Sentenza n. 178 del 2019

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SENTENZA N. 178

ANNO 2019

 

Commento alla decisione di

 

Giovanni Tarli Barbieri

L’acre odore della delegificazione...

Potere regolamentare e normativa tecnica nella sent. n. 178/2019 della Corte costituzionale

 

per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettere a), b), c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché l’Allegato tecnico della legge della Regione Puglia 16 luglio 2018, n. 32 (Disciplina in materia di emissioni odorigene), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-21 settembre 2018, depositato in cancelleria il 26 settembre 2018 ed iscritto al n. 66 del registro ricorsi 2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

udito nell’udienza pubblica del 4 giugno 2019 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Anna Bucci per la Regione Puglia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 26 settembre 2018 (reg. ric. n. 66 del 2018), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 1, comma 2, lettere a), b), c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché l’Allegato tecnico della legge della Regione Puglia 16 luglio 2018, n. 32 (Disciplina in materia di emissioni odorigene).

2.– In particolare, il ricorrente ha impugnato l’art. 1, comma 2, lettere a) e b), e le altre citate disposizioni regionali, per violazione degli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 7, commi 4-bis, 4-ter, 5 e 7; 29-ter; 29-sexies, comma 3; 29-septies; 267, comma 3; 271, comma 3 e 272-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi anche: cod. ambiente).

2.1.– Ancora, il ricorrente ha impugnato lo stesso art. 1, comma 2, lettere c) e d), nonché le altre citate disposizioni regionali, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 7-bis, comma 8; 19; 22 e 23 cod. ambiente.

2.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì impugnato il solo art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 279 cod. ambiente.

2.3.– Infine, l’art. 6 della medesima legge regionale è stato impugnato dal ricorrente anche per violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., in relazione agli artt. 7 e 7-bis cod. ambiente, nonché dell’art. 123 Cost., in relazione all’art. 44, commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia 12 maggio 2004, n. 7 (Statuto della Regione Puglia).

3.– Il ricorrente premette che la legge reg. Puglia n. 32 del 2018, in tutto composta da nove articoli, è volta a disciplinare le emissioni odorigene legate alle attività antropiche, mirando a ridurne l’impatto olfattivo. Ciò, in forza di una competenza che troverebbe fondamento nel tenore dell’art. 272-bis cod. ambiente, relativo alle misure dirette a prevenire e limitare le emissioni odorigene derivanti dalle attività rese dagli stabilimenti presi in considerazione dal Titolo I della Parte V del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, soggetti all’autorizzazione di cui all’art. 269 dello stesso cod. ambiente.

4.– Ciò premesso, evidenzia il ricorrente che con gli artt. 1, comma 2, lettere a) e b), 3, 4, 5, 6, 7 e 9 e con l’Allegato tecnico della legge regionale impugnata sono state introdotte specifiche disposizioni volte a integrare la disciplina prevista dal d.lgs. n. 152 del 2006 in tema di autorizzazione integrata ambientale (AIA), di competenza sia statale, sia regionale; disciplina che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema», ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

In particolare – rimarca il ricorrente – gli artt. 3, 4 e 5, destinati a trovare applicazione anche alle installazioni soggette ad AIA statale e regionale, definiscono la procedura per la valutazione dell’accettabilità degli impatti olfattivi, mentre l’Allegato tecnico ne stabilisce e dettaglia i metodi di monitoraggio e di determinazione, nonché i criteri di valutazione sul territorio.

4.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea che la Regione resistente non potrebbe rivendicare la propria competenza agganciandola al citato art. 272-bis cod. ambiente, la cui applicabilità sarebbe infatti esclusa dal precedente art. 267, comma 3, in forza del quale, per le installazioni soggette ad AIA, la disciplina di riferimento è quella offerta dal Titolo III-bis della Parte II del medesimo d.lgs. n. 152 del 2006, così che l’autorizzazione afferente le emissioni destinate ad incidere sull’inquinamento atmosferico (art. 269 cod. ambiente) deve ritenersi sostituita dall’AIA.

4.2.– Per altro verso, evidenzia il ricorrente che, ai sensi dell’art. 271, comma 3, cod. ambiente, è riconosciuta alle Regioni la facoltà di adottare con legge «appositi valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio e i combustibili utilizzati», ma solo per le attività scarsamente rilevanti di cui all’art. 272, comma 1 (ovvero le attività per le quali non è previsto il rilascio di una autorizzazione alle emissioni).

Per contro, per le attività soggette ad autorizzazione, quali quelle considerate dalla disciplina normativa regionale impugnata, l’introduzione di valori limite non potrebbe essere realizzata dalle Regioni se non attraverso piani e programmi: l’art. 271, comma 4, cod. ambiente prevede infatti che: «[i] piani e i programmi di qualità dell’aria previsti dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155 possono stabilire appositi valori limite di emissione e prescrizioni più restrittivi di quelli contenuti negli Allegati I, II e III e V alla parte quinta del presente decreto, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio, purché ciò sia necessario al perseguimento ed al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell’aria».

4.3.– Avuto riguardo, poi, al quadro normativo dettato dal Titolo III-bis della Parte II cod. ambiente in materia di AIA, il ricorrente rimarca che gli artt. 1, comma 2, lettere a) e b), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché l’Allegato tecnico della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 impugnata devono ritenersi in contrasto:

a) con l’art. 29-ter cod. ambiente, in quanto la legge regionale prevede all’art. 3, per la presentazione delle istanze di AIA di competenza statale, l’obbligo di produrre ulteriore documentazione e informazioni rispetto a quanto previsto dalla normativa statale;

b) con il successivo art. 29-septies cod. ambiente, perché la legge regionale impugnata impugnata non si configura come uno «strumento di programmazione o di pianificazione» e non considera «tutte le sorgenti emissive coinvolte», in quanto le emissioni odorigene sono riconducibili anche ad altri fonti emissive non considerate dalle disposizioni regionali censurate (quali traffico e riscaldamento civile), e non individua chiaramente quali sono le norme di qualità ambientale per cui è necessario attuare le prescrizioni in materia di emissioni odorigene;

c) sotto quest’ultimo versante e sempre muovendo dal disposto dell’art. 29-septies, con l’art. 3 Cost. per irragionevolezza: il parametro limite previsto dalla disciplina regionale, di cui si impone il rispetto, rappresenterebbe infatti un valore complessivo al quale possono concorrere una pluralità di sorgenti anche non riferite agli impianti autorizzati;

d) ancora con il citato art. 29-septies, essendo previsto che le prescrizioni da dettare per i singoli impianti in sede di autorizzazione non siano richieste dalla Regione in sede di conferenza di servizi, bensì inserite d’ufficio nell’autorizzazione integrata ambientale;

f) con l’articolo 29-sexies, comma 3, cod. ambiente, perché non introducono l’obbligo di rispettare «valori limite di emissione» nel territorio, ma impongono soltanto l’adozione di specifiche misure di monitoraggio, costruttive e di gestione;

g) con gli artt. 7, commi 4, 4-bis e 5 e 7 cod. ambiente, in quanto gli artt. 1, comma 2, lettere a) e b), 3, comma 4, 5, comma l, lettera c), e 9 della legge regionale impugnata disciplinano procedure e attività che spettano allo Stato in materia di autorizzazione integrata ambientale, poiché relative alle installazioni di cui all’Allegato XII, eccedendo il potere legislativo riconosciuto alle Regioni dall’art. 7, comma 7, dell’indicato codice.

5.– Il ricorrente denunzia, ancora, l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché dell’Allegato tecnico della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. in riferimento agli artt. 7-bis, comma 8, 19, 22 e 23 cod. ambiente.

Ad avviso del ricorrente, tramite le citate disposizioni regionali vengono introdotti, in una materia di esclusiva competenza legislativa statale, ulteriori contenuti, diversi da quelli prescritti dalle evocate norme statali, ai fini della presentazione delle istanze per la valutazione di impatto ambientale (VIA), nonché per la verifica di assoggettabilità a VIA.

5.1.– In particolare, i contenuti richiesti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge regionale impugnata, ai fini del controllo delle emissioni delle sostanze odorigene, non sono previsti dall’art. 19 e dall’Allegato IV-bis cod. ambiente per lo studio preliminare ambientale redatto dal proponente; né, ancora, coincidono con quelli sanciti dal successivo art. 22 e dall’Allegato VII alla Parte II, del medesimo codice, avuto riguardo allo studio di impatto ambientale predisposto sempre dal proponente.

5.2.– Osserva il ricorrente che le citate disposizioni regionali prevedono che il «gestore ovvero il proponente, all’atto della presentazione dell’istanza all’autorità competente, provvede ad allegare la documentazione relativa alla individuazione delle sorgenti odorigene significative, alla caratterizzazione delle sorgenti odorigene significative, comprensiva della determinazione della concentrazione di odore e della portata di odore e della determinazione della concentrazione delle singole sostanze, odoranti o traccianti anche non odoranti, e alla stima dell’impatto olfattivo delle emissioni, redatta secondo le indicazioni di cui all’allegato annesso alle presenti disposizioni» (art. 3, comma 1); dispongono, inoltre, che l’«assenza di sorgenti odorigene significative dovrà essere certificata dal gestore ovvero dal proponente mediante dichiarazione resa nelle forme di legge» (art. 3, comma 2). Le citate disposizioni regionali esulano, pertanto, dalla competenza normativa, da esercitare con leggi o regolamenti riconosciuta alle Regioni ed alle Province autonome dall’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente, in relazione alla organizzazione e alle modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonché in riferimento all’eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali.

Rimarca, infatti, l’Avvocatura generale che tale disposizione limita espressamente siffatta potestà normativa ad ambiti piuttosto circoscritti, potendo le Regioni e le Province autonome stabilire regole autonome e ulteriori rispetto alla normativa statale esclusivamente per la semplificazione dei procedimenti, per le modalità della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché per la destinazione dei proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie.

Di qui l’illegittimità della norma regionale impugnata, non riconducibile ad alcuna delle finalità in vista delle quali il legislatore statale ha riconosciuto un margine di intervento ai legislatori regionali.

6.– Il ricorrente denunzia, ancora, l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all’art. 279 cod. ambiente.

6.1.– Secondo quanto previsto dalla disposizione censurata, la «violazione da parte del gestore delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nei provvedimenti, anche in esito alle attività di cui al comma 2, determina l’applicabilità del sistema sanzionatorio già previsto dalle norme di settore».

Il ricorrente – dopo aver premesso che la previsione appare sommariamente formulata, in quanto il comma 2 richiamato non prevede attività in senso stretto, se non «dichiarative» – ritiene che il riferimento al «sistema sanzionatorio già previsto dalle norme di settore», contenuto nella norma censurata debba intendersi siccome rivolto alla disciplina statale di settore e dunque all’art. 279 cod. ambiente, che contiene la disciplina delle sanzioni penali e amministrative per le violazioni nel campo delle emissioni in atmosfera.

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, la norma censurata delinea, dunque, surrettiziamente fattispecie incriminatrici penali nuove, consistenti nella «violazione da parte del gestore delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nei provvedimenti», da punire appunto con le sanzioni previste dal citato art. 279 cod. ambiente. In tal modo, la previsione va ad incidere sull’«ordinamento penale», ovverosia su una materia riservata in via esclusiva al legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

7.– Infine, il ricorrente adduce anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 per violazione sia dell’art. 123 Cost., in riferimento all’art. 44, commi 1 e 2, dello statuto reg. Puglia, sia dell’art. 117, sesto comma, Cost., in relazione agli artt. 7 e 7-bis cod. ambiente.

7.1.– Il censurato art. 6 prevede, al comma 1, che la Giunta regionale «con propria deliberazione provved[a] all’aggiornamento dell’allegato annesso alle presenti disposizioni». Il successivo comma 2 dispone che la Giunta regionale «definisc[a] nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, disposizioni volte alla minimizzazione dell’impatto olfattivo per particolari categorie di attività».

7.2.– Ad avviso del ricorrente, la norma reca, all’evidenza, una ipotesi di delegificazione realizzata in contrasto con i citati parametri costituzionali e interposti.

7.2.1.– Si sottolinea, in primo luogo, che le norme di uno statuto regionale ordinario sono adottate all’esito di un procedimento rinforzato e, dunque, condizionano la validità di quelle prodotte da una legge regionale, le quali non possono discostarsene, pena la violazione dell’art. 123 Cost. In particolare, l’art. 44, comma 1, secondo periodo, dello statuto reg. Puglia, prevede che la «legge regionale indica le norme da delegificare e i principi che la Giunta regionale deve osservare nei regolamenti di delegificazione. Le materie oggetto di legislazione concorrente non possono essere delegificate».

La disposizione censurata si discosterebbe dalle sopra citate previsioni statutarie perché: a) affida la modifica dell’allegato a una deliberazione di Giunta, laddove lo statuto esige un regolamento, peraltro da approvare nel rispetto di specifiche prescrizioni procedurali (art. 44, comma 2, dello statuto reg. Puglia); b) risulta del tutto carente sotto il profilo della indicazione dei principi che dovrebbero guidare la Giunta nell’attività di delegificazione, non potendosi al riguardo considerare sufficiente la generica disciplina posta dal sopra richiamato articolo 6, comma 2, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018; c) utilizza lo strumento della delegificazione in violazione del divieto statutario per le materie di legislazione concorrente, che, ancora più radicalmente, deve ritenersi precluso per quelle di legislazione esclusiva statale, nelle quali le Regioni operano nello spazio lasciato dallo stesso legislatore statale.

7.3.– Ad avviso del ricorrente, ancora, la fattispecie di delegificazione introdotta dalla normativa regionale in esame contrasta altresì con l’art. 117, sesto comma, Cost. per le seguenti considerazioni.

7.3.1.– Muovendo dal dato certo in forza del quale la disciplina contenuta nell’allegato di cui si discute ricade certamente nella materia esclusiva statale della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ex art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., il ricorrente evidenzia altresì che, in forza dell’evocato parametro costituzionale, nelle materie di legislazione statale esclusiva, le Regioni possono esercitare potestà regolamentare solo sulla base di una delega dello Stato.

Con riguardo alla disciplina relativa all’AIA, tale delega scaturisce dall’art. 7, comma 7, cod. ambiente, che, tuttavia, si riferisce esclusivamente all’autorizzazione integrata ambientale di competenza regionale. Ne deriva che la disposizione regionale censurata viola l’art. 117, sesto comma, Cost., nella misura in cui è diretta a delegificare previsioni destinate ad applicarsi anche all’autorizzazione integrata ambientale di spettanza statale.

In riferimento, poi, alla VIA, l’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente riconosce uno spazio d’intervento alle leggi e ai regolamenti regionali esclusivamente in riferimento alle procedure di loro competenza e per profili strettamente delimitati, dai quali esorbita la disciplina contenuta nell’allegato alla legge regionale in esame.

Ne deriva che l’art. 6, comma l, della legge reg. Puglia n. 32 de 2018 viola l’art. 117, sesto comma, Cost., nella misura in cui è diretto a delegificare previsioni espressamente destinate ad applicarsi sia ai procedimenti di VIA di spettanza statale, sia a quelli competenza regionale.

8.– Con atto depositato il 29 ottobre 2018 si è costituita in giudizio la Regione Puglia, concludendo per la inammissibilità o comunque per la infondatezza delle censure.

8.1.– La resistente in primo luogo ha rivendicato il potere di disciplinare la materia delle emissioni odorigene in ragione di quanto previsto dall’art. 272-bis cod. ambiente, evidenziando altresì che la potestà di legiferare sul tema, riconosciuta dalla citata norma statale, non risulta subordinata al preventivo esercizio del potere di coordinamento, solo facoltativo ed eventuale, previsto dal comma 2 dello stesso art. 272-bis.

Ad avviso della resistente, anche a voler ricondurre la materia considerata dalle disposizioni censurate all’ambito inerente la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, non può al contempo disconoscersi che la stessa coinvolge anche aspetti e interessi correlati a materie ascritte alla competenza concorrente delle Regioni, quali quelle del governo del territorio e della tutela della salute, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

A fronte di tale intersecarsi di competenze, la resistente ha richiamato il costante orientamento di questa Corte in forza del quale le disposizioni regionali, emanate per il coinvolgimento, nel bene ambiente, di componenti e aspetti concernenti interessi giuridicamente tutelati di cui sono portatrici anche le Regioni, non violano l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., laddove rispettino gli standard di tutela minima garantiti dalla disciplina statale, finendo piuttosto per meglio realizzare il valore ambientale e innalzare i relativi livelli di tutela.

Ciò premesso, la difesa della resistente rimarca che l’obiettivo del legislatore regionale è stato quello di pervenire ad un più elevato livello di tutela della salubrità dell’aria e dell’ambiente, dettando regole che consentano di inserire, all’interno delle autorizzazioni ambientali, anche prescrizioni volte a prevenire e ridurre gli effetti delle molestie olfattive. In questa cornice l’art. 3, comma 4, lettera c), della legge regionale impugnata dispone che l’autorità competente, nell’ambito dell’istruttoria amministrativa prevista dalla normativa vigente, individua i valori limite di emissione da rispettare, finalizzati a contenere, entro valori di accettabilità, l’impatto olfattivo prodotto dalle emissioni olfattive. Tali valori, descritti dall’Allegato tecnico, permetteranno all’amministrazione competente di prescrivere, all’interno dell’autorizzazione, valori limite di emissione espressi come concentrazione di odore o portata di odore o in concentrazione di singoli odoranti o di sostanze traccianti non odoranti, da aggiungere ai presidi ed ai sistemi di trattamento individuati dalle best available technologies (BAT).

8.2.– Rispetto alle singole censure, la resistente eccepisce anzitutto l’inammissibilità, per la genericità del relativo argomentare, delle prime due questioni, indifferentemente rivolte agli artt. 1, comma 2, lettere a), b), c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché all’Allegato tecnico della legge reg. Puglia n. 32 del 2018.

Non risulterebbero specificati i termini entro i quali le singole disposizioni censurate abbiano violato i parametri costituzionali evocati; genericità resa ancor più evidente dalla evocazione di molteplici parametri interposti, senza adeguatamente argomentare le ragioni della loro ritenuta violazione.

8.3.– Nel merito delle questioni, la difesa della Regione Puglia ne prospetta l’infondatezza perché le ritiene legate a una non corretta interpretazione delle norme impugnate, nonché ad una erronea ricostruzione degli ambiti di competenza legislativa ascritti allo Stato e alle Regioni nella materia in oggetto.

8.4.– Quanto alle questioni prospettate per violazione del cod. ambiente afferenti alla disciplina dettata in tema di AIA, la difesa della resistente ha negato l’addotto contrasto tra le disposizioni censurate e gli artt. 7, commi 4, 4-bis, 4-ter, 5 e 7, 29-septies e 267, comma 3, cod. ambiente. La competenza legislativa della Regione Puglia troverebbe fondamento, in relazione alle emissioni odorigene, nel tenore dell’art. 272-bis del medesimo codice, che si estende a tutti gli stabilimenti e a tutte le attività che producono emissioni in atmosfera e che legittima le Regioni ad introdurre precetti sostanziali quanto alla disciplina specifica tesa a delimitare gli impatti olfattivi conseguenziali alle attività antropiche, senza dunque intaccare gli ambiti procedimentali definiti dalla normativa statale, ma solo integrandone il portato con precipuo riguardo alle ulteriori incombenze imposte dallo specifico profilo appositamente regolato, coerentemente con quanto previsto dall’Allegato XI alla Parte II del citato d.lgs. n. 152 del 2006.

Per le medesime ragioni, la resistente ha anche contestato l’affermata violazione dell’art. 271, comma 3, cod. ambiente, non senza rimarcare che tale ultima disposizione comunque legittima, in termini generali, normative regionali, realizzate anche tramite interventi legislativi, volte a determinare valori limite alle emissioni in atmosfera e prescrizioni con l’unico limite afferente all’obbligo di tener conto di piani e programmi di qualità dell’aria, ove esistenti. Inoltre, ha escluso che le norme censurate siano in conflitto con l’art. 29-ter cod. ambiente, imponendo al proponente integrazioni documentali in ambiti procedimentali riservati alla competenza esclusiva dello Stato, quali quelli afferenti alle installazioni, agli impianti soggetti ad AIA e ai provvedimenti ambientali di competenza statale, perché anche questi ultimi devono attenersi alle indicazioni prescrittive sostanziali contenute nelle disposizioni legislative regionali di settore, che legittimamente completano il quadro normativo di riferimento.

In relazione alla addotta violazione del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., evocato in correlazione al disposto del già citato art. 29-septies cod. ambiente, sul presupposto della mancata individuazione nella disciplina regionale impugnata di tutte le possibili sorgenti emissive coinvolte nella determinazione delle relative prescrizioni, se ne evidenzia per un verso l’indeterminatezza, e dunque l’inammissibilità (perché non si precisa a quale parametro limite si riferisce la censura né quale sia la disposizione, tra quelle censurate, che arreca il vulnus addotto); per altro verso l’infondatezza, in considerazione degli obiettivi e dei conseguenti contenuti precettivi delle disposizioni regionali censurate, destinate a regolare le emissioni odorigene in relazione alla provenienza da una sorgente produttiva e a determinare, in relazione a siffatta sorgente, i valori limite di volta in volta da rispettare, senza pretese di esaustività, quanto alle possibili fonti di emissioni olfattive nell’ambiente e nell’atmosfera.

8.5.– In relazione alle questioni prospettate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., per assunto contrasto degli artt. 1, comma 2, lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché delle previsioni contenute nell’Allegato tecnico della legge regionale impugnata con gli artt. 7-bis, comma 8, 19, 22 e 23 cod. ambiente in tema di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA, la difesa della resistente ha evidenziato che lo studio preliminare ambientale (richiamato dall’art. 19), descritto nei contenuti dall’Allegato IV-bis alla Parte II del citato codice, per evitare o prevenire impatti ambientali significativi e negativi, deve tenere conto delle pertinenti valutazioni degli effetti sull’ambiente compiute in base alle normative di riferimento, anche di matrice regionale.

In coerenza, anche lo studio di impatto ambientale, previsto dall’art. 22 cod. ambiente e descritto dall’Allegato VII alla Parte II del medesimo codice, nel definire le connotazioni del progetto anche in relazione alle emissioni previste e ai possibili profili di impatto ambientale ad esse correlate, ad avviso della resistente dovrà tenere conto delle discipline regionali di settore anche quando il titolo ambientale è di competenza statale.

Né rileverebbe, secondo la resistente, il richiamo all’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente, il quale, in tema di VIA e verifica di assoggettabilità a VIA, detta i criteri ai quali devono ispirarsi le Regioni nel definire gli ambiti organizzativi e procedimentali di loro spettanza. Ad avviso della resistente, le norme censurate contengono prescrizioni di natura sostanziale cui devono attenersi gli stabilimenti nell’ottica volta ad evitare, prevenire e ridurre l’impatto olfattivo correlato alle emissioni odorigene derivanti dalle attività antropiche.

Le relative disposizioni – sottolinea la resistente – non costituiscono un aggravio procedimentale; rappresentano, sul piano delle incombenze istruttorie imposte dalle esigenze di provvedere alla compiuta valutazione delle emissioni odorigene correlate alle singole installazioni, il corollario logico imprescindibile delle verifiche finalizzate ad eliminare o ridurre gli impatti olfattivi nell’ottica del comune obiettivo della tutela ambientale, realizzato dalla normativa regionale impugnata.

8.6.– La difesa della Regione ha sostenuto anche l’infondatezza della questione avente ad oggetto l’art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, prospettata con riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in relazione all’art. 279 cod. ambiente. Ad avviso della resistente, la possibilità che la norma regionale impugnata renda applicabili le sanzioni, amministrative e penali, previste dalla citata normativa statale, ai casi in cui si riscontri una violazione delle prescrizioni contenute nei provvedimenti amministrativi in attuazione della disciplina dettata dalla Regione in tema di emissioni odorigene, non darebbe corpo alla creazione di una nuova fattispecie criminosa ma realizza, piuttosto, la riconducibilità di un caso concreto all’astratta previsione di legge.

8.7.– Secondo la resistente, infine, non coglie nel segno nemmeno l’ultima delle censure prospettate nel ricorso, riferita all’art. 6 della legge regionale impugnata.

Le disposizioni impugnate non darebbero luogo ad alcuna delegificazione, in quanto prevedono esclusivamente l’aggiornamento di un contenuto meramente tecnico, quale quello descritto nell’allegato, così da riportare l’atto in questione all’interno delle competenze espressamente proprie della Giunta regionale.

In ogni caso, non rileverebbe il mancato riferimento alla forma regolamentare, perché si prevede comunque la forma tipica dei provvedimenti normativi e generali propria delle deliberazioni della Giunta, senza peraltro escludere aprioristicamente l’acquisizione del parere della commissione consiliare competente in materia, non incompatibile con tali determinazioni.

Infine, la Regione evidenzia che la censura risulta contraddetta dalla stessa normativa statale dettata in materia di emissioni, anche odorigene, nell’atmosfera, in forza delle quali risulta in più occasioni legittimata la normazione regionale attraverso provvedimenti e atti generali.

9.– La difesa della resistente ha depositato, in data 13 maggio 2019, una memoria con la quale ha ribadito le difese svolte nell’atto di costituzione.

10.– In data 14 maggio 2019, l’Avvocatura Generale dello Stato ha depositato memoria, con la quale, nel confermare le argomentazioni sottese alle questioni prospettate con il ricorso, ha replicato alle difese della Regione resistente.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso depositato il 26 settembre 2018 (reg. ric. n. 66 del 2018), ha impugnato gli artt. 1, comma 2, lettere a), b), c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché l’intero Allegato tecnico della legge della Regione Puglia 16 luglio 2018, n. 32 (Disciplina in materia di emissioni odorigene).

2.– Le disposizioni della legge regionale impugnata sono volte a evitare, prevenire e ridurre l’impatto olfattivo derivante dalle emissioni in atmosfera legate alle attività antropiche (art. 1, comma 1). Esse sostituiscono la disciplina previgente nel territorio di riferimento, contenuta nella legge della Regione Puglia 22 gennaio 1999, n. 7 (Disciplina delle emissioni odorifere delle aziende. Emissioni derivanti da sansifici. Emissioni nelle aree a elevato rischio di crisi ambientale), ora abrogata (art. 8).

3.– Giova premettere che la disciplina dettata dalla legge reg. Puglia n. 32 del 2018, in caso di presenza di sorgenti odorigene significative, è destinata a trovare applicazione, in primo luogo, in relazione alle installazioni e agli stabilimenti (art. 1, comma 2, lettera f), sottoposti, in tema di emissioni atmosferiche, all’autorizzazione prevista dall’art. 269 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in avanti: cod. ambiente).

La disciplina regionale, per quel che qui immediatamente interessa, risulta altresì estesa alle installazioni (e alle relative modifiche sostanziali) soggette ad autorizzazione integrata ambientale (AIA), sia di competenza statale, sia di pertinenza regionale, in ragione di quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lettere a) e b); ancora, ai progetti soggetti a verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale o a valutazione di impatto ambientale (VIA), alle relative modifiche sostanziali o alle estensioni dei progetti in questione, anche in questo caso indipendentemente dalla competenza regionale o statale a rendere il relativo titolo (art. 1, comma 2, lettere c e d).

4.– Il riferimento all’art. 1, comma 2, lettere a), b), c) e d), della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 assume un significato decisivo nella corretta delimitazione dell’oggetto del ricorso che interessa. Consente, infatti, di suddividere le censure prospettate dal ricorrente in tre diversi gruppi.

4.1.– In particolare, i primi due gruppi hanno ad oggetto la struttura portante della legge regionale in esame: in entrambi i casi il Presidente del Consiglio dei ministri contesta, infatti, gli artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 9 della legge regionale impugnata, nonché l’intero Allegato tecnico ad essa.

Entrambi i gruppi di censure, inoltre, risultano ancorati alla addotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione perché in asserito contrasto con alcune disposizioni del cod. ambiente; disposizioni, queste ultime, tuttavia, non coincidenti.

Con riguardo ai parametri interposti, infatti, muta la visuale di riferimento dei relativi motivi di impugnazione.

4.1.1.– Nel primo gruppo di censure, le disposizioni impugnate sono contestate dal ricorrente perché se ne prevede l’applicabilità anche alle installazioni soggette ad AIA, comprese quelle di competenza statale: in questo senso appare decisiva l’inclusione, tra le disposizioni oggetto di impugnazione, anche delle previsioni contenute nelle lettere a) e b) del comma 2 dell’art. 1 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, che prevedono siffatta estensione. Ed in coerenza, a sostegno dell’addotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., viene prospettato il contrasto delle norme regionali impugnate con alcune disposizioni del cod. ambiente relative, per l’appunto, alla disciplina dell’AIA.

Giova altresì rimarcare che in questo specifico contesto risulta allocata, nel corpo del ricorso, altra specifica censura, rivolta alle medesime disposizioni ma ancorata all’addotta violazione dell’art. 3 Cost., per irragionevolezza della relativa disciplina.

4.1.2.– Nel secondo gruppo di censure, le stesse norme regionali (artt. 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché dell’Allegato tecnico) sono censurate perché ne è prevista l’applicabilità anche ai progetti soggetti a VIA e a verifica di assoggettabilità a VIA, come reso evidente dall’immediato riferimento (anche) alle lettere c) e d) del medesimo comma 2 dell’art. 1, nonché ai parametri interposti a tal fine evocati, sempre interni al cod. ambiente, ma immediatamente afferenti, per l’appunto, alla disciplina riguardante la VIA.

4.1.3.– Il terzo gruppo di censure riguarda singole disposizioni della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, non necessariamente collegate alla normativa statale dettata in materia di AIA e di VIA.

In particolare, seguendo l’ordine di prospettazione del ricorso, viene contestato il solo comma 5 dell’art. 3, che il ricorrente ritiene in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

Si censura, infine, l’art. 6 della legge regionale impugnata, prospettandone l’illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 123 e 117, sesto comma, Cost.

5.– Sia la descrizione delle censure che lo scrutinio delle singole questioni da rendere alla luce delle difese della resistente impongono una preliminare descrizione del quadro normativo di riferimento all’interno del quale le disposizioni regionali impugnate sono destinate ad operare.

5.1.– Sotto questo profilo non può non sottolinearsi, in premessa, che la legislazione statale, mentre disciplina in termini organici il tema dell’incidenza inquinante delle emissioni in atmosfera (in particolare, Titolo I della Parte V cod. ambiente), ancora oggi (malgrado ciò che si dirà di qui a poco in ordine alla innovazione apportata dall’introduzione dell’art. 272-bis nel cod. ambiente) non prende in considerazione, con previsioni di sistema, il tema degli impatti olfattivi determinati dalle emissioni derivanti da attività antropiche.

5.2.– Siffatta carenza sistemica non ha tuttavia impedito alla prassi amministrativa di dare comunque rilievo all’impatto ambientale da ascrivere alle emissioni odorigene derivanti dalle attività produttive, muovendo dall’ampia nozione di inquinamento atmosferico contenuta nell’art. 268 cod. ambiente.

Non raramente, infatti, le amministrazioni competenti hanno inserito, all’interno delle autorizzazioni ex art. 269 cod. ambiente, anche in occasione dei titoli abilitativi legati a iniziative produttive maggiormente impattanti sotto questo profilo, oneri di monitoraggio e prescrizioni limitative volte a prevenire o ridurre il portato delle possibili emissioni maleodoranti. Scelte, queste ultime, in linea di principio asseverate dalla giurisprudenza amministrativa malgrado l’assenza di una disciplina organica di riferimento, rinvenibile anche nella normativa di matrice unionale.

5.3.– Tale carenza normativa, per altro verso, ha permesso un margine d’azione, nel settore in esame, alle Regioni, le quali, per lo più tramite regolamenti o altri atti amministrativi generali (in genere assunti nella forma delle delibere di Giunta), hanno provveduto a disciplinare la materia, dettando linee guida riferite ai valori di emissione, metodi di monitoraggio, nonchè ulteriori incombenti a completamento della documentazione di supporto delle relative istanze, destinati ad integrare l’azione amministrativa di riferimento.

Sotto questo profilo, va in particolare rimarcato che la Regione Puglia è stata tra le prime ad attivarsi in tal senso, scegliendo, peraltro, di disciplinare la materia con legge (la già citata legge reg. Puglia n. 7 del 1999, nel tempo più volte modificata e oggi sostituita dalle disposizioni impugnate).

5.4.– Come anticipato, il silenzio della normativa nazionale sul tema in esame è stato interrotto con l’introduzione, all’interno del Titolo I della Parte V cod. ambiente, dell’art. 272-bis, ad opera dell’art. 1, comma 1, lettera f), n. 8, del decreto legislativo 15 novembre 2017, n. 183, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2015/2193 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi, nonché per il riordino del quadro normativo degli stabilimenti che producono emissioni nell’atmosfera, ai sensi dell’articolo 17 della legge 12 agosto 2016, n. 170».

5.4.1.– Con l’obiettivo, reso esplicito dai relativi lavori preparatori, di razionalizzare «una serie di poteri già previsti dalle rispettive leggi regionali», il menzionato art. 272-bis dispone che la «normativa regionale o le autorizzazioni possono prevedere misure per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al presente titolo». Prevede, ancora, che tali misure, tra l’altro, possono «[…] includere […] a) valori limite di emissione […]; b) prescrizioni impiantistiche e gestionali e criteri localizzativi per impianti e per attività aventi un potenziale impatto odorigeno […]; c) procedure volte a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, criteri localizzativi in funzione della presenza di ricettori sensibili nell’intorno dello stabilimento; d) criteri e procedure volti a definire, nell’ambito del procedimento autorizzativo, portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena […]; e) specifiche portate massime o concentrazioni massime di emissione odorigena espresse in unità odorimetriche (ouE/m3 o ouE/s) per le fonti di emissioni odorigene dello stabilimento».

L’art. 272-bis, comma 2, dispone, inoltre, che il «Coordinamento» previsto dall’art. 20 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155 (Attuazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa) possa elaborare indirizzi in relazione alle misure previste dal medesimo articolo. Si prevede, altresì, che attraverso «l’integrazione dell’allegato I alla Parte Quinta, con le modalità previste dall’articolo 281, comma 6», possano essere previsti, anche sulla base dei lavori del Coordinamento, valori limite e prescrizioni per la prevenzione e la limitazione delle emissioni odorigene degli stabilimenti di cui al Titolo I della Parte II cod. ambiente, «inclusa la definizione di metodi di monitoraggio e di determinazione degli impatti».

5.4.2.– All’evidenza, dunque, il legislatore statale non ha inteso introdurre una disciplina organica e complessiva dei profili inquinanti correlati alle emissioni odorigene, lasciando alle Regioni il compito di regolamentare il settore, ma si è riservato la possibilità, con le modalità previste dal comma 2 del citato art. 272-bis, di introdurre valori limite e prescrizioni generali destinate a valere per l’intero territorio nazionale in modo uniforme.

5.5.– La normativa regionale impugnata si inserisce all’interno della cornice normativa descritta in precedenza, oggi meglio definita dal tenore dell’art. 272-bis del cod. ambiente.

5.5.1.– Per quanto emerge dai rispettivi lavori preparatori, la disciplina regionale censurata dal ricorrente muove dall’esigenza di modificare il previgente dato normativo, offerto dalla citata legge n. 7 del 1999, aggiornandone il campo di applicazione, garantendo uniformità alle attività di monitoraggio, definendo in modo più puntuale le attività ascritte all’Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente (ARPA) Puglia e infine modificando l’Allegato tecnico cui già nel corpo della legge previgente era assegnato il compito di contenere le specifiche attraverso le quali pervenire alla determinazione dei valori di accettabilità dell’impatto olfattivo da prescrivere all’interno dei relativi titoli abilitativi.

5.5.2.– Come anticipato, l’art. 1, comma 1, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 contiene le indicazioni finalistiche del relativo intervento, mentre il comma 2 dello stesso articolo, in linea peraltro con quanto previsto dalla previgente disciplina (art. 1-bis della legge regionale n. 7 del 1999), estende il campo di applicabilità delle disposizioni in esame anche oltre i limiti del Titolo I della Parte V cod. ambiente: oltre agli stabilimenti soggetti all’autorizzazione di cui all’art. 269 cod. ambiente (richiamato dalla lettera f del comma 2 dell’art. 1 della legge regionale impugnata) viene fatto riferimento espresso, tra l’altro, alle installazioni (e alle modifiche alle installazioni) soggette ad AIA, e ai progetti sottoposti a VIA e a verifica di assoggettabilità a VIA (lettere a, b, c e d).

L’elenco delle definizioni è contenuto nell’art. 2, rimasto estraneo alle censure del ricorrente, al pari dell’art. 8 (che, come già evidenziato, dispone l’abrogazione della previgente legge n. 7 del 1999).

5.5.3.– Il cuore della normativa in questione è collocato nell’art. 3.

Laddove si sia in presenza di sorgenti odorigene significative – tali dovendosi ritenere quelle che ai sensi dell’art. 2, comma 1, lettera g), della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, hanno una «portata di odore» o «una concentrazione di odore» maggiore o uguale ai valori soglia determinati mediante olfattometria dinamica, «applicando la norma UNI EN 13725:2004» (di cui all’Allegato tecnico, punto 3, capoverso 2) – il citato art. 3, comma 1, impone al gestore o al proponente l’onere di allegare, all’atto della presentazione dell’istanza all’autorità competente «la documentazione relativa alla individuazione delle sorgenti odorigene significative, alla caratterizzazione delle sorgenti odorigene significative, comprensiva della determinazione della concentrazione di odore e della portata di odore e della determinazione della concentrazione delle singole sostanze, odoranti o traccianti anche non odoranti, e alla stima dell’impatto olfattivo delle emissioni, redatta secondo le indicazioni di cui all’allegato annesso alle presenti disposizioni».

5.5.4.– Secondo quanto previsto dal comma 4 del medesimo art. 3, nell’ambito della relativa istruttoria prevista dalla normativa vigente, l’autorità competente, anche, avvalendosi del supporto tecnico di ARPA Puglia, è tenuta a valutare la documentazione presentata; a verificare, anche sulla base delle migliori tecniche disponibili, l’adeguatezza degli accorgimenti tecnici e gestionali proposti dal gestore al fine di garantire il contenimento delle emissioni odorigene, tenendo conto delle caratteristiche del territorio e della presenza di potenziali recettori sensibili; ad individuare i valori limite di emissione che devono essere rispettati al fine di contenere entro i valori di accettabilità l’impatto olfattivo prodotto dalle emissioni odorigene; a formulare le eventuali prescrizioni tecniche e gestionali, definendone la relativa tempistica, per il contenimento delle emissioni odorigene sia in condizioni di normale attività sia in condizioni diverse dal normale esercizio; a definire le misure e le modalità e le frequenze di monitoraggio delle emissioni odorigene.

5.5.5.– Il comma 5 del citato art. 3 estende alla violazione delle prescrizioni impartite e dei valori limite contenuti nei provvedimenti, resi in applicazione delle relative disposizioni di legge, il sistema sanzionatorio previsto dalle norme di settore.

I successivi artt. 4 e 5 definiscono i compiti ascritti sul tema ad ARPA Puglia con riferimento all’attività di controllo delle prescrizioni contenute nei relativi titoli abilitativi e, rispettivamente, in ordine alle modalità attraverso le quali vanno gestite le segnalazioni di disturbo olfattivo; l’art. 7 disciplina il regime transitorio, mentre l’art. 9 attiene agli adempimenti consequenziali in capo alle amministrazioni interessate.

5.5.6.– Costituisce parte integrante della legge regionale in esame un Allegato tecnico, all’interno del quale si rinvengono le indicazioni tecniche funzionali alla determinazione delle emissioni odorigene, alla stima previsionale dell’impatto olfattivo e alla determinazione dell’impatto olfattivo o dell’esposizione olfattiva. Tra queste, assumono un rilievo fondamentale le previsioni afferenti ai valori di accettabilità dell’impatto olfattivo, fissati in funzione delle classi di sensibilità dei ricettori, punto di riferimento dei valori limite e delle prescrizioni da riportare nel provvedimento abilitativo (punti 19 e 20 dell’Allegato).

5.5.7.– Infine, l’art. 6 della legge regionale impugnata prevede le modalità attraverso le quali è demandata alla Giunta regionale la possibilità di aggiornare il citato Allegato tecnico.

6.– Tanto premesso, può ora procedersi alla disamina delle singole questioni prospettate dal ricorso, prendendo le mosse da quelle concernenti l’asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. per contrasto con la disciplina dettata dal cod. ambiente in tema di AIA.

6.1.– Il ricorrente evidenzia che gli artt. 3, 4 e 5 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 definiscono la procedura per la valutazione dell’accettabilità degli impatti olfattivi mentre l’Allegato tecnico stabilisce e dettaglia i metodi di monitoraggio e di determinazione degli impatti, nonché i criteri di valutazione degli stessi sul territorio. Ciò sul presupposto di una competenza legislativa che troverebbe riferimento nel citato art. 272-bis cod. ambiente.

6.1.1.– Ciò posto, ad avviso del ricorrente la possibilità di estendere l’applicabilità del citato art. 272-bis cod. ambiente alle installazioni soggette ad AIA, espressamente considerate dalla normativa regionale censurata in ragione di quanto dettato dall’art. 1, comma 2, lettere a) e b), sarebbe tuttavia esclusa dal tenore dell’art. 267, comma 3, cod. ambiente; disposizione, quest’ultima, in forza della quale, per le dette installazioni, la disciplina di riferimento è quella offerta dal Titolo III-bis della Parte II del medesimo codice.

6.1.2.– Osserva, ancora, il ricorrente che ai sensi dell’art. 271, comma 3, cod. ambiente è riconosciuta alle Regioni la facoltà di adottare con legge «appositi valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio e i combustibili utilizzati», ma solo per le attività scarsamente rilevanti di cui al comma 1 dell’art. 272 dello stesso cod. ambiente, ovvero le attività per le quali non è previsto il rilascio di una autorizzazione alle emissioni. Per le attività soggette ad autorizzazione, invece, è necessario che ciò avvenga attraverso i piani e i programmi previsti dal d.lgs. n. 155 del 2010: il comma 4 del medesimo art. 271 cod. ambiente prevede, infatti, che «[i] piani e i programmi di qualità dell’aria previsti dal decreto legislativo 31 agosto 2010, n. 155 possono stabilire appositi valori limite di emissione e prescrizioni più restrittivi di quelli contenuti negli Allegati I, II e III e V alla parte quinta del presente decreto, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio, purché ciò sia necessario al perseguimento ed al rispetto dei valori e degli obiettivi di qualità dell’aria».

6.1.3.– Le disposizioni impugnate sarebbero in contrasto, ancora, con gli artt. 7, commi 4, 4-bis, 5 e 7 cod. ambiente, in quanto disciplinano procedure e attività che spettano allo Stato in materia di AIA, poiché relative agli impianti di cui all’Allegato XII alla Parte II, eccedendo il potere legislativo riconosciuto alle Regioni dal comma 7 dell’art. 7 del citato codice.

6.1.4.– Avuto riguardo, poi, al quadro normativo dettato dal Titolo III-bis della Parte II cod. ambiente in materia di AIA, il ricorrente evidenzia che le citate disposizioni della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 devono ritenersi in contrasto: a) con l’art. 29-ter cod. ambiente, in quanto la legge regionale prevede all’art. 3, per la presentazione delle istanze di AIA di competenza statale, l’obbligo di produrre, nell’ambito dell’istanza, ulteriore documentazione e informazioni rispetto a quanto previsto dalla normativa statale; b) con il successivo art. 29-septies, perché la legge regionale non solo non si configura come uno «strumento di programmazione o di pianificazione», ma non considera, inoltre, «tutte le sorgenti emissive coinvolte», in quanto le emissioni odorigene sono riconducibili anche ad altri fonti emissive non considerate dalle disposizioni qui censurate (quali traffico e riscaldamento civile), non individua chiaramente quali sono le norme di qualità ambientale per cui è necessario attuare le prescrizioni in materia di emissioni odorigene, né, infine, prevede che le prescrizioni da dettare per i singoli impianti in sede di autorizzazione siano richieste dalla Regione in sede di conferenza di servizi, ma piuttosto dispone che le stesse vengano inserite d’ufficio nell’autorizzazione integrata ambientale; c) con l’art. 29-sexies, comma 3, cod. ambiente, perché non introducono l’obbligo di rispettare «valori limite di emissione» nel territorio, ma impongono l’adozione di specifiche misure di monitoraggio, costruttive e di gestione.

6.1.5.– Il ricorrente, all’interno del gruppo di censure rivolte all’insieme di norme che costituiscono la struttura portante della legge regionale impugnata (artt. 3, 4, 5, 6, 7, 9 e l’Allegato tecnico), viste, tuttavia, sempre nell’ottica dell’affermato contrasto con la disciplina statale prevista in materia di AIA, adduce, altresì, l’irragionevolezza della disciplina impugnata ai sensi dell’art. 3 Cost., letto in stretta correlazione con il disposto di cui al già evocato art. 29-septies cod. ambiente.

6.2.– La difesa della Regione resistente, con riguardo a siffatto gruppo di questioni, in via pregiudiziale ha eccepito l’inammissibilità in parte qua del ricorso, per la genericità dell’assunto che le sostiene.

6.2.1.– L’eccezione è infondata.

Lo snodo decisivo dell’impugnazione rivolta al primo gruppo di norme contestate con il ricorso va rinvenuto nella disposta estensione della disciplina prevista dalla legge reg. Puglia n. 32 del 2018 alle installazioni soggette ad AIA.

In questo senso, assume valenza fondamentale l’impugnazione delle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 2, lettere a) e b), che tale estensione prevedono; di contro, l’ulteriore insieme delle norme regionali attinte dall’impugnazione, che rappresentano il cuore della disciplina regionale contestata con il ricorso, risultano evocate, quantomeno in prima battuta, sostanzialmente per ribadire la ragione di contrasto posta fondamentalmente a sostegno delle questioni in esame.

In altre parole, non se ne denunzia l’illegittimità costituzionale in sé, ma solo in vista della disposta estensione alle installazioni soggette ad AIA.

6.2.2.– Così letto, il ricorso non soffre della genericità eccepita dalla difesa della resistente.

Le norme impugnate (art. 1, comma 2, lettere a e b), della legge regionale in esame), essenziali nell’ottica perseguita dal ricorrente, risultano, infatti, puntualmente indicate e altrettanto compiutamente scrutinate sul piano argomentativo quanto alle ragioni di addotta illegittimità costituzionale (la conflittualità con l’art. 267, comma 3, cod. ambiente), avuto riguardo, in particolare, alla lamentata lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

6.2.3.– Né rileva che il contenuto dell’art. 1, comma 1, lettere a) e b), di fatto reiteri, anche in parte qua, quello in origine previsto dall’art. 1-bis della legge reg. Puglia n. 7 del 1999, introdotto nell’impianto della citata legge regionale in forza di quanto previsto dall’art. 2, comma 1, della legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 23 (Modifiche alla legge regionale 22 gennaio 1999, n. 7, come modificata e integrata dalla legge regionale 14 giugno 2007, n. 17) ed ora abrogato dall’art. 8 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, non osta all’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale in via principale l’integrale coincidenza della disposizione impugnata con il testo di altra anteriore non impugnata, atteso che l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile ai giudizi in via principale e che la norma impugnata ha comunque l’effetto di reiterare la lesione da cui deriva l’interesse a ricorrere dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 60 e n. 41 del 2017).

6.3.– Nel merito, è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con riguardo all’addotto contrasto delle dette disposizioni regionali con l’art. 267, comma 3, cod. ambiente.

6.3.1.– Come già evidenziato, la normativa regionale contestata dal ricorrente è espressamente estesa anche alle installazioni soggette ad AIA, sia di competenza statale sia di pertinenza regionale, secondo la ripartizione prevista dall’art. 7, commi 4-bis e 4-ter, cod. ambiente.

L’art. 1, comma 2, lettere a) e b), nel concorrere a definire l’ambito di applicazione della legge regionale sottoposta allo scrutinio di questa Corte, fa, infatti, indifferente riferimento agli Allegati VIII (che individua le installazioni soggette ad AIA) e XII (che tra quelle descritte all’interno del citato Allegato VIII, seleziona le installazioni di competenza statale) alla Parte II cod. ambiente.

La relativa disciplina, dunque, finisce per sovrapporsi a quella dettata dal cod. ambiente, in un ambito certamente ascritto alla materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, pertanto, riservato alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Riserva, questa, che nella materia in esame diviene ancora più rigorosa laddove le installazioni interessate siano assoggettate ad AIA di competenza statale (sentenza n. 141 del 2014), rispetto alle quali non sono operativi gli spazi di azione riconosciuti alle Regioni dallo stesso cod. ambiente, delimitati nei termini definiti dall’art. 7, comma 7, del citato codice.

6.3.2.– La difesa della Regione resistente, nel contrastare l’addotto difetto di competenza, per un verso evoca il tenore dell’art. 272-bis cod. ambiente, per altro verso evidenzia che le norme impugnate si legano comunque a titoli di competenza legislativa regionale concorrente (quali il governo del territorio e la tutela della salute) ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. tali da legittimare interventi normativi che siano in grado di elevare il livello di tutela ambientale garantito dalla disciplina statale di riferimento.

6.3.3.– Va tuttavia rimarcato che l’art. 272-bis risulta posto all’interno del Titolo I della Parte V cod. ambiente, facendo peraltro esplicito riferimento (comma 1), nel perimetrare il relativo ambito di applicazione, agli stabilimenti soggetti al detto Titolo (art. 267, comma 1). Stabilimenti, questi, rispetto ai quali, per espressa indicazione del comma 3 dell’art. 267 cod. ambiente, resta estranea la disciplina dettata dal Titolo I: laddove ricompresi tra le installazioni soggette ad AIA, tali stabilimenti sono infatti soggetti unicamente alla disciplina prevista dal Titolo III-bis della Parte II del medesimo codice.

L’autorizzazione ex art. 269 cod. ambiente, al cui ambito va ricondotta quella regolamentata dalla normativa regionale impugnata, risulta assorbita in quella unitariamente resa ai sensi dell’art. 29-sexies dello stesso codice; titolo il quale, a sua volta, come previsto dal comma 3 dell’articolo citato da ultimo, dovrà anche includere i valori limite di emissione fissati per le sostanze inquinanti rilasciate nell’atmosfera.

Se dunque, come non sembra in discussione, l’art. 272-bis cod. ambiente permette al legislatore regionale di incrementare, nell’ambito delle sue competenze, lo standard di tutela ambientale, per altro verso l’art. 1, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, estendendone l’applicabilità anche alle installazioni soggette ad AIA, si pone in immediato e insanabile contrasto con la scelta del legislatore statale, espressa dall’art. 267, comma 3, del medesimo codice, in forza della quale la disciplina dettata in materia di riduzione delle emissioni in atmosfera (all’interno della quale risulta ricondotta quella afferente le emissioni odorigene prevista dal citato art. 272 -bis) non deve trovare applicazione per le installazione soggette ad AIA, sottoposte unicamente alle previsioni contenute nel Titolo III-bis della Parte II cod. ambiente.

Tale deviazione dallo specifico perimetro d’azione consentito, con l’art. 272-bis cod. ambiente, alla competenza normativa regionale concreta l’addotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

6.3.4.– Né vale evidenziare, in senso contrario, che la disciplina regionale impugnata trova fondamento in titoli di competenza legislativa concorrente e che la lesione prospettata nel ricorso deve escludersi perché la legge regionale in contestazione realizza gli standard di tutela garantiti dalla normativa statale di riferimento.

Vero è che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’ambiente viene «"a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata» pur sempre «nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente» (sentenze n. 198 e n. 66 del 2018, n. 199 del 2014; nello stesso senso, inoltre, sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007); tuttavia la valutazione intorno alla «previsione di standard ambientali più elevati non può essere realizzata nei termini di un mero automatismo o di una semplice sommatoria – quasi che fosse possibile frazionare la tutela ambientale dagli altri interessi costituzionalmente rilevanti – ma deve essere valutata alla luce della ratio sottesa all’intervento normativo e dell’assetto di interessi che lo Stato ha ritenuto di delineare nell’esercizio della sua competenza esclusiva». (sentenza n. 147 del 2019)

In relazione al campo di azione garantito alle Regioni in materia di «emissioni odorigene», il dato normativo di riferimento, che definisce anche i confini di legittimità del relativo intervento, è offerto dall’art. 272-bis cod. ambiente: lo spazio di intervento consentito alle Regioni, in coerenza, va ristretto all’interno del perimetro di operatività tracciato dalla norma statale, con conseguente applicazione delle relative regole di esclusione, prima tra tutte quella tracciata dall’art. 267, comma 3, del medesimo codice.

Se dunque la competenza esclusiva prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non esclude aprioristicamente interventi regionali, anche legislativi, destinati ad integrare il dato normativo nazionale, soprattutto quando assentiti da quest’ultimo, è tuttavia necessario che ciò avvenga in termini di piena compatibilità con l’assetto normativo individuato dalla legge statale, non potendo tali interventi alterarne il punto di equilibrio conseguito ai fini di tutela ambientale (sentenza n.147 del 2019).

6.4.– La fondatezza della questione prospettata in riferimento all’art. 1, comma 2, lettere a) e b), e l’ablazione che ne consegue, assorbono la disamina degli ulteriori profili di illegittimità costituzionale addotti dalla ricorrente con riferimento al primo gruppo di questioni, compreso anche quello relativo all’art. 3 Cost.

7.– Il Presidente del Consiglio dei ministri denunzia, ancora, l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9, nonché dell’Allegato tecnico della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 7-bis, comma 8, 19, 22 e 23 cod. ambiente.

7.1.– Ad avviso del ricorrente, tramite le citate disposizioni vengono introdotte, in una materia di esclusiva competenza legislativa statale, ulteriori contenuti ai fini della presentazione delle istanze per la VIA nonché per la verifica di assoggettabilità a VIA, diversi da quelli prescritti dalle citate norme statali.

In particolare, secondo il ricorrente, i contenuti richiesti dall’art. 3, commi 1 e 2, della legge regionale impugnata, ai fini del controllo delle emissioni delle sostanze odorigene, non sono previsti dall’art. 19 cod. ambiente e dall’Allegato IV-bis alla Parte II del medesimo codice per lo studio preliminare ambientale redatto dal proponente; né, ancora, coincidono con quelli sanciti dal successivo art. 22, in uno all’Allegato VII alla Parte II del detto codice, avuto riguardo allo studio di impatto ambientale predisposto sempre dal proponente.

In questa ottica le citate disposizioni regionali esonderebbero dagli argini della competenza normativa, riconosciuta alle Regioni ed alle Province autonome, nei limiti di quanto previsto dall’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente. Di qui, sempre secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’illegittimità della norma regionale impugnata, che non sarebbe riconducibile ad alcuna delle finalità in vista delle quali il legislatore statale ha riconosciuto un margine di intervento alle Regioni nella materia qui considerata.

7.2.– La difesa della resistente, anche con riferimento a tale gruppo di censure, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per la genericità delle argomentazioni addotte.

7.2.1.– L’eccezione non è fondata.

Infatti, nel ricorso viene dato puntuale risalto all’art. 1, comma 2, lettere c) e d), della legge regionale impugnata (che dettano l’estensione della relativa disciplina regionale ai progetti soggetti a verifica di assoggettabilità a VAS e a VAS), cui viene giustapposto, con altrettanto adeguata argomentazione, il riferimento ai commi 1 e 2 dell’art. 3 della stessa legge (che descrivono il contenuto degli oneri di documentazione e allegazione posti a carico del proponente e dispongono altresì l’onere di autocertificazione gravante su quest’ultimo in caso di insussistenza di sorgenti). Disposizioni queste cui viene contrapposto in primo luogo il limite fissato dall’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente, quanto agli spazi di intervento normativo riconosciuti alle Regioni in materia di VIA, nonché altre norme del medesimo codice dedicate a questo tema, al fine di sottolineare al meglio le ragioni di conflitto con la disciplina sostanziale poste a fondamento dell’addotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost..

In questa ottica, finisce per non assumere rilievo il silenzio serbato dal ricorso quanto alle altre disposizioni della legge regionale in esame, diverse da quelle contenute nel citato art. 3, che pure risultano fatte oggetto, quantomeno sul piano della mera indicazione nominale, delle censure esposte in riferimento al gruppo di questioni in oggetto. E ciò sia perché l’accoglimento della questione riferita all’art. 1, comma 2, lettere c) e d), avrebbe comunque un valore assorbente, al pari di quanto già evidenziato in relazione alle medesime disposizioni scrutinate sotto il versante del rispetto delle disposizioni statali in tema di AIA, sia perché l’ablazione dell’art. 3, commi 1 e 2, porterebbe a travolgere in via consequenziale anche le altre disposizioni impugnate, per la omogeneità che ne lega i rispettivi contenuti, tale da deprivare di rilievo l’assenza di argomentazione sul punto.

7.3.– Nel merito, le censure prospettate dal ricorrente non colgono nel segno.

7.3.1.– Questa Corte ha recentemente affermato che la normativa in tema di VIA rappresenta, «anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 93 del 2019 e n. 198 del 2018). La Corte ha altresì precisato che l’art. 7-bis cod. ambiente, evocato dal ricorrente, costituisce uno degli snodi fondamentali della riforma apportata dal decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114); tale disposizione, infatti, rientra tra quelle «che – in attuazione degli obiettivi […] di "semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale” e di "rafforzamento della qualità della procedura di valutazione di impatto ambientale” – determinano un tendenziale allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali, assegnando allo Stato l’apprezzamento dell’impatto sulla tutela dell’ambiente dei progetti reputati più significativi e, così, evitando la polverizzazione e differenziazione delle competenze che caratterizzava il previgente sistema». L’unitarietà e l’allocazione in capo allo Stato delle procedure relative a progetti di maggior impatto ambientale ha risposto, pertanto, «ad una esigenza di razionalizzazione e standardizzazione funzionale all’incremento della qualità della risposta ai diversi interessi coinvolti, con il correlato obiettivo di realizzare un elevato livello di protezione del bene ambientale» (sentenze n. 93 del 2019 e n. 198 del 2018).

Il legislatore statale ha dunque riservato a se stesso, in via esclusiva, la disciplina dei procedimenti di verifica ambientale, definendo le modalità attraverso le quali fissare un equilibrio fra gli interessi e i diversi valori coinvolti. In particolare, come detto, la disciplina della VIA è mossa dalla necessità di affiancare alla tutela ambientale anche la semplificazione, razionalizzazione e velocizzazione dei procedimenti: esigenze che sarebbero frustrate da interventi regionali che, incidendo sul relativo procedimento, finiscano per appesantirne il portato, in aperta contraddizione con le scelte del legislatore statale.

In questa cornice non è casuale, a tale riguardo, che l’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente, pur riconoscendo uno spazio di intervento alle Regioni e Province autonome, ne definisca tuttavia il perimetro d’azione in ambiti specifici e puntualmente precisati. Gli enti regionali, infatti, possono disciplinare, «con proprie leggi o regolamenti l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA», stabilendo «regole particolari ed ulteriori» solo e soltanto «per la semplificazione dei procedimenti, per le modalità della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché per la destinazione […] dei proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie» (sentenza n. 198 del 2018).

Fuori da questi ambiti, sarebbe dunque preclusa alle Regioni, quale che sia la competenza che le adducano, la possibilità di incidere sul dettato normativo che attiene ai procedimenti di verifica ambientale così come definito dal legislatore nazionale.

7.3.2.– Ciò precisato, ad avviso del ricorrente, le disposizioni contenute nell’art. 3, comma 1, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, imponendo al proponente di allegare all’istanza rivolta all’autorità competente la documentazione relativa alla individuazione e alla caratterizzazione delle sorgenti odorigene coinvolte nel progetto in uno alla stima del relativo impatto ambientale, influirebbero, alterandone il portato, sulle procedure di verifica di assoggettabilità a VIA (art. 19 cod. ambiente) o di VIA (artt. 21 e 22 cod. ambiente).

Imporrebbero, infatti, un ulteriore aggravio sia per il proponente che per l’amministrazione, chiamata verificare il contenuto di tali atti integrativi. Analogo giudizio è espresso con riferimento all’autocertificazione, che il proponente/gestore deve rendere in caso di insussistenza di sorgenti odorigene significative.

7.3.3.– Siffatto assunto non è condivisibile.

Le norme censurate, infatti, non incidono sulla struttura del procedimento di verifica; non mettono in gioco il riparto di competenze tra Stato e Regioni; non alterano l’iter procedurale congegnato dalla legge nazionale; non influiscono sulla individuazione dei progetti soggetti a verifica di assoggettabilità a VIA o assoggettati a VIA. In altre parole, non incidono sulla disciplina della VIA sul versante del relativo procedimento. Ne implementano, piuttosto, i contenuti sostanziali con indicazioni che il legislatore nazionale, in forza di quanto espressamente previsto dall’art. 272-bis cod. ambiente, ha specificatamente consentito alla competenza normativa regionale.

Da qui l’inconferenza del riferimento all’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente.

7.3.4.– Del resto, proprio le norme interposte evocate dal ricorrente a sostegno della ritenuta illegittimità costituzionale contengono un richiamo aperto agli oneri che gravano sul proponente quanto al tema dell’impatto ambientale correlato alle possibili emissioni inquinanti legate al progetto da verificare. Richiamo che, quanto al contenuto sostanziale dei conseguenti adempimenti, non può che dipendere dal dato normativo di riferimento, in parte qua legato alla natura delle emissioni da considerare al fine.

In particolare, quanto allo studio preliminare ambientale predisposto dal proponente ex art. 19 cod. ambiente, in forza del quale l’autorità competente procederà alla verifica degli impatti ambientali del progetto ed il cui contenuto risulta determinato dall’Allegato IV-bis alla Parte II, del medesimo codice, la normativa statale prevede espressamente (art. 3 del citato Allegato) l’onere, per il proponente, di provvedere alla descrizione di tutti i probabili effetti rilevanti del progetto sull’ambiente, e tra questi anche quelli inerenti alle emissioni, oggi da aggiornare in relazione ai parametri afferenti quella di matrice odorigena.

Ancora, in tema di VIA, lo studio di impatto ambientale previsto dall’art. 22 cod. ambiente, da allegare alla relativa istanza ex art. 23, comma 1, lettera b), dello stesso codice, deve contenere, ai sensi del comma 3 dell’art. 22, tra le altre informazioni, la descrizione dei probabili effetti significativi del progetto sull’ambiente (lettera b), quella inerente alle misure previste per evitare, prevenire o ridurre e, possibilmente, compensare i probabili impatti ambientali significativi e negativi (lettera c), nonché il progetto di monitoraggio dei potenziali impatti ambientali significativi e negativi derivanti dalla realizzazione e dall’esercizio del progetto (lettera e). Ciò in linea, del resto, con i contenuti del detto studio, ulteriormente definiti dall’Allegato VII alla Parte II cod. ambiente, in forza del quale il proponente deve provvedere, tra l’altro, alla descrizione dei probabili impatti ambientali rilevanti del progetto proposto, dovuti, in particolare all’emissione di inquinanti (punto 5, lettera c); alla descrizione dei metodi di previsione utilizzati per individuare e valutare gli impatti ambientali significativi del progetto (punto 6); alla descrizione delle misure previste per evitare, prevenire, ridurre o, se possibile, compensare gli impatti ambientali significativi e negativi identificati del progetto e, ove pertinenti, delle eventuali disposizioni di monitoraggio (punto 7).

7.3.5.– All’evidenza, dunque, si tratta di incombenze rispetto alle quali si sovrappone il disposto delle norme regionali censurate, ma solo sul piano del contenuto delle relative informazioni da offrire all’autorità competente in ordine alla documentazione che permetta l’individuazione e la caratterizzazione delle sorgenti odorigene significative nonché alla stima dell’impatto delle relative emissioni.

Il tutto senza incidere sulle connotazioni dei rispettivi procedimenti, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa del ricorrente, in parte qua smentita dal tenore letterale dell’art. 3, comma 4, della legge regionale censurata; disposizione, questa, attraverso la quale vengono fatte salve le previsioni normative vigenti inerenti l’istruttoria tecnico amministrativa alla quale dovranno accedere le informazioni afferenti il tema delle potenziali emissioni odorigene.

Di qui la non fondatezza delle questioni in oggetto.

8.– Il ricorrente ha anche impugnato l’art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), in riferimento all’art. 279 cod. ambiente.

8.1.– La disposizione censurata prevede che la «violazione da parte del gestore delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nel provvedimento, anche in esito alle attività di cui al comma 2, determina l’applicabilità del sistema sanzionatorio già previsto dalle norme di settore».

Il ricorrente – dopo aver premesso che la previsione appare sommariamente formulata, in quanto il comma 2 richiamato non prevede attività in senso stretto, se non «dichiarative» – ritiene che la disposizione impugnata, nel riferirsi al «sistema sanzionatorio già previsto dalle norme di settore» abbia inteso richiamarsi alla disciplina statale e dunque all’art. 279 cod. ambiente, che definisce le sanzioni penali e amministrative previste per le violazioni nel campo delle emissioni in atmosfera.

In ragione di tanto, ad avviso del ricorrente, la norma censurata delinea surrettiziamente fattispecie incriminatrici nuove, consistenti nella «violazione da parte del gestore delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nel provvedimento», da punire, per l’appunto, con le sanzioni previste dal citato art. 279 cod. ambiente.

La previsione andrebbe dunque ad incidere sull’«ordinamento penale», materia riservata in via esclusiva al legislatore statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

8.2.– Per quanto il riferimento all’art. 279 cod. ambiente non sia particolarmente dettagliato, il ricorso consente comunque di pervenire ad una puntuale ricostruzione del tenore della censura.

Non emergono, dunque, ragioni ostative alla disamina nel merito della questione; e, del resto, la stessa eccezione sollevata in parte qua dalla difesa della Regione non è stata in alcun modo argomentata.

8.3.– Nel merito, la questione non è fondata nei termini precisati di seguito.

8.3.1.– Seguendo il medesimo circuito interpretativo tracciato dal ricorso, occorre muovere dalla considerazione di fondo che informa la prospettazione del ricorrente, in forza della quale le emissioni odorigene si inquadrano all’interno dei fenomeni di inquinamento atmosferico di cui alla Parte V cod. ambiente, come del resto oggi confermato dalla specifica collocazione dell’art. 272-bis.

Di qui la correlazione alla disciplina sanzionatoria prevista da tale cornice normativa, identificata dal ricorrente nel disposto dell’art. 279 cod. ambiente.

8.3.2.– Tale articolo, composto da più commi, descrive un complesso quadro sanzionatorio: prende in considerazione condotte diverse e prevede sia illeciti amministrativi, sia reati contravvenzionali.

Il ricorso, come anticipato, reca un riferimento all’art. 279 cod. ambiente non altrimenti dettagliato: a tale apparente indeterminatezza può tuttavia ovviarsi, per un verso, considerando il tenore della censura, prospettata in ragione della ritenuta violazione della lettera l) del secondo comma dell’art. 117 Cost.; per altro verso, dando rilievo al contenuto della norma censurata, che pone un esplicito riferimento alle sole condotte legate alle violazioni «delle prescrizioni impartite e dei valori limite fissati nei provvedimenti».

8.3.3.– Ciò impone, in linea con la prospettazione del Presidente del Consiglio dei ministri, di restringere il campo del richiamo operato dalla norma censurata alla sola fattispecie prevista dal comma 2 dell’evocato art. 279 cod. ambiente. Disposizione, questa, che, per l’appunto, punisce con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda fino a 10.000 euro chi, nell’esercizio di uno stabilimento, «viola i valori limite di emissione stabiliti dall’autorizzazione, dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271».

8.3.4.– Sempre muovendo dal parametro costituzionale evocato, il campo di indagine (afferente al richiamo che la disposizione censurata opera alla detta norma statale) si riduce ulteriormente alle sole condotte che si sostanziano nella violazione dei valori limite previsti nelle autorizzazioni. L’art. 279, comma 2, cod. ambiente, attualmente, non sanziona più penalmente la violazione delle prescrizioni impartite dal titolo abilitativo reso ai sensi dell’art. 269 dello stesso codice: in forza delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lettera o), numeri 2) e 3), del d.lgs. n. 183 del 2017, infatti, la violazione delle citate prescrizioni non è più sanzionata penalmente, ma dà luogo all’illecito amministrativo previsto dal nuovo comma 2-bis dello stesso art. 279.

La norma censurata, dunque, vista in una prospettiva esclusivamente penale, quale quella imposta dal parametro costituzionale evocato, assegna un rilievo essenziale alla presenza di un atto amministrativo che abbia recepito le relative indicazioni quanto ai valori limite previsti dalla stessa disciplina regionale. Ciò a differenza della disposizione statale cui si richiama implicitamente, secondo l’impostazione sottesa al ricorso. L’art. 279, comma 2, cod. ambiente contiene, infatti, un più ampio riferimento anche alla violazione dei valori limite emergenti «dagli Allegati I, II, III o V alla parte quinta del presente decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all’articolo 271» così da dare rilievo anche a condotte che sembrano prescindere dal contenuto o meglio dalla presenza stessa di un atto amministrativo abilitativo.

8.3.5.– Così ricostruiti sia il perimetro della censura sia, in via interpretativa, il tenore della disposizione censurata, letta attraverso il richiamo alla norma statale evocata a supporto della questione, la doglianza del ricorrente deve ritenersi infondata.

L’impugnazione del ricorrente, infatti, risulta rivolta nei confronti di una norma regionale che, così interpretata, richiama una disposizione statale nella parte in cui questa prevede sanzioni penali per la violazione di dati prescrittivi (i valori limite) definiti da uno specifico provvedimento amministrativo (l’autorizzazione riconducibile all’art. 269 cod. ambiente).

Secondo la giurisprudenza della Corte «la legislazione regionale – pur non potendo costituire fonte diretta e autonoma di norme penali, né nel senso di introdurre nuove incriminazioni, né in quello di rendere lecita un’attività penalmente sanzionata dall’ordinamento nazionale (a quest’ultimo riguardo, ex plurimis, sentenze n. 185 del 2004, n. 504, n. 213 e n. 14 del 1991) – può, tuttavia, "concorrere a precisare, secundum legem, i presupposti di applicazione di norme penali statali”; […] ciò, particolarmente, quando la legge statale "subordini effetti incriminatori o decriminalizzanti ad atti amministrativi (o legislativi) regionali” (il riferimento è, in particolare, alle cosiddette norme penali in bianco: sentenze n. 63 del 2012 e n. 487 del 1989)» (da ultimo, sentenza n. 46 del 2014).

Se dunque «resta preclusa al legislatore regionale una specifica ed autonoma determinazione delle fattispecie cui sono collegate le pene previste dalla legislazione statale (sentenza n. 387 del 2008; cfr. pure le sentenze n. 210 del 1972 e n. 104 del 1957)», per altro verso questa Corte ha ritenuto legittime norme regionali che si limitano «ad operare un mero rinvio a norme penali di matrice statale» (sentenza n. 295 del 2009).

Da qui l’infondatezza della censura rivolta alla norma oggetto di scrutinio, interpretata in termini coerenti al contenuto del ricorso.

9.– Il ricorrente ha infine addotto l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 per violazione dell’art. 123 Cost., in relazione all’art. 44, commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia 12 maggio 2004, n. 7 (Statuto della Regione Puglia), nonché dell’art. 117, sesto comma, Cost. in relazione agli artt. 7, comma 7, e 7-bis, comma 8, cod. ambiente.

9.1.– La disposizione censurata prevede, al comma 1, che «[l]a Giunta regionale con propria deliberazione provvede all’aggiornamento dell’allegato annesso alle presenti disposizioni». Il successivo comma 2 dispone che la Giunta regionale «definisce nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, disposizioni volte alla minimizzazione dell’impatto olfattivo per particolari categorie di attività».

9.2.– Ad avviso del ricorrente, la norma regionale impugnata reca, all’evidenza, una ipotesi di delegificazione che, tuttavia, contrasta, sotto molteplici profili, con la disciplina contenuta nello statuto reg. Puglia; sotto altri profili, con alcune disposizioni del cod. ambiente in tema di AIA e di VIA.

9.2.1.– Sotto il primo versante, il ricorrente, dopo avere premesso che le norme degli statuti regionali condizionano la validità delle norme prodotte da una legge della medesima Regione, le quali non possono discostarsene, pena la violazione dell’art. 123 Cost., evidenzia che, in base all’art. 44, comma 1, secondo periodo, dello statuto reg. Puglia, la «legge regionale indica le norme da delegificare e i principi che la Giunta regionale deve osservare nei regolamenti di delegificazione. Le materie oggetto di legislazione concorrente non possono essere delegificate».

La disposizione censurata si discosta, secondo il ricorrente, dalle sopra citate previsioni statutarie perché: a) affida la modifica dell’Allegato alla legge reg. Puglia n. 32 del 2018 a una deliberazione di Giunta, laddove lo statuto esige un regolamento, peraltro da approvare nel rispetto di specifiche prescrizioni procedurali (art. 44, comma 2, dello statuto reg. Puglia); b) risulta del tutto carente sotto il profilo della indicazione dei principi che dovrebbero guidare la Giunta nell’attività di delegificazione, non potendosi al riguardo considerare sufficiente la generica disciplina posta dal sopra richiamato art. 6, comma 2, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018; c) utilizza lo strumento della delegificazione in violazione del divieto statutario per le materie di legislazione concorrente, strumento che, ancora più radicalmente, deve ritenersi precluso per quelle di legislazione esclusiva statale, nelle quali le Regioni operano nello spazio lasciato dallo stesso legislatore statale.

9.2.2.– Sotto altro profilo, ad avviso del ricorrente la fattispecie di delegificazione introdotta dalla normativa regionale in esame contrasta altresì con l’art. 117, sesto comma, Cost. nella misura in cui è diretta a delegificare previsioni espressamente destinate ad applicarsi ai procedimenti di AIA e VIA di competenza sia statale, sia regionale.

Muovendo dal dato certo in forza del quale la disciplina contenuta nell’Allegato di cui si discute ricade certamente nella materia esclusiva statale della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ex art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., deve altresì evidenziarsi, secondo il ricorrente, che, in forza dell’evocato parametro costituzionale, nelle materie di legislazione statale esclusiva le Regioni possono esercitare potestà regolamentare solo sulla base di una delega dello Stato.

Con riguardo alla disciplina relativa all’AIA, tale delega scaturisce dall’art. 7, comma 7, cod. ambiente che, tuttavia, si riferisce esclusivamente ai titoli di competenza legislativa regionale. In riferimento, poi, alla VIA, l’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente riconosce uno spazio d’intervento alle leggi e ai regolamenti regionali esclusivamente in riferimento alle procedure di propria competenza e per profili strettamente delimitati.

Di qui le ragioni di illegittimità costituzionale prospettate.

9.3.– La Regione ritiene infondate le censure rivolte all’art. 6 della legge regionale in esame.

Ad avviso della resistente, con particolare riguardo alle censure prospettate in riferimento all’art. 123 Cost., la disposizione impugnata non darebbe luogo ad alcuna delegificazione; prevede, piuttosto, l’aggiornamento di un contenuto meramente tecnico, quale quello descritto nell’Allegato, così da riportare l’atto in questione all’interno delle competenze espressamente proprie della Giunta Regionale.

Non rileva, inoltre, il mancato riferimento all’adozione di un regolamento, perché si prevede comunque la forma tipica dei provvedimenti normativi generali propria delle deliberazioni della Giunta, senza peraltro escludere aprioristicamente l’acquisizione del parere della commissione consiliare competente in materia, non incompatibile con i primi.

9.4.– La questione prospettata in riferimento all’art. 123 Cost. merita l’accoglimento.

9.4.1.– In primo luogo va smentita la tesi difensiva della Regione resistente in forza della quale nel caso non ci si troverebbe innanzi a una delegificazione.

La Regione Puglia, inglobando l’Allegato tecnico all’interno della disciplina legislativa ora posta allo scrutinio della Corte, ha dato forza di legge alle relative disposizioni. Ciò, peraltro, in linea con il dato normativo previgente, giacché anche la legge regionale n. 7 del 1999, che già regolava la materia delle emissioni odorigene nel territorio pugliese, annetteva, quale parte del relativo provvedimento legislativo, l’Allegato tecnico contenente le disposizioni attraverso le quali pervenire, in particolare, alla definizione dei valori soglia destinati ad informare l’azione amministrativa in materia.

Vero è che la stessa legge, all’art. 1, comma 2, demandava alla Giunta regionale la possibilità di modificare i contenuti del detto Allegato, senza che lo Stato avesse mai sollevato contestazione alcuna. Ma tale circostanza, come già evidenziato, è notoriamente ininfluente sull’attuale possibilità dello Stato di agire per rilevare, ora, i vizi della nuova disposizione legislativa che reitera violazioni già presenti in fonti legislative regionali previgenti e mai impugnate.

Certa dunque la forza di legge ascritta all’Allegato, la previsione in forza della quale se ne consente l’aggiornamento non può avere altro significato che quello dell’attribuzione alla Giunta regionale della potestà di innovare il dato legislativo, dando sostanza alla funzione tipicamente propria dei fenomeni di delegificazione.

9.4.2.– Ciò posto, va rimarcato che lo statuto reg. Puglia, nel definire i tratti della potestà regolamentare della Giunta regionale (art. 44, commi 1, primo periodo, e 2), ha altresì dettato il procedimento da seguire in caso di delegificazione, disponendo a tal fine che la stessa debba essere prevista da una legge, la quale individui le norme da delegificare e contenga i principi che la Giunta regionale deve osservare nei regolamenti di delegificazione (art. 44, comma 1, secondo periodo); e ciò sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri), così da evitare che tale ultima attività venga effettuata in bianco, lasciando di fatto l’intera disciplina di riferimento integralmente nelle mani della fonte secondaria.

9.4.3.– Lo statuto impone dunque, per una delegificazione conforme al suo dettato, la forma del regolamento, sottoposto al parere preventivo delle commissioni consiliari permanenti competenti per materia (implicitamente favorevole se non reso entro trenta giorni), così permettendo, per un verso il coinvolgimento dell’organo rappresentativo nell’attività di delegificazione, per altro verso, in ragione di quanto previsto dall’art. 53 dello stesso statuto, di sottoporre l’atto di delegificazione alla pubblicazione nel Bollettino Ufficiale della Regione, prevista per le leggi e per i regolamenti e non per gli atti privi della forma regolamentare.

9.4.4.– Ciò precisato, le disposizioni censurate contenute nell’impugnato art. 6 si pongono in contrasto con lo statuto, dando corpo all’addotta violazione dell’art. 123 Cost.

Le disposizioni censurate, infatti, demandano alla Giunta il compito di aggiornare l’Allegato tecnico, rendendo dunque possibili modifiche allo stesso senza precisare le forme che dovrà assumere l’attività di delegificazione e dunque legittimando strumenti diversi da quello regolamentare.

Difettano, inoltre, della imprescindibile indicazione dei principi di massima chiamati a delimitare l’operato della Giunta nel procedere alla delegificazione, dovendosi escludere che gli stessi possano ricavarsi dalle indicazioni offerte dal comma 2 dell’impugnato art. 6: disposizione, questa, il cui contenuto, tanto criptico quanto generico, non consente di superare la doglianza del ricorrente in parte qua.

È appena il caso di ricordare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, tracciato con continuità precedentemente e successivamente alla riforma del Titolo V della Parte seconda Cost., lo statuto, nell’ordinamento regionale, costituisce fonte sovraordinata rispetto alla legge regionale. Quest’ultima, dunque, se si pone in contrasto con la fonte statutaria interposta, viola l’art. 123 Cost. (sentenze n. 119 del 2006; n. 993 del 1988 e n. 48 del 1983).

Di qui l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018 per violazione dell’art. 123 Cost.

9.5.– La fondatezza della questione sotto questo profilo, portando a una integrale ablazione della norma in questione, assorbe lo scrutinio sia dell’ulteriore censura prospettata dal Governo, sempre in riferimento alla ritenuta violazione dell’art. 123 Cost. (in relazione all’implicito limite statutario della potestà regolamentare regionale riferito alle materie di competenza esclusiva dello Stato), sia della questione prospettata in relazione all’art. 117, sesto comma, Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, lettere a) e b), della legge della Regione Puglia 16 luglio 2018, n. 32 (Disciplina in materia di emissioni odorigene);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge reg. Puglia n. 32 del 2018;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, lettere c) e d), 3, 4, 5, 6, 7 e 9 e dell’Allegato tecnico della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e in relazione agli artt. 7-bis, comma 8, 19, 22 e 23 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 5, della legge reg. Puglia n. 32 del 2018, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e in relazione all’art. 279 del d.lgs. n. 152 del 2006, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2019.