Ordinanza n. 258/2003

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ORDINANZA N.258

ANNO 2003

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, e 500 del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Potenza con ordinanza del 12 giugno 2001, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 2 luglio 2003 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con ordinanza del 12 giugno 2001 il Tribunale di Potenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, del codice di procedura penale, nonché, in riferimento agli stessi parametri (eccettuato l’art. 97 Cost.), questione di legittimità costituzionale dell'art. 500 del medesimo codice;

che, per quanto concerne la questione di costituzionalità dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen., il Tribunale premette che la norma censurata vieta all'ufficiale di polizia giudiziaria, indicato come teste dal pubblico ministero, di riferire sulle dichiarazioni, regolarmente verbalizzate, rese nel corso delle indagini preliminari da alcuni testimoni già escussi in precedenti udienze;

che, nel merito, il rimettente ritiene che il divieto per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria di deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), cod. proc. pen., violi gli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 Cost., e cioè i principi costituzionali posti a garanzia della "eguaglianza tra le persone, formale e sostanziale (art. 3)"; della "ragionevolezza delle previsioni legislative (art. 3)"; del "diritto di difesa, nell'accezione di difesa non solo dell'imputato ma anche delle persone offese dai reati (art. 24)"; del "diritto alla sicurezza dei consociati e correlativo dovere per lo Stato di mantenere la pace tra di essi, dovere cui è strumentale la repressione dei reati, la ricerca dei responsabili e l'accertamento giusto e rapido della responsabilità penale degli imputati colpevoli e della innocenza di quelli incolpevoli (artt. 2, 3, 25, 97, 111 e 112)"; del "principio della non dispersione dei mezzi di prova nell'interesse della giustizia e della ricerca nel processo penale della verità storica e non già di quella meramente processuale (artt. 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112)"; del "principio della parità tra accusa e difesa (artt. 3, 24, 111 e 112)";

che in particolare, ad avviso del giudice a quo, "la eccezione posta dal comma 4 dell'art. 195 cod. proc. pen. alla generale disciplina dell'art. 195 e alla capacità di testimoniare appartenente ad ogni persona" sarebbe irragionevole sulla base delle stesse considerazioni svolte nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 1992;

che tali ragioni non potrebbero ritenersi superate per effetto del mutato quadro costituzionale, in quanto neppure il principio del contraddittorio nella formazione della prova, introdotto nell'art. 111 Cost., sarebbe sufficiente a giustificare il divieto per l'appartenente alla polizia giudiziaria di rendere dichiarazioni de relato, dal momento che tale prova verrebbe assunta in udienza, davanti a un giudice terzo e imparziale;

che, quanto alla questione relativa all'art. 500 cod. proc. pen., la disposizione, nella parte in cui non prevede che le dichiarazioni utilizzate per la contestazione sono acquisite al fascicolo per il dibattimento e possono concorrere, unitamente ad altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità, a fondare il convincimento del giudice, sarebbe viziata dagli stessi profili di illegittimità costituzionale individuati dalla Corte nella sentenza n. 255 del 1992, dal momento che, nonostante il mutato assetto normativo, il fine ineludibile del processo penale resterebbe quello della ricerca della verità storica e non meramente processuale, dovendosi comunque assicurare "al giudice la piena conoscenza dei fatti onde consentirgli di pervenire ad una giusta decisione";

che la norma censurata, prevedendo invece che le dichiarazioni oggetto di contestazione possono essere valutate soltanto ai fini della credibilità del teste anche nel caso in cui questi non sia in grado di rispondere perché non ricorda, impedisce "al giudice di avere piena conoscenza dei fatti che deve giudicare e limita, sino a snaturarla, la peculiare funzione del giudice penale (artt. 101 e 111 Cost.); priva di efficacia la legge penale sostanziale (art. 25 Cost.); lede il diritto costituzionale di azione della parte pubblica e della parte civile (artt. 3, 24 e 112 Cost.); svuota di effettiva tutela i diritti inviolabili dell'individuo riconosciuti dalla Costituzione e salvaguardati dalla legge penale (artt. 2, 25, 112 Cost.)", violando così anche il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.);

che la disposizione censurata non troverebbe giustificazione nel nuovo art. 111 Cost. poiché il "meccanismo della acquisizione delle precedenti dichiarazioni nell'ipotesi in cui permanga difformità all'esito della lettura-contestazione" non inciderebbe in alcun modo sul principio del contraddittorio nella formazione della prova, né sui principi di oralità e immediatezza, comunque salvaguardati dal meccanismo dell'esame e del controesame del teste condotto dalle parti, ma violerebbe il principio del libero convincimento del giudice e i principi posti a garanzia della parità tra le parti, del diritto di azione, del diritto di difesa delle parti civili e, infine, dei diritti fondamentali dell'individuo, come singolo e nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (artt. 2, 3, 24, 25, 112 Cost.);

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate, riportandosi all'atto di intervento depositato nel giudizio deciso con la sentenza n. 32 del 2002.

Considerato che il Tribunale di Potenza dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, e 500 cod. proc. pen., il primo nella parte in cui vieta agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria di rendere testimonianza sul contenuto delle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lettere a) e b), dello stesso codice, ed il secondo nella parte in cui consente di utilizzare i verbali usati per le contestazioni solo al fine di valutare la credibilità del teste;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con l'ordinanza n. 293 del 2002, ha dichiarato manifestamente infondate questioni identiche sollevate dal medesimo rimettente, richiamando, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 195, comma 4, cod. proc. pen., la sentenza n. 32 del 2002 e la successiva ordinanza n. 292 del 2002 e, in relazione alla questione di costituzionalità dell’art. 500 (commi 2 e 7) cod. proc. pen., l'ordinanza n. 36 del 2002;

che ulteriori analoghe questioni aventi ad oggetto, rispettivamente, l'art. 195, comma 4, e, sotto diverse angolazioni, l'art. 500 cod. proc. pen. sono state dichiarate manifestamente infondate con le ordinanze n. 489 e n. 325 del 2002 e con le ordinanze n. 473, n. 431 e n. 365 del 2002;

che, non risultando profili nuovi rispetto a quelli già valutati con le richiamate pronunce, le questioni vanno dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, e 500 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 111 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Potenza con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2003.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2003.