Sentenza n. 2 del 1974
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SENTENZA N. 2

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Dott. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 380, primo comma, del codice di procedura civile, promossi con cinque ordinanze emesse il 13 gennaio 1973 dalla Corte suprema di cassazione - sezioni unite civili - sui ricorsi di Diez Enzo contro il Ministero di grazia e giustizia ed altri e del Procuratore generale presso la Corte suprema di cassazione rispettivamente contro Tassone Francesco, Lantieri Luigi, Amendola Gianfranco e Sinagra Raimondo, iscritte ai nn. 171, 172, 173, 174 e 175 del registro ordinanze 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 169 del 4 luglio 1973 e n. 176 dell'11 luglio 1973.

Visti gli atti di costituzione del Ministro di grazia e giustizia, di Amendola Gianfranco e di Sinagra Raimondo;

udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1973 il Giudice relatore Ercole Rocchetti;

uditi l'avv. Paolo Tesauro, per Amendola Gianfranco, l'avv. Lucio Rubini, per Sinagra Raimondo, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per il Ministero di grazia e giustizia.

 

Ritenuto in diritto

 

Nel corso di cinque procedimenti, relativi ad impugnazioni di sentenze della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, promossi con ricorso di Diez Enzo contro il Ministero di grazia e giustizia ed altri, e con ricorso del Procuratore generale presso la suprema Corte nei confronti del Ministero di grazia e giustizia e rispettivamente di Tassone Francesco, Lantieri Luigi, Amendola Gianfranco e Sinagra Raimondo, la Corte di cassazione - sezioni unite civili -, con cinque ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale sull'art. 380, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non esclude che il Procuratore generale assista alle deliberazioni in camera di consiglio delle decisioni sui ricorsi in cui egli é attivamente o passivamente legittimato come parte.

Secondo la Corte suprema, il Procuratore generale, anche nel giudizio di cassazione instaurato in seguito ad impugnazione delle decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, conserva la qualità di parte, contrapposta al magistrato incolpato, che ha assunto durante tutto il corso del procedimento disciplinare.

Pertanto, a differenza di quanto avviene nel normale giudizio di cassazione, in cui il Procuratore generale concludente non é parte, ma é al di sopra delle parti, anche se una di queste sia il Procuratore generale presso la Corte d'appello, nei giudizi in cui il Procuratore generale é attivamente o passivamente legittimato come parte, l'assistenza del pubblico ministero in camera di consiglio alla deliberazione della sentenza sul ricorso da lui stesso proposto o al quale egli resiste, sembra in contrasto con il principio di parità tra le parti, con conseguente violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa tutelati rispettivamente dagli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate.

Nei giudizi dinanzi alla Corte si sono costituiti i magistrati Gianfranco Amendola e Raimondo Sinagra i quali con deduzioni depositate in cancelleria, rispettivamente, il 23 marzo e il 16 maggio 1972, chiedono che la Corte dichiari la illegittimità costituzionale della norma impugnata.

Si é, inoltre, costituito nel giudizio relativo al procedimento promosso dal Diez il Ministero di grazia e giustizia, rimettendosi alla giustizia della Corte in ordine alla soluzione della questione di legittimità costituzionale.

All'udienza di discussione le parti hanno ulteriormente illustrato le loro conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - I giudizi proposti con le ordinanze indicate in epigrafe sollevano la stessa questione di legittimità costituzionale: pertanto, essi, congiuntamente discussi, vengono decisi con unica sentenza.

2. - Le sezioni unite della Corte di cassazione, nell'esame di alcuni ricorsi avverso decisioni della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, hanno proposto questione sulla legittimità costituzionale dell'art. 380 del codice di procedura civile il quale dispone che, avanti la Cassazione in sede civile, la decisione della sentenza in camera di consiglio debba avvenire con l'assistenza del pubblico ministero. Secondo le sezioni unite, questa disposizione violerebbe "il principio di parità fra le parti" - espresso dagli artt. 3 e 24 della Costituzione - tutte le volte che il pubblico ministero ha veste di parte nel giudizio. Il che certamente si verifica nei procedimenti relativi ad impugnazioni di sentenze della sezione disciplinare del Consiglio superiore, nei quali egli ha il compito di iniziare l'azione disciplinare, esercitare le funzioni di accusa ed infine, ove occorra, di proporre e discutere avanti le sezioni unite il ricorso avverso la decisione della sezione disciplinare (artt. 59 e 60 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916).

3. - La questione é fondata.

A parte il più ampio problema che, in rapporto alla norma denunziata, potrebbe porsi quanto all'assistenza in genere del pubblico ministero in camera di consiglio - problema che non si ha qui motivo di esaminare - non può esser dubbio che quella norma sia illegittima, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, allorché il pubblico ministero intervenga avanti le sezioni unite civili, non per svolgere le sue normali funzioni di organo incaricato di vegliare sull'osservanza della legge, ma in qualità di parte, per avere egli, nei casi previsti dalla legge, assolto il compito di promuovere ed esercitare l'azione in giudizio.

Questa Corte che, con sentenza n. 27 del 1972, ebbe a ritenere l'illegittimità costituzionale della norma che consentiva l'assistenza del pubblico ministero alle decisioni del Consiglio nazionale forense, non può che confermare, per le stesse ragioni, la decisione allora espressa. Tali ragioni si compendiano sostanzialmente nel principio che la deliberazione della sentenza é compito esclusivo

dell'organo giudicante, sicché la presenza di una parte, sia pure investita, come il pubblico ministero, di un'alta funzione di giustizia, nel momento in cui la causa viene decisa, altera le regole del contraddittorio le quali postulano che in ogni giudizio, salvo che non ostino gravi motivi razionalmente giustificabili con il pubblico interesse, le parti siano poste in condizioni di completa ed effettiva eguaglianza.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 380 del codice di procedura civile nella parte in cui consente l'assistenza del procuratore generale della Corte di cassazione alla deliberazione in camera di consiglio delle decisioni sui ricorsi in cui lo stesso procuratore generale é attivamente o passivamente legittimato come parte.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Luigi BROSIO - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 14 gennaio 1974.