Sentenza n. 108 del 1986

 

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SENTENZA N. 108

ANNO 1986

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Livio PALADIN, Presidente  

Prof. Antonio LAPERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL’ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA, Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 2 l. 25 luglio 1984 n. 377 (Norme correttive e integrative degli artt. 24 e 67 della legge 27 luglio 1978 n. 392), 1, commi 9 bis, 9 ter, 9 quater e 9 quinquies d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, convertito in l. 5 aprile 1985 n. 118 (Misure finanziarie in favore delle aree ad alta tensione abitativa), promossi con ordinanza emessa il 10 agosto 1984 dal Pretore di Bettola nel procedimento civile vertente tra Gioia Giuseppe e Guglielmetti Luigi (iscritta al n. 1141 del registro ordinanze 1984), nonché con ordinanze del Pretore di Roma, emesse il 10 maggio 1985 nei procedimenti vertenti tra Mancinelli Concetta e Spaggiari Guido (n. 368 del 1985), tra Caffarelli Livia Elena e Sirabella Renato (n. 369 del 1985), e tra Rizza Salvatore e Borzi Clara (n. 370 del 1985); dell'8 maggio 1985, in causa Arrigoni Clementina c. Badioli Renato (n. 371 del 1985); del 6 maggio 1985, in causa Gesualdi Nicola c. Marinucci Tiziana (n. 372 del 1985); del 13 maggio 1985, in cause Fugger Giuntini Valeria c. Mariotti Gino (n. 440 del 1985) e Agostinelli Augusto c. Ramazzotti Gherardo (n. 441 del 1985); del 22 maggio 1985, in causa Istituto per i ciechi "Sant'Alessio" c. Giaroli Egidio (n. 487 del 1985); del 27 maggio 1985, in causa Innocenzi Settimio c. Di Tommaso Maria (n. 488 del 1985); del 24 maggio 1985, in causa vertente tra i medesimi (n. 489 del 1985); del 10 maggio 1985, in cause Cicerchia Arnoldo c. Gheri Carlo (n. 531 del 1985), nonché Escobar Losada Maria Josefa c. Pinci Gioacchino (n. 532 del 1985); del 27 giugno 1985, in causa Forconi Claudio c. Riponi Bruno (n. 611 del 1985); del 25 giugno 1985, in cause Di Veroli Guido c. Mazzacchera Pietro (n. 612 del 1985) e Di Veroli Ettore c. Mannoia Castrense (n. 613 del 1985); del 5 luglio 1985, in causa Colivicchi Flora ed altri c. s.r.l. D.B. De Rossi Biancavilla (n. 614 del 1985); del 13 giugno 1985, in causa Monfreda Mario c. Damizia Giulio (n. 615 del 1985); del 4 luglio 1985, in causa Paparelli Remo c. De Crisogano Marisa (n. 616 del 1985); del 20 giugno 1985, in causa Caccetta Giuseppe ed altri c. Ferlisi Antonio (n. 617 del 1985); del 6 giugno 1985, in causa Forquet Maria Laura c. s.r.l. Cavalieri Residence (n. 618 del 1985); del 6 giugno 1985, in causa Del Raso Ugo c. Banfi Maria (n. 619 del 1985); del 27 maggio 1985, in causa Formica Maria c. Calbi Nicola (n. 620 del 1985); del Pretore di Albano Laziale, emessa il 3 maggio 1985 nel procedimento vertente tra De Santis Maurizio e Santinelli Franco (n. 442 del 1985); e ancora con ordinanze del Pretore di San Donà di Piave, emessa il 4 maggio 1985 nel procedimento vertente tra Muner Eldino e Casagrande Isabel (n. 450 del 1985), dal Pretore di Palermo, emessa il 10 luglio 1985 nel procedimento vertente tra Pugno Cleonice e De Lisi Vincenzo (n. 579 del 1985), dal Pretore di Monza, emesse il 26 giugno 1985 in cause promosse dalla Fondazione ricovero Martinelli c. Beretta Vittorio (n. 683 del 1985) e c. Mattioli Vittorio (n. 684 del 1985), tutte pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42 bis del 18 febbraio 1985, 202 bis del 18 agosto 1985, 291 bis dell'11 dicembre 1985, 287 bis del 6 dicembre 1985, 256 bis del 30 ottobre 1985, 267 bis del 13 novembre 1985, 2 serie speciale del 15 gennaio 1986, 302 bis del 24 dicembre 1985, 1 serie speciale dell'8 gennaio 1986.

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Gioia Giuseppe, De Santis Maurizio e Pugno Cleonice, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 marzo 1986 il giudice relatore Francesco Saja;

uditi gli avvocati Paolo Barile, Giorgio Marino, Giangaleazzo Stendardi, Ercole Caruso per De Santis Maurizio; gli avvocati Carmelo Lo Cascio, Paolo Barile e Giangaleazzo Stendardi per Pugno Cleonice e gli avvocati dello Stato Paolo Cosentino e Benedetto Baccari per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento vertente tra Gioia Giuseppe, locatore, e Guglielmetti Luigi, conduttore, ed avente per oggetto licenza per finita locazione di un immobile destinato ad uso non abitativo, il pretore di Bettola con ordinanza del 10 agosto 1984 (reg. ord. n. 1141 del 1984) sollevava questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2 l. 25 luglio 1984 n. 377, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 Cost. Il pretore osservava che la giurisprudenza costituzionale, specialmente con la sentenza n. 89 del 1984, aveva dichiarato - in linea di principio - contrastante con la tutela della proprietà privata l'assoggettamento dei rapporti di locazione a proroghe legali; l'art. 15 bis del d.l. 23 gennaio 1982 n. 9, conv. in l. 25 marzo 1982 n. 94, era stato ritenuto, in particolare, non contrastante con l'art. 42 Cost. solo perché, avendo disposto una ulteriore proroga delle locazioni non abitative in corso al momento dell'entrata in vigore della l. 27 luglio 1978 n. 392 (cosiddetta legge sull'equo canone) e già soggette a proroga secondo la legislazione fino ad allora vigente (ossia delle locazioni di cui all'art. 67 l. n. 392 del 1978, ora citata), costituiva l'ultimo, definitivo ed irripetibile tratto di congiunzione tra la precedente disciplina vincolistica e quella dettata dalla stessa legge n. 392 del 1978, che conferisce maggior rilievo al principio dell'autonomia privata nei negozi di locazione. Questa sentenza costituiva, secondo il pretore, un impedimento per il legislatore che avesse voluto emanare ulteriori leggi di proroga.

Ciò nonostante, era entrata in vigore la legge n. 377 del 1984, il cui art. 2, primo comma, aveva stabilito che le scadenze dei contratti di cui alla lettera a) dell'art. 67 cit. fossero prorogate fino al 31 dicembre 1984.

Questa disposizione sembrava al giudice rimettente contrastare con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in quanto: a) sottoponeva a trattamento eguale situazioni diverse, quali quelle dei conduttori-imprenditori più o meno abbienti: b) riservava un trattamento ingiustificatamente più favorevole ai contratti di cui al cit. art. 67 lett. a), rispetto a tutti gli altri ancora in corso. L'impugnata disposizione appariva ancora in contrasto con l'art. 41 Cost., in quanto limitativa della libera iniziativa economica del locatore, nonché, siccome certamente elusiva dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sent. n. 89 del 1984, con l'art. 42 Cost., poiché l'ulteriore proroga legale ledeva il diritto di proprietà immobiliare.

2. - Analoghe questioni di legittimità costituzionale venivano sollevate dal pretore di Roma con ordinanze del 10 maggio 1985, emesse nei procedimenti vertenti tra Mancinelli Concetta e Spaggiari Guido (n. 368 del 1985), tra Caffarelli Livia Elena e Sirabella Renato (n. 369 del 1985), nonché tra Rizza Salvatore e Borzi Clara (n. 370 del 1985); dell'8 maggio 1985, in causa Arrigoni Clementina contro Badioli Renato (n. 371 del 1985); del 6 maggio 1985, in causa Gesualdi Nicola c. Marinucci Tiziana (n. 372 del 1985); del 13 maggio 1985, in cause Fugger Giuntini Valeria c. Mariotti Gino (n. 440 del 1985) e Agostinelli Augusto c. Ramazzotti Gherardo (n. 441 del 1985); del 22 maggio 1985. in causa Istituto per i ciechi "Sant'Alessio" c. Giaroli Egidio (n. 487 del 1985); del 27 maggio 1985, in causa Innocenzi Settimio c. Di Tommaso Maria (n. 488 del 1985); del 24 maggio 1985, in causa vertente tra i medesimi (n. 489 del 1985); del 10 maggio 1985, in cause Cicerchia Arnoldo c. Gheri Carlo (n. 531 del 1985), nonché Escobar Losada Maria Josefa c. Pinci Gioacchino (n. 532 del 1985); del 27 giugno 1985, in causa Forconi Claudio contro Riponi Bruno (n. 611 del 1985); del 25 giugno 1985, in cause Di Veroli Guido c. Mazzacchera Pietro (n. 612 del 1985) e Di Veroli Ettore c. Mannoia Castrense (n. 613 del 1985); del 5 luglio 1985, in causa Colivicchi Flora ed altri c. s.r.l. D.B. De Rossi Biancavilla (n. 614 del 1985); del 13 giugno 1985, in causa Monfreda Mario c. Damizia Giulio (n. 615 del 1985); del 4 luglio 1985, in causa Paparelli Remo c. De Crisogano Marisa (n. 616 del 1985); del 20 giugno 1985, in causa Caccetta Giuseppe ed altri e. Ferlisi Antonio (n. 617 del 1985); del 6 giugno 1985, in causa Fourquet Maria Laura c. s.r.l. Cavalieri Residence (n. 618 del 1985); del 6 giugno 1985, in causa Del Raso Ugo c. Banfi Maria (n. 619 del 1985); del 27 maggio 1985, in causa Formica Maria c. Calbi Nicola (n. 620 del 1985).

Questioni analoghe venivano sollevate ancora dai pretori: di Albano Laziale con ordinanza del 3 maggio 1985, in causa De Santis Maurizio c. Santinelli Franco (n. 442 del 1985); di San Donà di Piave con ordinanza del 4 maggio 1985, in causa Muner Eldino c. Casagrande Isabel (n. 450 del 1985); di Palermo con ordinanza del 10 luglio 1985, in causa Pugno Cleonice c. De Lisi Vincenzo (n. 579 del 1985); di Monza con ordinanze del 26 giugno 1985, in cause Fondazione ricovero Martinelli c. Beretta Vittorio (n. 683 del 1985) e c. Mattioli Vittorio (n. 684 del 1985).

Il pretore di Roma impugnava l'art. 1, comma 9 bis, prima parte, della legge 5 aprile 1985 n. 118, di conversione del d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, il quale stabilisce che l'art. 69 della l. n. 392 del 1978 é Così sostituito: "Alle scadenze di cui alle lettere a), b) e c) dell'art. 67, prorogate dal decreto-legge 23 gennaio 1982 n. 9, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 25 marzo 1982 n. 94, e dalla legge 25 luglio 1984 n. 377, e a quelle di cui all'art. 71, il conduttore ha diritto al rinnovo del contratto per i periodi di cui all'art. 27, fermo restando il disposto dell'art. 34, sulla base di un canone determinato rivalutando, con le variazioni, accertate dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, il canone iniziale o quello pattuito in occasione di intervenuto rinnovo del contratto. Qualora la determinazione del canone iniziale non sia possibile, si fa riferimento al canone corrisposto alla data del 31 dicembre 1973".

Il magistrato rimettente osservava che la disposizione ora citata stabiliva un'ulteriore proroga legale delle locazioni non abitative, nonostante che in essa si parlasse solo di "diritto al rinnovo", giacché il rinnovo si attua sempre nell'ambito di una disciplina nota alle parti nel momento della conclusione del contratto, mentre nella specie veniva disposto il proseguimento autoritativo di locazioni già prorogate.

L'ulteriore proroga legale sembrava al giudice rimettente in contrasto con l'art. 42 Cost. per le stesse ragioni già esposte dal pretore di Bettola.

Il pretore riteneva che la disposizione impugnata confliggesse anche con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, poiché essa, riguardando gli immobili non abitativi, si inseriva nel sistema della legge n. 118 del 1985, interamente dettata per la tutela del cosiddetto "diritto alla casa", nonché sotto il profilo dell'ingiustificato privilegio riservato ai conduttori di immobili non abitativi rispetto a quelli di immobili abitativi (quest'ultimo profilo era indicato solo nell'ordinanza n. 440 del 1985).

Lo stesso pretore nell'ordinanza n. 371 del 1985 si riferiva altresl' all'art. 41 Cost., osservando che l'insufficiente meccanismo di aggiornamento del canone ledeva il diritto di iniziativa economica del locatore.

Il pretore di Albano Laziale, analogamente argomentando, limitava la sua impugnativa all'art. 42 Cost.

Il pretore di San Donà di Piave impugnava, dell'art. 11. n. 118 del 1985, l'intero comma 9 bis, il comma 9 quater, secondo cui "le disdette del contratto inviate prima dell'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto ed i provvedimenti di rilascio per finita locazione, che non siano fondati su di uno dei casi di necessità del locatore di cui all'art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, perdono efficacia, e le disdette possono essere riproposte ai sensi del precedente comma", nonché il comma 9 quinquies, secondo cui "Le disposizioni dei precedenti commi 9 bis, 9 ter e 9 quater si applicano anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".

Secondo il magistrato rimettente la normativa impugnata, oltre a contrastare con gli artt. 41 e 42 Cost. e con l'art. 3 Cost., per l'indiscriminato e ingiustificato vantaggio riservato ai conduttori, eludeva anche il principio di intangibilità del giudicato.

Il pretore di Palermo lamentava ancora la disparità di trattamento tra conduttori di immobili e non, l'irrazionale inserimento dei commi 9 bis e 9 quater in un sistema di tutela dei rapporti di locazione abitativa, la lesione dei diritti di proprietà e di iniziativa economica privata.

A queste censure, comuni a quelle degli altri magistrati sopra nominati, il pretore di Palermo aggiungeva il dubbio di violazione dell'art. 77 Cost., per essere stato emanato il decreto legge n. 12 del 1985 senza che ricorressero i requisiti della necessità e della urgenza, nonché degli artt. 24, 101, 102, 103 Cost. Infatti, il comma 9 quater, disponendo retroattivamente l'inefficacia dei provvedimenti di rilascio per finita locazione non fondati su uno dei casi di necessità di cui all'art. 29 l. n. 392 del 1978, travolgeva anche provvedimenti passati in giudicato, Così ledendo il principio di intangibilità della funzione giurisdizionale, e più in generale quello di divisione dei poteri.

Quest'ultima censura veniva formulata anche dal pretore di Monza, che impugnava altresì il comma 9 quinquies.

3. - La Presidenza del Consiglio dei ministri interveniva nelle cause n. 1141 del 1984, da 368 a 372, 440, da 487 a 489, 531, 532, 579, da 611 a 620, 683 e 684 del 1985, osservando che le norme impugnate esprimevano scelte del legislatore intese, secondo criteri discrezionali insindacabili in sede di legittimità, ad evitare instabilità e turbamento nel mercato degli immobili destinati ad attività commerciale. Quanto alla legge n. 377 del 1984, l'interveniente notava anche l'estrema brevità della proroga.

La Presidenza del Consiglio sosteneva altresì l'estraneità dell'art. 41 Cost. alla posizione dei locatori, potendo esso riferirsi piuttosto ai conduttori-imprenditori, nonché l'irrilevanza della questione relativa all'art. 77 Cost.

4. - Si costituivano i locatori Gioia, De Santis e Pugno, aderendo alle censure formulate, rispettivamente, dai pretori di Roma, Albano Laziale e Palermo.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza del pretore di Bettola, da un verso, e, dall'altro, quelle emesse dai numerosi giudici indicati in epigrafe, pur se dirette contro differenti disposizioni di legge, hanno per oggetto principale questioni analoghe: i relativi giudizi vanno quindi riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2. - I provvedimenti di rimessione concernono i rapporti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, in corso al momento di entrata in vigore della l. 27 luglio 1978 n. 392 (c.d. legge sull'equo canone). La quale, al fine di regolare il graduale passaggio dal precedente regime vincolistico a quello libero, dispose, relativamente ai rapporti già soggetti a proroga, un'ulteriore proroga di quattro, cinque o sei anni, a seconda che i contratti fossero stati stipulati prima del 31 dicembre 1964 o tra il 1 gennaio 1965 e il 31 dicembre 1973 ovvero successivamente a quest'ultima data (art. 67 cit., primo comma, lett. a), b) e c)); mentre, di quelli in corso non soggetti a proroga, stabilì la protrazione coattiva di durata pari a quella prescritta per i nuovi contratti dagli artt. 27 e 42, primo comma (art. 711. cit.).

Successivamente, con l'art. 15 bis del d.l. 23 gennaio 1982 n. 9, come convertito nella l. 25 marzo 1982 n. 94, fu disposta per i contratti di cui al citato art. 67 un'altra proroga di due anni, presa in esame da questa Corte con la sent. n. 89 del 1984, alla quale si farà più volte riferimento.

In seguito, é sopravvenuta la l. 25 luglio 1984 n. 377, che nell'art. 2, secondo comma, ha statuito che le scadenze dei contratti di cui all'art. 67, primo comma, lett. a) della legge 27 luglio 1978 n. 392 (ossia i contratti stipulati anteriormente al 31 dicembre 1964) erano prorogate sino al 31 dicembre 1984: ed é contro questa disposizione che si appunta il sospetto di illegittimità costituzionale del pretore di Bettola, sul rilievo che la nuova proroga sarebbe in contrasto con le norme degli artt. 42, 41 e 3 della Costituzione. Infine é intervenuto il d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, convertito nella legge 5 aprile 1985 n. 118, la quale nell'art. 1, comma 9 bis, tra l'altro: 1) ha disposto il rinnovo ex lege dei ricordati contratti previsti dagli artt. 67 e 71 cit. l. n. 392 del 1978 per i periodi di cui all'art. 27 di questa stessa legge (sei anni ovvero nove in caso di industrie alberghiere); 2) ha fissato la nuova misura del canone sulla base di quello iniziale, rivalutato con le variazioni accertate dall'ISTAT dell'indice dei prezzi al consumo e aggiornato a partire dal secondo anno nella misura del 75% delle variazioni stesse; 3) ha stabilito che al rinnovo non si fa luogo nel caso in cui il locatore abbia la necessità di riottenere la disponibilità dell'immobile per uno dei motivi indicati nell'art. 29 cit. l. n. 392/1978, regolando l'indennità spettante al conduttore per la perdita dell'avviamento sulla base del canone corrente di mercato.

Tale norma costituisce l'oggetto dell'impugnazione di tutte le altre ordinanze di rimessione, le quali, oltre a formulare in via preliminare due rilievi di cui si dirà in prosieguo, deducono fondamentalmente che il rinnovo imposto sarebbe in realtà una proroga del precedente rapporto locativo, anch'essa in contrasto con le ricordate disposizioni degli artt. 42, 41 e 3 Cost. Non manca in verità, tra i detti provvedimenti, qualche lieve differenza, tuttavia non rilevante, essendo stato impugnato da alcuni giudici a quibus (pretori di Albano Laziale, San Donà di Piave, Palermo e Monza) integralmente il disposto del cit. art. 1, comma 9 bis, il cui contenuto va pertanto esaminato nella sua interezza con riferimento ai parametri sopra ricordati.

Alcune ordinanze peraltro denunciano anche i commi 9 ter (pretore di Monza), 9 quater (pretori di San Donà di Piave, Palermo e Monza), e 9 quinquies (pretori di San Donà di Piave e di Monza), che regolano, nell'ambito della normativa in oggetto, la disdetta del locatore, l'efficacia dei provvedimenti di rilascio e i giudizi in corso: censure, queste, su cui logicamente influirà la decisione della questione principale nel caso in cui essa venga ritenuta fondata.

3. - Così precisati il quadro normativa e l'oggetto del giudizio, ritiene utile la Corte muovere da una premessa di carattere comune alle questioni sollevate, richiamando la sua precedente giurisprudenza, con la quale ha reiteratamente osservato come i limiti legali al diritto di proprietà, previsti dall'art. 42 Cost. al fine di assicurarne la funzione sociale, consentano di ritenere legittima la disciplina vincolistica, a condizione che essa abbia un carattere straordinario e temporaneo (cfr., tra le altre, le sentt. n. 3 e 225/1976). Pertanto ha insistentemente rivolto invito al legislatore a non dare alla detta disciplina un carattere di ordinarietà che ne avrebbe compromesso l'aderenza ai principi costituzionali: invito accolto con la ricordata l. n. 392 del 1978, la quale ha posto una nuova e permanente regolamentazione del contratto di locazione di immobili urbani ed ha altresì disciplinato transitoriamente il graduale passaggio dal vecchio regime vincolistico a quello da essa introdotto, conferendo maggior rilievo all'autonomia privata.

Successivamente a detta normativa, la Corte con la sentenza n. 89 del 1984, specificamente attinente ai rapporti locativi degli immobili ad uso non abitativo, ha ritenuto che sfiorasse il limite della legittimità costituzionale la ricordata proroga concessa con l'art. 15 bis cit. l. n. 94 del 1982, avvertendo che non ne sarebbero state ammissibili altre successive, giacché esse sostanzialmente avrebbero perpetuato quel regime vincolistico, incompatibile - se ulteriormente protratto dopo vari decenni di vigenza - con la tutela attribuita al diritto di proprietà dalla Carta fondamentale.

4. - Ciò posto, osserva la Corte, rispetto alla prima questione (quella sollevata dal pretore di Bettola), che l'art. 21. n. 377 del 1984 prevede senza alcun dubbio una proroga legale in quanto dispone la protrazione coattiva del precedente rapporto locativo oltre il termine finale pattuito dalle parti. In tal senso é concorde l'orientamento della giurisprudenza e della dottrina, le quali correttamente richiamano la formulazione letterale usata ("le scadenze... sono prorogate..."), nonché l'intenzione del legislatore, resa palese dai lavori preparatori, nei quali si fa sempre riferimento all'istituto predetto. Del resto, ciò é ammesso incondizionatamente anche dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, pur aderendo in linea di principio al contenuto della sent. n. 89/1984, deduce che tuttavia nella specie non potrebbe ravvisarsi un'illegittima compressione della posizione del proprietario a causa della limitata durata della proroga (sei mesi) stabilita dalla richiamata legge 377 del 1984.

La Corte non ritiene però di poter condividere tale deduzione, e ciò per un duplice ordine di motivi.

É intuitivo infatti come non possa escludersi la violazione di un diritto costituzionalmente garantito, sol perché essa é temporalmente limitata. La nostra Costituzione dispone che "la proprietà privata é riconosciuta e garantita dalla legge"(art. 42, secondo comma), in armonia peraltro con un principio generalmente condiviso e sancito anche nell'art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, approvata alla unanimità da tutti gli Stati aderenti all'ONU, secondo cui: "ogni individuo ha diritto di avere una proprietà personale o in comune con altri. Nessun individuo può essere arbitrariamente privato della sua proprietà". Non é consentito perciò al legislatore ordinario intervenire liberamente su tale posizione soggettiva, che può essere legittimamente compressa sol quando lo esiga il limite della "funzione sociale", considerato nello stesso precetto costituzionale poc'anzi ricordato: funzione sociale, la quale esprime, accanto alla somma dei poteri attribuiti al proprietario nel suo interesse, il dovere di partecipare alla soddisfazione di interessi generali, nel che si sostanzia la nozione stessa del diritto di proprietà come viene modernamente intesa e come é stata recepita dalla nostra Costituzione. Conseguentemente non ha fondamento la ricordata eccezione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui, in sostanza, non potrebbe considerarsi violazione del precetto costituzionale la compressione della posizione soggettiva riconosciuta e tutelata sol perché temporanea.

Anche se limitato nel tempo, l'intervento legislativo risulta legittimo unicamente se ricorrono le condizioni poste dalla Costituzione, il che nella specie non é neppure dedotto, facendosi leva esclusivamente sull'entità temporale della proroga.

5. - Ma, oltre a ciò, va osservato che il riferimento dell'Avvocatura dello Stato alla brevità del termine in questione non é per nulla esatto. La proroga de qua, infatti, non può essere considerata isolatamente, avulsa cioé dal quadro normativo generale, nell'ambito del quale, in effetti, essa funziona come presupposto di un'ulteriore e lunga protrazione del rapporto, autoritativamente imposta. Per vero, la stessa é stata seguita dal d.l. 7 febbraio 1985 n. 12, che nell'art. 1, comma 8, ha prorogato gli stessi contratti considerati dalla l. n. 377 del 1984 di altri sei mesi, mentre la legge di conversione n. 118 del 1985 (art. 1, comma 9 bis) ha disposto anche il "rinnovo" dei medesimi negozi (e di quelli indicati alle lettere b) e c) del già cit. art. 67 l. n. 392 del 1978). Rinnovo che, al di là dell'espressione letterale adoperata, come tra breve si dirà, costituisce un'altra vera e propria proroga legale, rispetto alla quale la ricordata disposizione dell'art. 2 l. n. 377 del 1984 costituisce appunto il momento preliminare, essendo noto come, secondo la giurisprudenza ordinaria, la proroga (o il rinnovo) ha per indefettibile presupposto la pendenza del rapporto e non é quindi ammissibile quando questo si é comunque esaurito: il che si sarebbe verificato nella specie senza le due proroghe semestrali sopra indicate.

6. - Portando ora l'esame sul cit. art. 1, comma 9 bis, l. n. 118 del 1985, la cui legittimità costituzionale é messa in dubbio in tutti i rimanenti provvedimenti di rimessione, la Corte deve anzitutto esaminare due eccezioni di carattere preliminare. Con la prima i pretori di Roma e di Palermo rilevano che la norma del comma 9 bis sarebbe in contrasto col principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto essa, sebbene concernente la protrazione del rapporto locativo di immobili non abitativi, é stata inserita in un provvedimento legislativo finalizzato, come risulta anche dal suo titolo ("Misure finanziarie a favore delle aree ad alta tensione abitativa"), alla tutela del diritto all'abitazione. Con la seconda il pretore di Palermo deduce l'illegittimità costituzionale del d.l. n. 12 del 1985, che sarebbe in contrasto con l'art. 77 Cost. in quanto emanato in difetto dei requisiti della necessità e dell'urgenza.

É evidente però come la prima questione concerna la topografia della norma denunciata, la cui improprietà può essere criticabile sotto il profilo della tecnica legislativa, ma non può dar luogo ad un vizio di legittimità costituzionale, non sussistendo in proposito alcuna disposizione della nostra Carta fondamentale. Mentre, per quanto riguarda la seconda questione, a parte ogni altro rilievo, é da osservare che nel caso di specie il decreto suddetto é stato convertito in legge dal Parlamento.

7. - Ciò premesso, rileva la Corte che, durante i lavori preparatori della norma in esame, espressamente fu ripetuto che la nuova regolamentazione intendeva uniformarsi rigorosamente al principio enunciato nella più volte ricordata decisione n. 89 del 1984, principio che non venne affatto messo in discussione. La norma, pertanto, non era diretta - sempre secondo i lavori preparatori - a disporre una nuova proroga, ma perseguiva una finalità diversa, ossia quella di inserire i rapporti di locazione non abitativa ancora in corso (comprendendovi, oltre ai contratti indicati nell'art. 67, anche quelli di cui all'art. 71, non considerati nella l. n. 94 del 1982) nel regime ordinario della cit. l. n. 392 del 1978, attraverso l'istituto della rinnovazione, proprio di quest'ultima legge (artt. 27, 28 e 29).

Senonché non sembra alla Corte che la normativa de qua consenta di considerare realizzato l'intento suddetto, Così sul piano giuridico-formale come su quello dell'assetto sostanziale degli interessi, dovendosi invece ritenere che essa ha introdotto per l'appunto un'ulteriore proroga dei precedenti rapporti locativi.

Da ciò muove la denuncia delle ordinanze di rimessione, seguite, nelle more di questo giudizio, da numerose altre (tra cui una, di particolare rilievo, della Corte di cassazione), di contenuto analogo a quelle in epigrafe, e non incluse in questo giudizio solo per non essere state ancora compiute tutte le formalità prescritte dalla legge.

Non potendosi ritenere, a rigor di termini, che sussista sulla norma impugnata un'interpretazione consolidata, in quanto l'esperienza giurisprudenziale risulta esclusivamente dagli stessi provvedimenti di rimessione, ed essendo l'elaborazione dottrinale, d'altra parte, contenuta in limiti estremamente ristretti, non può la Corte non soffermarsi sull'oggetto della suddetta disposizione attualmente sottoposta al suo esame.

Al riguardo, va preliminarmente ricordato, - anche se l'argomento non ha peso decisivo - che la rubrica dell'impugnato art. 1 contiene l'espressione "proroga dei contratti...". É ben vero che le espressioni dei titoli e delle rubriche non hanno forza cogente per l'interprete, ma é altrettanto vero che esse non possono considerarsi completamente prive di significato, soprattutto quando, come nella specie, vi era al fondo un problema di scelta legislativa, con i conseguenti riflessi anche di carattere terminologico.

Comunque, di grande e decisiva importanza risulta la giuridica impossibilità di porre sullo stesso piano la cosiddetta rinnovazione di cui al cit. art. 1, comma 9 bis, e quella prevista dalla disciplina ordinaria (artt. 28 e 29 cit. l. n. 392 del 1978). Quest'ultima, invero, é caratterizzata dal fatto che le parti, nel momento in cui manifestano la volontà di stipulare, hanno contezza (e vogliono) che il rapporto, alla scadenza, si rinnoverà ove si verifichi un determinato fatto o atto (generalmente: la mancata disdetta). Nel caso in esame, per contro, la protrazione della durata del contratto é coattivamente imposta al locatore durante la pendenza del rapporto, sicché la rinnovazione prescinde dalla sua volontà ed anzi può ritenersi, secondo l'id quod plerumque accidit, che sia in contrasto con la medesima: con l'ovvia conseguenza che la formula letterale é nettamente smentita dall'essenza dell'istituto, nel quale deve chiaramente ravvisarsi la suddetta protrazione coattiva, ossia proprio quella proroga legale che in sede di formazione della legge si era espressamente dichiarato di voler ripudiare. E può aggiungersi che un elemento di conferma si ricava dallo stesso contesto della previsione normativa ("... il conduttore ha diritto al rinnovo..."), chiaramente espressiva della particolare posizione di soggezione del locatore e tipica della legislazione vincolistica, mentre rispetto alla rinnovazione prevista dalla disciplina comune le due parti sono poste su un piano paritetico (art. 28: "... il contratto si rinnova tacitamente...").

Né vale opporre l'aumentata entità del canone, il quale non corrisponde però a quello di mercato, come invece é previsto (ben s'intende, per gli immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione) nella disciplina dettata dalla legge n. 392/1978, ma é fissato dalla norma denunciata in misura assai spesso inferiore, mediante il ricorso all'artificioso meccanismo che prende a base il canone iniziale, rivalutato secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo; questo meccanismo si presenta anche viziato da evidente irrazionalità per la frequente eventualità che le zone in cui si trovano gli immobili abbiano subito profonde modificazioni urbanistiche, con conseguenti mutamenti nel volume del traffico commerciale, sicché il canone a suo tempo convenuto non risulta più neppure approssimativamente indicativo della nuova realtà economico-sociale (di sviluppo ovvero di degrado).

L'impossibilità, infine, di considerare la normativa in esame come mezzo realmente diretto a ricondurre i contratti nella disciplina comune é resa più evidente dalla circostanza che la facoltà di non rinnovare il contratto, nel caso in cui il locatore "intenda" riottenere l'immobile per uno dei motivi di cui all'art. 29 l. n. 392/1978, é stata notevolmente ristretta, richiedendosi dalla legge impugnata che ricorra l'estremo della "necessità": previsione, questa, tipica del regime vincolistico e perciò estranea al principio di autonomia negoziale, che, come s'è detto, caratterizza, pur con sensibili limitazioni, la citata legge del 1978.

Da tutto ciò si trae il sicuro convincimento che la disciplina denunciata non può essere considerata come diretta a stabilire una regolamentazione riconducibile alla normativa comune, dovendosi, per contro, ravvisare la reintroduzione di una nuova proroga, pur essendo stato inequivocabilmente riconosciuto durante i lavori preparatori, come già s'è ricordato, che il ricorso ad essa sarebbe stato costituzionalmente illegittimo.

8. - Ciò detto, ritiene la Corte di dovere formulare due ulteriori considerazioni.

Da qualche parte si é affermato, peraltro in modo generico e assiomatico, che una disciplina come quella impugnata avrebbe impedito l'aggravarsi della disoccupazione che, altrimenti, si sarebbe verificata nell'ambito delle varie attività d'impresa e professionali.

Per contro, costituisce comune dato di esperienza che negli anni successivi a quello di emanazione della legge sull'equo canone (1978) vi é stato un notevolissimo aumento dell'attività imprenditoriale relativa alla fornitura di servizi, nuovi o tradizionali, resi dal mercato (e la diminuzione di quelli prestati dallo Stato e dagli enti pubblici) con il continuo sviluppo del settore economico cosiddetto terziario: il che ha comportato necessariamente l'esigenza di prendere in locazione gli immobili necessari per l'esercizio delle relative attività (locazioni stipulate sulla base del canone di mercato, secondo la citata legge n. 392 del 1978), senza che ciò abbia ostacolato ovvero costituito remora al ricordato sviluppo imprenditoriale.

Va inoltre rilevato che due ampie categorie di conduttori già operano con il canone corrente di mercato. Oltre a tutti quelli (e non sono pochi, in relazione a quanto ora detto) che hanno stipulato i contratti in questi ultimi otto anni, ossia successivamente all'entrata in vigore della legge n. 392 del 1978, si tratta altresì di coloro che, in numero niente affatto trascurabile, a seguito di tale legge hanno raggiunto accordi con i locatori, sicché i relativi contratti sono ora assoggettati al regime ordinario.

Pertanto, la disciplina denunciata, lungi dal sacrificare legittimamente il diritto di proprietà per la tutela di interessi generali, si risolve obiettivamente, e di sicuro contro l'intenzione del legislatore, nell'attribuzione di un lucro ad esclusivo favore del limitato numero di conduttori a cui essa si applica.

9. - Da tutte le osservazioni ora formulate discende chiaramente come le proroghe disposte dalle norme censurate non possano più trovare giustificazione in un quadro normativo che, superato il lungo periodo di emergenza, dal quale era scaturita l'esigenza della legislazione eccezionale vincolistica, aveva riportato dopo vari decenni (con la l. n. 392 del 1978) la materia nel regime ordinario.

Il periodo transitorio stabilito dagli artt. 67 (con il successivo ampliamento di cui all'art. 15 bis l. n. 94 del 1982) e 71 era stato fissato con dimensioni tali da permettere un'ulteriore durata, eccezionalmente ampia, della disciplina vincolistica. Sicché le ulteriori proroghe, e in particolare quella ex art. 1, comma 9 bis, in effetti si risolvono nell'irrazionale ripristino della legislazione eccezionale e temporanea e perciò offendono la coerenza dell'ordinamento, di cui la nuova legge del 1978 forma ormai parte integrante, in sostituzione della corrispondente normativa codicistica: ne risulta violato il diritto che la Costituzione, nell'art. 42, ha inteso riconoscere e proteggere da interferenze non giustificate da quella necessità di tutelare un interesse generale, che integra il limite della funzione sociale della proprietà stessa.

Non é, per contro, pertinente alla materia qui esaminata la tutela dell'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), che pure é stata invocata, giacché - come la Corte ha più volte osservato (sentt. n. 252 del 1983

, 89 del 1984, ord. n. 87 del 1985) - non é ravvisabile alcuna attività di impresa del locatore.

10. - D'altronde, non può la Corte esimersi dal rilevare che la disciplina impugnata risulta anche in contrasto con l'art. 3 Cost. Valgono in proposito le considerazioni svolte nel precedente paragrafo n. 8 e si deve inoltre aggiungere che tale disciplina pone una proroga generalizzata ed indifferenziata, senza una previa valutazione comparativa delle condizioni economiche del conduttore e del locatore: valutazione la quale sarebbe stata invece indispensabile per intuitive ragioni di giustizia sociale, del resto espressamente richiamate dalla Corte all'attenzione del legislatore (cfr. in particolare la sent. n. 3 del 1976). Dalle norme in esame può infatti conseguire, con evidente frattura del più elementare criterio logico, che, in mancanza di elementi discriminatori, categorie di conduttori economicamente più forti si arricchiscano ai danni di categorie di locatori i quali si trovano in una posizione economica più debole: e ciò risulta in stridente contrasto con il principio di eguaglianza tutelato dal ricordato precetto, costituzionale, che non consente sovvertimenti del genere, i quali si appalesano senza dubbio macroscopicamente irrazionali e contrari ai principi della nostra Costituzione.

11. - Va quindi dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma impugnata dal pretore di Bettola, illegittimità che, in applicazione dell'art. 27 l. 11 marzo 1953 n. 87, si estende anche all'art. 1, commi 8 e 9, d.l. 7 febbraio 1985 n. 12 convertito nella legge 5 aprile 1985 n. 118, il quale ha ampliato la previsione normativa denunciata e conseguentemente risulta parimenti viziato.

Deve poi essere dichiarata, in base alle precedenti osservazioni, l'illegittimità costituzionale del comma 9 bis dell'art. 1, ora ricordato, nonché dei commi 9 ter, quater e quinquies, pure impugnati dalle ordinanze di rimessione, i quali trovano il necessario presupposto nella disposizione viziata.

La caducazione del comma 9 bis, espressamente abrogativo dell'art. 69 l. n. 392/1978, importa, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sent. n. 107 del 1974), il ripristino della norma precedentemente abrogata, dalla quale saranno di conseguenza regolati i rapporti giuridici in essa considerati. É probabile che, nell'applicazione di tale norma, possano sorgere incertezze interpretativi, essenzialmente derivanti dalla temporanea vigenza di quella attualmente annullata: in particolare, in materia di termini di decadenza potrebbe profilarsi il pericolo di un pregiudizio della parte che non abbia fatto valere tempestivamente (nei termini stabiliti nel testo originario del cit. art. ora ripristinato) le proprie ragioni, scusabilmente fondandosi sulla efficacia della norma ora dichiarata incostituzionale; pregiudizio che contrasterebbe certamente con lo spirito della presente pronuncia perché lesivo delle posizioni soggettive, costituzionalmente rilevanti, qui considerate e tutelate. A tutto ciò non può ovviare questa Corte, per la sua posizione istituzionale, ma deve provvedere la giurisprudenza ordinaria, come già ha fatto recentemente in casi simili, salvo che se ne occupi il legislatore per adeguare in via normativa il sistema vigente alla presente decisione.

12. - La pronuncia di illegittimità costituzionale non si estende ai commi 9 sexies, septies et octies del cit. art. 1, in quanto essi contengono disposizioni che non si riferiscono affatto alle innovazioni dallo stesso apportate ma concernono la regolamentazione ordinaria della locazione di immobili urbani per uso non abitativo. Precisamente, con il primo dei commi ora detti sono disciplinate diversamente le modalità di revisione del canone, in sostituzione di quelle previste dall'art. 32 della l. n. 392 del 1978, mentre con gli altri due il legislatore ha inteso eliminare le incertezze ermeneutiche relative al criterio discriminatore, in tema di attività alberghiera, tra locazione di immobile, al quale si applica la ricordata l. n. 392 del 1978, e affitto di azienda, a cui invece detta disciplina non sarebbe riferibile (sul punto, com'è noto, é stata peraltro eccepita da vari giudici una ingiustificato disparità di trattamento): e ha fornito la definizione dei due tipi contrattuali, statuendo che "si ha locazione di immobile e non affitto di azienda, in tutti i casi in cui l'attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore". Tale norma, insieme a quella del comma 9 octies, che detta la disciplina transitoria della medesima materia, é chiaramente estranea all'oggetto di questo giudizio e pertanto non rimane coinvolta nella presente pronuncia.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi:

1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, l. 25 luglio 1984 n. 377;

2) in applicazione dell'art. 27 l. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 8 e 9, del d.l. 7 febbraio 1985 n. 12 convertito nella l. 5 aprile 1985 n. 118;

3) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, commi 9 bis, 9 ter e 9 quater e 9 quinquies, del cit. d.l. 7 febbraio 1985 n. 12 convertito nella legge 5 aprile 1985 n. 118.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1986.

 

Livio PALADIN - Antonio LAPERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL’ANDRO – Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA

 

Depositata in cancelleria il 23 aprile 1986.