Sentenza n.294 del 1994

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SENTENZA N. 294

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 27, terzo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 16 marzo 1992 dalla Corte di appello di Venezia nel procedimento civile vertente tra Togni Ruggero e Andreis Giacomina ed altri, iscritta al n. 99 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.12, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Udito nella camera di consiglio dell'8 giugno 1994 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

Ritenuto in fatto

La Corte d'appello di Venezia, nel corso del procedimento civile vertente tra Togni Ruggero e Andreis Giacomina, con ordinanza emessa il 16 marzo 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, terzo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui regolamenta solo la locazione di immobile e non anche l'affitto di azienda alberghiera.

Oggetto del giudizio a quo è la risoluzione di un contratto di affitto di azienda stipulato tra il Togni e Ramazzotti Caterina ved. Andreis, Giacomina, Giampaolo e Gabriella Andreis, in relazione al quale gli Andreis avevano inviato formale disdetta al Togni. Quest'ultimo, con citazione notificata il 7 ottobre 1985, conveniva i medesimi Andreis dinanzi al Tribunale di Verona, chiedendo che "venisse dichiarata la sussistenza di un contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo, precisamente alberghiero, con conseguente diritto a continuare nella detenzione dello stesso fino alle scadenze di cui all'art. 27 della legge n. 392 del 1978". In subordine, il Togni chiedeva la declaratoria di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 27, 38 e 40, della legge n. 392 del 1978 in riferimento all'art. 3 della Costituzione, per il fatto che dette norme prevedono solo la locazione di immobili, ancorchè attrezzati ad uso alberghiero, e non anche l'affitto di azienda.

Le domande venivano disattese dal Tribunale, mentre la Corte d'Appello riteneva rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata nei termini sopra riportati, riproposta dal Togni.

Il giudice a quo, ribadita la distinzione tra la "locazione di immobile attrezzato" e l'affitto di azienda, sottolinea che in quest'ultimo - a differenza di quanto accade nella prima - l'immobile non viene in considerazione nella sua individualità giuridica, ma solo come uno dei beni che costituiscono il complesso aziendale, in un rapporto di complementarità ed interdipendenza con gli altri elementi organizzati dall'imprenditore per un fine produttivo.

A parere del giudice rimettente, però, i due istituti, pur essendo suscettibili sul piano concettuale ed astratto di una distinzione tecnica, presentano elementi di sostanziale identità, <cosicchè la reale differenza tra le due fattispecie sarebbe talmente inconsistente da far dubitare del la sua effettiva sussistenza>. Poichè, infatti - rileva la Corte d'appello di Venezia - nel complesso dei beni, coordinati al fine dell'esercizio dell'azienda alberghiera, l'immobile dotato delle necessarie attrezzature assume di norma una posizione di grandissimo rilievo, al punto che, da solo, costituisce elemento sufficiente alla sussistenza di un organismo aziendale, ne deriva che la locazione di un "immobile attrezzato" non si differenzia, nella sostanza, rispetto all'affitto di azienda alberghiera e che l'art. 27, disciplinando solo la locazione di immobile, introduce una disparità di trattamento, che, per essere riferita a situazioni obiettivamente omogenee, appare arbitraria e contraria al principio di eguaglianza.

Considerato in diritto

1. - La Corte d'appello di Venezia ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, terzo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui, stabilendo che "la durata della locazione non può essere inferiore a nove anni se l'immobile, anche se ammobiliato, è adibito ad attività alberghiere", esclude dal proprio àmbito di applicabilità l'ipotesi di affitto di azienda destinata ad identiche attività, così da determinare - in violazione del principio di eguaglianza formale di cui all'art. 3 della Costituzione - trattamenti giuridici diversi per situazioni so stanzialmente omogenee.

2. - La questione non è fondata.

Che la locazione di immobile, anche se "attrezzato", e l'affitto di azienda siano rapporti giuridici non assimilabili costituisce ius receptum, condiviso dallo stesso giudice rimettente. Ed invero la giurisprudenza ha sempre affermato che nell'affitto d'azienda l'immobile viene in considerazione non nella sua individualità giuridica ma come uno dei beni che costituiscono il complesso aziendale, in un rapporto di complementarità e interdipendenza con gli altri elementi organizzati dall'imprenditore per un fine produttivo; mentre nella locazione di immobile, questo, anche se caratterizzato dal fatto che il suo godimento deve avvenire per un uso determinato, costituisce l'oggetto esclusivo o quanto meno principale del contratto, con la conseguenza che le eventuali attrezzature di cui l'immobile fosse dotato costituiscono elementi accessori rispetto all'immobile stesso, considerato nella sua autonoma consistenza.

3. - Sul presupposto di siffatta diversità strutturale e funzionale fra i due rapporti poggia il riconoscimento, già espresso da questa Corte (Ordinanza n. 384 del 1988), della legittimità costituzionale di trattamenti normativi correlativamente differenziati, in guisa da risultare coerenti con le reciproche peculiarità delle situazioni poste a raffronto.

A ciò aggiungasi che l'art. 1, comma 9-septies, del decreto-legge 7 febbraio 1985, n. 12 (recante disposizioni in favore delle aree ad alta tensione abitativa), convertito, con modificazioni, nella legge 5 aprile 1985, n. 118, ha poi contribuito a dissipare i dubbi da più parti precedentemente espressi in ordine a un'asserita irragionevole disparità di trattamento dei due rapporti in esame. Il legislatore del 1985, infatti, con lo stabilire che <si ha locazione di immobile e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l'attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore>, è intervenuto al fine di <eliminare le incertezze ermeneutiche relative al criterio discriminatore> fra i due tipi contrattuali (v. sentenza n. 108 del 1986), non assoggettabili, per eterogeneità, a identica disciplina.

Rimane in tal modo escluso che si possa recepire, ai fini di cui alla norma impugnata, una nozione puramente statica dell'azienda, in virtù della quale la giurisprudenza era pervenuta più volte ad escludere dal regime vincolistico il rapporto avente ad oggetto un immobile così attrezzato da formare con gli elementi accessori un complesso coordinato allo scopo produttivo d'un servizio alberghiero, anche se realizzabile solo in tempi successivi alla conclusione del contratto.

É quindi divenuta possibile (e netta), attraverso la previsione d'una presunzione juris et de jure, la sola alternativa fra locazione d'un immobile comunque attrezzato ed affitto di un'azienda intesa rigorosamente nella sua nozione dinamica: così restando relegata nell'àmbito della prima, quella dubbia figura di opificio industriale non ancora gestito dal concedente, che dottrina e giurisprudenza avevano elaborato ai fini di cui sopra.

4. - Orbene, una volta stabilita la reciproca autonomia formale di determinati istituti giuridici e la loro distinguibilità sotto il profilo sia strutturale che funzionale, l'affinità dei medesimi non impone affatto un identico trattamento normativo di tutti gli svolgimenti e le implicazioni dei rapporti ad essi, rispettivamente, riconducibili. Nè il richiamo ad esigenze comuni (come già è stato precisato con le sentenze nn. 68 del 1983, 73 del 1979 e 209 del 1975) è premessa idonea per inferirne che ogni differenza di regolamentazione incidente sul soddisfacimento di tali esigenze si risolva in una violazione dell'art. 3 della Costituzione: a tal fine richiedendosi, per contro, la sussistenza di una palese irrazionalità delle divergenti discipline confrontate. Vizio, dal quale resta immune la disposizione censurata.

Anzi può dirsi che della non estensibilità di essa all'affitto di azienda si rinviene ragionevole giustificazione nell'esigenza di evitare, con la protrazione coattiva del rapporto, lo sfruttamento dell'azienda in danno del proprietario ed eventualmente della produzione nazionale, come del resto la Corte di cassazione ha ripetutamente rilevato. Una maggiore duttilità nella disciplina della durata costituisce difatti strumento indispensabile per scongiurare l'eventualità che il coacervo dei beni aziendali resti troppo a lungo vincolato ad un affittuario, il quale potrebbe non dare sufficienti garanzie di idonea gestione, con danno sia all'impresa sia all'economia turistica locale. E poichè non è certamente secondario l'interesse pubblico che a quest'ultima si ricollega, nel conflitto fra siffatto interesse e quello dell'affittuario alla continuazione del rapporto appare dunque giustificata la scelta fatta dal legislatore di accordare preferenza al primo, rendendo l'affitto d'azienda insensibile a quegli stessi vincoli di durata che riguardano il caso in cui oggetto del rapporto sia non un complesso organizzato di beni ma un immobile in sè e per sè considerato.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 27, terzo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni degli immobili urbani), sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione dalla Corte di Appello di Venezia con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/07/94.

Gabriele PESCATORE, Presidente

Cesare RUPRETO, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/07/94.