Sentenza n. 52 del 2010

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SENTENZA N. 52

ANNO 2010

 

 

Commento alla decisione di

Daniele Chinni

 

La Corte, i presupposti del decreto-legge e le tortuose vie per il sindacato. Riflessioni a margine della sentenza n. 52 del 2010

 

nella Rubrica "Studi e commenti” di Consulta OnLine

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-   Francesco               AMIRANTE                                         Presidente

-   Ugo                        DE SIERVO                                           Giudice

-   Alfio                        FINOCCHIARO                                        

-   Alfonso                   QUARANTA                                             

-   Franco                    GALLO                                                      

-   Luigi                        MAZZELLA                                               

-   Gaetano                  SILVESTRI                                                

-   Sabino                    CASSESE                                                  

-   Maria Rita               SAULLE                                                    

-   Giuseppe                 TESAURO                                                 

-   Paolo Maria            NAPOLITANO                                         

-   Giuseppe                 FRIGO                                                       

-   Alessandro              CRISCUOLO                                            

-   Paolo                      GROSSI                                                     

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 62, commi 01, 1, 2 e 3 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell’art. 3 della legge 22 dicembre 2008, n. 203 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2009), promossi, nel complesso, con ricorsi della Regione Veneto e della Regione Calabria, rispettivamente notificati il 20 ottobre 2008 ed il 27 febbraio 2009, depositati in cancelleria il 22 e il 29 ottobre 2008 ed il 6 marzo 2009, iscritti ai numeri 70 e 86 del registro ricorsi 2008 ed al n. 19 del registro ricorsi 2009.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi gli avvocati Salvatore Di Mattia per la Regione Veneto, Massimo Luciani per la Regione Calabria e l’avvocato dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— La Regione Veneto, con un ricorso (n. 70 del 2008), e la Regione Calabria, con due ricorsi (n. 86 del 2008 e n. 19 del 2009), hanno impugnato, tra l’altro, l’art. 62 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

Tale norma disciplina l’uso degli strumenti finanziari derivati da parte delle Regioni e degli enti locali.

2.— In particolare, la Regione Veneto (ric. n. 70 del 2008) censura i commi 01, 1, 2 e 3 del predetto articolo per violazione degli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, mentre la Regione Calabria (ric. n. 86 del 2008) censura i commi 01, 1 e 2, per violazione degli artt. 70, 77, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché per violazione del principio di leale collaborazione.

Successivamente è intervenuta la legge 22 dicembre 2008, n. 203 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2009) la quale, con l’art. 3 ha sostituito il testo dell’art. 62 del d.l. n. 112 del 2008 apportandovi alcune modifiche.

Avverso il suddetto art. 3 e, dunque, avverso il nuovo testo del citato art. 62, la Regione Calabria (ric. n. 19 del 2009) ha proposto una seconda impugnazione, deducendo la violazione degli artt. 23, 97, 117, 118 e 119, Cost., nonché la violazione del principio di leale collaborazione.

3.— Il testo vigente del nuovo art. 62 prevede al comma 3 che «il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Commissione nazionale per le società e la borsa, con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa, per i profili d’interesse regionale, con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, individua la tipologia dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati» previsti all’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) che le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali «possono concludere, e indica le componenti derivate, implicite o esplicite, che gli stessi enti hanno facoltà di prevedere nei contratti di finanziamento». Lo stesso comma stabilisce, inoltre, che «al fine di assicurare la massima trasparenza dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati nonché delle clausole relative alle predette componenti derivate, il medesimo regolamento individua altresì le informazioni, rese in lingua italiana, che gli stessi devono contenere».

Il comma 6 dello stesso art. 62 dispone che ai predetti enti territoriali «è fatto divieto di stipulare», fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3, e comunque per il periodo minimo di un anno, «contratti relativi agli strumenti finanziari derivati». Il secondo inciso del medesimo comma 6 puntualizza che «resta ferma la possibilità di ristrutturare il contratto derivato a seguito di modifica della passività alla quale il medesimo contratto derivato è riferito, con la finalità di mantenere la corrispondenza tra la passività rinegoziata e la collegata operazione di copertura».

4.— La Regione Calabria con il primo ricorso, proposto nei confronti del testo originario dell’art. 62, ha dedotto la violazione dell’art. 77 Cost., per palese mancanza dei requisiti di straordinarietà e di urgenza; e, conseguentemente, dell’art. 70 Cost., che riserva la funzione legislativa alle Camere, «espropriate delle loro prerogative, in forza dell’illegittimo esercizio della decretazione d’urgenza» (si cita la sentenza n. 128 del 2008).

Né, si aggiunge, la conversione in legge del decreto può sanare il vizio, trattandosi di un «vizio in procedendo» che non viene meno all’esito della conversione.

Per quanto attiene alle altre censure, le stesse sono state poi riproposte nei confronti dell’art. 62, come modificato dalla legge n. 203 del 2008.

4.1.— In particolare, con riferimento al divieto temporaneo di stipulazione dei contratti in esame, posto dal nuovo comma 3 dell’art. 62, si assume che tale norma violerebbe gli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

Sul punto, viene richiamata la sentenza n. 376 del 2003 di questa Corte, la quale ha affermato che «la disciplina delle condizioni e dei limiti di accesso degli enti territoriali al mercato dei capitali rientra principalmente nell’ambito di quel "coordinamento della finanza pubblica”, che l’art. 117, terzo comma, della Costituzione attribuisce alla potestà legislativa concorrente delle Regioni». Viene riportato, inoltre, il passo della motivazione in cui si afferma che i poteri di coordinamento «devono essere configurati in modo consono all’esistenza di sfere di autonomia, costituzionalmente garantite, rispetto a cui l’azione di coordinamento non può mai eccedere i limiti, al di là dei quali si trasformerebbe in attività di direzione o in indebito condizionamento dell’attività degli enti autonomi».

Inoltre, si rileva come il divieto di stipulazione contrasterebbe con l’ultimo comma dell’art. 119 Cost., che consente «il ricorso all’indebitamento (senza limitazione alcuna, quanto agli strumenti utilizzabili) per spese di investimento», mentre la norma in esame preclude in radice l’accesso al credito anche per tale finalità.

Sarebbero, poi, violati gli artt. 97 e 118 della Costituzione. Infatti, l’astratta e generale previsione legislativa statale di divieto di determinate tipologie contrattuali impedirebbe la valutazione «delle peculiarità delle singole Regioni», in contrasto con il «puntuale apprezzamento delle esigenze dell’amministrazione regionale, sottesa al principio del buon andamento della pubblica amministrazione». Inoltre, la norma in questione determinerebbe «una diretta invasione nel dominio dell’amministrazione regionale, che l’art. 118 Cost. riserva alle Regioni stesse».

4.2.— Con riferimento a quanto previsto dal comma 6 dello stesso art. 62, si ritiene che contrasti, in particolare, con il sesto comma dell’art. 117 Cost., l’avere demandato ad un atto regolamentare la dettagliata determinazione delle tipologie di contratti che la Regione potrà stipulare.

In particolare, nel secondo ricorso si adduce anche la violazione dell’art. 23 Cost., in quanto si attribuirebbe al regolamento ministeriale il potere di definire nel dettaglio i limiti di un vero e proprio tributo, in assenza di qualunque criterio o principio che possa delimitare la discrezionalità del Ministro. Non sarebbe, pertanto, stata osservata la riserva di legge stabilita nella citata disposizione costituzionale. Si rileva, inoltre, che tale regolamento ministeriale sarebbe ammesso soltanto nelle materie di competenza del Ministro ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri).

Sarebbe violato, altresì, sempre nella prospettiva regionale, l’art. 117 Cost. perché si stabiliscono principi fondamentali, vincolanti per le Regioni, «con una fonte diversa dalla legge». Infatti, il decreto-legge «non indica al regolamento ministeriale alcun criterio o limite, con la conseguenza che l’autonomia regionale finisce per essere condizionata da una fonte di rango terziario».

Infine, sarebbe violato anche l’art. 119 Cost., in quanto si consentirebbe al regolamento ministeriale di «dilazionare nel tempo, senza limite alcuno (…), la possibilità per le Regioni di stipulare contratti relativi a strumenti finanziari derivati».

Anche in questo caso, si afferma testualmente, «l’autonomia regionale finisce per essere affidata alle mani del Ministro dell’economia».

La ricorrente puntualizza che le violazioni prospettate in ordine all’uso e alla tipologia dello strumento regolamentare «ledono direttamente le competenze della Regione, quale titolare di autonomia finanziaria e di competenza legislativa concorrente in materia».

Quale ultima censura si deduce la violazione del principio di leale collaborazione, non essendo intervenuta alcuna consultazione, né direttamente con le Regioni né per il tramite della Conferenza unificata.

5.— Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, assumendo, in particolare con l’atto difensivo depositato con riferimento al primo ricorso della Regione Calabria, che le censure proposte non sarebbero fondate, in quanto le disposizioni contenute nell’impugnato art. 62 costituirebbero principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost. Si rileva che tali disposizioni varrebbero per i contratti futuri e mirerebbero a tutelare l’unità economica della Repubblica in un momento di crisi economico-finanziaria internazionale «in gran parte causata anche dall’uso indiscriminato degli strumenti finanziari derivati che hanno portato ad un notevole indebitamento degli enti pubblici».

Secondo l’Avvocatura generale, si tratterebbe di una misura necessaria per raggiungere l’obbiettivo del contenimento dell’indebitamento delle amministrazioni pubbliche, comprese le Regioni.

In particolare, nell’atto di costituzione depositato in relazione al secondo ricorso, la difesa dello Stato sottolinea come la norma impugnata disciplini aspetti afferenti anche alla materia di competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto, da un lato, il contenimento dell’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni è elemento essenziale del patto di stabilità interno all’Unione europea; dall’altro, la crescita del prodotto interno lordo riguarda il medesimo patto, in uno al contenuto sostanziale delle materie «moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; perequazione delle risorse finanziarie».

Si ribadisce, inoltre, che i contratti in esame si sono «rivelati letali per la finanza pubblica». Il divieto temporaneo di stipulazione sarebbe stato, pertanto, una scelta necessitata.

Il medesimo legislatore ha consentito la ristrutturazione dei contratti al fine di ridurre il rischio di tassi di interesse non sopportabili.

Sarebbe infondata anche la censura di violazione dell’art. 119 Cost., «risultando evidente che la disposizione censurata non vieta il ricorso all’indebitamento per spese di investimento, quale che sia lo strumento finanziario utilizzato».

L’asserita violazione degli artt. 97 e 118 Cost. riguarderebbe, secondo la difesa dello Stato, non l’impugnato comma 6, ma il comma 2 dell’art. 62, che ha eliminato la possibilità di emissione di titoli con rimborso unico alla scadenza, in quanto idonei a creare costi non previsti.

Con riferimento al comma 3, si deduce che la potestà regolamentare spetta allo Stato, venendo in rilievo una materia di competenza legislativa esclusiva. Inoltre, tale norma ha previsto l’intesa «per i profili di interesse regionale» con la Conferenza Stato-Regioni.

6.— La Regione Veneto, con il ricorso n. 70 del 2008, ha prospettato nei confronti del testo originario dell’art. 62 censure analoghe a quelle formulate dalla Regione Calabria.

Anche la difesa dello Stato ha un contenuto sostanzialmente analogo a quello articolato con riferimento ai ricorsi proposti dalla Regione Calabria.

Con atto depositato il 5 ottobre 2009 presso la cancelleria di questa Corte, la Regione Veneto ha rinunciato al ricorso proposto, limitatamente alle disposizioni impugnate in questa sede.

Considerato in diritto

1.— Il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha formato oggetto di impugnazione, in talune sue disposizioni, da parte della Regione Veneto e della Regione Calabria.

In questa sede viene in rilievo l’art. 62 del citato decreto, il quale detta una disciplina volta a contenere l’uso degli strumenti finanziari derivati da parte delle Regioni e degli enti locali, in modo da contenere l’indebitamento.

In particolare, la Regione Veneto (ric. n. 70 del 2008) censura i commi 01, 1, 2 e 3 del predetto articolo per violazione degli articoli 5, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, mentre la Regione Calabria (ric. n. 86 del 2008) censura i commi 01, 1 e 2, per violazione degli artt. 70, 77, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché per violazione del principio di leale collaborazione.

1.1.― Successivamente è intervenuta la legge 22 dicembre 2008, n. 203 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2009) la quale, con l’art. 3, ha sostituito il testo dell’impugnato art. 62 apportandovi alcune modifiche.

Avverso il suddetto art. 3 e, dunque, avverso il nuovo testo del citato art. 62, commi 1, 3 e 6, la Regione Calabria (ric. n. 19 del 2009) ha proposto una seconda impugnazione, deducendo la violazione degli artt. 23, 97, 117, 118 e 119, Cost., nonché l’inosservanza del principio di leale collaborazione.

2.— I predetti giudizi, per omogeneità di materia, devono essere riuniti ai fini di un’unica decisione.

3.— La Regione Veneto, con atto depositato il 5 ottobre 2009, ha rinunciato al ricorso proposto limitatamente alle disposizioni impugnate in questa sede. Alla predetta rinuncia non è seguita rituale accettazione della controparte, per mancanza, secondo quanto riferito nel corso della udienza pubblica dall’avvocato dello Stato, della formalizzazione della accettazione mediante deliberazione del Consiglio dei ministri.

La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che la dichiarazione di rinuncia non accettata, pur non potendo comportare l’estinzione del processo, può fondare, unitamente ad altri elementi, una dichiarazione di cessazione della materia del contendere (ex plurimis, sentenza n. 320 del 2008). Nel caso in esame, avuto riguardo al complessivo comportamento processuale delle parti, può, pertanto, essere dichiarata cessata la materia del contendere, in relazione al ricorso proposto dalla Regione Veneto.

4.— L’esame in questa sede, pertanto, deve avere ad oggetto unicamente le questioni proposte dalla Regione Calabria.

4.1.— Quanto al primo ricorso (n. 86 del 2008), tenuto conto del fatto che le disposizioni con esso impugnate sono state sostanzialmente reiterate con la legge n. 203 del 2008, oggetto di gravame con il secondo ricorso (n. 19 del 2009), deve essere scrutinata, innanzitutto, la censura di violazione degli artt. 70 e 77 Cost. Con tale censura la ricorrente deduce la illegittimità costituzionale del d.l. n. 112 del 2008, per la parte concernente le disposizioni dell’art. 62, in ragione della inesistenza dei motivi di straordinarietà ed urgenza atti a giustificare il ricorso al decreto-legge.

La questione così prospettata non è fondata.

La disciplina introdotta con le disposizioni del censurato art. 62 è diretta a contenere l’esposizione delle Regioni e degli altri enti locali territoriali a indebitamenti che, per il rischio che comportano, possono esporre le rispettive finanze ad accollarsi oneri impropri e non prevedibili all’atto della stipulazione dei relativi contratti aventi ad oggetto i cosiddetti derivati finanziari.

Sussistono, pertanto, oggettivamente quelle ragioni di straordinarietà e urgenza che giustificano il ricorso al decreto-legge, volto, da un lato, alla disciplina a regime del fenomeno e, dall’altro, al divieto immediato per gli enti stessi di ricorrere ai predetti strumenti finanziari.

4.2.— Le ulteriori censure dedotte con il primo ricorso nei confronti del decreto-legge in esame sono state sostanzialmente reiterate, con il secondo ricorso relativo al nuovo testo dell’art. 62, in termini pressoché identici, sicché devono essere esaminate congiuntamente con quelle nei confronti del predetto nuovo testo con il secondo ricorso n. 19 del 2009.

5.— In via preliminare deve essere dichiarata la inammissibilità della censura relativa al comma 01, il quale stabilisce che le norme dell’articolo 62 «costituiscono principi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione». L’art. 62, così come modificato dall’art. 3 della legge n. 203 del 2008, al comma 1 prevede che le norme in esso contenute «costituiscono princìpi fondamentali per il coordinamento della finanza pubblica e hanno il fine di assicurare la tutela dell’unità economica della Repubblica ai sensi degli articoli 117, secondo comma, lettera e), e terzo comma, 119, secondo comma, e 120 della Costituzione».

Si tratta di clausole di mera qualificazione che – in ragione del loro contenuto, tra l’altro, non decisivo ai fini dell’individuazione dell’effettivo ambito materiale delle norme previste dall’articolo in questione (ex multis, sentenza n. 169 del 2007) – sono prive di reale forza precettiva; esse, dunque, per carenza di capacità lesiva, non sono idonee ad arrecare alcun vulnus a prerogative regionali costituzionalmente garantite.

6. In relazione alle altre disposizioni impugnate, ancora in via preliminare, deve richiamarsi il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo il quale le Regioni sono legittimate a censurare, in via di impugnazione principale, leggi dello Stato esclusivamente per questioni attinenti al riparto delle rispettive competenze legislative, ammettendosi la deducibilità di altri parametri costituzionali soltanto ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite (ex multis, sentenze n. 289 e n. 216 del 2008).

Alla luce di questo principio, devono ritenersi inammissibili le censure con le quali la Regione Calabria lamenta, con entrambi i ricorsi, la violazione dell’art. 97 della Costituzione, considerata la sua estraneità al riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni e la inesistenza di profili di una loro possibile ridondanza su tale riparto. Allo stesso modo inammissibile è la censura formulata, con il secondo ricorso, con riferimento all’art. 23 della Costituzione.

7.— Infine, devono essere dichiarate inammissibili, per genericità, le doglianze prospettate, con entrambi i ricorsi, in riferimento all’art. 118 della Costituzione, non essendo esse sorrette da alcun consistente elemento argomentativo.

8.— Nel merito, le rimanenti censure non sono fondate.

Al riguardo occorre, innanzitutto, richiamare il contenuto delle norme impugnate, allo scopo di valutarle nel quadro legislativo in cui esse si collocano e di stabilire l’ambito materiale che viene in rilievo agli effetti del riparto costituzionale delle competenze legislative di cui all’art. 117 della Costituzione.

9. L’art. 62 del d.l. n. 112 del 2008, novellato dalla legge n. 203 del 2008, reca una duplice disciplina normativa: la prima a regime e la seconda transitoria.

La prima è contenuta nel comma 3, il quale prevede che «il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Commissione nazionale per le società e la borsa, con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, d’intesa, per i profili d’interesse regionale, con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, individua la tipologia dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati» previsti all’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) che le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali «possono concludere, e indica le componenti derivate, implicite o esplicite, che gli stessi enti hanno facoltà di prevedere nei contratti di finanziamento». Il comma in esame stabilisce, inoltre, che «al fine di assicurare la massima trasparenza dei contratti relativi agli strumenti finanziari derivati nonché delle clausole relative alle predette componenti derivate, il medesimo regolamento individua altresì le informazioni, rese in lingua italiana, che gli stessi devono contenere».

Con la norma transitoria, contenuta nel comma 6 dello stesso art. 62, il legislatore ha disposto che ai predetti enti «è fatto divieto di stipulare», fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3, e comunque per il periodo minimo di un anno, «contratti relativi agli strumenti finanziari derivati». Il secondo inciso dello stesso comma puntualizza che «resta ferma la possibilità di ristrutturare il contratto derivato a seguito di modifica della passività alla quale il medesimo contratto derivato è riferito, con la finalità di mantenere la corrispondenza tra la passività rinegoziata e la collegata operazione di copertura».

10.— Orbene, come risulta dall’analisi del contenuto delle norme censurate, esse hanno ad oggetto la disciplina dei contratti di finanziamento mediante strumenti finanziari derivati stipulati dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali territoriali.

Ciò premesso, è necessario procedere all’individuazione, per grandezze decrescenti, degli ambiti in cui le norme si collocano.

10.1.— Al riguardo, deve rilevarsi come la contrattazione avente ad oggetto i predetti strumenti si collochi nel mercato mobiliare, il quale, come è noto, ha conosciuto negli ultimi decenni una complessa evoluzione normativa caratterizzata dal susseguirsi di una serie rilevante di interventi legislativi.

Sul punto, è sufficiente sottolineare come – a seguito dell’emanazione del decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415 (Recepimento della direttiva 93/22/CEE del 10 maggio 1993 relativa ai servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari e della direttiva 93/6/CEE del 15 marzo 1993 relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi) – sia stato abbandonato il modello pubblicistico di gestione del mercato mobiliare, essendosi optato per un modello privatistico, in conformità ai principi di liberalizzazione dei servizi di investimento in ambito comunitario e del mutuo riconoscimento.

Le relative regole sono state recepite dal decreto legislativo n. 58 del 1998, il quale, riprendendo sostanzialmente il contenuto dell’art. 46 del citato d.lgs. n. 415 del 1996, ha previsto, tra l’altro, che l’attività di organizzazione e gestione di detto mercato ha carattere di impresa ed è esercitata da una società per azioni (cosiddetta società di gestione), anche senza scopo di lucro (art. 61, comma 1), nel rispetto della disciplina posta dal «regolamento del mercato», deliberato dall’assemblea ordinaria o dal consiglio di sorveglianza della medesima società (art. 62, comma 1).

Lo stesso decreto, successivamente modificato, definisce il «mercato regolamentato» come il «sistema multilaterale che consente o facilita l’incontro, al suo interno, e in base a regole non discrezionali, di interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, ammessi alla negoziazione conformemente alle regole del mercato stesso in modo da dare luogo a contratti (…)» (art. 1, comma 1, lettera w).

Sulla base della predetta evoluzione normativa, dunque, l’attività di organizzazione e gestione dei mercati non è più riconducibile alla nozione di servizio pubblico, ma costituisce un’attività economica esercitata da un soggetto di diritto privato, che opera «anche senza scopo di lucro».

La permanenza di rilevanti interessi pubblici – connessi soprattutto all’esigenza di tutelare il risparmio (art. 47 Cost.) e assicurare la stabilità del mercati finanziari – giustifica, tuttavia, pure a seguito della suindicata privatizzazione, l’intervento dello Stato che, nella specie, si sostanzia nella predisposizione di un penetrante sistema di vigilanza attribuito sia alla Banca d’Italia – per quanto attiene, in particolare, al contenimento del rischio e alla stabilità patrimoniale degli intermediari – sia alla Commissione per la società e la borsa (Consob), relativamente all’attività posta in essere dalla società di gestione (art. 73) e, più in generale, all’attività che si svolge nell’ambito dei mercati regolamentati al fine di assicurare, tra l’altro, la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori (art. 74).

10.2.— Chiarito ciò, deve rilevarsi come il mercato mobiliare si caratterizzi essenzialmente per lo svolgimento di «servizi e attività di investimento», di rilevanza privatistica, aventi ad oggetto, in generale, gli strumenti finanziari. Il d.lgs. n. 58 del 1998, pur non dandone una definizione di portata generale, fornisce una elencazione delle principali tipologie di strumenti finanziari che appartengono alla categoria in esame. In particolare, si fa riferimento: ai valori mobiliari (azioni di società, obbligazioni e altri titoli di debito, ecc.); agli strumenti del mercato monetario; alle quote di un organismo di investimento collettivo di risparmio, nonché ad una serie di contratti qualificati quali «strumenti finanziari derivati».

In relazione a questi ultimi, il citato testo unico non contiene una nozione identificativa del relativo prodotto finanziario, limitandosi ad effettuare una elencazione dei principali tipi contrattuali.

È significativo, al riguardo, che l’art. 2 del testo unico in questione dispone che per strumenti finanziari derivati si intendono:

1) valori mobiliari;

2) strumenti del mercato monetario;

3) quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio;

4) contratti di opzione, contratti finanziari a termine standardizzati («future»), «swap», accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti derivati nelle varie forme in cui è possibile la loro stipulazione;

5) gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito;

6) i contratti finanziari differenziali.

Con riferimento alla suindicata articolata tipologia, a soli fini descrittivi e con un ineliminabile margine di approssimazione dipendente dalla complessità del fenomeno, può ritenersi che le negoziazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari derivati si caratterizzano, sul piano strutturale, per essere connesse ad altre attività finanziarie (quali, ad esempio, titoli, merci, tassi, indici, altri derivati) dal cui "prezzo” dipende il valore dell’operazione compiuta. Ferme ovviamente restando le diversità legate al tipo di operazione prescelto, tali negoziazioni sono volte a creare un differenziale tra il valore dell’entità negoziata al momento della stipulazione del relativo contratto e quello che sarà acquisito ad una determinata scadenza previamente individuata.

Sul piano funzionale, come è noto, le negoziazioni in esame, oltre ad avere una finalità di copertura, possono espletare anche una funzione speculativa, incidente sulla stessa struttura causale del contratto, con conseguenti rischi di insolvenza legati a diversi fattori connessi soprattutto all’andamento complessivo del mercato, con l’aggravamento che l’inadempimento di uno o più operatori può incidere sull’inadempimento degli altri. È frequente, pertanto, la possibilità che il contraente, sia esso privato o pubblico, subisca una perdita superiore al capitale investito.

A ciò va aggiunto che il testo unico n. 58 del 1998 riserva lo svolgimento dei servizi di investimento, compresi quelli aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati, soltanto a determinati «soggetti abilitati», rappresentati, in particolare, dalle banche e dalle c.d. «imprese di investimento» (definite, per quelle che hanno sede in Italia, «società di intermediazione mobiliare»).

10.3.— Attraverso la disciplina, sopra descritta, del mercato mobiliare e dei contratti aventi ad oggetto gli strumenti finanziari derivati, il legislatore ha inteso tutelare il mercato stesso, la sua stabilità, nonché i risparmiatori che vi operano.

Per perseguire questo scopo è stato previsto, come si è già sottolineato, tra l’altro, un sistema articolato di vigilanza attribuito ad autorità che operano al di fuori del circuito governativo.

Sono state, inoltre, contemplate regole imperative che attengono essenzialmente alle modalità di conclusione, alla forma e ai contenuti dei singoli contratti e che sono finalizzate a proteggere la sfera giuridica dei soggetti che accedono a tale tipologia di finanziamento, i quali sono considerati alla stregua di contraenti deboli, che si trovano rispetto al professionista che opera nel mercato in una posizione di asimmetria informativa. In particolare, in relazione al primo profilo, sono state stabilite puntuali regole di condotta che si sostanziano nella previsione di obblighi di informazione cui sono tenuti i «soggetti abilitati»; in relazione alla forma, è imposto, sempre per fini di protezione e a pena di nullità, che può essere fatta valere solo dal cliente, l’obbligo di rispettare la forma scritta (art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998); in relazione al contenuto è prevista la nullità di «ogni pattuizione di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico» (citato art. 23). In definitiva, le indicate norme imperative mirano a tutelare la parte che, in ragione della sua debolezza contrattuale derivante da oggettive deficienze informative, occupa nel rapporto contrattuale una posizione diseguale rispetto al professionista.

11.— Individuato il contesto normativo complessivo in cui si colloca la disciplina, tanto a regime, quanto transitoria, oggetto di impugnazione regionale, si può passare ad analizzare le singole censure proposte dalla ricorrente.

In particolare, secondo la Regione Calabria le disposizioni a regime contenute nell’art. 62, comma 3, nella parte in cui disciplinano, con norme ritenute di dettaglio, le condizioni e i limiti di accesso al mercato finanziario degli enti territoriali, violerebbero la competenza regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost. Inoltre, il comma in questione sarebbe costituzionalmente illegittimo per violazione del sesto comma del citato art. 117, non essendo consentita l’emanazione di un regolamento statale in una materia di competenza legislativa concorrente.

12.— La questione non è fondata.

Al fine di individuare l’ambito materiale, entro il quale inquadrare la disciplina contestata, occorre avere riguardo all’oggetto e alle finalità perseguite dal legislatore, alla luce della ricostruzione del quadro normativo di riferimento di cui innanzi.

12.1. Applicando tali criteri, deve, in primo luogo, ritenersi che viene in rilievo la competenza esclusiva dello Stato in materia di «tutela del risparmio e mercati finanziari» di cui alla lettera e) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione.

La predetta disposizione costituzionale, nella parte in cui assegna allo Stato la competenza in materia di mercati finanziari, si riferisce, oltre che al mercato bancario e assicurativo, anche a quello mobiliare, che identifica, in realtà, il mercato finanziario in senso stretto.

Tale ambito materiale ricomprende tutte quelle misure legislative volte ad assicurare, sul piano macroeconomico e per fini di uniformità sull’intero territorio nazionale, la stabilità finanziaria dei mercati in cui si svolgono le contrattazioni, nonché la tutela del risparmio.

Orbene, la finalità che con le disposizioni del comma 3 del novellato art. 62 il legislatore statale ha inteso perseguire è proprio quella di garantire la tutela del mercato mobiliare in rapporto alle modalità di accesso delle Regioni e degli enti locali alle suddette tipologie di contrattazione, le quali sono, per loro stessa natura, idonee ad alterare i complessivi equilibri finanziari del mercato di riferimento. È innegabile, infatti, che i derivati finanziari scontino un evidente rischio di mercato, non preventivamente calcolabile, ed espongano gli enti pubblici ad accollarsi oneri impropri e non prevedibili all’atto della stipulazione del contratto, utilizzando per l’operazione di investimento un contratto con caratteristiche fortemente aleatorie per le finanze dell’ente. Si tratta, pertanto, di una disciplina che, tutelando il mercato e il risparmio, assicura anche la tutela del patrimonio dei soggetti pubblici.

Sotto altro aspetto, il massiccio ingresso di soggetti, e cioè degli enti pubblici ai quali si riferisce la contestata normativa, nel mercato finanziario, con l’apporto di capitali di notevole entità (se rapportati, in genere, a quelli dei comuni investitori), è tale da comportare profonde modificazioni strutturali nel mercato stesso, con riferimento sia alla tipologia dei contratti che gli enti sarebbero autorizzati a stipulare, sia alle condizioni e ai limiti che la normativa regolamentare di attuazione potrebbe porre.

Sono, in definitiva, proprio le peculiari caratteristiche di tali strumenti ad avere indotto il legislatore statale a prevedere, con l’impugnato comma 3, limitatamente alle contrattazioni in cui siano parte le Regioni e gli enti locali, una specifica normativa per il loro accesso al relativo mercato mobiliare, sia pure demandandone la disciplina attuativa, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, ad un regolamento ministeriale, volto ad individuare, in modo puntuale, sia la tipologia dei contratti, sia le componenti derivate, implicite o esplicite, che gli enti in questione hanno la facoltà di prevedere nei contratti di finanziamento. Ciò il legislatore ha fatto, tenuto conto della spiccata aleatorietà delle negoziazioni aventi ad oggetto gli strumenti finanziari in esame, all’evidente scopo di evitare che possa essere messa in pericolo la disponibilità delle risorse finanziarie pubbliche utilizzabili dagli enti stessi per il raggiungimento di finalità di carattere, appunto, pubblico e, dunque, di generale interesse per la collettività.

A ciò va aggiunto che la realtà ha ampiamente dimostrato che persino le operazioni di rinegoziazione dei contratti derivati, a seguito di ristrutturazione del debito, nel prevedere fin dall’inizio condizioni di sfavore degli enti, comportano l’assunzione di rischi aggiuntivi mediante lo spostamento nel tempo degli oneri derivanti da condizioni ancora più penalizzanti rispetto a quelle iniziali.

A ulteriore conferma della riconducibilità del contenuto delle norme in esame alla materia dei mercati finanziari, deve essere richiamata la parte della disposizione impugnata la quale stabilisce che la normativa in questione deve essere emanata sentite la Banca d’Italia e la Consob, e cioè i soggetti ai quali, come si è già osservato, sono assegnati rilevanti funzioni di vigilanza da esercitarsi proprio nello specifico settore del mercato mobiliare.

12.2.In secondo luogo, deve essere sottolineato come la disciplina normativa adottata dal legislatore statale, abbia, altresì, una diretta incidenza sulla materia dell’ordinamento civile, anch’essa di competenza legislativa esclusiva statale (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).

Infatti, sempre avendo riguardo all’oggetto e alla finalità perseguita dalle norme impugnate, deve rilevarsi come il legislatore abbia inteso disciplinare, per tutelare la parte "debole” del contratto, taluni profili specificamente afferenti allo svolgimento di rapporti negoziali che rinvengono la loro fonte in categorie contrattuali che si collocano nell’ambito dei mercati mobiliari.

In particolare, si tratta di norme imperative che perseguono una finalità chiaramente protettiva, come risulta dalla previsione – che non forma oggetto di impugnazione – introdotta, nel comma 5 dell’art. 62 del d.l. n. 112 del 2008, dall’art. 3 della legge n. 203 del 2008 – secondo cui i contratti relativi a strumenti finanziari derivati, che risultino stipulati dagli enti territoriali in violazione delle disposizioni previste dal citato regolamento ministeriale, sono nulli e tale nullità «può essere fatta valere solo dall’ente».

L’attribuzione di una legittimazione speciale riservata soltanto all’ente pubblico, cui la tutela in questione si indirizza, a fronte della regola generale vigente per i contratti disciplinati dal codice civile (secondo la quale, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse), giustifica la qualificazione del rimedio previsto come «nullità di protezione»; espressione questa utilizzata, in una fattispecie per molti aspetti analoga, dall’art. 36 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo, a norma dell’art. 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229). In altri termini, in linea con l’esigenza di una particolare tutela riservata alla parte debole del rapporto contrattuale, trova giustificazione una disciplina derogatoria del principio generale della legittimazione aperta a chiunque vi abbia interesse, e, dunque, la previsione di un rimedio che rimette alla parte protetta la valutazione se avvalersene o meno.

Né va sottaciuto che il titolo di legittimazione dell’ordinamento civile presenta, nello specifico settore in esame, profili di stretta connessione con la materia dei mercati finanziari e tutela del risparmio, in ragione del particolare rapporto che si instaura tra contratto e mercato.

A tale proposito, deve rilevarsi come le regole applicabili ai singoli contratti aventi ad oggetto gli strumenti finanziari derivati, per gli scopi sin qui indicati, sono destinate ad influenzare direttamente anche quelle generali del mercato, oltre che gli equilibri economici che nella finanza regionale e locale si intendono assicurare. In altri termini, è indubbio che il legislatore, ponendo regole indirizzate al singolo rapporto negoziale, ha adottato una normativa suscettibile di incidere in via diretta anche sulla disciplina del segmento di attività economica costituito dal mercato finanziario in cui quella contrattazione si inserisce. E ciò particolarmente con riferimento all’aspetto finalistico delle nuove disposizioni adottate.

La stretta connessione esistente tra contratto e mercato – ricostruita alla luce dell’oggetto della disciplina e delle finalità perseguite dal legislatore – determina, pertanto, come si è già sottolineato, un rapporto di interrelazione tra la materia dell’ordinamento civile, per gli aspetti di regolamentazione particolare dell’atto contrattuale, e quella del mercato finanziario, per l’oggetto di esse e, soprattutto, per l’incidenza degli strumenti derivati sul complessivo andamento del mercato stesso.

12.3.— Infine, un terzo ambito materiale che viene in rilievo è rappresentato dal coordinamento della finanza pubblica di cui al terzo comma dell’art. 117 Cost.

La giurisprudenza di questa Corte è ormai costante nel ritenere che norme statali che fissano limiti alla spese di enti pubblici regionali sono espressione della finalità di coordinamento finanziario (da ultimo, sentenze numeri 237 e 139 del 2009). Il legislatore statale può, dunque, legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obbiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari (sentenza n. 237 del 2009). Questa Corte, inoltre, pur affermando che le misure statali non devono prevedere in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obbiettivi (sentenza n. 289 del 2008), ha chiarito che possono essere ricondotti nell’ambito dei principio di coordinamento della finanza pubblica «norme puntuali adottate dal legislatore per realizzare in concreto la finalità del coordinamento finanziario, che per sua natura eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali» (sentenza n. 237 del 2009 e già sentenza n. 417 del 2005).

13.— Deve, pertanto, ritenersi che la disciplina dei derivati finanziari si collochi alla confluenza di un insieme di materie, vale a dire quelle relative «ai mercati finanziari», all’«ordinamento civile» e al «coordinamento della finanza pubblica»: le prime due di competenza esclusiva dello Stato e l’ultima di competenza concorrente. In questi casi la giurisprudenza costituzionale, mancando un meccanismo di composizione delle interferenze previsto dalla Costituzione, utilizza normalmente il criterio della prevalenza, il quale presuppone l’inquadramento nell’ambito materiale cui è riconducibile il nucleo essenziale delle norme censurate (da ultimo, sentenza n. 339 del 2009).

Applicando tale criterio per la risoluzione della presente controversia deve rilevarsi, alla luce di quanto sin qui esposto, come la finalità principale della normativa statale in esame sia rappresentata dalla tutela del risparmio e dei mercati finanziari, nonché dalla disciplina di rapporti privatistici e dei connessi rimedi azionabili in caso di violazione delle disposizioni disciplinatrici del settore.

In altri termini, la peculiarità del contenuto della tipologia contrattuale in esame impone, in questo caso, di risolvere il concorso delle plurime competenze legislative riconducibili alle elencazioni contenute nel secondo e terzo comma dell’art. 117 Cost. mediante l’inquadramento della normativa censurata in via prevalente nelle materie dei mercati finanziari e dell’ordinamento civile, di esclusiva spettanza del potere legislativo statale.

13.1.— Né ad una diversa conclusione si può pervenire in ragione di quanto ritenuto da questa Corte con la sentenza n. 376 del 2003, richiamata dalla ricorrente a sostegno della illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate.

Con tale sentenza si è effettivamente affermato che rientra nei poteri concorrenti di coordinamento della finanza pubblica «la disciplina delle condizioni e dei limiti di accesso degli enti territoriali al mercato dei capitali» e che occorre salvaguardare le sfere di autonomia degli enti territoriali al fine di evitare che il potere di coordinamento si trasformi in attività di direzione o indebito condizionamento statale dell’attività dei predetti enti.

Ma tale decisione, peraltro, richiama espressamente anche la materia della tutela del risparmio e dei mercati finanziari, con riferimento ai «poteri di coordinamento che possono legittimamente essere attribuiti ad organi centrali»; materia che «riguarda in particolare la disciplina delle forme e dei modi in cui i soggetti – e così anche, in particolare, gli enti territoriali – possono ottenere risorse finanziarie derivanti da emissione di titoli o contrazione di debiti».

Orbene, proprio le suddette considerazioni consentono di ritenere che nella controversia ora in esame si verta nella ipotesi in cui il legislatore statale intende, con la normativa oggetto di contestazione da parte della ricorrente Regione Calabria, disciplinare appunto «le forme e i modi in cui i soggetti» (nella specie, le Regioni e gli enti locali) «possono ottenere risorse finanziarie».

In conclusione, pur non essendo dubbio, come si è già sottolineato, che nella legislazione ora oggetto di impugnazione regionale si rinvengano anche elementi da ascrivere alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», tuttavia sono da ritenere nettamente prevalenti quelli riconducibili a competenze legislative esclusive dello Stato.

14.— Alla luce di quanto sin qui esposto, deve essere respinta la ulteriore censura formulata dalla ricorrente per asserita violazione del sesto comma dell’art. 117 della Costituzione. Ciò in quanto, sulla base delle medesime argomentazioni sopra esposte, trova giustificazione la previsione, contenuta nello stesso comma 3 della norma impugnata, di un regolamento statale volto ad individuare la tipologia di contratti che gli enti territoriali possono stipulare e le componenti derivate che gli enti stessi possono prevedere nei relativi contratti di finanziamento.

Il sesto comma dell’art. 117 della Costituzione, infatti, attribuisce allo Stato la potestà regolamentare – senza alcuna limitazione connessa alla tipologia dei regolamenti (sentenza n. 200 del 2009, punto 35.2 del Considerato in diritto) – nelle materie che la stessa Costituzione attribuisce alla esclusiva potestà legislativa statale.

Sul piano poi della necessità di rispettare le regole cooperative nella fase di emanazione dell’atto regolamentare, deve rilevarsi come, pur non essendo imposta sul piano costituzionale l’osservanza delle predette regole, in presenza di una prevalente competenza statale, il coinvolgimento regionale, nella specie, è stato, comunque, assicurato nel suo più alto livello dal novellato comma 3 dell’art. 62. Tale disposizione ha previsto, infatti, che il regolamento de quo debba essere adottato, «per i profili di interesse regionale», d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano; vale a dire mediante la partecipazione dello Stato e delle Regioni nel fissare i contenuti della normativa regolamentare attuativa.

15.― Le considerazioni innanzi svolte comportano la declaratoria di non fondatezza anche della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente, in relazione all’art. 117 della Costituzione, nei confronti della disciplina transitoria contenuta nel comma 6 del novellato art. 62.

Detto comma, come si è prima precisato, dispone che «agli enti» di cui al comma 2 (vale a dire alle Regioni, alle Province autonome e agli enti locali) è fatto divieto di stipulare, fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 3, e comunque per il periodo minimo di un anno decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto, contratti relativi agli strumenti finanziari derivati; ferma restando la possibilità di ristrutturare il contratto derivato.

La suindicata norma di divieto temporaneo per gli enti in questione trova comunque la sua giustificazione nella necessità di impedire che, mediante la stipulazione di contratti fortemente aleatori, le finanze degli enti stessi siano sottoposte a esposizioni debitorie anche molto gravose. E, come si è innanzi rilevato, la stessa possibilità di rinegoziazione dei contratti già stipulati non è priva di rischi per la finanza regionale e locale.

Né la disposizione in esame è in contrasto con l’ultima parte dell’art. 119 Cost., come pure è stato dedotto dalla ricorrente sotto il profilo che, mentre la citata disposizione stabilisce che è possibile ricorrere all’indebitamento («senza limitazione alcuna, quanto agli strumenti utilizzabili») solo per finanziare spese d’investimento, nella specie le norme impugnate escluderebbero in radice tale possibilità.

Al riguardo, deve essere osservato che l’ultimo comma dell’art. 119 Cost. pone un vincolo di equilibrio finanziario che si sostanzia nel consentire agli enti locali di ricorrere all’indebitamento solo per finanziare le spese di investimento.

Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le nozioni di «indebitamento» e di «investimento» non possono essere determinate a priori in modo assolutamente univoco (sentenza n. 425 del 2004).

Spetta, dunque, allo Stato, con determinazione non manifestamente irragionevole, definire, in relazione ai diversi contesti che possono venire in rilievo, il significato delle espressioni in esame.

Nella fattispecie ora in esame, il legislatore, con il divieto, sia pure temporaneo, di stipulare contratti aventi ad oggetto strumenti finanziari derivati, ha evidentemente ritenuto che tale attività, potendo avere natura altamente rischiosa, dato il suo carattere intrinsecamente aleatorio, non possa essere qualificata quale attività di investimento. Non si presenta, dunque, manifestamente irragionevole la scelta di vietare, tra l’altro in via transitoria, il ricorso a tali tipologie di negoziazione avente carattere di oggettiva pericolosità per l’equilibrio della finanza regionale e locale.

16.— Per i motivi sin qui esposti, deve ritenersi che entrambe le questioni di costituzionalità sollevate dalla ricorrente non siano fondate.

17.— Le ragioni poste a base della dichiarazione di non fondatezza, riferite al testo dell’art. 62 del d.l. n. 112 del 2008, come novellato dalla legge n. 203 del 2008, valgono anche con riguardo alle analoghe censure proposte nei confronti del testo originario del predetto 62, commi 1 e 2, recante sostanzialmente le stesse norme contenute nella citata legge n. 203 del 2008.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i ricorsi,

riservata ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), come convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sollevate dalle Regioni Veneto e Calabria con i ricorsi indicati in epigrafe;

1) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 62, commi 01, 1, 2 e 3 del predetto d.l. n. 112 del 2008, promosse, in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso n. 70 del 2008;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62, comma 01, del predetto d.l. n. 112 del 2008, promossa, in riferimento agli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso n. 86 del 2008;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62, comma 1, del predetto d.l. n. 112 del 2008, così come modificato dall’art. 3 della legge 22 dicembre 2008, n. 203 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2009), promossa, in riferimento agli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso n. 19 del 2009;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 62, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal suddetto art. 3 della legge n. 203 del 2008, promosse, in riferimento agli artt. 97 e 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso n. 86 del 2008;

5) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 62, commi 3 e 6, del predetto d.l. n. 112 del 2008, così come modificato dall’art. 3 della legge n. 203 del 2008, promosse, in riferimento agli artt. 23, 97 e 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria, con il ricorso n. 19 del 2009;

6) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62 del predetto d.l. n. 112 del 2008, promossa, in riferimento agli artt. 70 e 77 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso n. 86 del 2008;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 62, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal suddetto art. 3 della legge n. 203 del 2008, promosse, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso n. 86 del 2008;

8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 62, commi 3 e 6, del predetto d.l. n. 112 del 2008, così come modificato dall’art. 3 della legge n. 203 del 2008, promosse, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria, con il ricorso n. 19 del 2009.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2010.