Sentenza n. 584 del 1989

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SENTENZA N.584

ANNO 1989

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 263, secondo comma, del codice di procedura penale, nel testo sostituito in forza dell'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330 (Nuova disciplina dei provvedimenti restrittivi della libertà personale nel processo penale), promosso con ordinanza emessa l'8 giugno 1989 dal Tribunale di Terni nel procedimento penale a carico di Schiavone Gaetano, iscritta al n. 377 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1989;

udito nella camera di consiglio del 29 novembre 1989 il Giudice relatore Giovanni Conso.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale di Terni denuncia l'illegittimità costituzionale dell'art. 263, secondo comma, del codice di procedura penale del 1930, nel testo sostituito in forza dell'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330, per aver omesso di <prevedere, accanto all'impugnazione del Procuratore della Repubblica, anche il diritto dell'imputato di proporre appello avverso l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura>. La <disposizione di legge> sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, non meno di quanto lo fossero i precedenti testi del più volte novellato secondo comma dell'art. 263. In particolare, il giudice a quo si richiama ai due testi immediatamente anteriori di tale comma, dovuti l'uno all'art. 6 della legge 12 agosto 1982, n. 532, e l'altro all'art. 18 della legge 28 luglio 1984, n. 398, ricordando come entrambi siano stati dichiarati costituzionalmente illegittimi da questa Corte con la sentenza n. 110 del 1986, nella parte in cui non riconoscevano all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura.

2. - La questione é fondata.

Nel modificare ancora una volta l'art. 263 del codice di procedura penale del 1930, dedicato all'<impugnabilità delle ordinanze del giudice> in materia di misure cautelari personali, e, più precisamente, il suo secondo comma, dedicato all'individuazione delle ordinanze appellabili e dei soggetti legittimati ad appellarle, l'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330, pur ampliando il novero dei provvedimenti impugnabili, ha reiterato la tradizionale limitazione dell'appellabilità soggettiva al procuratore della Repubblica e al procuratore generale. Si è fatta cosi rivivere la norma che la sentenza n. 110 del 1986 aveva ritenuto non conforme agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto causa di ingiustificata disparità di trattamento fra imputato e pubblico ministero.

3.-Come esattamente sottolineato dal giudice a quo, la sostanziale analogia <l'ipotesi prevista rispetto a quella dell'abrogata norma>-anzi, la loro perfetta coincidenza nella parte qui in discussione (ordinanze aventi ad oggetto la revoca del mandato di cattura), proprio perché le variazioni apportate dall'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330, concernono soltanto la possibilità per il pubblico ministero di appellare nuovi provvedimenti oltre quelli contemplati in precedenza-non può non comportare che anche il testo dell'art. 263, secondo comma, del codice di procedura penale del 1930 venga adeguato all'indirizzo costituzionale seguito dalla richiamata sentenza n. 110 del 1986.

Nulla giustificherebbe una conclusione diversa, tanto meno dopo che quell'indirizzo é stato ulteriormente ribadito nei riguardi di altre fattispecie di provvedimenti appellabili dal solo pubblico ministero (v. sentenza n. 200 del 1986 e, con riferimento all'art. 136 della Costituzione, sentenza n. 922 del 1988) e dopo che il nuovo codice di procedura penale, approvato con il d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, ha dettato una disposizione, in forza della quale <il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore possono proporre appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali> (art. 310, primo comma).

In tale contesto resta viepiù insuperabile l'argomentazione posta a base della sentenza n. 110 del 1986: una volta chiarito che il provvedimento contro cui la difesa ha interesse ad appellare (ordinanza che nega la revoca del mandato di cattura) non é, ovviamente, il medesimo provvedimento appellabile dal pubblico ministero (ordinanza che dispone la revoca del mandato di cattura), data l'assenza di qualsiasi interesse dell'imputato a dolersi di un'ordinanza come quest'ultima, <la parità di trattamento con il pubblico ministero non può essere raggiunta se non dichiarando costituzionalmente illegittima proprio la mancata previsione per l'imputato del diritto di appellare il provvedimento che si presenta come il puntuale rovescio di quell'ordinanza di revoca nei cui confronti unicamente il pubblico ministero può avere ragione di dolersi>. Soltanto cosi <si perviene a realizzare quel "necessario equilibrio del contraddittorio" (sentenza n. 224 del 1983)>, che risulta <turbato, sotto l'aspetto qui in discussione, da una disparità di trattamento non fondata su "motivi razionalmente giustificabili con il pubblico interesse" (sentenza n. 2 del 1974)>.

Pertanto, anche il secondo comma dell'art. 263 del codice di procedura penale del 1930, quale sostituito in forza dell'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330, va dichiarato illegittimo nella parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 263, secondo comma, del codice di procedura penale del 1930 (testo sostituito in forza dell'art. 22 della legge 5 agosto 1988, n. 330, recante <Nuova disciplina dei provvedimenti restrittivi della libertà personale nel processo penale>), nella parte in cui non riconosce all'imputato il diritto di proporre appello contro l'ordinanza che rigetta l'istanza di revoca del mandato di cattura.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13/12/89.

 

Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Renato DELL'ANDRO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI.

 

Depositata in cancelleria il 29/12/89.

 

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Giovanni CONSO, REDATTORE