Ordinanza n. 402 del 2008

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ORDINANZA N. 402

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Giovanni Maria         FLICK                                    Presidente

-    Francesco                  AMIRANTE                              Giudice

-    Ugo                          DE SIERVO                                    "

-    Paolo                        MADDALENA                                "

-    Alfio                        FINOCCHIARO                              "

-    Alfonso                    QUARANTA                                   "

-    Franco                      GALLO                                           "

-    Luigi                        MAZZELLA                                    "

-    Gaetano                    SILVESTRI                                     "

-    Sabino                      CASSESE                                        "

-    Maria Rita                 SAULLE                                         "

-    Giuseppe                   TESAURO                                       "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                                "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 37 del codice penale militare di pace, in combinato disposto con l’art. 47, secondo comma, numero 2), del codice penale militare di guerra, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 31 gennaio 2002, n. 6 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° dicembre 2001, n. 421, recante disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all’operazione multinazionale denominata «Enduring Freedom». Modifiche al codice penale militare di guerra, approvato con regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303), e degli artt. 314, comma 2, e 323 del codice penale, promosso con ordinanza del 22 dicembre 2007 dal Tribunale militare di La Spezia nel procedimento penale militare a carico di G. F. ed altro, iscritta al n. 53 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 22 ottobre 2008 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che, con ordinanza del 22 dicembre 2007, il Tribunale militare di La Spezia ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 37 del codice penale militare di pace, 47, secondo comma, numero 2 del codice penale militare di guerra, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 31 gennaio 2002, n. 6 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° dicembre 2001, n. 421, recante disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all'operazione multinazionale denominata «Enduring Freedom». Modifiche al codice penale militare di guerra, approvato con R.D. 20 febbraio 1941, n. 303), 314, secondo comma, e 323 del codice penale, nella parte in cui il citato art. 47, secondo comma, cod. pen. mil. guerra, prevede che costituiscano reati militari i delitti contro la pubblica amministrazione, e in particolare i delitti di cui agli artt. 314, secondo comma, e 323, cod. pen., se commessi da appartenenti alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare o in luogo militare, solo in caso di applicazione della legge penale militare di guerra, ancorché in tempo di pace;

che, come riferisce dettagliatamente il rimettente, sulla base delle indagini effettuate, il cui esito era stato confermato nell’istruzione dibattimentale, il pubblico ministero aveva contestato agli imputati, militari dell’Esercito, il reato di peculato militare (art. 215 cod. pen. mil. pace) per l’appropriazione dell’auto di servizio, ravvisata nella sua utilizzazione per fini di diporto personale;

che il Tribunale ritiene che nella condotta ascritta agli imputati sia ravvisabile lo scopo di usare momentaneamente il veicolo per poi restituirlo immediatamente nella disponibilità dell'Amministrazione;

che - rileva ancora il rimettente - la legge 26 aprile 1990, n. 86 (Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione), sostituendo l’articolo 314 cod. pen. (peculato), ha introdotto nell’ordinamento la fattispecie del cosiddetto «peculato d’uso», di cui al secondo comma del citato art. 314, ormai unanimemente ritenuta fattispecie autonoma di reato;

che il reato di peculato militare, non modificato dalla citata novella, non contempla la meno grave ipotesi di condotta consistente nell’uso momentaneo del bene, introdotta, invece, nella disciplina penale comune;

che, pertanto, il Tribunale militare afferma di trovarsi nella necessità di dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla ravvisata ipotesi di reato di cui all’art. 314, secondo comma, cod. pen., e di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica di Pisa, con la conseguente regressione alla fase iniziale del procedimento;

che tale regressione pregiudicherebbe l’attività processuale già svolta e la possibilità per gli imputati di ottenere immediatamente la sentenza di primo grado, ponendosi in tal modo in contrasto con la ragionevole durata del processo e conseguirebbe, altresì, all’applicazione di una normativa irragionevole;

che, prosegue il rimettente, la giurisprudenza costituzionale ha già ritenuto non conforme a razionalità la mancata estensione della nuova disciplina introdotta dalla legge n. 86 del 1990 al peculato militare, considerato sostanzialmente identico alla corrispondente fattispecie comune (sentenze n. 4 del 1974, n. 473 del 1990, n. 448 del 1991);

che le palesi irrazionalità del sistema penale militare non deriverebbero, secondo il rimettente, soltanto dal mancato coordinamento con norme innovatrici della legislazione penale comune, ma soprattutto dal disomogeneo riparto di giurisdizione tra l’autorità giudiziaria ordinaria e quella giudiziaria militare, e nella nozione meramente formale di reato militare contenuta nell'art. 37 cod. pen. mil. pace («qualunque violazione della legge penale militare è reato militare»);

che, infatti, secondo il rimettente, il legislatore del 1941 non ha delineato una fisionomia di reato militare, affidando alla discrezionalità legislativa i limiti oggettivi (art. 37 cod. pen. mil. pace) e soggettivi (art. 263 cod. pen. mil. pace) della giurisdizione militare, scelta dalla quale deriverebbe l’odierna frammentarietà normativa che, includendo nella legge penale militare soltanto alcuni dei reati che offendono beni tutelati dal codice penale, rende attualmente irrazionale e carente l’ambito giurisdizionale dei tribunali militari;

che, nel caso al suo esame, pur trattandosi di reati contro la pubblica amministrazione, non apparterrebbero alla giurisdizione militare le fattispecie di «peculato d’uso» (art. 314, secondo comma, cod. pen.) e abuso di ufficio (art. 323, cod. pen.), mentre vi rientrerebbe il reato di peculato militare (215 cod. pen. mil. pace);

che, per altro verso, il legislatore, con l’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 31 gennaio 2002, n. 6, avrebbe finalmente dettato una precisa nozione di reato militare, pur ai soli fini del codice penale militare di guerra, inserendola nell’art. 47, secondo, terzo e quarto comma, cod. pen. mil. guerra, che definisce reato militare «ai fini del presente codice, ogni altra violazione della legge penale commessa dall'appartenente alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, o in luogo militare, e prevista come delitto contro: 1) la personalità dello Stato; 2) la pubblica amministrazione; 3) l'amministrazione della giustizia; 4) l'ordine pubblico; 5) l’incolumità pubblica; 6) la fede pubblica; 7) la moralità pubblica e il buon costume; 8) la persona; 9) il patrimonio»; nonché «ogni altra violazione della legge penale commessa dall’appartenente alle Forze armate in luogo militare o a causa del servizio militare, in offesa del servizio militare o dell'amministrazione militare o di altro militare o di appartenente alla popolazione civile che si trova nei territori di operazioni all’estero»; e infine «ogni altra violazione della legge penale prevista quale delitto in materia di controllo delle armi, munizioni ed esplosivi e di produzione, uso e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, commessa dall'appartenente alle Forze armate in luogo militare»;

che, come si evincerebbe dai lavori preparatori della citata legge n. 6 del 2002, il legislatore avrebbe inteso «evitare ogni incertezza o sovrapposizione dell’autorità giudiziaria competente, che sarebbe invece derivata dall’applicazione della lacunosa normativa in tema di reato militare, così razionalizzando il riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello speciale»;

che la collocazione sistematica nel codice penale militare di guerra della nozione «materiale» di reato militare, contenuta nell'art. 47 cod. pen. mil. guerra, parrebbe non poter in alcun modo influire sul concetto di reato militare per il tempo di pace, dato che tra il codice militare di pace e quello di guerra intercorrerebbe, secondo il rimettente, un rapporto di complementarità, stabilito dall'art. 19 cod. pen. mil. pace («le disposizioni di questo codice si applicano anche alle materie regolate dalla legge penale militare di guerra e da altre leggi penali militari, in quanto non sia da esse stabilito altrimenti») e dall’art. 47, primo comma, cod. pen. mil. guerra («nei casi non preveduti da questo codice, si applicano le disposizioni del codice penale militare di pace, concernenti i reati militari in particolare»);

che d’altra parte, l’art. 9 cod. pen. mil. guerra, come sostituito dall’art. 2, lettera a), legge n. 6 del 2002, prevedendo l’assoggettamento alla legge penale di guerra, «ancorché in tempo di pace», dei corpi di spedizione all'estero per operazioni militari armate, rende applicabile in tali situazioni la nozione di reato militare delineata dall’art. 47 cod. pen. mil. guerra;

che il novellato art. 47 cod. pen. mil. guerra, infatti, proprio in virtù dell’art. 9 cod. pen. mil. guerra, avrebbe in realtà esteso anche la giurisdizione penale militare per il tempo di pace;

che per tali ragioni l’art. 9 del decreto-legge n. 421 del 2001, convertito, con modificazioni, nella legge n. 6 del 2002, prevedeva che al personale impegnato nell’operazione «Enduring Freedom» non si applicassero né le disposizioni processuali di guerra, né quelle proprie dell’ordinamento giudiziario militare di guerra;

che, pertanto, in tempo di pace, secondo la normativa richiamata, si registrerebbero due diverse nozioni di reato militare le quali, seppure applicabili a situazioni diverse, riguardano fattispecie comunque assegnate alla giurisdizione di un tribunale militare previsto dall'ordinamento giudiziario di pace, da esercitare secondo le comuni regole del codice di procedura penale;

che a fronte della nuova nozione di reato militare introdotta nell’art. 47 cod. pen. mil. guerra, dunque, se il fatto in esame fosse stato commesso pur sempre in tempo di pace, ma all'estero e da militari appartenenti ad un corpo di spedizione per operazioni militari armate, esso sarebbe rientrato nella giurisdizione militare anche qualora fosse giuridicamente qualificato come peculato d’uso o abuso d'ufficio e non si manifesterebbero le irrazionalità che, ripetutamente evidenziate dalla Corte costituzionale, inducono il giudice a quo a sollevare questione di legittimità costituzionale;

che, pertanto, la norma censurata sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione per difetto di ragionevolezza perché, risultando applicabile anche in tempo di pace, determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento nel giudizio tra i fatti commessi in tempo di pace sul territorio nazionale e i fatti commessi, sempre in tempo di pace, nell'ambito operazioni militari armate all’estero;

che detta disparità di trattamento si riverbererebbe anche sul principio di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 della Costituzione, poiché il rimettente, anziché potersi esprimere nel merito dopo avere qualificato il fatto in modo giuridicamente diverso, dovrebbe a suo dire trasmettere gli atti processuali alla competente Procura della Repubblica ordinaria, così facendo regredire il processo alla fase iniziale delle indagini preliminari, nonostante il reato ravvisato sia di minor gravità e leda il medesimo bene giuridico tutelato dal reato di peculato militare;

che, con sentenza n. 298 del 1995, questa Corte, chiamata a pronunciarsi in relazione all’art. 37 cod. pen. mil. pace, avrebbe ribadito la propria giurisprudenza in materia, affermando che «nello scegliere il tipo di illecito, militare o comune, il legislatore resta […] libero, purché osservi il canone della ragionevolezza», e che spetta al legislatore sia la creazione di nuove figure di reato sia la sottrazione di alcune fattispecie alla disciplina comune per ricondurle in una disciplina speciale che tuteli più congruamente gli interessi coinvolti»;

che oggi, secondo il Tribunale rimettente, sarebbe ravvisabile un termine di comparazione normativa nella nozione di reato militare introdotta dalla legge n. 6 del 2002, con la quale il legislatore ha individuato il discrimine tra le due giurisdizioni nell’abuso dei poteri o nella violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, ovvero nella qualità militare del luogo in cui è stato commesso il fatto;

che, secondo l’opinione del giudice rimettente, il mutato assetto normativo consentirebbe di assoggettare al vaglio di ragionevolezza la scelta del legislatore di non estendere la nuova nozione di reato militare anche ai fatti commessi in tempo di pace sul territorio nazionale;

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità della questione, in riferimento all’art. 3, Cost. e la sua manifesta infondatezza in riferimento all’art. 111 Cost.;

che, secondo l’Avvocatura, il giudizio di irragionevolezza della norma formulato dal rimettente sarebbe fondato sull’erroneo presupposto che le modifiche apportate dalla legge n. 6 del 2002 all’art. 47 cod. pen. mil. guerra comportino l’automatica applicazione della disposizione di tale codice ai corpi di spedizione all’estero per operazioni militari, ancorché in tempo di pace: quando, invece, in tutte le leggi di finanziamento delle missioni internazionali successive al decreto-legge n. 421 del 2001 il regime applicabile al personale in missione è stato individuato senza automatismi, risultando, in fatto, l’applicazione del codice penale militare di guerra limitata – nel periodo compreso tra il 2001 e il 2006 – al solo personale impiegato nei teatri operativi dell’Afghanistan e dell’Iraq;

che in secondo luogo la pronuncia richiesta presenterebbe il carattere di un intervento di sistema, rimesso alla discrezionalità del legislatore, avendo la Corte affermato, con la sentenza n. 298 del 1995, che spetta al legislatore e solo ad esso non solo la creazione di nuove figure di reato, ma anche la sottrazione di alcune fattispecie alla disciplina comune, per ricondurle ad una disciplina che tuteli più congruamente gli interessi coinvolti;

che infine, con riferimento alla censura relativa all’art. 111 della Costituzione, l’Avvocatura ha dedotto la manifesta infondatezza della sollevata questione, poiché le procedure di entrambe le giurisdizioni hanno la stessa celerità, onde non si comprende per quale motivo la previsione della giurisdizione militare sarebbe più rispettosa del principio della ragionevole durata del processo.

Considerato che il Tribunale militare di La Spezia dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 37 del codice penale militare di pace,  47, secondo comma, numero 2, del codice penale militare di guerra, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 31 gennaio 2002 n. 6 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° dicembre 2001, n. 421, recante disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all'operazione multinazionale denominata «Enduring Freedom». Modifiche al codice penale militare di guerra, approvato con regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303), 314, secondo comma, e 323 del codice penale, in relazione agli artt. 3 e 111 della Costituzione, nella parte in cui il citato art. 47, secondo comma, cod. pen. mil. guerra, prevede che costituiscano reati militari i delitti contro la pubblica amministrazione, e in particolare i delitti di cui agli artt. 314, secondo comma, e 323, cod. pen., se commessi da appartenenti alle Forze armate con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare o in luogo militare, solo in caso di applicazione della legge penale militare di guerra, ancorché in tempo di pace;

che il rimettente, sia pure con effetti limitati alle sole fattispecie di peculato d’uso e di abuso d’ufficio, chiede alla Corte di intervenire sulla norma che definisce la giurisdizione penale dei Tribunali militari in tempo di guerra, specificamente dettata dal legislatore per tale ambito, al fine di estenderne la portata, attraverso una sua manipolazione, anche al tempo di pace;

che l’intervento invocato, proprio perché destinato ad avere effetto solo su alcune ipotesi di reato (quelle di cui agli artt. 314, secondo comma, e 323, cod. pen.), non determinerebbe affatto il superamento di quella frammentazione della giurisdizione che il rimettente chiede di rimuovere;

che l’intervento richiesto, in ogni caso, è di quelli riservati alla discrezionalità del legislatore, in quanto, per la sua portata sistematica, postula una revisione dell’intero quadro normativo in materia;

che la preclusione, per la Corte, di un tale intervento deriva anche dall’ambito su cui esso inciderebbe, che è quello del riparto di giurisdizione e della composizione degli organi giudicanti, trattandosi di materia rimessa all’ampia discrezionalità del legislatore (ordinanze n. 22 e n. 287 del 2007, n. 301 del 2004, n. 204 del 2001);

che, d’altra parte, proprio con riguardo ai reati militari contro la pubblica amministrazione, questa Corte ha già avuto modo di affermare che «nello scegliere il tipo di illecito, militare o comune, il legislatore resta […] libero, purché osservi il canone della ragionevolezza» (sentenza n. 298 del 1995);

che, come affermato da questa stessa Corte, con riferimento all’art. 103 della Costituzione, la scelta di sottrarre alcuni reati alla cognizione del giudice militare, riservandoli alla cognizione del giudice ordinario, in base al criterio «formalistico» di cui all’art. 37, cod. pen. mil. pace, rientra appieno nella discrezionalità del legislatore e non può reputarsi irragionevole, dal momento che la Costituzione non contiene alcuna clausola di riserva esclusiva di giurisdizione a favore dei tribunali militari in tempo di pace e non preclude al Parlamento di estendere la giurisdizione del giudice ordinario, quando sussistano interessi valutati non irragionevolmente come preminenti (sentenze n. 271 del 2000 e n. 81 del 1980);

che, pertanto, la sollevata questione deve considerarsi manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 37 del codice penale militare di pace, 47, secondo comma, numero 2), del codice penale militare di guerra, aggiunto dall’art. 2, comma 1, lettera c), della legge 31 gennaio 2002, n. 6 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° dicembre 2001, n. 421, recante disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all'operazione multinazionale denominata «Enduring Freedom». Modifiche al codice penale militare di guerra, approvato con regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303), 314, secondo comma, e 323 del codice penale, sollevata, con riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale militare di La Spezia con l’ordinanza in epigrafe.

         Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° dicembre 2008.

F.to:

Giovanni Maria FLICK, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 dicembre 2008.