Sentenza n. 208/2001

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SENTENZA N. 208

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI                    

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, recante "Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto", promossi con ricorsi delle Regioni Piemonte, Veneto e Lombardia, notificati il 24 marzo 1999, depositati in cancelleria, i primi due, il 31 marzo e, il terzo, il 1° aprile 1999 ed iscritti rispettivamente ai nn. 10, 11 e 12 del registro ricorsi 1999.

  Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica del 6 febbraio 2001 il Giudice relatore Fernanda Contri;

  uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per le Regioni Piemonte e Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Giancarlo Mandò per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Piemonte ha sollevato in via principale, in riferimento agli artt. 3, 53, 76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), recante - a tenore della rubrica - "Interpretazione autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale".

La disposizione censurata ha ad oggetto l’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), che disciplina le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, disponendo che esse "sono applicate a titolo di imposta nei confronti dei soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche ed in ogni altro caso". L’impugnata disposizione interpretativa stabilisce che la riportata norma, "riguardante l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche".

Ad avviso della ricorrente, il denunciato art. 14 della legge n. 28 del 1999 risulta irragionevole innanzi tutto alla luce dell’art. 88, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), a norma del quale - in sèguito ad una modifica introdotta, con effetto dal 1° gennaio 1991, dall’art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 310 del 1990, convertito nella legge n. 403 del 1990 - non sono soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche "gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, [i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demani collettivi,] le comunità montane, le province e le regioni". E’ "contraddittorio", osserva a questo riguardo la difesa della Regione, ed in contrasto con il principio di capacità contributiva, "prevedere, ad un tempo, la non assoggettabilità a tributo di un dato soggetto e l’obbligo, per questo, di sottoporsi ad una ritenuta d’imposta", senza, tra l’altro - in contrasto con il principio di eguaglianza - che sia contemplata la possibilità di recuperare tale ritenuta in sede di dichiarazione annuale, secondo quanto previsto prima della modifica dell’art. 88 del testo unico, quando la regione, soggetto passivo Irpeg, era tenuta a differenziare le proprie operazioni, a contabilizzare a parte quelle fiscalmente rilevanti e a subire la ritenuta a titolo d’imposta, accompagnata dalla facoltà di recupero.

In altri termini, l’art. 53 della Costituzione ed il principio di ragionevolezza risulterebbero violati "poichè la ritenuta a titolo d’imposta cade su somme depositate in conto corrente che non sono correlate al presupposto in base al quale un soggetto é colpito dall’Irpeg: infatti, la Regione non compie – per definizione, ex art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 – le attività di cui all’art. 51 del medesimo decreto presidenziale e, nondimeno, é tenuta a subire un prelievo che si traduce in un esborso sine titulo".

Il principio di ragionevolezza, ad avviso della ricorrente, avrebbe subito un vulnus dalla disciplina denunciata anche a causa dell’uso distorto da parte del legislatore, in questa occasione, dello strumento della legge interpretativa: "la preoccupazione di acquisire disponibilità finanziarie, accompagnata dal metodo concretamente prescelto – ricorso alla legge interpretativa, perchè retroattiva, incidente non sulla soggettività tributaria sostanziale, ma su un meccanismo procedurale, qual é lo strumento della ritenuta – ha portato alla manipolazione artificiosa del sistema creato con l’art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 ed alle conseguenti ... distorsioni".

Le denunciate distorsioni si traducono, secondo la difesa della Regione Piemonte, in una lesione dell’autonomia finanziaria della stessa e del suo status costituzionale complessivamente inteso, come definito dagli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione. A questo riguardo, nel ricorso, si legge: "là dove il legislatore ha surrettiziamente assoggettato ad Irpeg, attraverso una ritenuta a titolo d’imposta, la Regione, dopo averla esclusa dall’area di operatività del tributo, in violazione tra l’altro degli artt. 3, 53 e 97 Cost. ..., ha disposto un prelievo coatto a carico di disponibilità regionali costitutive dell’autonomia finanziaria dell’ente".

Nel ricorso si rammenta che alla citata modifica apportata nel 1990 all’art. 88 del testo unico - per equiparare gli enti territoriali allo Stato nel regime di esclusione dall’Irpeg, analogamente a quanto già previsto per diversi altri tributi - anche l’amministrazione finanziaria si é inizialmente adeguata con la risoluzione ministeriale 11 novembre 1991 n. 11/733 e con la risoluzione della Direzione generale delle imposte dirette 8 gennaio 1993, n. 8/645.

Alla modifica dell’art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986, ad opera del citato decreto-legge n. 310 del 1990, si é successivamente adeguata - afferma, con dovizia di riferimenti, la difesa della Regione - la giurisprudenza tributaria.

D’altra parte, deduce la ricorrente, "é solo equivocando circa il significato dell’espressione ‘in ogni altro caso’ (di cui all’art. 26, 4° comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 ...) che si può pretendere di annoverare i soggetti esclusi dall’ambito di operatività dell’Irpeg tra quelli tenuti a subire la ritenuta d’imposta"; e ciò, si legge nel ricorso, anche per una ragione ulteriore: "poichè la norma del quarto comma dell’art. 26 preesisteva alla modifica introdotta dal T.U., non poteva prevedere ipotesi di non soggettività allora inesistenti completamente, ma solo ipotesi di esenzione dall’Irpeg tutte disciplinate dal d.P.R. n. 601 del 1973", coerentemente con le disposizioni della legge di delega per la riforma tributaria n. 825 del 1971, che, opinando diversamente, nel senso poi disposto dalla disposizione censurata, risulterebbe, ad avviso della Regione, violata, unitamente all’art. 76 della Costituzione.

La ritenuta a titolo d’imposta di cui si tratta appare alla ricorrente ancor più irragionevole in quanto si consideri che i fondi di tesoreria, nel sistema di tesoreria unica di cui alla legge n. 720 del 1984, "non sono depositi bancari". Le somme generatrici degli interessi colpiti dalla ritenuta "concernono risorse che affluiscono alla Regione nell’ambito del sistema di tesoreria unica ..., risorse che sono della Regione e che nulla hanno a che vedere con il presupposto dell’Irpeg".

2. - Nel giudizio davanti a questa Corte, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso della Regione Piemonte.

Secondo l'Avvocatura, il ricorso sarebbe anzitutto inammissibile in quanto la Regione agirebbe "come contribuente", lamentando una lesione di competenze di cui in realtà non dispone. La Regione "non ha competenza alcuna in materia di imposizione sul reddito", nè "può pensarsi che l’obbligazione di imposta ossia il prelievo a carico di disponibilità finanziarie regionali limiti l’autonomia garantita dall’art. 119 Cost.". Si tratterebbe di un effetto di mero fatto del tutto irrilevante: diversamente, rileva la difesa erariale, "si dovrebbe ritenere che può portarsi sul piano costituzionale ogni rapporto nel quale la Regione possa configurarsi come debitore".

Nel merito, si osserva che "la ritenuta di imposta é una imposizione reale distinta dalla imposizione personale sul reddito, sì che non vi é contraddizione tra non soggezione all’Irpeg e soggezione alla ritenuta". L’art. 26 del d.P.R. n. 600, aggiunge l’Avvocatura, prevede "che alla ritenuta sono tenuti tutti i soggetti (anche lo Stato)" e "solo perchè si é aperto sul punto un esteso contenzioso é apparso opportuno emanare una norma interpretativa che é veramente tale".

3. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione Veneto ha sollevato in via principale, in riferimento agli artt. 3, 53, 76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28.

Nell’atto introduttivo del presente giudizio, la difesa della Regione Veneto svolge le medesime deduzioni contenute nel ricorso della Regione Piemonte, testè illustrate.

4. - Nel giudizio davanti a questa Corte, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso della Regione Veneto, sulla scorta degli stessi argomenti già addotti avverso il ricorso della Regione Piemonte.

5. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, anche la Regione Lombardia ha sollevato in via principale, in riferimento agli artt. 53, 76, 101, secondo comma, 114, 115 e 119 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28.

Nei confronti della disciplina impugnata, il ricorso della Regione Lombardia prospetta censure in larga misura coincidenti con quelle, già esaminate, contenute nei ricorsi delle Regioni Piemonte e Veneto.

La ricorrente lamenta innanzi tutto la violazione del combinato disposto degli artt. 114, 115, 119, 53 e 76 della Costituzione, così come attuati dall'art. 88 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 ed in relazione ai princìpi della legislazione tributaria e ai princìpi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative.

Sotto quest'ultimo profilo, la difesa della Regione, richiamando alcune decisioni costituzionali, censura l'uso distorto - e lesivo dei princìpi di ragionevolezza e affidamento - dello strumento della legge interpretativa da parte del legislatore statale, escludendo la riconducibilità (del contenuto) della legge denunciata ad uno dei possibili significati della legge interpretata. A questo proposito, si osserva che l'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, oggetto della denunciata legge interpretativa, nella parte in cui dispone che le ritenute sono applicate a titolo di imposta nei confronti dei soggetti esenti da Irpeg "ed in ogni altro caso", va interpretato alla luce della legge di delega, la quale, "nel prevedere la ritenuta (a titolo d'acconto o d'imposta) sui redditi di capitale corrisposti esclusivamente a soggetti Irpeg o a soggetti esenti, aveva dimostrato la chiara intenzione di non assoggettare al prelievo alla fonte i soggetti esclusi dal tributo".

La Regione Lombardia censura la previsione legislativa che assoggetta le regioni alla ritenuta alla fonte a titolo di imposta, sottolineando altresì che, "in base ai principi propri della legislazione tributaria, la posizione di 'contribuente sostituito' postula necessariamente la soggettività ai fini dell'imposta: se ne deduce che, in difetto, la ritenuta non può essere applicata".

La disciplina impugnata sarebbe d'altro canto in contrasto con l'art. 119 della Costituzione, giacchè l'esclusione dall'Irpeg della regione deriverebbe dalla sua natura di ente politico e sarebbe pertanto "direttamente collegata" con il suo grado di autonomia finanziaria costituzionalmente garantita.

La difesa della Regione osserva poi che l'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, oggetto di interpretazione autentica, "deve dettare esclusivamente disposizioni in ordine all'applicazione dell'imposta, non potendo attrarre a tassazione ciò che la disciplina istitutiva esclude"; anche perchè, si legge nel ricorso, il d.P.R. n. 600 del 1973 "é stato emanato in attuazione di una delega relativa al solo accertamento e non anche alla potestà impositiva": attraverso una disposizione in materia di riscossione - conclude su questo punto la Regione, censurando la "intrinseca contraddittorietà" della disposizione impugnata - si determina "una sostanziale reviviscenza della soggettività tributaria esclusa da una norma di diritto sostanziale".

Sulla scorta di ampi richiami di giurisprudenza costituzionale, la difesa della Regione si duole poi della lesione dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione. L'impugnata disciplina sarebbe infatti "finalizzata a bloccare le numerose richieste di rimborso avanzate dagli enti locali a seguito della intervenuta esclusione degli stessi dall'applicazione dell'imposta sui redditi delle persone giuridiche e ad incidere, di conseguenza, sui giudizi in corso". Ad avviso della ricorrente, l'orientamento della prevalente giurisprudenza tributaria, nonchè la discrepanza tra la risoluzione ministeriale dell'8 gennaio 1993 n. 8/645 e quella, successiva, del 28 dicembre 1993, n. 5/846 "inducono a ritenere che l'introduzione nel nostro ordinamento dell'art. 14 della legge n. 28 del 1999 sia stata chiaramente finalizzata ad interferire sui giudizi instaurati dagli enti contemplati dall'art. 88 del d.P.R. n. 917 del 1986 per il rimborso delle ritenute applicate a loro carico ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973".

6. - Anche in questo giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso della Regione Lombardia, sulla scorta dei medesimi argomenti, già illustrati, addotti avverso i primi due ricorsi.

7. - In prossimità dell’udienza, la Regione Piemonte ha depositato una memoria illustrativa per insistere nelle censure prospettate in sede di ricorso e per argomentarne più diffusamente i motivi.

In particolare, quanto alla natura del contestato prelievo, la Regione sottolinea che la ritenuta, d’acconto o a titolo d’imposta, "rappresenta una obbligazione di carattere strumentale, comunque riconducibile a un soggetto passivo (in senso sostanziale) di un rapporto giuridico d’imposta".

In merito all’asserita lesione della propria autonomia finanziaria, la ricorrente replica alle obiezioni dell’Avvocatura precisando che tale lesione deriverebbe soprattutto dal carattere retroattivo della disposizione impugnata, illegittimamente incidente sulla consistenza delle risorse finanziarie della Regione.

8. - In prossimità dell’udienza, anche la Regione Veneto ha depositato una memoria illustrativa per insistere nelle censure prospettate in sede di ricorso, adducendo argomenti analoghi a quelli proposti dalla difesa della Regione Piemonte.

9. - Non diversamente dalle prime due ricorrenti, la Regione Lombardia ha sviluppato in una memoria illustrativa le deduzioni formulate nel ricorso ed ha svolto argomentazioni ulteriori, anche per replicare alle eccezioni e alle difese dell’Avvocatura.

In particolare, la Regione Lombardia osserva che, in base alla normativa sul sistema di tesoreria (art. 2 della legge n. 720 del 1984; art. 40 della legge n. 119 del 1981; art. 2, commi 1 e 4, del d.m. 11 aprile 1981; art. 7 del decreto legislativo n. 279 del 1997; art. 66 della legge n. 388 del 2000), le assegnazioni, i contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato dovuti alle regioni affluiscono in conti infruttiferi ad esse intestati presso le tesorerie dello Stato, mentre solo le entrate proprie delle regioni, nella misura individuata dalla legislazione statale, sono suscettibili di produrre interessi: "nel caso di specie", afferma la difesa della Regione, "si tratta ... di somme ‘proprie’ delle Regioni depositate in conti fruttiferi presso le tesorerie regionali e pertanto sottoposte ad una disciplina diversa rispetto a quelle depositate presso la tesoreria dello Stato". Nel caso di specie, continua la ricorrente, "non si contesta il carattere infruttifero dei conti intestati presso la tesoreria dello Stato, bensì la previsione, con efficacia retroattiva, dell’applicabilità della ritenuta Irpeg sugli interessi prodotti da somme ‘proprie’ della Regione, soggetto escluso dall’imposta, somme che per disposto della legislazione statale sono state depositate presso la tesoreria regionale su conti correnti fruttiferi".

Nella memoria, la Regione Lombardia richiama diffusamente la più recente giurisprudenza costituzionale, per insistere nelle censure prospettate in riferimento all’art. 76 della Costituzione (sentenze n. 292 e n. 425 del 2000) e sotto il profilo dell’uso distorto del potere di interpretazione autentica (sentenza n. 525 del 2000).

10. - Nell’imminenza della data fissata per l’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato tre memorie illustrative, di contenuto analogo, per argomentare ulteriormente l’infondatezza delle questioni sollevate in via principale dalle regioni ricorrenti.

Negando l’incisione, ad opera dell’impugnata disposizione interpretativa, delle attribuzioni regionali, la difesa erariale esclude innanzi tutto una significativa decurtazione dei mezzi finanziari delle ricorrenti, "attesa la ordinaria ‘marginalità’ delle ‘operazioni’ interessate dalla ritenuta nel quadro complessivo della finanza regionale", tanto più, aggiunge l’Avvocatura, che "le giacenze di tesoreria della Regione non generano frutti suscettibili della ritenuta di imposta de qua".

Sulla natura della contestata ritenuta, l’Avvocatura osserva che essa "esaurisce, con carattere di realità il prelievo tributario sulle specifiche rendite finanziarie considerate ... con l’applicazione di un’aliquota proporzionale ... inferiore (27%) rispetto a quella prevista per l’Irpeg (37%)". Si configurerebbe pertanto "una imposizione ... diversa e distinta rispetto alla imposizione personale propria dell’Irpeg, la quale colpisce il reddito complessivo netto delle società e degli altri enti che vi sono assoggettati", espressione di una non irragionevole scelta discrezionale del legislatore tributario.

Sulla scorta della affermata distinzione tra le due ipotesi di prelievo, la difesa erariale esclude anche la violazione del principio di eguaglianza, prospettata dalle Regioni Piemonte e Veneto in considerazione dell’impossibilità di recuperare la ritenuta subita in sede di dichiarazione annuale.

L’Avvocatura esclude altresì la violazione dell’art. 53 della Costituzione: "la ritenuta ... afferisce unicamente ad alcuni redditi di capitale percetti (anche) dall’Ente regionale – i quali indubbiamente costituiscono di per sè indici ragionevoli di ricchezza ...- e non ad un ipotetico reddito di impresa: sicchè é irrilevante la considerazione che, per definizione legislativa, la Regione non compia le attività di cui all’art. 51 del T.u.i.r. n. 917 del 1986".

In sede di replica alle censure prospettate dalla Regione Lombardia, la difesa erariale, richiamando la giurisprudenza di Cassazione, afferma la riconducibilità della disposizione interpretativa impugnata al novero dei significati ascrivibili alla disposizione interpretata, per sottolineare il corretto uso dello strumento della legge di interpretazione autentica in funzione di superamento di incertezze interpretative emerse in sede applicativa.

La difesa erariale esclude infine la violazione dell’art. 76 della Costituzione, rilevando che la disposizione impugnata é stata introdotta con legge ordinaria e non già con legge delegata.

Considerato in diritto

1. - Con due distinti ricorsi, le Regioni Piemonte e Veneto hanno sollevato in via principale, in riferimento agli articoli 3, 53, 76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), recante - a tenore della rubrica - "Interpretazione autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale", il quale prevede che l’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), "riguardante l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti – tra i quali, le Regioni - esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche".

Con un terzo ricorso, la Regione Lombardia ha sollevato in via principale questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, in riferimento agli artt. 53, 76, 101, secondo comma, 114, 115 e 119 della Costituzione.

La disposizione interpretativa impugnata ha ad oggetto l’art. 26, quarto comma, terzo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), che disciplina le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, disponendo che esse "sono applicate a titolo di imposta nei confronti dei soggetti esenti dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche ed in ogni altro caso". L’impugnato art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, recante "Interpretazione autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale", stabilisce, come si é poc’anzi ricordato, che l’art. 26, quarto comma, terzo periodo, "deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche".

In gran parte coincidenti, le molteplici censure prospettate con i tre ricorsi possono essere raggruppate e riformulate nei termini seguenti.

In riferimento agli artt. 3 (parametro evocato solo dalle Regioni Piemonte e Veneto), sotto il profilo del principio di ragionevolezza, e 101, secondo comma (parametro evocato solo dalla Regione Lombardia), della Costituzione, l’impugnato art. 14 della legge n. 28 del 1999 sarebbe illegittimo in quanto disposizione legislativa frutto di un uso distorto e arbitrario dello strumento della legge interpretativa, non riconducibile ad uno dei possibili significati della legge interpretata: "la preoccupazione di acquisire disponibilità finanziarie, accompagnata dal metodo concretamente prescelto ... ha portato alla manipolazione artificiosa del sistema creato con l’art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986" (ricorsi del Piemonte e del Veneto); la disposizione impugnata sarebbe "finalizzata a bloccare le numerose richieste di rimborso avanzate dagli enti locali a seguito della intervenuta esclusione degli stessi dall'applicazione dell'imposta sui redditi delle persone giuridiche e ad incidere, di conseguenza, sui giudizi in corso" (ricorso della Lombardia).

In riferimento agli artt. 3, sotto il duplice profilo del principio di eguaglianza e ragionevolezza, e 53 della Costituzione, la disciplina denunciata sarebbe costituzionalmente illegittima giacchè l’art. 88, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), dispone - in sèguito alla modifica introdotta, con effetto dal 1° gennaio 1991, dall’art. 4, comma 3, del decreto-legge n. 310 del 1990, convertito nella legge n. 403 del 1990 - che le regioni non sono soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche. Ad avviso delle ricorrenti, sarebbe "contraddittorio" ed in contrasto con il principio di capacità contributiva "prevedere, ad un tempo, la non assoggettabilità a tributo di un dato soggetto e l’obbligo, per questo, di sottoporsi ad una ritenuta d’imposta", senza, tra l’altro, che sia contemplata la possibilità di recuperare tale ritenuta in sede di dichiarazione annuale; in altri termini, l’art. 53 della Costituzione ed i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza risulterebbero violati "poichè la ritenuta a titolo d’imposta cade su somme depositate in conto corrente che non sono correlate al presupposto in base al quale un soggetto é colpito dall’Irpeg: infatti, la Regione non compie – per definizione, ex art. 88, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 – le attività di cui all’art. 51 del medesimo decreto presidenziale e, nondimeno, é tenuta a subire un prelievo che si traduce in un esborso sine titulo" (ricorsi del Piemonte e del Veneto).

L’art. 14 della legge n. 28 del 1999 violerebbe poi l’autonomia finanziaria e lo status costituzionale delle ricorrenti, come definito dagli artt. 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione. Nei ricorsi del Piemonte e del Veneto, che invocano solo gli artt. 117-119 Cost., si afferma che "là dove il legislatore ha surrettiziamente assoggettato ad Irpeg, attraverso una ritenuta a titolo d’imposta, la Regione, dopo averla esclusa dall’area di operatività del tributo … ha disposto un prelievo coatto a carico di disponibilità regionali costitutive dell’autonomia finanziaria dell’ente"; d'altro canto, lamenta la difesa della Lombardia, che invoca solo gli artt. 114, 115 e 119, l'esclusione dall'Irpeg della regione deriverebbe dalla sua natura di ente politico e sarebbe pertanto "direttamente collegata" con il suo grado di autonomia finanziaria costituzionalmente garantita.

In riferimento all'art. 76 della Costituzione, l’art. 14 della legge n. 28 del 1999 risulterebbe incostituzionale giacchè l'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, oggetto della denunciata disposizione interpretativa, nella parte in cui dispone che le ritenute sono applicate a titolo di imposta nei confronti dei soggetti esenti da Irpeg "ed in ogni altro caso", va interpretato alla luce della legge di delega, la quale, "nel prevedere la ritenuta (a titolo d'acconto o d'imposta) sui redditi di capitale corrisposti esclusivamente a soggetti Irpeg o a soggetti esenti, aveva dimostrato la chiara intenzione di non assoggettare al prelievo alla fonte i soggetti esclusi dal tributo"; l'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, oggetto di interpretazione autentica, potrebbe pertanto "dettare esclusivamente disposizioni in ordine all'applicazione dell'imposta, non potendo attrarre a tassazione ciò che la disciplina istitutiva [la delega] esclude".

In riferimento all’art. 97 della Costituzione, l’impugnata disciplina sarebbe infine costituzionalmente illegittima in considerazione dell'impatto sfavorevole che la disciplina impugnata avrebbe, come si legge nel ricorso del Piemonte e della Lombardia, "sul piano dell'attività amministrativa e finanziaria".

2. - Con i ricorsi in epigrafe, le Regioni Piemonte, Veneto e Lombardia impugnano le medesime disposizioni legislative invocando parametri costituzionali in gran parte coincidenti e lamentandone la violazione sotto profili omogenei. I relativi giudizi possono pertanto essere riuniti e decisi con un’unica sentenza.

3. - Occorre anzitutto scrutinare la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento ai parametri costituzionali inclusi nel titolo V della parte II della Costituzione.

L’art. 14 della legge n. 28 del 1999, ad avviso delle Regioni Piemonte e Veneto, violerebbe l’autonomia finanziaria e lo status costituzionale delle ricorrenti, come definito dagli artt. 114, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione: "là dove il legislatore ha surrettiziamente assoggettato ad Irpeg, attraverso una ritenuta a titolo d’imposta, la Regione, dopo averla esclusa dall’area di operatività del tributo … ha disposto un prelievo coatto a carico di disponibilità regionali costitutive dell’autonomia finanziaria dell’ente"; d'altro canto – si sostiene nel ricorso della Regione Lombardia, che invoca gli artt. 114, 115 e 119 della Costituzione - l'esclusione dall'Irpeg della regione deriverebbe dalla sua natura di ente politico e sarebbe pertanto "direttamente collegata" con il suo grado di autonomia finanziaria costituzionalmente garantita.

La questione é inammissibile.

La costante giurisprudenza di questa Corte in tema di autonomia finanziaria regionale ha, ancora di recente, ribadito che la Costituzione non garantisce alle Regioni una determinata quantità di risorse, ma solo il diritto a disporre di risorse finanziarie che risultino complessivamente non inadeguate rispetto ai compiti loro attribuiti (sentenza n. 507 del 2000).

La Costituzione, in altri termini, non definisce nè garantisce l’autonomia finanziaria delle regioni in termini quantitativi, a meno che non si determini quella "grave alterazione" del necessario rapporto di complessiva corrispondenza che – nel rispetto delle compatibilità con i vincoli generali derivanti dalle preminenti esigenze della finanza pubblica nel suo insieme – deve sussistere fra bisogni regionali e oneri finanziari per farvi fronte, affinchè alle regioni stesse non sia impedito il normale espletamento delle loro funzioni (sentenza n. 123 del 1992; v. anche la sentenza n. 370 del 1993).

L’autonomia finanziaria delle regioni postula piuttosto che esse abbiano la effettiva disponibilità delle risorse loro attribuite ed il potere di manovra dei mezzi finanziari (sentenza n. 171 del 1999).

Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, la censura concernente l’asserita lesione dell’autonomia finanziaria e dello status costituzionale delle regioni – le Regioni Piemonte e Veneto lamentano che il legislatore avrebbe "disposto un prelievo coatto a carico di disponibilità regionali costitutive dell’autonomia finanziaria dell’ente", mentre la Lombardia asserisce che l'esclusione dall'Irpeg della Regione deriverebbe dalla sua natura di ente politico e sarebbe pertanto "direttamente collegata" con il suo grado di autonomia finanziaria costituzionalmente garantita – si appalesa priva di motivazione, non avendo le regioni neppure spiegato perchè, a loro avviso, il prelievo in questione ridondi in lesione dell’autonomia finanziaria impedendo l’espletamento delle loro funzioni (v. sentenze n. 103 del 2001, n. 171 del 1999, n. 244 del 1997, n. 25 del 1996).

4. - Anche in riferimento agli artt. 3, sotto il profilo del principio di ragionevolezza, e 101, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’impugnata disposizione interpretativa deve essere dichiarata inammissibile, giacchè una ipotetica lesione di tali principi non può di per sè tradursi in una menomazione di competenze regionali.

5. - In riferimento agli artt. 3, sotto il duplice profilo del principio di eguaglianza e ragionevolezza, e 53 della Costituzione, la disciplina denunciata sarebbe poi, ad avviso delle ricorrenti, costituzionalmente illegittima giacchè l’art. 88, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi esclude le regioni dall’imposta sul reddito delle persone giuridiche, ciò che renderebbe "contraddittorio" ed in contrasto con il principio di capacità contributiva prevedere, come si legge nei ricorsi del Piemonte e del Veneto, "ad un tempo, la non assoggettabilità a tributo di un dato soggetto e l’obbligo, per questo, di sottoporsi ad una ritenuta d’imposta".

La questione é inammissibile.

Deve infatti essere accolta l’eccezione sollevata dall’Avvocatura dello Stato, ad avviso della quale la Regione agirebbe in questo frangente "come contribuente", lamentando una lesione di competenze di cui in realtà non dispone, e dovendosi escludere "che l’obbligazione di imposta ossia il prelievo a carico di disponibilità finanziarie regionali limiti l’autonomia garantita dall’art. 119 Cost.". Poichè si tratterebbe – come sostiene la difesa erariale - di un effetto di mero fatto in sè irrilevante; diversamente, ogni rapporto nel quale la Regione possa configurarsi come debitore rileverebbe sul piano costituzionale.

6. - In riferimento all'art. 76 della Costituzione, la questione é parimenti inammissibile, dovendosi anche in questo caso accogliere l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato.

Ad avviso delle ricorrenti, l’art. 14 della legge n. 28 del 1999 risulterebbe incostituzionale giacchè l'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973, oggetto della denunciata disposizione interpretativa, nella parte in cui dispone che le ritenute sono applicate a titolo di imposta nei confronti dei soggetti esenti da Irpeg "ed in ogni altro caso", va interpretato alla luce della legge di delega, la quale, "nel prevedere la ritenuta (a titolo d'acconto o d'imposta) sui redditi di capitale corrisposti esclusivamente a soggetti Irpeg o a soggetti esenti, aveva dimostrato la chiara intenzione di non assoggettare al prelievo alla fonte i soggetti esclusi dal tributo".

Condivisibile é l’eccezione della difesa erariale, che esclude la violazione dell’art. 76 della Costituzione, rilevando che la disposizione impugnata é stata introdotta con legge ordinaria e non già con legge delegata.

7. - Anche in riferimento all’art. 97 della Costituzione, la questione é inammissibile.

La doglianza avanzata dalle Regioni Piemonte e Veneto, in base alla quale l’impugnata disciplina sarebbe costituzionalmente illegittima in considerazione dell'impatto sfavorevole che la stessa avrebbe "sul piano dell'attività amministrativa e finanziaria", per altro formulata in termini meramente assertivi, non evidenzia alcuna menomazione di attribuzioni regionali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28 (Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell’Amministrazione finanziaria e di revisione generale del catasto), sollevata, in riferimento agli artt. 53, 76, 101, secondo comma, 114, 115 e 119 della Costituzione, dalla Regione Lombardia con il ricorso in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2001.