Sentenza n. 287 del 2007

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SENTENZA N. 287

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-         Franco                                          BILE                                      Presidente

-         Giovanni Maria                            FLICK                                   Giudice

-         Francesco                                     AMIRANTE                               "

-         Ugo                                              DE SIERVO                               "

-         Paolo                                            MADDALENA                          "

-         Alfio                                            FINOCCHIARO                        "

-         Alfonso                                        QUARANTA                             "

-         Franco                                          GALLO                                      "

-         Luigi                                            MAZZELLA                              "

-         Gaetano                                       SILVESTRI                                "

-         Sabino                                          CASSESE                                   "

-         Maria Rita                                    SAULLE                                    "

-         Giuseppe                                      TESAURO                                 "

-         Paolo Maria                                  NAPOLITANO                          "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), promossi con due ordinanze del 10 gennaio 2006 dalla Corte d’appello di Genova nei procedimenti civili vertenti tra Cinti Enrico ed altri, Lagasco Antonio e la Presidenza del Consiglio dei ministri iscritte ai nn. 69 e 72 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visti l’atto di costituzione di Martino Giuseppe e di De Cianni Sabatino nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2007 e nella camera di consiglio del 6 giugno 2007 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto in fatto

1. – La Corte d’appello di Genova, con ordinanza depositata il 10 gennaio 2006 (reg. ord. n. 69 del 2006) – nel corso di un giudizio promosso da Cinti Enrico, Clementi Mario, Cuccaro Giovanni, De Cianni Sabatino, Della Sala Domenico, Galletti Manuela quale erede di Galletti Danilo, Gepponi Mario, La Rocca Giovanni, Mannucci Maria Pia quale erede di Coppolino Emanuele, Martino Giuseppe, Massariello Vincenzo, Merlino Domenico, Miola Martino, Morrocchi Learco, Musicco Giuseppe, Passatelli Alcibiade e Pezza Ivo nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, avente ad oggetto l’indennizzo per l’irragionevole durata del processo innanzi al TAR della Toscana, promosso il 22 gennaio 1996 e concluso solo il 19 maggio 2003, avente ad oggetto il diritto all’estensione dell’indennità militare di cui all’art. 2 del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1987, n. 468, e di cui all’art. 9 della legge 8 agosto 1990, n. 231, nonché del diritto alla commutabilità della suddetta indennità militare nel computo dell’indennità di buonuscita – ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui la regola della competenza territoriale funzionale della corte d’appello determinata ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale, da esso prevista, non è applicabile anche a tutte le giurisdizioni speciali, tra le quali quella della Corte dei conti, per violazione degli artt. 97, primo comma, e 108, primo e secondo comma, della Costituzione.

Il giudice a quo espone di aver ritenuto, in passato, che la competenza per le cause di indennizzo per l’irragionevole durata del processo dovesse esser determinata ai sensi dell’art. 3, comma 1, della citata legge n. 89 del 2001 anche con riferimento ai giudizi promossi davanti alle giurisdizioni amministrative; che alla stessa tesi ha, nella specie, aderito la Corte d’appello di Firenze, dichiaratasi incompetente nel giudizio di equa riparazione per il ritardo verificatosi nel processo svoltosi davanti al TAR della Toscana e che tale giudizio è stato riassunto di fronte alla Corte d’appello di Genova.

Secondo la Corte di cassazione, viceversa, al fine di individuare il giudice competente, il riferimento al distretto cui appartiene il giudice che si è occupato o si occupa del procedimento in relazione al quale l’equa riparazione è chiesta comporta l’applicazione del criterio di competenza, di cui alla norma citata, esclusivamente ai magistrati ordinari, per i quali soltanto, ad eccezione di quelli che svolgono le loro funzioni presso la stessa Corte di cassazione, è prevista l’articolazione territoriale su base distrettuale. I tribunali amministrativi, così come le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, sono articolati in circoscrizioni regionali, ed hanno sede nei capoluoghi di regione, per cui i giudici di queste giurisdizioni non fanno parte di alcun distretto di corte di appello, il che è sufficiente per escludere l’applicabilità ai detti giudici del criterio di competenza stabilito dalla norma censurata. L’art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001 ha, d’altro canto, inteso derogare ai criteri generali di competenza allo scopo di evitare che i giudizi in tema di equa riparazione fossero decisi da magistrati ordinari (e quindi dello stesso ordine di quelli davanti ai quali il processo ha avuto irragionevole durata), introducendo un principio di imparzialità che non viene in discussione nei rapporti tra magistrati appartenenti ad ordini giurisdizionali distinti; con la conseguenza che la norma denunciata, per il suo carattere derogatorio e perciò eccezionale, non può essere applicata in via analogica o estensiva oltre i casi da essa considerati. Pertanto, nei giudizi per equa riparazione, in relazione alla dedotta durata irragionevole di processi celebrati davanti a giudici non articolati su base distrettuale, la competenza per territorio deve essere individuata secondo i princípi generali, ed essendo convenuta in giudizio un’amministrazione dello Stato, si applica l’art. 25 del codice di procedura civile (foro della pubblica amministrazione), secondo il quale la competenza appartiene alla corte di appello nel distretto della quale si trova il luogo ove è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione, e cioè il medesimo in cui ha sede il giudice speciale.

Secondo il giudice a quo, l’interpretazione della Suprema corte, che sembra travalicare il dettato letterale del censurato art. 3, non tutela adeguatamente l’esigenza di indifferenza personale del giudice, messa in pericolo dalla convivenza dei magistrati dei vari ordini nella medesima sede funzionale, e a questa esigenza presiede direttamente e letteralmente l’art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001 «senza alcun ricorso pertanto ad inutili interpretazioni estensive od analogiche e con pronuncia di incostituzionalità di quella consolidatasi».

Dal momento che la Corte di cassazione ha escluso che un problema di imparzialità ed indipendenza dell’organo giudicante possa ritenersi esistente tra i magistrati ordinari appartenenti a corti di appello diverse, anche se gli uni giudicano dei ritardi degli altri o dei loro colleghi e segretari, non si vede perché, all’opposto, la convivenza nella stessa sede non debba assumere un rilievo costituzionalmente rilevante per i giudizi di cui alla legge n. 89 del 2001 quando i giudici appartengono a diverse giurisdizioni, non apparendo, anche in questa circostanza, sufficienti a garantire l’imparzialità e l’indipendenza del giudicante (valori costituzionalmente protetti) gli istituti dell’astensione e della ricusazione, che fanno riferimento a casi singoli e non a situazioni generali già in astratto riscontrabili.

Con particolare riguardo ai giudizi per equo indennizzo da irragionevole durata del processo davanti alla Corte dei conti, il giudice ordinario si trova a giudicare di «eventuali ritardi ingiustificati (anche eventualmente addebitabili direttamente ai magistrati della Corte dei conti con le relative conseguenze amministrative) proprio di quegli stessi magistrati, e del relativo personale, conviventi nella medesima sede del distretto di corte d’appello, dinanzi ai quali a loro volta potrebbero doversi difendere per ritardi ingiustificati egli stesso o i suoi colleghi di sede o il relativo personale di cancelleria (art. 5 della legge n. 89 del 2001)», con evidente confusione tra controllori e controllati che inevitabilmente consegue in relazione al medesimo tipo di controversia (che riguarda i ritardi dei processi). Né la Corte di cassazione individua alcuna differenza di argomenti per stabilire la competenza territoriale funzionale a giudicare dell’equo indennizzo in relazione ai procedimenti iniziati presso le varie giurisdizioni speciali, assoggettandole tutte a quella individuabile ai sensi dell’art. 25 cod. proc. civ., in alternativa a quella prevista dall’art. 3 della legge n. 89 del 2001 per i magistrati ordinari.

Sotto il profilo della rilevanza della questione, la Corte d’appello di Genova osserva che, a séguito della intervenuta riassunzione dinanzi a sé del giudizio di equa riparazione per irragionevole durata di processo celebrato davanti al TAR della Toscana, sul quale la Corte d’appello di Firenze si è dichiarata incompetente, dovrebbe, ove volesse seguire il diritto vivente, sollevare di ufficio conflitto di competenza, a meno che la norma di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001, non venisse dichiarata incostituzionale, nella parte in cui attribuisce la competenza alla corte di appello del medesimo distretto in cui opera il giudice speciale. In conclusione, il disposto dell’art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001, nell’interpretazione consolidata della Suprema Corte e di quasi tutte le corti di merito, e perciò tale da costituire ormai vero e proprio diritto vivente, dovrebbe essere ritenuto costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 97, primo comma, e 108, primo e secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non risulta applicabile per la determinazione della competenza territoriale funzionale della corte d’appello adita ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen., anche a tutte le giurisdizioni speciali tra le quali quella della Corte dei conti, con la conseguenza che l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità non potrebbe riferirsi solo alla Corte dei conti, ma a tutte le predette giurisdizioni speciali, tra cui in primo luogo quella del giudice amministrativo.

2. – Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti, con separati atti, De Cianni Sabatino e Martino Giuseppe, ricorrenti del procedimento per l’equa riparazione, i quali eccepiscono l’inammissibilità della questione sollevata, posto che la competenza della Corte d’appello di Genova è radicata in modo incontestabile in quanto fissata, nel processo a quo, dalla Corte d’appello di Firenze, la cui sentenza di incompetenza non è stata impugnata dalle parti con regolamento di competenza; e deducono, nel merito, la manifesta infondatezza della questione, alla luce della costante giurisprudenza della Corte di cassazione, aggiungendo che l’affermazione della tesi del giudice rimettente, determinerebbe un assoluto caos negli uffici giudiziari.

3. – La stessa Corte d’appello di Genova, con ordinanza depositata il 10 gennaio 2006 (reg. ord. n. 72 del 2006) – nel corso di un giudizio promosso da Lagasco Antonio nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, per il riconoscimento dell’indennizzo per l’irragionevole durata di un processo da lui introdotto davanti alla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale di Roma, e poi davanti alla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Liguria – ha sollevato questione di legittimità costituzionale, dell’art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, nella parte in cui, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, non è applicabile per la determinazione della competenza territoriale funzionale della corte d’appello, ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen., anche a tutte le giurisdizioni speciali, tra le quali quella della Corte dei Conti, per violazione degli artt. 97, primo comma, e 108, primo e secondo comma, Cost.

Il giudice a quo riferisce che il ricorso proposto dal Lagasco, diretto a ottenere l’annullamento del decreto del Ministro delle poste e telecomunicazioni del 24 gennaio 1990, con cui gli era stato comunicato il rigetto della sua domanda di pensione privilegiata, era stato introdotto avanti alla Corte dei conti di Roma fin dall’8 ottobre 1990, e che il procedimento, trasmigrato con l’entrata in vigore della legge 14 gennaio 1994 n. 19, presso la sezione regionale della Corte dei conti per la Liguria e regolarmente proseguito, si era concluso con sentenza di rigetto solo il 2 maggio 2005, per una durata complessiva, dunque, di 14 anni e 7 mesi circa, con conseguenti gravi mortificazioni e disagi.

Ciò premesso, il giudice a quo espone che, in passato, ha ritenuto che la competenza nelle cause di indennizzo per l’irragionevole durata del processo dovesse esser determinata ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 1991, anche con riferimento ai giudizi davanti alle giurisdizioni amministrative, e che, per tale motivo, sul ricorso del Lagasco dovrebbe configurarsi la competenza della Corte d’appello di Torino (trattandosi di incompetenza territoriale funzionale, rilevabile d’ufficio).

La Corte d’appello di Genova, però, ritiene di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001, che le imporrebbe una dichiarazione d’incompetenza, con la conseguente rilevanza della questione, adducendo le medesime argomentazioni in precedenza riferite e relative all’ordinanza n. 69 del 2006.

4. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi la manifesta inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.

5. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la difesa erariale ha depositato una memoria con la quale insiste nelle formulate conclusioni, per non avere il giudice rimettente interpretato la norma denunciata in modo costituzionalmente orientato, e cioè nel senso dell’applicabilità della norma stessa anche a tutte le giurisdizioni speciali, o per difetto di motivazione dell’ordinanza di rimessione sulla possibilità di una ermeneutica alternativa della norma, conforme a Costituzione.

Considerato in diritto

1. – La Corte d’appello di Genova, con due separate, ma sostanzialmente identiche, ordinanze, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), nella parte in cui non dispone che la competenza territoriale funzionale della corte di appello, così come regolata dall’art. 11 del codice di procedura penale, per i giudizi di equa riparazione, si estenda anche ai procedimenti, di cui si lamenta l’irragionevole durata, svolti davanti alla Corte dei conti ed alle altre giurisdizioni di cui all’art. 103 della Costituzione, per violazione degli articoli 97, primo comma. e 108, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto la convivenza del giudice del merito nella medesima sede del giudice dell’equa riparazione non garantisce l’imparzialità e l’indipendenza di quest’ultimo.

2. – Le due ordinanze sollevano la stessa questione di legittimità costituzionale, onde deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi, per essere congiuntamente decisi.

3. – L’art. 3, comma 1, della legge n. 89 del 2001 stabilisce che «La domanda di equa riparazione si propone dinanzi alla corte d’appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata».

La costante giurisprudenza di legittimità e quella di merito sono nel senso che, in tema di equa riparazione per violazione del termine di durata ragionevole del processo, la norma censurata, nel disporre che la relativa domanda si propone dinanzi alla corte d’appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell’art. 11 cod. proc. pen., fa riferimento alla sola articolazione territoriale della giurisdizione ordinaria, e che il carattere eccezionale della norma ne impedisce ogni interpretazione estensiva o applicazione analogica, con la conseguenza che, nel caso in cui il giudizio si sia svolto innanzi a giudici non ordinari – siano essi il TAR o una sezione giurisdizionale della Corte dei conti, i cui magistrati non fanno parte di alcun distretto di corte d’appello, al di là della coincidenza di mero fatto, tra ambito del distretto ed ambito della circoscrizione della sezione, quanto al territorio regionale – il giudice competente va individuato secondo gli ordinari criteri dettati dal codice di procedura civile e, in particolare, essendo convenuta una amministrazione dello Stato, dall’art. 25 cod. proc. civ.

Tale interpretazione, che costituisce ormai diritto vivente, non è condivisa dal giudice rimettente, il quale ritiene che la stessa travalicherebbe il dettato letterale dell’art. 3, e non tutelerebbe adeguatamente l’esigenza di indifferenza personale del giudice, messa in pericolo dalla convivenza dei magistrati dei vari ordini nella medesima sede funzionale; mentre gli istituti dell’astensione e della ricusazione che fanno riferimento a casi singoli e non a situazioni generali già in astratto riscontrabili, non sarebbero sufficienti a garantire l’imparzialità e l’indipendenza del giudicante. Ulteriore motivo per l’applicazione della norma censurata anche nei confronti dei giudici speciali è ravvisato nel fatto che, come il giudice contabile può essere dichiarato responsabile per violazione del termine di durata ragionevole del processo, così il giudice ordinario che opera nello stesso distretto potrebbe doversi difendere per ritardi ingiustificati, con evidente confusione tra controllori e controllati che inevitabilmente consegue in relazione al medesimo tipo di controversia (che riguarda i ritardi dei processi).

4. – La questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 97, primo comma, della Costituzione non è fondata, perché il principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, sancito dalla predetta norma costituzionale, riguarda gli organi di amministrazione della giustizia unicamente per profili concernenti l’ordinamento degli uffici giudiziari e il loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo, ma non si estende alla giurisdizione ed ai provvedimenti che ne costituiscono espressione (ex plurimis, ordinanze n. 122 del 2005; n. 94 del 2004 e n. 458 del 2002).

5. – Né è fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 108 della Costituzione.

Questa Corte, investita ripetutamente di questioni di costituzionalità in tema di competenza territoriale per i giudizi riguardanti magistrati ordinari per la mancata determinazione della competenza, facendo applicazione dell’art. 11 cod. proc. pen., ha affermato, a prescindere dalle soluzioni in concreto adottate, che l’esigenza di intervenire con strumenti legislativi a garanzia della terzietà e imparzialità del giudice ha pieno valore costituzionale in qualsiasi tipo di processo, ma nel contempo ha posto in risalto le differenze fra processo penale e processo civile, specie per la disomogeneità degli interessi in questo coinvolti, che giustifica la molteplicità dei fori civili rispetto all’unico foro del commesso reato. E ne ha dedotto che l’estensione dell’art. 11 cod. proc. pen. ad ogni procedimento civile non solo non è costituzionalmente obbligata, ma comporterebbe una deroga generalizzata a plurime specifiche regole di competenza, ciascuna adeguata a garantire il pieno esercizio del diritto delle parti di agire e di difendersi in un singolo tipo di controversia, con il rischio di gravi compressioni di tale diritto (sentenza n. 51 del 1998). Ne consegue che il legislatore deve procedere (secondo ragionevolezza e nel rispetto dei princípi costituzionali) ad un bilanciamento fra l’interesse alla imparzialità-terzietà del giudice civile e quello alla pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, con riguardo non al processo civile in genere, ma alle sue singole tipologie, nel senso che è a lui rimesso di stabilire quando ricorra quell’identità di ratio che imponga l’estensione del criterio di cui si tratta, e quando invece ciò non avvenga affatto o la stessa finalità sia realizzabile attraverso la previsione di un foro derogatorio appropriato alla specifica materia (sentenze n. 332 del 2003 e n. 458 del 2000).

Alla generalità di tale principio non sfugge la competenza per le cause di equa riparazione, il cui carattere derogatorio ha indotto la Corte di cassazione a circoscrivere l’applicazione della norma censurata alle ipotesi di appartenenza dei giudici chiamati a giudicare sul diritto a tale riparazione allo stesso ordine dei giudici dalla cui attività sia derivato il danno per l’eventuale irragionevole durata del processo.

Il dubbio di costituzionalità, relativamente ai giudici amministrativi, non è formulabile sul mero dato della appartenenza degli stessi giudici alla medesima sede di Corte d’appello; né è formulabile nei confronti dei giudici contabili.

E’, infatti, alquanto remota la connessione tra le evenienze in cui, da un lato, il giudice ordinario conosce di ritardi della Corte dei conti e, dall’altro, la Corte dei conti della stessa sede conosce della responsabilità amministrativa di quei magistrati ordinari o dei loro colleghi o collaboratori: in entrambi i casi, l’avvio del procedimento di responsabilità per il danno erariale non è effetto automatico della condanna dello Stato nel giudizio di equa riparazione. Inoltre, nel secondo caso, se la responsabilità amministrativa del giudice ordinario – come ipotizzato dal giudice a quo – derivi dai propri ritardi, preliminarmente all’iniziativa, sempre solo eventuale, del Procuratore generale presso la Corte dei conti, dovrebbe intervenire una sentenza di condanna dello Stato da parte della corte d’appello del diverso distretto di cui all’art. 11 cod. proc. pen..

Il pericolo per l’imparzialità del giudice è talmente ipotetico che è giustificato rimetterne comunque la valutazione alla discrezionalità del legislatore, cui è tradizionalmente attribuito l’apprestamento di misure idonee a salvaguardare tale valore costituzionale, ove non ritenga che esso sia sufficientemente assicurato dagli istituti dell’astensione e della ricusazione, ferma restando la ragionevolezza dell’art. 3 della legge n. 89 del 2001, nell’interpretazione restrittiva oggi diritto vivente.

Il rimettente invoca la giurisprudenza della Corte di cassazione che ha escluso dubbi di costituzionalità nell’attribuzione della conoscenza del ritardo di magistrati ordinari ad altri magistrati ordinari, ritenendo che l’appartenenza di questi ultimi ad altro distretto salvaguardi la garanzia d’imparzialità; ma da ciò non può inferirsi che l’appartenenza ad altro distretto sia l’unica e insostituibile garanzia d’imparzialità, sia perché quella giurisprudenza ha comunque ricordato gli istituti dell’astensione e della ricusazione, sia perché, nel caso di specie, è assorbente la considerazione dell’appartenenza di giudici controllanti e controllori ad ordini giurisdizionali diversi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), sollevata, in riferimento agli artt. 97, primo comma, e 108, primo e secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Genova con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2007.