenze n. 71 e n. 57 del 1995), quando possono derivare per essa sanzioni che incidono su beni, quale il mantenimento del rapporto di servizio o di lavoro, che hanno rilievo costituzionale. Il contraddittorio e la possibilità di difesa non implicano l'obbligatorietà dell'assistenza di un difensore, anche se il legislatore potrebbe opportunamente, nella sua discrezionalità, prevederla, seguendo un modello di più elevata garanzia. Del resto, le norme esplicative per l'adozione dei provvedimenti disciplinari di stato nei procedimenti a carico dei sottufficiali, emanate, in applicazione della legge n. 599 del 1954, dal Ministro per la difesa con decreto del 15 settembre 1955, interpretano ed intendono attuare nella prassi amministrativa la prescrizione dell'art. 73 della legge nel senso che il presidente della Commissione di disciplina "provvede ad interpellare il giudicando perchè dichiari per iscritto, ed entro dieci giorni, se e da quale ufficiale in servizio intenda essere assistito" e che, "qualora il giudicando non abbia rinunciato al diritto di farsi assistere ma non abbia scelto il proprio difensore, questo è designato d'ufficio" ( 6 della sezione II del capo IV). È dunque previsto che sia assicurata un'assistenza difensiva, rinunciabile solo in modo esplicito dall'interessato, anche in caso di inerzia di quest'ultimo. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 73, primo comma, della legge n. 599 del 1954 non è pertanto fondata, in relazione ad entrambi i parametri di valutazione indicati dal giudice rimettente.

3. -- Fondato è invece il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 74, primo comma, della stessa legge, nella parte in cui non consente al difensore, nominato dall'interessato o designato dal presidente della Commissione di disciplina, di intervenire dinanzi alla Commissione stessa quando il sottufficiale nei cui confronti si procede rimanga assente. La questione deve essere esaminata nel merito anche se il sottufficiale, convocato dalla Commissione e non presentatosi, non ha provveduto a nominare un ufficiale difensore. La mancanza della nomina, difatti, non esclude la rilevanza della questione, giacchè tale omissione si inserisce in un contesto normativo che avrebbe determinato l'inutilità della nomina o della designazione d'ufficio di un ufficiale difensore. Questi, in base alla norma sottoposta a verifica di costituzionalità, non sarebbe potuto intervenire dinanzi alla Commissione di disciplina, essendo rimasto assente l'incolpato. Il divieto di esplicare un mandato difensivo in assenza dell'incolpato si palesa del tutto irrazionale. Ammessa, difatti, la facoltà di farsi assistere da un difensore, l'effettività dell'attività difensiva non può essere condizionata alla condotta dell'incolpato nel procedimento. Questi può legittimamente non comparire dinanzi alla Commissione di disciplina secondo una sua libera scelta, preferendo affidare a chi lo assiste l'enunciazione delle ragioni a giustificazione della propria condotta ed a sostegno della propria posizione, senza che ne derivi una ingiustificata compressione delle attività difensive. Deve essere, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 74, primo comma, ultimo periodo, della legge n. 599 del 1954, limitatamente alla parola "non", che immediatamente precede "è ammesso ad intervenire".

4. -- Gli artt. 60, primo comma, numero 6) e 63, lettera d), della legge n. 599 del 1954 comprendono tra le sanzioni disciplinari di stato la perdita del grado per rimozione; stabiliscono inoltre, quale causa di rimozione, la violazione del giuramento o altri motivi disciplinari, previo giudizio della Commissione di disciplina. Il giudice rimettente sottolinea la genericità della formula usata dal legislatore e ritiene violato il principio di legalità, per l'assenza di una definizione precisa e riconoscibile della fattispecie sanzionata. Invoca, quali parametri del giudizio di legittimità costituzionale, gli artt. 25, secondo comma, e 97 della Costituzione. La prima di queste disposizioni costituzionali stabilisce un principio di necessaria e previa definizione legislativa degli illeciti, attribuendo forza di vincolo costituzionale ad un principio che caratterizza il diritto penale; ma non può trovare immediata estensione ad ogni campo di illecito, dovendo l'art. 25, secondo comma, della Costituzione essere interpretato in necessario collegamento con il primo comma dello stesso articolo, che si riferisce alla materia penale e non copre quindi la materia degli illeciti disciplinari (sentenza n. 100 del 1981; ordinanza n. 541 del 1988). Tuttavia il principio che è alla base di tale disposizione, diretto a garantire la persona da arbitrarie sanzioni suscettibili di incidere su valori costituzionalmente tutelati, se non consente la trasposizione della penetrante esigenza di protezione propria della sfera penale - che, toccando la libertà personale, impone la puntuale e completa definizione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni -, richiede che anche nell'esercizio di altri poteri autoritativi, quali quelli propri della pubblica amministrazione in materia disciplinare, i comportamenti suscettibili di sanzione siano definiti in base alla legge. Può permanere un ambito di elasticità nella puntuale configurazione e nella determinazione delle condotte sanzionabili, ma è sempre necessario, anche in coerenza con il principio di imparzialità dell'amministrazione, che esse siano riferibili a principi enunciati da disposizioni legislative o enucleabili dai valori che ispirano nel loro complesso le regole di comportamento che caratterizzano la scala di doveri propri della funzione esercitata. Per quanto riguarda la perdita del grado per rimozione, prevista per i sottufficiali dalla disposizione denunciata, il riferimento ai "motivi disciplinari" indicati dall'art. 60, primo comma, numero 6), della legge n. 599 del 1954 si integra con l'indicazione della responsabilità per "atti incompatibili con lo stato di sottufficiale", richiesta dall'art. 67 della stessa legge per la sottoposizione a Commissione di disciplina. Pur se è da auspicare una più stringente definizione legislativa, che adegui le garanzie per le sanzioni di stato al livello di definizione degli illeciti ora delineato dalle norme di principio sulla disciplina militare (legge n. 382 del 1978) e dal regolamento di disciplina militare (d.P.R. n. 545 del 1986), le disposizioni denunciate, il cui contenuto descrittivo dei comportamenti sanziona bili si combina con quanto previsto dall'art. 67 della legge n. 599 del 1954, non attingono alla rottura del principio di legalità e non determinano violazione dell'imparzialità dell'amministrazione. Gli atti di cui il sottufficiale si sia reso responsabile - nel caso oggetto del giudizio principale la diserzione - devono essere "incompatibili con il suo stato", tali cioè da non garantire l'adempimento dei propri doveri e da non consentire il permanere del rapporto. Si impone quindi, nel giudizio della Commissione di disciplina e nel provvedimento che accerta la consistenza dell'addebito, una motivazione tanto più rigorosa ed esauriente, quanto meno specifica è la formula che descrive i comportamenti sanzionati, di modo che si possa esercitare quel più penetrante sindacato di legittimità da parte del giudice, già affermato dalla giurisprudenza amministrativa proprio con riferimento ai provvedimenti disciplinari per i militari.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 74, primo comma, ultimo periodo, della legge 31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica), limitatamente alla parola "non", che immediatamente precede "è ammesso ad intervenire";

2) dichiara non fondate:

a) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 73, primo comma, della legge 31 luglio 1954, n. 599, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con l'ordinanza indicata in epigrafe;

b) la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 60, primo comma, numero 6) e 63, lettera d), della legge 31 luglio 1954, n. 599, sollevata, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Cesare MIRABELLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 24 luglio 1995.