Sentenza n. 104 del 2017

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SENTENZA N. 104

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio                        LATTANZI                                       Presidente

- Aldo                            CAROSI                                             Giudice

- Marta                           CARTABIA                                              

- Mario Rosario             MORELLI                                                 

- Giancarlo                    CORAGGIO                                              

- Giuliano                      AMATO                                                    

- Silvana                        SCIARRA                                                 

- Daria                           de PRETIS                                                

- Nicolò                         ZANON                                                    

- Franco                         MODUGNO                                              

- Augusto Antonio         BARBERA                                                

- Giulio                          PROSPERETTI                                         

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli «articoli 5, comma 1, lett. c e 4 lett. f)» [recte: dell’art. 5, commi 1, lettera b), e 4, lettera f)], della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), e degli artt. 8 e 10 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal comma 1, lettere b) e c), secondo i principi normativi e i criteri direttivi stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5», promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, nel procedimento vertente tra l’Università degli Studi di Macerata e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ed altri, con ordinanza dell’11 dicembre 2015, iscritta al n. 85 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti l’atto di costituzione dell’Università degli Studi di Macerata nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l’avvocato Francesco de Leonardis per l’Università degli Studi di Macerata e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza dell’11 dicembre 2015 (r.o. n. 85 del 2016), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-bis, solleva questioni di legittimità costituzionale «degli articoli 5, comma 1, lett. c e 4 lett. f)» [recte: dell’art. 5, commi 1, lettera b), e 4, lettera f)], della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), in riferimento all’art. 76 della Costituzione; nonché degli artt. 8 e 10 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal comma 1, lettere b) e c), secondo i principi normativi e i criteri direttivi stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5», in riferimento agli artt. 33, 34, 76 e 97 Cost.

1.1.– Il TAR rimettente espone di essere stato adito dall’Università degli Studi di Macerata con due ricorsi, per l’annullamento del decreto 9 dicembre 2014, n. 893 (Determinazione del costo standard unitario di formazione per studenti in corso, ai sensi dell’art. 8 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49), emanato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze; del decreto 4 novembre 2014, n. 815 (Decreto criteri di Ripartizione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle Università per l’anno 2014), emanato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca; di una nota tecnica recante «Costo standard unitario di formazione per studente in corso (Decreto Ministeriale n. 893 del 09 dicembre 2014)».

Si tratta degli atti che per la prima volta, nell’anno 2014, hanno applicato il nuovo sistema di ripartizione del Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO), ispirato al criterio del costo standard per studente in corso. L’Università degli Studi di Macerata sostiene che il sistema è illegittimo e produrrà effetti gravemente pregiudizievoli per la ricorrente. Il TAR riferisce che la ricorrente reputa che tale sistema sarebbe viziato per l’illegittimità costituzionale delle norme di legge che l’hanno introdotto: la legge n. 240 del 2010 aveva delegato il Governo a delineare, con decreto legislativo, i tratti essenziali del nuovo sistema; ma il d.lgs. n. 49 del 2012 non ha affatto chiarito gli elementi qualificanti del sistema, dato che manca del tutto la specificazione della percentuale del FFO da attribuire in base al nuovo criterio e le modalità di quantificazione del costo standard; invece, la definizione di tali elementi è stata demandata ad atti amministrativi, in violazione dell’art. 76 Cost. e della riserva di legge relativa in materia di ordinamento universitario.

Secondo la ricorrente, «[i] decreti ministeriali impugnati con il ricorso hanno, conseguentemente, definito il sistema di finanziamento in modo illegittimo, in primo luogo, per illegittimità costituzionale delle disposizioni da cui derivano e quindi per vizi propri sia procedurali che sostanziali».

1.2.– Così descritto l’oggetto del giudizio rimesso alla sua cognizione, il TAR ritiene rilevanti le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla ricorrente, poiché gli atti dei quali si chiede l’annullamento costituiscono applicazione diretta delle disposizioni del d.lgs. n. 49 del 2012, di cui si assume l’illegittimità per violazione della legge di delega e dell’art. 76 Cost.

1.3.– Le questioni sarebbero altresì non manifestamente infondate.

1.3.1.– La legge n. 240 del 2010 delega il Governo a emanare decreti legislativi finalizzati a riformare il sistema universitario sotto vari profili, incluso il sistema di finanziamento, nell’ambito, tra l’altro, dei seguenti principi e criteri direttivi: «introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università, cui collegare l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di fondo di finanziamento ordinario non assegnata ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1; individuazione degli indici da utilizzare per la quantificazione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, sentita l’ANVUR» (così l’art. 5, comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010; l’alinea del comma 4 si richiama al precedente comma 1, lettera b), dello stesso art. 5).

In tal modo, tuttavia, sarebbe definito solo l’ambito oggettivo della delega (introduzione del costo standard, definizione di indici e percentuali), non i principi e criteri direttivi pure richiesti dall’art. 76 Cost.

1.3.2.– In via subordinata, per il caso che la prima questione sia dichiarata infondata, il TAR ne prospetta un’altra, basata sullo stesso parametro costituzionale, ma attinente alle disposizioni del decreto legislativo emanate per l’attuazione della delega predetta.

A tal fine il d.lgs. n. 49 del 2012 avrebbe dovuto definire direttamente gli indici e gli indicatori per la quantificazione del costo standard, nonché la percentuale del FFO da «parametrare» a questo criterio. A ciò, il decreto legislativo ha dedicato gli artt. 8 e 10.

La prima disposizione, dopo avere definito il costo standard, ha previsto che esso sia determinato «tenuto conto della tipologia di corso di studi, delle dimensioni dell’ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università». In aggiunta, dando seguito al parere critico di una commissione parlamentare, l’art. 8 elenca le voci di costo da considerare per la determinazione del costo standard: «a) attività didattiche e di ricerca, in termini di dotazione di personale docente e ricercatore destinato alla formazione dello studente; b) servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico amministrativo, finalizzati ad assicurare adeguati servizi di supporto alla formazione dello studente; c) dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari; d) ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari».

Queste sarebbero però voci di costo, non indicatori: stabiliscono «cosa misurare», non «come misurare». L’ultima voce, poi, risulterebbe oltremodo generica, essendo costruita come puro e semplice contenitore residuale.

Per contro, «la scelta fondamentale di "come” costruire il costo standard (e quindi in definitiva di come distribuire le risorse alle Università)» sarebbe rimessa ad atti amministrativi, neppure regolamentari, come il citato decreto ministeriale n. 893 del 2014, il quale avrebbe disciplinato in modo integrale e specifico la modalità di distribuzione delle risorse. «Si è dunque prodotto non solo un abbassamento del livello della fonte normativa, ma una delegificazione non prevista da alcuna norma di rango primario in un ambito che investe, sia pure attraverso l’enunciazione di algoritmi e formule matematiche, scelte altamente politiche in termini di sviluppo del sistema universitario e di redistribuzione delle risorse economiche al suo interno».

L’art. 10 demanda a un decreto ministeriale anche la determinazione delle percentuali del FFO da ripartire in base al costo standard, senza nemmeno fissare «una forbice o un "range” di riferimento»: ciò pure comporta una scelta «altamente politica», da cui dipende il maggiore o minore impatto del criterio nei confronti delle università.

1.3.3.– Sulle stesse disposizioni del d.lgs. n. 49 del 2012 il TAR solleva un’ulteriore questione, in riferimento agli artt. 33, 34 e 97 Cost. e alle riserve di legge ivi previste.

In particolare, la riserva prevista dalle prime due disposizioni costituzionali coprirebbe tutti i profili organizzativi e funzionali del sistema di istruzione, ivi compreso il finanziamento; sicché la materia avrebbe dovuto essere disciplinata non da decreti ministeriali, ma da leggi o atti aventi forza di legge. È citata al riguardo, la sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 1998, la quale ha bensì ammesso atti normativi secondari del Governo integrativi della legge, ma al contempo ha negato che al legislatore sia consentito «istituire un potere ministeriale, svincolato da adeguati criteri di esercizio».

Nel caso in esame, invece, il decreto legislativo non ha svolto la necessaria opera di delimitazione dei poteri dell’amministrazione e quest’ultima, con i decreti impugnati, «ha effettuato scelte svincolate da criteri di esercizio "forti” e di natura sostanziale».

2.– Con atto depositato il 24 maggio 2016, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o infondate.

2.1.– Con riguardo alla prima questione, il Presidente del Consiglio dei ministri, richiamato il testo dell’art. 5, comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010, sostiene che il legislatore ha demandato al decreto legislativo l’introduzione del criterio del costo standard e la determinazione non di tale criterio per intero, ma solo dei parametri («indici per la quantificazione») in base ai quali, con successivi atti, esso sarebbe stato definito.

Secondo la giurisprudenza costituzionale, la determinazione dei principi e criteri direttivi non deve eliminare ogni margine di scelta nell’esercizio del potere delegato, ma solo circoscriverne il campo, affinché si possano valutare le particolari situazioni da disciplinare. L’art. 76 Cost. è soddisfatto qualora la delega non si limiti a enunciazioni troppo generiche o generali, riferibili ad ambiti normativi vastissimi, o a enunciazioni di finalità insufficienti a indirizzare l’attività del legislatore delegato.

Nel caso, la legge n. 240 del 2010, nell’ambito della più ampia finalità di rilanciare la qualità e l’efficienza del sistema universitario, ha dettato precisi obiettivi, tra cui la revisione della disciplina di contabilità degli atenei, di cui all’art. 5, comma 1, lettera b), da realizzare secondo i principi e criteri direttivi enunciati al comma 4, la cui lettera f), a propria volta, prevede l’introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, al quale collegare l’attribuzione alle università della parte del FFO non legata ai risultati di qualità. Tale previsione sarebbe adeguatamente limitativa della discrezionalità del legislatore delegato.

2.2.– Con riguardo all’art. 8 del d.lgs. n. 49 del 2012, la difesa statale osserva come esso, dopo avere puntualmente definito la nozione di costo standard, ne rinvia la determinazione a un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, «previa esatta e puntuale definizione dei criteri cui attenersi»: così facendo, il decreto legislativo si sarebbe adeguato al parere della VII Commissione permanente del Senato (Istruzione pubblica, beni culturali), espresso durante l’iter di adozione del decreto stesso, il quale peraltro aveva criticato non il rinvio al successivo decreto interministeriale, ma solo la mancata indicazione degli indici per la quantificazione del costo standard. In tal modo, sarebbe stata definita «una precisa ed esatta cornice» entro cui i Ministeri avrebbero potuto procedere a definire il predetto criterio.

L’art 10 del d.lgs. n. 49 del 2012 ha poi devoluto a un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare nell’ambito dell’attività di indirizzo e programmazione del sistema universitario, la definizione delle percentuali del FFO da ripartire «in relazione al costo standard per studente, ai risultati della didattica, della ricerca, delle politiche di reclutamento e agli interventi perequativi ai sensi della legge 30 dicembre 2010, n. 240».

In proposito, la difesa statale osserva che l’art. 5 della legge n. 240 del 2010 non include nell’oggetto della delega la precisa individuazione delle percentuali del FFO da ripartire secondo il criterio del costo standard, ma si limita a prevedere che a tale criterio sia ricollegata una percentuale della quota del FFO non assegnata ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180 (Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1. È ragionevole che tale percentuale sia determinata periodicamente dal Ministero competente, tenendo conto anche degli altri indici di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 49 del 2012.

2.3.– In merito alla denunciata violazione degli artt. 33 e 34 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri ricorda che la riserva relativa di legge non vieta al legislatore ordinario di rinviare la disciplina ad altre fonti, ma gli impone di fissare precetti idonei a vincolare e indirizzare la normazione secondaria o, comunque, di individuare le linee essenziali della disciplina. Ciò sarebbe avvenuto nel caso in esame, in cui il legislatore avrebbe puntualmente indicato i criteri alla luce dei quali provvedere, con successivo decreto interministeriale, alla definizione del costo standard per studente in corso.

3.– Con atto depositato il 23 maggio 2016, si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Macerata, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate fondate.

3.1.– L’Università premette che il finanziamento degli atenei pubblici si articola in una quota base e in una premiale, legata alle «performance», di peso inferiore ma comunque significativo, oltre che crescente. Nel 2014, l’Università degli Studi di Macerata ha beneficiato di finanziamenti premiali elevati; ma le sue prospettive sono repentinamente peggiorate, a causa degli atti impugnati dinanzi al TAR rimettente, con i quali è stato introdotto, come criterio di riparto della quota base, il costo standard, destinato a soppiantare la spesa storica. Il nuovo criterio, astrattamente giusto, sarebbe stato attuato in modo contraddittorio, irragionevole e discriminatorio, con grave pregiudizio dell’Università ricorrente, alla quale è stato attribuito il costo per studente più basso in assoluto, con gravi conseguenze potenziali, qualora il nuovo sistema dovesse trovare piena attuazione. Ciò, «lungi dal dipendere da criteri meritocratici, o da una corretta stima dei costi che gli atenei devono sostenere», sarebbe invece «il frutto, più o meno casuale, di un sistema cervellotico e assurdamente congegnato dalla burocrazia ministeriale, nel completo silenzio del legislatore».

Le irragionevolezze e contraddizioni di tale sistema sono state denunciate nel ricorso al TAR rimettente, ma molte di esse risalgono «ad un vizio di origine», costituito dalla «assoluta incertezza e ambiguità concettuale del modello di "costo standard” concepito dall’amministrazione». In astratto, il costo standard potrebbe essere inteso in due modi: come costo medio sostenuto dalle università italiane per formare uno studente; oppure come costo medio che una determinata università sostiene per formare un proprio studente. Il legislatore non ha affatto chiarito il concetto di costo standard, mentre l’amministrazione ha «combinato in modo promiscuo e complessivamente contraddittorio i due modelli». Ne sarebbe venuto fuori «un pasticcio, in virtù del quale le Università ricevono un finanziamento che non è commisurato né ai propri costi standard, né al costo medio standard di tutti gli atenei italiani, bensì ad una miscela del tutto incomprensibile dell’uno e dell’altro elemento».

Al di là di tali irragionevolezze e contraddizioni, esemplificate dall’Università degli Studi di Macerata con alcuni dati che la riguardano, la difesa dell’ateneo evidenzia che «una così profonda rivoluzione del sistema di finanziamento pubblico delle Università italiane è stata approvata con atti amministrativi, sulla base di atti legislativi adottati in violazione degli articoli 76, 33, 34 e 97 della Costituzione»: il Parlamento ha approvato una delega «a maglie larghissime», priva di criteri direttivi sull’individuazione del costo standard; il decreto legislativo attuativo ha demandato interamente al livello amministrativo la definizione degli elementi qualificanti del nuovo sistema di finanziamento.

3.2.– L’Università, dopo avere riassunto il contenuto delle norme in questione e i dubbi di legittimità costituzionale del TAR rimettente, condivide le valutazioni di quest’ultimo in punto di rilevanza, giacché gli atti impugnati sono stati adottati in applicazione delle norme predette.

3.3.– Oltre che rilevanti, tutte le questioni sarebbero fondate.

3.3.1.– La delega legislativa, riconducibile all’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010, si limiterebbe a definire l’oggetto del decreto delegato, ma non fisserebbe principi e criteri direttivi, volti a indirizzare il Governo nella disciplina della quantificazione del costo standard e nell’identificazione delle percentuali di finanziamento da distribuire in base a tale criterio, o quantomeno utilizzerebbe al riguardo solo formule generali, ampie e, in definitiva, ambigue.

3.3.2.– «Ancor più fondata» sarebbe la seconda questione di legittimità costituzionale: il potere discrezionale, eccessivamente ampio, attribuito dal Parlamento al Governo avrebbe dovuto essere esercitato con un atto di rango legislativo, che stabilisse sia gli indici e gli indicatori per la quantificazione del costo standard, sia la percentuale del FFO da agganciare a questo criterio. «In altri termini, l’adozione delle scelte politico-istituzionali fondamentali non poteva essere ulteriormente rinviata a fonti secondarie, dovendo trovare compiuta estrinsecazione a livello primario. La sub-delega a fonti secondarie, infatti, non può essere ammessa, ogni qual volta la delega imponga al legislatore delegato di definire con fonte primaria una determinata materia (o parte di essa)».

In primo luogo, per quanto riguarda gli indici di quantificazione del costo standard, lo schema di decreto legislativo inizialmente approvato dal Consiglio dei ministri (nella seduta del 13 gennaio 2012) si limitava addirittura a una mera riproduzione letterale del criterio di delega (corrispondente al vigente art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 49 del 2012) e alla definizione del procedimento per l’emanazione del successivo decreto non regolamentare del Ministro. In occasione dell’esame dello schema, ai fini del parere di competenza della VII Commissione permanente della Camera dei deputati, il Servizio Studi della stessa Camera sottolineò che la mancata individuazione degli indici da parte del decreto delegato poneva un problema di rispetto della delega. Nel testo definitivamente approvato, il Governo ha fatto ricorso «ad un maldestro e posticcio rimedio», inserendo la descrizione delle voci di costo attualmente elencate al comma 2 del citato art. 8. Si sarebbe trattato, però, «di un puro esercizio di stile», che si limita a menzionare ovvie voci di costo, quali il costo per i professori, i segretari, le aule.

Condividendo il rilievo del TAR, secondo cui il decreto delegato avrebbe così individuato solo voci, non indicatori di costo, l’Università soggiunge che la «pochezza dello "spessore” normativo» del decreto stesso sarebbe manifesta, a paragone della densità ben maggiore di altri decreti legislativi in materia di costi standard. In proposito, sono citati il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario) e il decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province).

«Anche a ritenere che il decreto legislativo non dovesse necessariamente contenere formule e algoritmi matematici», come pure avviene di prassi nei corposi allegati tecnici di molti decreti delegati, almeno le scelte di fondo non avrebbero dovuto essere omesse. «Occorre infatti tenere bene a mente che non si discute di tecnicismi, ma di questioni fondamentali per la vita di tutti gli Atenei nazionali, dense di politicità: scegliere un indicatore rispetto ad un altro, significa favorire gli atenei piccoli piuttosto che quelli grandi, quelli con maggiore vocazione umanistica piuttosto che tecnico-scientifica, quelli di recente fondazione piuttosto che quelli tradizionali, ecc.».

In secondo luogo, per quanto riguarda la percentuale di finanziamento da attribuire in base al criterio del costo standard, l’aggiramento della delega sarebbe persino più patente: su tale delicato aspetto, dal quale dipende l’impatto del nuovo criterio sui bilanci delle università, il legislatore delegato si è limitato a ribadire il principio del collegamento tra costo standard e FFO, senza indicare una percentuale, o almeno criteri stringenti per la quantificazione della stessa.

3.3.3.– Fondata sarebbe pure la questione sollevata in riferimento agli artt. 33, 34 e 97 Cost., alla stregua degli argomenti esposti nella sentenza n. 383 del 1998.

Tale sentenza ha abbracciato una interpretazione complessiva degli artt. 33 e 34 Cost. e una lettura unitaria del sistema di istruzione, in tutti i profili funzionali e organizzativi, compresi quelli finanziari. La riserva relativa, che sussiste in questa materia, non esclude l’intervento di fonti secondarie, ma assicura l’intervento del legislatore sulle scelte qualificanti e pretende che a tale compito l’autorità normativa primaria non si sottragga. Invece, il d.lgs. n. 49 del 2012 sarebbe sfuggito a questo compito, omettendo qualsiasi previsione sulla percentuale di risorse da assegnare in base al costo standard, e limitandosi a enunciare criteri generici e insignificanti sulla quantificazione del costo stesso. Quand’anche poi si ritenesse consentito al legislatore di non disciplinare direttamente gli aspetti qualificanti del sistema, ma di demandarli a poteri dell’amministrazione, tali poteri non dovrebbero comunque essere liberi, bensì inseriti in un contesto di scelte normative sostanziali predeterminate, secondo limiti e indirizzi ascrivibili al legislatore: e pure da questo punto di vista il d.lgs. n. 49 del 2012 apparirebbe difettoso, come osservato dal TAR rimettente.

4.– In data 1° marzo 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nella quale insiste per il rigetto delle questioni di legittimità costituzionale.

4.1.– In merito alla questione concernente l’art. 5 della legge n. 240 del 2010, osserva che la delega conferita al Governo può desumersi solo attraverso una lettura d’insieme dell’intero articolo. Il complesso oggetto della delega è definito, in particolare, dal comma 1, lettere a), b), c) e d); mentre, per quanto qui interessa, i principi e i criteri direttivi sono fissati dal successivo comma 4, di cui fa parte la lettera f), specificamente dedicata al costo standard.

Peraltro, prosegue la difesa statale, già l’art. 5, comma 3, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), nell’istituire il FFO, faceva riferimento a una «quota di riequilibrio, da ripartirsi sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, […] relativi a standard dei costi di produzione per studente […] tenuto conto delle dimensioni e condizioni ambientali e strutturali». Il primo modello per la determinazione del costo standard, ai sensi della disposizione citata, risale al 1995 (tra i relativi decreti ministeriali sono citati, a titolo di esempio, il decreto 9 febbraio 1998, n. 107, e il decreto 5 maggio 1999, n. 228). Lo scopo della legge n. 240 del 2010, dunque, non sarebbe stato «quello di delegare il Governo a disciplinare puntualmente, con atto avente valore di legge, uno strumento già da tempo esistente»; ma invece «quello di rendere il principio del costo standard parte di un processo più generale», finalizzato alla revisione della contabilità degli atenei. Il costo standard, siccome criterio più equo ed efficiente, dovrebbe sostituire gradualmente la «cosiddetta "quota o spesa storica”», al fine di correggere gli squilibri nel sistema di finanziamento accumulatisi nel corso degli anni.

L’applicazione del costo standard, peraltro, sarebbe «ancorata a elementi di elevata complessità tecnico-scientifica fra loro molto differenziati che sono conformi, a loro volta, a principi generali e ad istituti dell’ordinamento universitario».

Il Presidente del Consiglio fa riferimento, in proposito, all’art. 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, richiamato altresì dalla legge n. 240 del 2010, all’art. 2, comma 1, lettere b) ed e). Il citato art. 1-ter individua nel documento di programmazione triennale – che deve essere coerente con linee generali di indirizzo definite dal Ministro – il principale strumento con cui gli organi universitari decidono i corsi di studio da attivare e il personale da impegnare in essi, osservando determinati requisiti minimi essenziali, in termini di «risorse strutturali ed umane», il cui rispetto ha comportato la definizione, con decreto ministeriale, di appositi standard di docenza per ciascun corso. A questi requisiti minimi fa riferimento, oltre al d.lgs. n. 49 del 2012, anche il decreto legislativo 27 gennaio 2012, n. 19, recante «Valorizzazione dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività, a norma dell’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240». È all’intero insieme di questa normativa di settore che occorre avere riguardo, anche nell’esaminare la parte della delega riguardante le modalità di calcolo del costo standard.

Infine, la difesa statale osserva che il legislatore delegante ha bensì demandato al Governo l’introduzione del costo standard cui collegare una quota del FFO, ma non gli ha prescritto di determinare tale quota, né ha disposto alcunché sulla fonte con cui procedere a tale determinazione. In mancanza di prescrizioni al riguardo, il rinvio a fonti ministeriali, «nella misura in cui non è vietato o vincolato», sarebbe legittimo e conforme all’art. 76 Cost.

4.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri esamina quindi la questione sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. con riguardo agli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012.

4.2.1.– Il censurato art. 8 avrebbe definito sia il costo standard, sia gli indici di riferimento per calcolarlo, così assicurando all’impianto normativo adeguate garanzie di certezza e stabilità.

La legge delega non avrebbe in alcun modo precluso che «la parte tipicamente tecnica-operativa» della disciplina potesse essere recata da fonti subordinate. Secondo la difesa statale, il decreto ministeriale n. 893 del 9 dicembre 2014 «non ha introdotto principi o istituti nuovi rispetto a quanto delimitato dalla legge delega, né ha operato su un campo lasciato in bianco dalla normativa primaria, ma si è limitato, piuttosto, alla specificazione puntuale delle voci di costo introdotte dal D.Lgs. 49 del 2012 e all’introduzione degli algoritmi necessari per effettuare il calcolo del costo standard unitario». Per la loro specificità tecnica, queste determinazioni sono state lasciate alle amministrazioni in possesso delle competenze e dei dati necessari alla quantificazione con metodo analitico del costo standard: «[s]i tratta di un modus operandi coerente con lo stesso concetto di costo standard, laddove, i possibili criteri di determinazione di tale costo implicano processi di ripartizione di risorse che devono tenere conto di un equilibrio generale [da] un lato e della sostanziale congruità tra le risorse assegnate e gli specifici compiti istituzionali degli atenei dall’altro».

Il Presidente del Consiglio dei ministri procede, quindi, a spiegare il metodo utilizzato per il calcolo del costo standard. Rispetto alle «metodologie generalmente proposte», è stato seguito un approccio misto, in parte «statistico» e in parte «ingegneristico-aziendale», avendo come riferimento sia principi specifici del sistema universitario, come quello dei requisiti minimi, sia la semplicità e neutralità della stima statistica. Le voci di cui all’art. 8, comma 2, lettere a) e b), del d.lgs. n. 49 del 2012 sono state determinate secondo l’approccio ingegneristico, considerando gli indicatori per l’accreditamento dei corsi di studio e, quindi, i già citati requisiti minimi. Queste voci pesano per circa il 75% del costo standard totale e sono determinate separatamente per ciascuna classe di corsi. Le voci di cui alla lettera c), per le quali non si hanno parametri istituzionali di riferimento, «sono stimate con un modello econometrico, sulla base della spesa media complessiva per il funzionamento dell’ateneo nel triennio 2014-2016». Le voci di cui alla lettera d), poi, hanno considerato determinate tipologie di personale, impiegate in ambiti specifici, utilizzando ove possibile indicatori già definiti dall’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca).

Determinazioni siffatte non potevano che essere demandate dalla fonte primaria alle amministrazioni competenti, per ragioni tecniche e anche per l’opportunità di consentirne l’adeguamento all’evoluzione dei sistemi informativi e conoscitivi e degli algoritmi definibili, anche sulla base di analoghe esperienze internazionali. La stessa ANVUR ha segnalato alcuni punti di attenzione per successive modifiche del modello, che può essere rivisto a decorrere dal 2017.

Questa tecnica legislativa, del resto, è diffusa anche in altri settori dell’ordinamento «considerati molto "sensibili” al tema della legislazione delegata»: si fa l’esempio della disciplina penale in materia di stupefacenti, e della giurisprudenza della Corte costituzionale che ha ritenuto compatibile con l’art. 25 Cost. l’integrazione dei precetti penali, già sufficientemente specificati nella legge, da parte di fonti tecniche subordinate (sono citate le sentenze n. 282 del 1990 e n. 26 del 1966), anche previste in decreti legislativi. Ai fini del principio di legalità, di cui è corollario la riserva di legge (assoluta o relativa), ciò che importa, secondo la difesa statale, è che la fonte subordinata si muova entro un ambito puntualmente delimitato e definito dalla legge, «anche in assenza di espresso rinvio alle fonti ministeriali». Se ciò è consentito in materia penale, a maggior ragione dovrebbe esserlo nell’ambito oggi in esame, in cui la fonte subordinata si è limitata allo svolgimento dell’algoritmo per ciascuna delle voci di costo previste nel decreto delegato, senza aggiungere elementi nuovi.

4.2.2.– Analoghe considerazioni varrebbero a proposito dell’art. 10 del d.lgs. n. 49 del 2012. Ribadito che la legge delega non richiedeva al Governo di individuare direttamente la percentuale del FFO da distribuire in base al costo standard, l’art. 10 avrebbe ragionevolmente demandato tale compito al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, per l’intima connessione tra il FFO e la programmazione finanziaria triennale, richiamando al contempo le porzioni dello stesso fondo da distribuire in base ad altri criteri.

La percentuale in esame, prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri, è un dato dinamico, che deve tenere conto, tra l’altro, delle risorse complessivamente disponibili, in base a ciascuna manovra finanziaria, e di fattori di contesto quali, ad esempio, la contrazione del numero degli studenti nelle aree svantaggiate del Mezzogiorno. Per questo, la percentuale non può essere cristallizzata, ma deve essere considerata nell’ambito della programmazione triennale del sistema universitario: come è avvenuto con i decreti ministeriali 15 ottobre 2013, n. 827 (Linee generali di indirizzo della programmazione delle università per il triennio 2013-2015) e n. 815 del 2014, il secondo dei quali ha accentuato la gradualità dell’introduzione del criterio del costo standard. Gli stessi principi governano l’applicazione complessiva di tutto il FFO: l’art. 60, comma 01, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, vieta che la riduzione della quota di FFO spettante a ciascuna università superi il 5 per cento rispetto all’anno precedente; il d.m. n. 815 del 2014 (allegato 2) ha contenuto questo valore (somma di quota base, quota premiale e intervento perequativo) nel 3,5 per cento.

4.3.– Con riguardo alle censure rivolte agli stessi artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012 in riferimento agli artt. 33 e 34 Cost., come interpretati nella sentenza n. 383 del 1998, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che il potere amministrativo si sia mosso esclusivamente nei termini indicati dal legislatore, limitandosi a una mera specificazione di quanto stabilito nelle fonti primarie, senza introdurre nulla che non fosse già ivi richiamato e delimitato.

Inoltre, nell’interpretare l’art. 33, quarto comma, Cost., la giurisprudenza amministrativa e costituzionale ha inteso in senso flessibile la nozione dei limiti che possono essere imposti all’autonomia universitaria, ammettendo che i contenuti sostanziali della legge possano essere integrati e svolti in concreto da fonti secondarie. Nell’esercizio della relativa discrezionalità legislativa, la legge n. 240 del 2010 avrebbe optato per un modello di organizzazione e finanziamento orientato verso un esercizio più efficace e responsabile dell’autonomia universitaria: di questo modello, la revisione della disciplina della contabilità e il principio del costo standard sarebbero parti imprescindibili. Lo stesso Consiglio di Stato (sezione VI, sentenza 17 marzo 2016, n. 1095) avrebbe ammesso che l’autonomia finanziaria delle università può essere disciplinata da regolamenti di delegificazione, che rinvengono pur sempre la loro copertura nella legge che ne autorizza l’emanazione.

Ricordando che la sentenza n. 383 del 1998 aveva riconosciuto come la riserva relativa di legge potesse essere soddisfatta anche da norme comunitarie recanti obblighi per gli Stati in materia di organizzazione universitaria, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che «la determinazione del costo standard unitario di cui all’art. 5, comma 4, lettera f), della l. 240 del 2010 è un principio che si è andato a saldare prima con l’attuazione in Italia [del] "Patto di Stabilità e crescita”, pilastro della governance finanziaria dell’Unione europea e, ancor più importante, con la novella costituzionale dell’art. 81 Cost., tesa a dare attuazione al trattato di Bruxelles del 2012 c.d. "fiscal compact”». Infatti, prosegue la difesa statale, «[i]l Programma Nazionale di Riform[a] 2014, deliberato dal Consiglio dei Ministri l’8 aprile 2014, nell’ambito del Documento di economia e finanza 2014, nel riferirsi alla parte finanziaria, cita espressamente la premialità del FFO e l’approvazione della norma che prevede la ripartizione in 3/5 alla ricerca e 1/5 al reclutamento». Il Consiglio dell’Unione europea, con raccomandazione dell’8 luglio 2014, avrebbe chiesto, tra l’altro, di assegnare i finanziamenti pubblici destinati alle università e agli istituti di ricerca in funzione dei risultati conseguiti nella ricerca e nell’insegnamento, premiando in modo più congruo la qualità. In seguito a ciò, «il Programma Nazionale di Riform[a] 2015, deliberato il 10 aprile 2015 dal Consiglio dei Ministri nell’ambito del Documento di economia e finanza 2015, ha fatto riferimento al costo standard come misura messa in atto al fine di rispondere a quanto richiesto dal Consiglio Europeo», sicché il Consiglio non ha formulato ulteriori raccomandazioni, mentre la Commissione europea, nella «Relazione per paese relativa all’Italia 2015» del 18 marzo 2015 (COM(2015) 85 final), ha riconosciuto il contributo del costo standard.

La paventata illegittimità costituzionale dovrebbe tenere conto degli impegni così assunti dall’Italia in seno all’Unione europea, la cui attuazione sarebbe impedita dal venir meno della normativa sul costo standard. Sul presupposto che le leggi non si dovrebbero dichiarare costituzionalmente illegittime se non quando è impossibile darne interpretazioni conformi a Costituzione (è citata al riguardo la sentenza n. 356 del 1996), la difesa statale conclude osservando che la normativa in esame «è, oltre che formalmente conforme alla Costituzione per i motivi sopra esposti, anche sostanzialmente conforme alla Carta fondamentale, in virtù di una lettura costituzionalmente (e, si direbbe, "comunitariamente”) orientata di tutti i principi coinvolti dalla disciplina complessiva della materia».

5.– L’Università degli Studi di Macerata ha depositato una memoria in data 2 marzo 2017, anticipandola il 1° marzo 2017 tramite invio all’indirizzo di posta elettronica della Segreteria generale della Corte costituzionale, effettuato oltre l’orario di apertura al pubblico della Cancelleria, in cui ribadisce le argomentazioni già espresse nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza dell’11 dicembre 2015 (r.o. n. 85 del 2016), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-bis, solleva questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 1, lettera b), e 4, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), in riferimento all’art. 76 della Costituzione; nonché degli artt. 8 e 10 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal comma 1, lettere b) e c), secondo i principi normativi e i criteri direttivi stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5», in riferimento agli artt. 33, 34, 76 e 97 Cost.

1.1.– L’art. 5 della legge n. 240 del 2010 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema universitario, al fine di conseguire alcuni obiettivi, che includono (comma 1, lettera b) la «revisione della disciplina concernente la contabilità, al fine di garantirne coerenza con la programmazione triennale di ateneo, maggiore trasparenza ed omogeneità, e di consentire l’individuazione della esatta condizione patrimoniale dell’ateneo e dell’andamento complessivo della gestione» (l’ordinanza di rimessione fa riferimento alla lettera c) del comma 1, con evidente lapsus calami).

Il comma 4 dello stesso art. 5 enuncia i principi e i criteri direttivi cui il Governo doveva attenersi nell’esercizio della delega predetta, tra i quali il seguente (di cui alla lettera f): «introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università, cui collegare l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di fondo di finanziamento ordinario non assegnata ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1; individuazione degli indici da utilizzare per la quantificazione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, sentita l’ANVUR» (l’ordinanza di rimessione fa riferimento all’art. 4, lettera f), anziché al comma 4, lettera f), dell’art. 5, con un altro evidente lapsus calami).

Le due disposizioni citate, ad avviso del rimettente, violano l’art. 76 Cost., in quanto definiscono solo l’oggetto della delega – vale a dire, secondo il TAR, l’introduzione del costo standard, la definizione di indici per la quantificazione del costo standard, la definizione della percentuale del Fondo per il finanziamento ordinario per le università (FFO) da attribuire sulla base di tale criterio – ma non i principi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega stessa.

1.2.– In via subordinata, il TAR solleva questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012, ossia delle disposizioni attraverso le quali il Governo ha attuato la delega di cui sopra.

L’art. 8 definisce il costo standard unitario di formazione per studente in corso come il costo di riferimento attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio, determinato in considerazione della tipologia di corso, delle dimensioni dell’ateneo e dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera ciascuna università (comma 1). La determinazione del costo standard è definita attraverso un decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita l’ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca); il decreto deve considerare voci di costo così definite: «a) attività didattiche e di ricerca, in termini di dotazione di personale docente e ricercatore destinato alla formazione dello studente; b) servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico amministrativo, finalizzati ad assicurare adeguati servizi di supporto alla formazione dello studente; c) dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari; d) ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari» (comma 2).

L’art. 10 attribuisce al Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nell’ambito dell’attività di indirizzo e programmazione del sistema universitario, il potere di individuare con proprio decreto le percentuali del FFO da ripartire in relazione al costo standard per studente, oltre che ai risultati della didattica, della ricerca, delle politiche di reclutamento e agli interventi perequativi ai sensi della legge n. 240 del 2010.

Gli artt. 8 e 10, ad avviso del Tribunale rimettente, violano l’art. 76 Cost. (in relazione alle predette disposizioni di delega), perché demandano per intero a decreti ministeriali l’individuazione degli indici in base ai quali determinare il costo standard, nonché delle percentuali del FFO destinate a essere ripartite in base a tale costo standard. Sarebbero altresì disattesi gli artt. 33, 34 e 97 Cost., perché i censurati artt. 8 e 10 istituirebbero poteri ministeriali svincolati da adeguati criteri di indirizzo, così violando le pertinenti riserve relative di legge.

2.– La memoria depositata dall’Università degli Studi di Macerata in prossimità dell’udienza è fuori termine e non può essere considerata. Essa è stata inviata il 1° marzo 2017 all’indirizzo di posta elettronica certificata di un ufficio della Corte diverso dalla Cancelleria, in un orario in cui quest’ultima era già chiusa al pubblico; mentre è stata depositata nella Cancelleria in copia cartacea solo il 2 marzo 2017.

Secondo le Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate con delibera del 7 ottobre 2008, ciascuna parte può depositare nella cancelleria della Corte una memoria illustrativa, «in un numero di copie sufficiente per le parti, fino al ventesimo giorno libero prima dell’udienza» (art. 10, comma 1), curando che le copie siano «scritte in carattere chiaro e leggibile» (art. 6, comma 2). Pertanto, nel termine predetto, può considerarsi rituale solo il deposito di memorie in formato cartaceo, correttamente stampate in un numero sufficiente di copie. Nel caso, tale deposito è avvenuto dopo lo spirare del termine.

3.– La questione sollevata in riferimento all’art. 76 Cost. e avente ad oggetto l’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010 non è fondata.

3.1.– Non v’è dubbio che, ai sensi dell’art. 76 Cost., il legislatore delegante, nel conferire al Governo l’esercizio di una porzione della funzione legislativa, è tenuto a circoscriverne adeguatamente l’ambito, predeterminandone i limiti di oggetto e di contenuto, oltre che di tempo. A questo scopo, secondo gli orientamenti costanti di questa Corte, la legge delega, fondamento e limite del potere legislativo delegato, non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a indirizzare l’attività normativa del legislatore delegato, ma ben può essere abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalità, e un corrispondente spazio, entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attività di "riempimento” normativo, la quale è pur sempre esercizio delegato di una funzione "legislativa” (ex multis, sentenze n. 98 del 2008 e n. 158 del 1985).

I confini del potere legislativo delegato risultano complessivamente dalla determinazione dell’oggetto e dei principi e criteri direttivi, unitariamente considerati. A tal fine il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto, oltre che del dato testuale, di una lettura sistematica delle disposizioni che la prevedono, anche alla luce del contesto normativo nel quale essa si inserisce, nonché della ratio e delle finalità che la ispirano (tra le molte, sentenze n. 250 del 2016, n. 210 del 2015, n. 229 del 2014). Entro questa cornice unitaria – emergente dalla delega interpretata in chiave anche sistematica e teleologica – deve essere inquadrata la discrezionalità del legislatore delegato, il quale è chiamato a sviluppare, e non solo ad eseguire, le previsioni della legge di delega.

Ferma questa esigenza di contenere adeguatamente l’ambito del potere legislativo affidato al Governo nello svolgimento della funzione legislativa delegata, occorre peraltro ribadire che non è possibile specificare in astratto ulteriori canoni rigidamente predeterminati, valevoli per ogni evenienza, che il Parlamento sia tenuto a rispettare all’atto dell’approvazione di una legge di delegazione (sentenze n. 98 del 2008 e n. 340 del 2007).

3.2.– Nel caso odierno, le previsioni censurate sono effettivamente scarne nel delineare lo specifico istituto del costo standard, ma, come rilevato dalla difesa statale, una loro lettura nel complessivo contesto delineato dall’art. 5 e dalle altre disposizioni della legge n. 240 del 2010, nonché dalle finalità di quest’ultima, non consente di ravvisare il vizio di illegittimità costituzionale prospettato dal giudice rimettente.

L’art. 5 contiene una pluralità di previsioni di delega legislativa, ciascuna contraddistinta da profili di complessità. Queste previsioni individuano gli aspetti del sistema universitario da riformare e, per ciascuno di essi, i principi e i criteri direttivi degli interventi di riforma. In questa prospettiva, l’introduzione del costo standard è solo una delle direttive di innovazione che la legge stabilisce in merito alla riforma della finanza universitaria, orientata, tra l’altro, a conseguire obiettivi di trasparenza e di coerenza con la programmazione triennale di ateneo, la quale, a sua volta, abbraccia anche la didattica, ai sensi dell’art. 1-ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 (Disposizioni urgenti per l’università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti), convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, richiamato dalla difesa statale.

L’art. 5, d’altra parte, si inserisce in un disegno di riforma ancora più articolato, tra i cui principi ispiratori – che in parte si riallacciano ad assetti normativi precedenti – figurano la valorizzazione della responsabilità, assieme all’autonomia, delle università; la previsione dei poteri, in capo al Ministero competente, di dettare indirizzi strategici e, tramite l’ANVUR, di verificare e valutare i risultati conseguiti; il collegamento tra la distribuzione delle risorse pubbliche, da un lato, e, dall’altro, il conseguimento degli indirizzi anzidetti e i risultati delle valutazioni eseguite (art. 1, commi 2, 4 e 5). Attraverso numerose disposizioni, anche diverse da quelle su cui si è appuntata l’attenzione del rimettente, la legge n. 240 del 2010 tende a stabilire, o a rafforzare, le correlazioni tra la distribuzione delle risorse finanziarie per le università e l’applicazione di parametri diversi dalla spesa storica, aventi scopi perequativi (art. 11) o premiali (art. 13).

Pertanto, non può condividersi la lettura riduttiva della delega offerta dal giudice a quo: essa trascura del tutto il complesso reticolo di previsioni (istituzionali, programmatiche, incentivanti) in cui le disposizioni di delega si inseriscono e, così facendo, pretermette gli elementi sistematici e teleologici che, invece, concorrono a delineare l’alveo entro il quale può esprimersi la discrezionalità del legislatore delegato, indubbiamente ampia con riguardo alla specifica fisionomia del costo standard.

4.– Sulla base di queste stesse premesse, si rivela invece fondata, nei limiti di seguito precisati, la questione avente ad oggetto gli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012, per violazione dell’art. 76 Cost., basata sul rilievo che le disposizioni censurate si limitano a ripetere i contenuti della delega, e a demandare poi per intero a decreti ministeriali la determinazione degli indici in base ai quali calcolare il costo standard, nonché la precisazione delle percentuali del FFO destinate a essere ripartite in base a tale nuovo criterio.

4.1.– A questo proposito, con precipuo riguardo al censurato art. 8, giova ripercorrere alcuni passaggi dell’esame parlamentare dell’atto governativo (XVI Legislatura, n. 437), poi definitivamente approvato ed emanato come d.lgs. n. 49 del 2012, svoltosi, a norma dell’art. 5, comma 7, della legge n. 240 del 2010, presso la VII Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali) del Senato della Repubblica e presso la VII Commissione permanente (Cultura, scienza e istruzione) della Camera dei deputati, in sede consultiva.

4.1.1.– Lo schema di decreto legislativo è stato trasmesso alle Camere in prossimità dell’originaria scadenza della delega legislativa, sì da attivare il differimento del termine previsto dall’ultimo periodo del citato art. 5, comma 7. Lo schema riportava un articolo 8 sostanzialmente analogo a quello oggetto di censura, ma ancor più laconico, in quanto privo di qualsiasi riferimento alle voci di costo da prendere in considerazione per la determinazione del nuovo criterio di riparto dei finanziamenti tra i vari atenei.

Nel corso dell’esame, sia i documenti predisposti dagli uffici parlamentari, sia le discussioni in seno alle Commissioni hanno evidenziato che, così redatta, la disposizione si limitava a corredare quanto già stabilito nella delega con un mero riferimento alle dimensioni degli atenei e, così facendo, ometteva di individuare più concretamente gli indici di quantificazione del costo standard, affidando questo passaggio a successivi atti ministeriali.

In particolare, la VII Commissione permanente del Senato (nel parere approvato nella seduta del 21 marzo 2012, allegato al relativo resoconto), dopo avere rilevato criticamente che, in tal modo, non era stata data piena attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 5, comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010, si esprimeva in senso favorevole all’approvazione dello schema di decreto legislativo, ma poneva la seguente condizione: «all’articolo 8, comma 1, vengano espressamente individuati, sentita l’ANVUR, gli indici da utilizzare per la quantificazione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, quali: il costo delle attività didattiche e di ricerca, in termini di dotazione di personale docente e ricercatore destinato alla formazione dello studente; il costo dei servizi didattici, organizzativi e strumentali, compresa la dotazione di personale tecnico-amministrativo, finalizzati ad assicurare adeguato supporto alla formazione dello studente; il costo relativo alla dotazione infrastrutturale, di funzionamento e di gestione delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio dei diversi ambiti disciplinari; ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate alla tipologia degli ambiti disciplinari».

La versione del decreto legislativo poi definitivamente approvata dal Consiglio dei ministri riprendeva le esemplificazioni suggerite dalla Commissione del Senato, articolandole come voci di costo da considerare nell’emanando atto ministeriale.

Effettivamente, il decreto 9 dicembre 2014, n. 893 (Determinazione del costo standard unitario di formazione per studenti in corso, ai sensi dell’art. 8 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49), emanato dal Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ha definito i parametri per la quantificazione di queste voci di costo, fissando il contenuto della voce residuale di cui all’art. 8, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 49 del 2012 e, altresì, aggiungendo un importo di natura perequativa.

4.1.2.– L’esame delle dinamiche procedimentali che hanno condotto all’approvazione del censurato art. 8 comprova la fondatezza del rilievo, condiviso dal TAR rimettente e dalla difesa dell’Università degli Studi di Macerata, secondo cui il Governo, nell’esercitare la delega, non ha aggiunto pressoché nulla ai contenuti dei principi e criteri direttivi già stabiliti nell’art. 5, comma 4, lettera f), della legge n. 240 del 2010. Limitandosi a riportare testualmente i suggerimenti enunciati a titolo meramente esemplificativo nel parere della VII Commissione del Senato in merito alle voci di costo da tenere in considerazione, il Governo non ha fatto altro che esplicitare contenuti intrinseci alla nozione di costo standard, limitandosi a stabilire che il «costo standard unitario di formazione per studente in corso», previsto dalla delega, deve ricomprendere le spese per la remunerazione dei docenti e del personale amministrativo, nonché per l’allestimento di servizi, spazi e strumenti per la didattica. Fatta salva questa enunciazione, manca una più precisa individuazione delle spese da includere nel computo del costo standard, nonché i criteri per la ponderazione di ciascuna voce.

4.2.– Conclusioni analoghe valgono, a maggior ragione, per l’art. 10.

Alla delega, che prescriveva di collegare al costo standard una percentuale del FFO, diversa dalla cosiddetta quota premiale, il decreto delegato ha risposto prevedendo soltanto che la suddetta percentuale fosse da individuare in un decreto ministeriale, emanato con validità almeno triennale, nell’ambito dell’attività di indirizzo e programmazione del sistema universitario. A questa reiterazione pressoché letterale della delega, il decreto legislativo non aggiunge altre precisazioni in merito alla quota del FFO da distribuire in base al costo standard, nemmeno nella forma dell’indicazione di un minimo o un massimo, o nella rappresentazione di una sua incidenza dinamica, anche solo tendenziale, sul complesso del finanziamento da distribuire fra gli atenei.

4.3.– Considerati i contenuti delle disposizioni censurate, occorre verificare se il rinvio da esse disposto a decreti ministeriali per la determinazione di aspetti qualificanti la riforma del sistema del finanziamento universitario – quali sono la determinazione degli indici in base ai quali calcolare le voci di spesa rientranti nel costo standard e la percentuale del FFO da ripartire in base ai nuovi criteri – non configuri una forma di sub-delega, incompatibile con la legge di delega e, in definitiva, con l’art. 76 Cost.

Questa Corte ha già avuto modo di precisare, in alcune occasioni, che non integra di per sé una sub-delega dell’esercizio del potere legislativo, illegittima ai sensi dell’art. 76 Cost., la circostanza che le norme del decreto delegato, senza attribuire la potestà di emanare disposizioni con forza di legge all’esecutivo (sentenza n. 139 del 1976), conferiscano agli organi di tale potere il compito di emanare normative di tipo regolamentare (sentenza n. 79 del 1966), disposizioni di carattere tecnico (sentenza n. 106 del 1967) o atti amministrativi di esecuzione (ordinanza n. 176 del 1998; per ulteriori esemplificazioni, sentenze n. 66 del 1965 e n. 103 del 1957).

Con specifico riguardo all’ordinamento universitario, questa Corte ha già da tempo rilevato che il rinvio a fonti e atti amministrativi non solo non è vietato, ma è in un certo senso persino fisiologico: nulla nella Costituzione – ivi comprese le riserve relative di legge di cui agli artt. 33, 34 e 97 – vieta alla legge di affidare l’integrazione e lo sviluppo dei propri contenuti sostanziali ad un’attività normativa secondaria di organi statali, quando «si versi in aspetti della materia che richiedono determinazioni bensì unitarie, e quindi non rientranti nelle autonome responsabilità dei singoli atenei, ma anche tali da dover essere conformate a circostanze e possibilità materiali varie e variabili, e quindi non facilmente regolabili in concreto secondo generali e stabili previsioni legislative» (sentenza n. 383 del 1998).

Tuttavia, nel caso in esame, il decreto legislativo non si è limitato ad affidare ad atti amministrativi l’esecuzione di scelte già delineate nelle loro linee fondamentali negli atti con forza di legge del Parlamento e del Governo. Esso ha invece lasciato indeterminati aspetti essenziali della nuova disciplina, dislocando di fatto l’esercizio della funzione normativa dal Governo, nella sua collegialità, ai singoli Ministri competenti, e declassando la relativa disciplina a livello di fonti sub-legislative, con tutte le conseguenze, anche di natura giurisdizionale, che una tale ricollocazione comporta sul piano ordinamentale.

Vero è che la legge delega non aveva prescritto che l’intera disciplina del costo standard trovasse la propria sede nel decreto legislativo, consentendo implicitamente che la quantificazione fosse determinata da atti amministrativi in applicazione degli indici prefissati dal decreto legislativo, sentita l’ANVUR. Tuttavia, al Governo, in sede di decretazione legislativa, era stato conferito il compito di individuare quantomeno gli indici per la quantificazione e di dettare disposizioni in merito alla valorizzazione del costo standard, ossia al suo collegamento con una parte del FFO. A tale compito il decreto legislativo si è sottratto, devolvendo tutte le scelte sostanziali agli atti ministeriali, che vengono emanati con il concorso di organi amministrativi, ma non di quelli parlamentari, senza assunzione diretta di responsabilità politica da parte del Governo (art. 95, secondo comma, Cost.) e al di fuori del termine previsto per l’esercizio della delega.

4.4.– Non vale a scalfire questa conclusione il rilievo del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo cui le determinazioni relative al costo standard dovevano essere lasciate alle amministrazioni competenti in ragione della natura tecnica delle valutazioni implicate e anche allo scopo di facilitarne l’adeguamento ai dati emergenti e il tempestivo aggiornamento nel corso del tempo.

Indubbiamente, è anche per queste ragioni che, come già detto, può ritenersi fisiologico, pure nell’ordinamento universitario, il rinvio a fonti e atti amministrativi attuativi della normativa primaria. Tuttavia, nemmeno questo giustifica l’operazione compiuta, nel caso in esame, dagli artt. 8 e 10 del d.lgs. n. 49 del 2012, nei termini ricostruiti sopra.

Anzitutto, era la stessa delega ad affidare determinati compiti normativi al decreto delegato, sicché, data l’esistenza di una riserva di legge in materia di ordinamento universitario (artt. 33 e 34 Cost.), doveva ritenersi necessaria a fortiori una maggiore precisione del decreto legislativo per la determinazione degli indici di quantificazione e della valorizzazione del costo standard, a causa della concomitanza, sul punto, di disposizioni di delega che non risultano affatto particolareggiate.

Inoltre, per sua natura il decreto legislativo corrisponde a un tipo di fonte primaria che meglio di altre si presta a disciplinare materie a contenuto tecnico, tanto da essere stato utilizzato per disciplinare materie paragonabili a quella oggi in esame, come rileva l’Università degli Studi di Macerata – che richiama il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 (Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario), con particolare riguardo al Capo IV (Costi e fabbisogni standard nel settore sanitario), e il decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province).

Infine, nelle determinazioni relative ai costi standard, i profili squisitamente tecnici – indubbiamente consistenti, delicati e mutevoli – sono frammisti ad altri, di natura politica: esulano dall’ambito meramente tecnico, ad esempio, le decisioni in merito al ritmo della transizione dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard; o quelle relative all’identificazione e al peso delle differenze tra i «contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le varie università.

5.– Deve dunque essere dichiarata, per le ragioni anzidette e con assorbimento di ogni altro profilo, l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 del d.lgs. n. 49 del 2012, nonché dell’art. 10 del medesimo decreto legislativo limitatamente alla parte in cui, al comma 1, prevede che il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca individui percentuali del FFO da ripartire in relazione al costo standard.

Tale declaratoria di illegittimità costituzionale, determinata esclusivamente da vizi dell’esercizio del potere legislativo delegato, non impedisce ulteriori interventi in merito del Parlamento e del Governo, sui quali comunque incombe la responsabilità di assicurare, con modalità conformi alla Costituzione, la continuità e l’integrale distribuzione dei finanziamenti per le università statali, indispensabili per l’effettività dei principi e dei diritti consacrati negli artt. 33 e 34 Cost.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, recante «Disciplina per la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5, comma 1, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal comma 1, lettere b) e c), secondo i principi normativi e i criteri direttivi stabiliti al comma 4, lettere b), c), d), e) ed f) e al comma 5»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 49 del 2012, limitatamente alle parole «al costo standard per studente,»;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 1, lettera b), e 4, lettera f), della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2017.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Marta CARTABIA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2017.