Ordinanza n. 108/2001

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ORDINANZA N. 108

ANNO 2001

 

 REPUBBLICA ITALIANA

 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, dal Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, con ordinanze emesse il 21 e il 14 gennaio, il 18 febbraio, il 24 e il 3 marzo e il 16 giugno 2000, iscritte rispettivamente ai nn. 186, 187, 188, 376, 377 e 565 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 18, 27 e 42, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che con sei ordinanze (r.o. nn. 186, 187, 188, 376, 377 e 565 del 2000) di contenuto analogo il Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 (parametro evocato nelle sole ordinanze iscritte ai numeri 376 e 377 del r.o. del 2000), 25 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, come integrato dalla sentenza n. 186 del 1992, nella parte in cui prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che negli atti preliminari al dibattimento abbia respinto la richiesta di applicazione della pena concordata ex art. 444 cod. proc. pen.;

che in tutti i procedimenti a quibus il rimettente ha rigettato per diversi motivi la richiesta di applicazione della pena formulata dall'imputato, con il consenso del pubblico ministero, prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento, e ritiene quindi di trovarsi, per effetto della sentenza n. 186 del 1992, in una situazione di incompatibilità a giudicare gli imputati nel merito dell'imputazione loro contestata, con conseguente obbligo di astensione ai sensi dell'art. 36, comma 1, lettera g), cod. proc. pen.;

che ad avviso del giudice a quo la previsione di tale ipotesi di incompatibilità si pone in contrasto con la più recente giurisprudenza costituzionale e, in particolare, con l'ordinanza n. 232 del 1999, che - nel dichiarare manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l'incompatibilità ad emettere sentenza del giudice che abbia rigettato, nella fase degli atti preliminari al dibattimento, istanza di oblazione - ha ribadito il principio generale secondo cui <<l'imparzialità del giudice non può ritenersi intaccata da una valutazione anche di merito compiuta all'interno della medesima fase del procedimento>>;

 che, a giudizio del rimettente, tali affermazioni sono state ribadite dalla successiva ordinanza n. 443 del 1999, avente ad oggetto una questione di legittimità costituzionale concernente la mancata previsione dell'incompatibilità del giudice che si sia pronunciato, negli atti preliminari al dibattimento, su misure cautelari personali nei confronti dell'imputato;

 che in tale occasione la Corte ebbe a riaffermare che la incompatibilità conseguente al compimento di atti tipici della fase unitaria di cui il giudice è investito <<finirebbe con l'attribuire alle parti la potestà di determinare l'incompatibilità nel corso di un giudizio nel quale il giudice è investito, sicché lo stesso giudice verrebbe spogliato di tale giudizio in ragione del compimento di un atto processuale cui è tenuto a seguito dell'istanza di una parte; esito, questo, non solo irragionevole, ma in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge, dal quale l'imputato verrebbe o potrebbe chiedere di essere distolto>>;

che, sulla base delle medesime argomentazioni, e ritenendo che le modifiche recate dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), non abbiano apportato elementi di novità rispetto alle valutazioni già espresse da questa Corte, il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., come integrato dalla sentenza n. 186 del 1992, assumendone il contrasto con gli artt. 3, 24, 25 e 97 Cost;

che, ad avviso del rimettente, la previsione della incompatibilità al giudizio del giudice che abbia rigettato negli atti preliminari al dibattimento la richiesta di pena patteggiata determina una irragionevole disparità di trattamento rispetto a situazioni analoghe in cui la causa di incompatibilità non opera (come quella - oggetto dell'ordinanza n. 232 del 1999 - del giudice che negli atti preliminari al dibattimento abbia rigettato istanza di oblazione), e nello stesso tempo irragionevolmente assoggetta alla medesima disciplina situazioni processuali non comparabili processualmente, <<prevedendo l'incompatibilità al giudizio sia del giudice che abbia legittimamente espresso valutazioni di merito nell'ambito della medesima fase processuale, sia del giudice che le abbia espresse nell'ambito di fase processuale diversa>>;

che la disciplina censurata violerebbe inoltre i principi di buona amministrazione (art. 97 Cost.) e del giudice naturale precostituito per legge, realizzando per un verso <<un'assurda frammentazione del procedimento>> e per l'altro consentendo <<alle parti, mediante studiata proposizione di istanze ex art. 444 c.p.p. inaccoglibili, di "sbarazzarsi" del loro giudice naturale, costringendolo all'astensione>>;

che l’art. 24 Cost. sarebbe violato in quanto il diritto di difesa della parte civile viene leso dall'allungamento dei tempi necessari alla definizione del procedimento, <<su cui vanno ad incidere quelli della procedura di astensione ed individuazione del nuovo giudice>>;

che nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 376, 377 e 565 del r.o. del 2000 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata;

che, a giudizio dell'Avvocatura, con l'ordinanza n. 232 del 1999 la Corte si sarebbe limitata <<a dare atto della "maturazione" e del consolidamento di un indirizzo che vuole "sterilizzato" l'istituto delle incompatibilità all'interno della stessa fase del giudizio, salva, eventualmente, l'applicabilità dei meccanismi dell'astensione e della ricusazione>>;

che il criterio affermato consente di valutare le questioni di legittimità costituzionale che venissero sollevate nei confronti dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., ma non potrebbe <<consentire di revocare in dubbio la permanente validità degli effetti prodotti da altre e precedenti pronunce della Corte>>, che debbono rimanere ferme a prescindere dai <<mutati itinerari argomentativi [...], in certa misura 'fisiologici' nel cammino di consolidamento di un indirizzo giurisprudenziale>>.

Considerato che, stante la sostanziale identità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle sei ordinanze di rimessione emesse in distinti procedimenti dal Tribunale di Verona, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che il giudice rimettente, pur sollevando formalmente la questione nei confronti dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale nella parte in cui, a seguito dell'integrazione disposta dalla sentenza n. 186 del 1992, prevede l'incompatibilità alla funzione di giudizio del giudice che negli atti preliminari al dibattimento abbia respinto la richiesta di applicazione della pena concordata a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., in realtà censura una precedente decisione di accoglimento della Corte;

che tale sindacato non è ammissibile ai sensi degli artt. 136, primo comma, e 137, terzo comma, Cost., nonché dell’art. 30, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, i quali, nello stabilire che contro le decisioni della Corte costituzionale non è consentita alcuna impugnazione, precludono in modo assoluto qualsiasi tipo di domanda diretta a contrastare, annullare o riformare tali decisioni (v. ordinanze n. 461 del 1999, n. 7 del 1991, nn. 203, 93 e 27 del 1990, nonché sentenza n. 29 del 1998 e ordinanza n. 220 del 1998);

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Verona, sezione distaccata di Soave, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2001.