Sentenza n. 224 del 1983

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SENTENZA N. 224

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 387 cod. proc. pen. (Impugnazioni delle sentenze istruttorie di proscioglimento) promossi con le ordinanze emesse il 13 maggio 1976 dalla Corte di cassazione, il 25 ottobre 1976 dalla Sezione istruttoria della Corte d'appello di Roma e il 13 dicembre 1979, i1 29 settembre e il 21 maggio 1981 dalla Corte di Cassazione, rispettivamente iscritte ai nn. 504 e 722 del registro ordinanze 1976, al n. 469 del registro ordinanze 1980 e ai nn. 63 e 165 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 253 del 1976, n. 10 del 1977, n. 242 del 1980 e nn. 150 e 248 del 1982.

Visti gli atti di costituzione di Spezzaferri Aldo e di Ippolito Gino;

udito nell'udienza pubblica del 25 gennaio 1983 i1 Giudice relatore Michele Rossano;

udito l'avvocato Augusto Castaldo per Ippolito Gino.

Ritenuto in fatto

1. - Con sentenza 27 ottobre 1975 i1 Giudice istruttore del Tribunale di Milano dichiarò non doversi procedere nei confronti di Allegra Antonino - imputato del reato di cui all'art. 606 cod. pen. per avere, quale Commissario Capo di P. S. dirigente l'Ufficio Politico della Questura di Milano, con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni, proceduto all'arresto illegale dell'anarchico Pinelli Giuseppe - perché il reato era estinto per amnistia.

Avverso tale sentenza propose ricorso per cassazione l'Allegra con atto 6 novembre 1975, sollevando, preliminarmente, nei motivi depositati il 24 novembre 1975, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 387 cod. proc. pen. nella parte in cui consente all'imputato la facoltà di proporre solo ricorso per Cassazione e non anche appello avverso la sentenza istruttoria di proscioglimento per estinzione del reato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

La Corte di cassazione - Sezione 5.a Penale - con ordinanza 13 maggio 1976 - ha ritenuto la suddetta questione rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 22 settembre 1976.

Nel giudizio davanti a questa Corte non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e non si é costituita la parte privata.

2. - Con sentenza 24 febbraio 1975 il Giudice istruttore del Tribunale di Roma - ritenuta sussistente l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, cod. pen. - dichiarò non doversi procedere nei confronti dell'avv. Aldo Spezzaferri - imputato del reato di cui agli artt. 81, 646, 61, n. 11, cod. pen.- per essersi appropriato della somma di circa lire 319.000, importo di cambiali riscosse in base a mandato conferitogli, nella sua qualità di procuratore legale, dalla creditrice Fantini Bianca - perché il reato era estinto per amnistia.

Avverso tale sentenza propose appello lo Spezzaferri, con atto 18 aprile 1975, sollevando, nei motivi depositati il 5 maggio 1975, la questione di legittimità costituzionale dell'art.387, comma terzo, cod. proc. pen.- nella parte in cui esclude l'appello dell'imputato avverso la sentenza del Giudice Istruttore di proscioglimento per amnistia in conseguenza della applicazione di circostanza attenuante - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma chiese la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione.

La Sezione istruttoria della suddetta Corte d'appello, con ordinanza 25 ottobre 1976, su conforme richiesta del Procuratore Generale, ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale sollevata dall'imputato rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 12 gennaio 1977.

Nel giudizio davanti a questa Corte non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Si é costituita la parte privata, Spezzaferri Aldo, con deduzioni depositate il 27 novembre 1976, con le quali ha chiesto che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. pen.

3. - Con sentenza 3 ottobre 1979 il Giudice istruttore del Tribunale di Cassino dichiarò non doversi procedere contro Sole Nicola e Sole Giuseppe - imputati del reato di cui agli artt. 110 e 610 cod. pen. per avere impedito all'avv. Carlo Majello, comproprietario, di accedere alla tomba di famiglia - in ordine al reato di cui all'art. 393 cod. pen., così modificata l'imputazione originaria, perché il reato era estinto per amnistia.

Avverso tale sentenza proposero ricorso per cassazione i due imputati, sostenendo che non sussistevano gli estremi del reato di cui all'art. 393 cod. pen.

Con ordinanza 29 settembre 1981 la Corte di cassazione - Sezione 6.a Penale - ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 387 cod. proc. pen.- nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di appellare la sentenza del Giudice istruttore di non doversi procedere per estinzione del reato a seguito di amnistia - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 150 del 2 giugno 1982.

Nel giudizio davanti a questa Corte non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e non si é costituita la parte privata.

4. - Con sentenza 24 giugno 1979 il Giudice istruttore del Tribunale di Torino dichiarò non doversi procedere nei confronti di Motta Francesco, Dini Franco, Angeli Aurelio, Chiappa Riccardo - dipendenti della soc. Italgas di Torino - imputati dei reati di cui agli artt. 590, commi primo e secondo, cod. pen., e 1, 3, 5 legge 6 dicembre 1971, n. 1083 (norme per la sicurezza del gas combustibile) - perché i reati erano estinti per amnistia.

Avverso tale sentenza proposero appello gli imputati.

Con ordinanza 8 novembre 1979 la Sezione istruttoria della Corte d'appello di Torino dichiarò inammissibile l'appello a norma dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. pen. Avverso tale ordinanza proposero ricorso per cassazione i suddetti imputati, sollevando preliminarmente la questione di legittimità costituzionale dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. pen.- nella parte in cui non consente all'imputato di proporre appello avverso la sentenza istruttoria che dichiara non doversi procedere per estinzione del reato a seguito di amnistia - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

La Corte di cassazione - Sezione 4.a Penale - con ordinanza 21 maggio 1981, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 387 cod. proc. pen., sollevata dai ricorrenti.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 dell'8 settembre 1982.

Nel giudizio davanti a questa Corte non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri e non si sono costituite le parti private.

5. - Con sentenza 9-13 marzo 1979 il Giudice istruttore del Tribunale di Milano dichiarò, tra l'altro, non doversi procedere nei confronti di Ippolito Gino in ordine ai reati di cui agli artt. 81 cpv., 110, 318, p.p., cod. pen. perché estinti per prescrizione.

Avverso tale sentenza l'Ippolito propose ricorso per Cassazione.

Con ordinanza 13 dicembre 1979 la Corte di Cassazione - Sezione 6.a Penale - ha proposto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 387 cod. proc. pen. - nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di appellare la sentenza del Giudice istruttore che ha dichiarato non doversi procedere perché estinto il reato per prescrizione - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 242 del 3 settembre 1980.

Nel giudizio davanti a questa Corte non é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Si é costituito la parte privata, Ippolito Gino, con deduzioni depositate il 21 maggio 1980, chiedendo che sia dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 387 cod. proc. pen.

Considerato in diritto

1. - I cinque giudizi sono riuniti e decisi con unica sentenza perché hanno per oggetto questioni di legittimità costituzionale della medesima norma, prospettate con argomenti nella maggior parte identici ed in riferimento agli stessi articoli della Costituzione.

2. - La Corte di cassazione, con le ordinanze 13 maggio 1976, 29 settembre 1981, 21 maggio 1981, e la Sezione istruttoria della Corte d'appello di Roma, con ordinanza 25 ottobre 1976, ritengono l'art. 387 cod. proc. pen.- nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello avverso la sentenza del Giudice istruttore, che ha dichiarato non doversi procedere perché il reato é estinto per amnistia - in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto priva l'imputato del diritto, conferito, invece, al Pubblico Ministero, di impugnare, con l'appello, la sentenza istruttoria di proscioglimento per amnistia, ove caratterizzata, come nella specie, da un sostanziale riconoscimento di colpevolezza; e, perciò, della possibilità di ottenere dal giudice di appello un riesame dei fatti, ai fini dell'eventuale applicazione dell'art. 152, cpv., cod. proc. pen., più ampio di quello che può compiere il giudice di legittimità. La Corte di cassazione nelle citate ordinanze precisa che i Giudici istruttori dei Tribunali di Milano, Cassino e Torino hanno applicato l'amnistia dopo aver ritenuto sussistenti tutti gli elementi costitutivi dei reati contestati e disatteso le richieste degli imputati dirette ad ottenere il proscioglimento con formula ampia ai sensi dell'art. 152, cpv., cod. proc. pen.

La Sezione istruttoria della Corte di appello di Roma, nella suddetta ordinanza, non fa riferimento ad esame di merito. Tale esame é, però, contenuto nella impugnata sentenza del Giudice istruttore del Tribunale di Roma, che ha accertato la responsabilità dell'imputato del reato di appropriazione indebita, e, ritenuta sussistente l'attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, ha applicato l'amnistia.

3. - Lo stesso art. 387 cod. proc. pen. é ritenuto dalla Corte di cassazione, con ordinanza 13 dicembre 1979, in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto priva l'imputato del diritto, conferito, invece al Pubblico Ministero, di impugnare, con l'appello, la sentenza istruttoria di proscioglimento per prescrizione e, perciò, della possibilità di ottenere dal giudice di appello un riesame dei fatti più ampio di quello che può compiere il giudice di legittimità. La Corte di cassazione precisa che nel caso di specie il Giudice istruttore del Tribunale di Milano ha escluso l'applicabilità dell'art. 152, cpv., cod. proc. pen. con argomenti sfavorevoli all’ imputato.

4. - Le censure sono fondate.

Si devono, innanzitutto, precisare i limiti dei presenti giudizi di legittimità costituzionale.

Nei cinque procedimenti penali i Giudici istruttori dei Tribunali di Milano, Roma, Torino e Cassino, come é già stato sopra indicato, non si erano limitati a dichiarare l'estinzione dei reati per il sopraggiungere dell'amnistia o della prescrizione, ma avevano compiuto una valutazione degli atti e ritenuto, esplicitamente o implicitamente, sussistenti tutti gli elementi costitutivi dei reati contestati o del reato diverso da quello contemplato nell'originario capo di imputazione, disattendendo le espresse richieste di alcuni degli imputati dirette ad ottenere il proscioglimento con formula ampia, ai sensi dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen.

É costante giurisprudenza della Corte di Cassazione che, in presenza di causa di estinzione del reato, sia il giudice di merito che quello di legittimità decidono allo stato degli atti ai fini dell'applicabilità dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., ma, mentre il primo può vagliare le risultanze processuali direttamente, il secondo deve attenersi alla situazione di fatto emergente dalla stessa sentenza impugnata, essendo vietate in quella sede indagini di fatto.

L'art. 387 cod. proc. pen. é oggetto delle censure della Corte di cassazione e della Sezione istruttoria della Corte di appello di Roma perché non consente all'imputato di proporre appello avverso la sentenza istruttoria di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di concessione di amnistia o del verificarsi della prescrizione, al fine di ottenere il proscioglimento con formula ampia ai sensi dell'art. 152, cpv., cod. proc. pen., dopo un riesame del fatto più ampio di quello che può compiere il giudice di legittimità.

In questi limiti ben determinati le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 387 cod. proc. pen. sono state circoscritte nelle ordinanze di rinvio e devono, quindi, essere esaminate da questa Corte.

5. - In proposito va osservato, poi, che il legislatore del 1930, nel dettare la disciplina delle impugnazioni delle sentenze istruttorie e dibattimentali da parte dell'imputato, seguì un sistema unitario, ponendo gli stessi limiti all'appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate in giudizio dal Pretore (art. 512, n. 2, cod. proc. pen.) e dal Tribunale (art. 513, n. 2, cod. proc. pen.) e contro le sentenze di proscioglimento emanate al termine della istruzione formale (art. 387, comma terzo, cod. proc. pen.) o della istruzione sommaria (art. 395, comma terzo, cod. proc. pen.) e dal Pretore nei procedimenti di sua competenza (art. 399 cod. proc. pen.).

Contro le sentenze istruttorie e dibattimentali di proscioglimento per estinzione del reato non era concesso l'appello all'imputato, che poteva proporre solo il ricorso per Cassazione, che é, di per sé, limitato ai motivi di legittimità, con esclusione, quindi, di riesame del merito.

L'appello del P.M. era consentito in ogni caso.

I suddetti limiti all'appello dell'imputato avverso le sentenze dibattimentali di proscioglimento per estinzione del reato sono stati notevolmente circoscritti da questa Corte.

In particolare, con le sentenze n. 70 del 1975, n. 73 del 1978, n. 72 del 1979, n. 53 del 1981, alle quali sono seguite le ordinanze n. 79 del 1979 e nn. 11 e 87 del 1980, é stata dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen. nelle parti in cui escludevano il diritto dell'imputato a proporre appello contro le sentenze dibattimentali di proscioglimento perché i reati erano estinti per effetto di amnistia o di prescrizione a seguito di giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, a seguito della concessione di circostanze attenuanti, a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nel decreto di citazione o nell'ordinanza di rinvio a giudizio. In tali sentenze é stato rilevato che le norme impugnate concernevano un proscioglimento caratterizzato da un previo riconoscimento di colpevolezza, idoneo a produrre effetti negativi in altri giudizi civili ed amministrativi, essendo necessario valutare in concreto la condotta dell'imputato al fine di accertare se il fatto sussistesse, se l'imputato lo avesse commesso o se fosse previsto dalla legge come reato; e, solo sul presupposto di un giudizio affermativo di colpevolezza, avrebbe potuto avere luogo l'altro giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti o di concessione delle circostanze attenuanti ed il proscioglimento per amnistia o per prescrizione nella ipotesi che anche questo secondo giudizio fosse stato favorevole all'imputato. Nelle stesse sentenze, inoltre, é stata posta in evidenza la possibilità che le sentenze dibattimentali di proscioglimento arrecassero un pregiudizio morale e giuridico al soggetto prosciolto, perché le norme impugnate sopprimevano ingiustificatamente taluni modi generali d'esercizio della difesa, negando al solo imputato il diritto di appellare la sentenza di primo grado.

Anche le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato a seguito di amnistia o di prescrizione, che, come quelle pronunciate dai giudici istruttori di Milano, Roma, Torino e Cassino, escludono l'applicabilità dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., in quanto contengono una sostanziale dichiarazione di colpevolezza, possono arrecare agli imputati pregiudizi di ordine morale e di ordine giuridico.

É innegabile, quindi, che l'imputato ha interesse a dolersi della sentenza istruttoria di proscioglimento, che abbia ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi dei reati contestati e rigettato la sua specifica richiesta diretta ad ottenere il proscioglimento con formula ampia ai sensi dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen. o escluso l'applicabilità di tale norma indipendentemente da quella determinata richiesta. In tali specifici casi l'interesse dell'imputato va riconosciuto più rilevante degli interessi di carattere collettivo e sociale che sono soddisfatti dagli istituti dell'amnistia e della prescrizione. Il proscioglimento per amnistia nella fase istruttoria non comporta preclusione dell'azione civile risarcitoria e dell'azione disciplinare nei confronti di pubblici dipendenti per la sua inefficacia di giudicato nei giudizi civili o nel procedimento disciplinare, ma certamente non può disconoscersi l'influenza che possano avere in tali giudizi l'accertamento e la valutazione dei fatti effettuati in sede penale. In particolare l'art. 29, comma secondo, r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, sulle guarentigie della Magistratura prescrive l'obbligo di iniziare l'azione disciplinare nei confronti del magistrato prosciolto con sentenza istruttoria di non doversi procedere per estinzione del reato.

Il pregiudizio derivante all'imputato dalle sentenze istruttorie di proscioglimento fu messo in evidenza da questa Corte con la sentenza n. 151 del 1967, dichiarativa della illegittimità costituzionale degli artt. 376, 395, comma ultimo, e 398, comma ultimo, cod. proc. pen. per le mancate previsioni della contestazione del fatto e dell'interrogatorio dell'imputato ai fini del proscioglimento con formula diversa da quelle che il fatto non sussiste o non é stato commesso dall'imputato. In tale decisione si afferma che le sentenze istruttorie di proscioglimento per loro natura sono atte a cagionare un nocumento almeno temporaneamente irrimediabile in quanto, a differenza delle pronunce di rinvio a giudizio, chiudono il processo. La citata decisione aggiunge che il proscioglimento può ferire la dignità del cittadino non dissimilmente da una pronuncia di rinvio a giudizio e che anche la declaratoria istruttoria di estinzione del reato per sopravvenuta amnistia produce effetti analoghi a quelli della corrispondente pronuncia dibattimentale, senza, però, che vi sia stato un previo accertamento di reità.

All'interesse morale dell'imputato ad ottenere la sentenza istruttoria di proscioglimento con la formula a lui più favorevole questa Corte ha, poi, riconosciuto rilevanza anche con la sentenza n. 5 del 1975 dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen. nella parte in cui non comprende tra le ipotesi, in cui il Giudice istruttore, ad istruttoria ultimata, deve pronunciare sentenza di proscioglimento nel merito, anziché declaratoria di estinzione del reato per amnistia, anche l'ipotesi in cui manchi del tutto la prova che l'imputato abbia commesso il reato stesso.

Analoghe considerazioni portano a ritenere, quanto al caso in esame non giustificata la disparità di trattamento tra P. M. , che ha il diritto di proporre appello avverso le sentenze istruttorie di proscioglimento per estinzione del reato, e l'imputato, al quale lo stesso appello non é consentito. La norma impugnata turba il necessario equilibrio del contraddittorio ed in tal senso viola anche il principio del diritto di difesa.

Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. pen. nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., a proporre appello avverso la sentenza del Giudice istruttore che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o per prescrizione.

In conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. pen., va dichiarata, di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 399, comma primo, cod. proc. pen., in quanto non prevede l'appello dell'imputato avverso la sentenza istruttoria di proscioglimento per estinzione del reato per amnistia o prescrizione pronunciata dal Pretore, ai fini e nei limiti sopra precisati.

La dichiarazione di illegittimità va anche estesa, di ufficio, ai fini e nei limiti sopra indicati, agli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen., come sostituiti dagli artt. 134 e 135 legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), dato che le citate sentenze di questa Corte n. 70 del 1975, n. 73 del 1978, n. 72 del 1979, n. 53 del 1981 hanno circoscritto l'illegittimità di tali norme alle ipotesi di sentenze dibattimentali di primo grado di proscioglimento, pronunciate dal Pretore e dal Tribunale, perché i reati erano estinti per effetto di amnistia o di prescrizione, a seguito di giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, a seguito di concessione di circostanze attenuanti, a seguito di definizione giuridica del fatto diversa da quella enunciata nel decreto di citazione o nell'ordinanza di rinvio a giudizio.

L'appello - al fine esclusivo di ottenere dal giudice di secondo grado un riesame degli atti - deve essere consentito all'imputato anche avverso la sentenza dibattimentale del Pretore, del Tribunale e della Corte di assise di non doversi procedere per estinzione del reato per amnistia o prescrizione qualora in tale sentenza siano stati effettuati un esame ed una valutazione del fatto e sia stata esclusa la possibilità di proscioglimento nel merito con una delle formule previste dall'art. 152, cpv., cod. proc. pen.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

a) l'illegittimità costituzionale dell'art. 387, comma terzo, cod. proc. pen. nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del Giudice istruttore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione;

b) di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'art. 399, comma primo, cod. proc. pen nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del Pretore, che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione;

c) di ufficio, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale degli artt. 512, n. 2, e 513, n. 2, cod. proc. pen., come sostituiti dagli artt. 134 e 135 legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nelle parti in cui escludono il diritto dell'imputato di proporre appello, ai fini e nei limiti di cui all'art. 152, comma secondo, cod. proc. pen., avverso la sentenza del Pretore, del Tribunale e della Corte di assise che lo abbia prosciolto per estinzione del reato per amnistia o prescrizione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI -  Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 15 luglio 1983.