Sentenza n.235 del 1988

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SENTENZA N.235

ANNO 1988

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 175 del d.l. del Presidente della Regione Sicilia 29 ottobre 1955, n. 6, recepito nella legge della Regione Sicilia 15 marzo 1963, n. 16 avente ad oggetto <Ordinamento amministrativo degli Enti locali nella Regione siciliana>, promosso con ordinanza emessa il l9 giugno 1986 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto da D'Amore Francesca contro Bucolo Giuseppe ed altri, iscritta al n. 359 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34/1a s.s. dell'anno 1987;

udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1988 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.

Considerato in diritto

l. - La questione di costituzionalità posta al giudizio di questa Corte riguarda l'art. 175 del d. leg. Pr. Reg. Sic. 29 ottobre 1955, n. 6, recepito poi dalla legge reg. sic. 15 marzo 1963, n. 16. Questa disposizione, adottata nell'esercizio di una competenza legislativa esclusiva, é sospettata di illegittimità costituzionale nei confronti degli artt. 3 e 51 Cost., in quanto, nel prevedere che le cause d'incompatibilità preesistenti all'elezione alla carica di consigliere comunale rendano nulla l'elezione stessa, dispone una disciplina più restrittiva rispetto a quella nazionale (artt. 6 e 7, l. 23 aprile 1981, n. 154), che invece prevede, per la medesima ipotesi, la conseguenza della decadenza dall'ufficio e una disciplina procedimentale a garanzia dell'interessato.

La questione é fondata.

2.-Con un orientamento costante e da tempo consolidato (cfr. ad es., sentt. nn. 105 del 1957, 26 del 1965, 60 del 1966, 108 del 1969, 189 del 1971, 45 del 1977, 171 del 1984, 20 e 162 del 1985), questa Corte ha dato del diritto di accesso alle cariche elettive, garantito a tutti i cittadini dall'art. 51 Cost., un'interpretazione tendente a massimizzarne la parità di godimento su tutto il territorio nazionale e con riferimento a ogni tipo di elezione, comprese quelle regionali, comunali o locali.

Più precisamente, proprio in riferimento a precedenti giudizi relativi alla Sicilia - che, come tutte le altre regioni ad autonomia differenziata, ha in materia una competenza legislativa esclusiva (art. 15 St. Sic.)-questa Corte ha affermato che la disciplina sui requisiti di accesso alle cariche elettive (anche comunali) <dev'essere strettamente limitata dai principi della legislazione statale> (sentt. nn. 105 del 1957, 26 del 1965, 171 del 1984), dal momento che l'<esigenza di uniformità in tutto il territorio nazionale ben può discendere dall'identità di interessi che comuni e province rappresentano nei confronti delle rispettive comunità locali, quale che sia la regione di appartenenza> (sent. n. 20 del 1985). Di modo che deroghe ai principi e ai criteri adottati nella legislazione statale sul diritto fondamentale di elettorato passivo sono ammissibili soltanto in presenza di condizioni del tutto peculiari alla regione interessata e, in ogni caso, per motivi adeguati e ragionevoli, <finalizzati comunque alla tutela di un interesse generale> (sentt. nn. 108 del 1969, 189 del 1971, 171 del 1984).

Come ha correttamente argomentato il giudice a quo, il ricordato orientamento giurisprudenziale, lungi dal degradare la competenza legislativa esclusiva a una di tipo concorrente, risponde a un preciso principio costituzionale, che, come tale, é in grado di limitare anche l'esercizio di una competenza legislativa regionale di natura primaria.

Il diritto di elettorato passivo é, infatti, un diritto politico fondamentale che l'art. 51 Cost. riconosce e garantisce a ogni cittadino con i caratteri propri dell'inviolabilità (ex art. 2 Cost.). Si tratta, pertanto, di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la regione o il luogo di appartenenza.

Questo vincolo costituzionale, comune a tutti i <diritti dell'uomo e del cittadino> di carattere inviolabile, trova una precisa espressione, riguardo alla materia in questione, nella riserva di legge rinforzata posta dall'art. 51 Cost., in virtù della quale il legislatore e tenuto ad assicurare che il diritto di elettorato passivo sia goduto da ogni cittadino <in condizioni di eguaglianza>.

Poichè, in forza dell'art. 2 Cost., é proprio dei diritti inviolabili di essere automaticamente incorporati, quantomeno nel loro contenuto essenziale, anche negli ordinamenti giuridici autonomi, speciali o comunque diversi da quello statale, sulla base dei principi costituzionali appena menzionati deriva un preciso limite alle possibilità del legislatore regionale di disciplinare l'esercizio del diritto di elettorato passivo, pur nell'ambito di una competenza di tipo esclusivo. Egli, infatti, può disporre regole in deroga ai principi vigenti nell'ordinamento generale (statale), soltanto in presenza di situazioni del tutto peculiari alla regione di cui si tratta e, in ogni caso, in modo che non ne risultino irragionevoli discriminazioni nel godimento dell'anzidetto diritto o restrizioni non giustificate dal fine di garantire interessi generali parimenti meritevoli di tutela costituzionale.

3. - Applicando questi principi al caso di specie, ne consegue la fondatezza dei dubbi di costituzionalità prospettati dal giudice a quo.

Nei limiti della rilevanza della questione, l'art. 175, d. leg. Pr. Reg. Sic. 21 ottobre 1955, n. 6, viene innanzitutto in considerazione relativamente alla norma la quale stabilisce che le cause di incompatibilità <rendono nulla l'elezione, se preesistono>. Nel caso, infatti, si tratta di un'ipotesi di un eletto a un consiglio di un Comune che, nel momento dell'elezione, si trovava in una situazione di lite pendente con il predetto Comune: una situazione che, quantunque originariamente classificata come causa di ineleggibilità (art. 5, n. 6, decreto leg. Pres. Reg. Sic. 20 agosto 1960, n. 3), é stata riqualificata come un'ipotesi di incompatibilità in conseguenza di una decisione di questa Corte (sent. n. 162 del 1985).

Per la parte in cui dispone che le cause d'incompatibilità preesistenti all'elezione rendono nulla quest'ultima, l'impugnato art. 175 si pone in contrasto tanto con la corrispondente disciplina statale, quanto con la ratio stessa dell'istituto dell'incompatibilità.

Sotto il primo profilo, va ricordato che la legge 23 aprile 1981, n. 154, la quale determina le norme statali in materia di ineleggibilità e di incompatibilità nelle elezioni regionali e in quelle locali (provinciali, comunali, circoscrizionali), dispone, all 'art . 6, comma secondo, che <le cause di incompatibilità, sia che esistano al momento dell'elezione sia che sopravvengano ad essa, importano la decadenza dalle cariche (...)>.

Rispetto a questa disposizione, la norma impugnata pone una disciplina molto più restrittiva, che comporta un'obiettiva e sostanziale disparità di trattamento tra chi é eletto in un comune siciliano e chi invece lo é in un altro comune assoggettabile alla legislazione statale: mentre il primo, infatti, risulta irregolarmente eletto senza poter sanare o rimuovere successivamente la causa d'incompatibilità esistente al momento dell'elezione, l'altro invece é considerato regolarmente eletto e sottoponibile soltanto a una dichiarazione di decadenza dalla carica (ad opera del Consiglio comunale di appartenenza) ove non rimuova entro un certo termine, ovviamente successivo all'elezione, il motivo di incompatibilità.

Il trattamento deteriore che la norma impugnata riserva all'eletto in un comune siciliano, oltre a non essere giustificato da alcuna peculiarità propria della regione interessata, appare del tutto irragionevole e incongruente rispetto alla ratio sottostante all'istituto dell'incompatibilità. Quest'ultimo, infatti, mira a impedire che una persona, risultata validamente eletta, ricopra certe cariche o svolga certe attività che la legge considera inconciliabili con lo svolgimento del mandato per cui quella persona e stata eletta. Sicchè é proprio del regime delle incompatibilità non influire sulla validità dell'elezione, ma di prevedere, per l'eletto che al momento dell'elezione si trovi in una situazione impeditiva, un obbligo di rimozione della relativa causa e, soltanto nel caso che ciò non sia fatto in tempo utile, di essere dichiarato decaduto dalla carica. Sotto questo profilo, l'impugnato art. 175, nel prevedere per le cause di incompatibilità preesistenti all'elezione la nullità dell'elezione stessa, opera un'irragionevole e arbitraria equiparazione dell'incompatibilità al distinto istituto dell'ineleggibilità.

Per i motivi ora detti, il menzionato art. 175 appare viziato di illegittimità costituzionale nella parte in cui prevede, in ordine alle cause di incompatibilità esistenti al momento dell'elezione, la nullità di quest'ultima anzichè la decadenza dalla carica.

4.-Il giudice a quo sospetta d'incostituzionalità il medesimo art. 175 sotto l'ulteriore profilo della violazione degli artt. 3 e 51 Cost., in quanto non prevede, per l'eletto che versi in una situazione di incompatibilità, le garanzie procedurali disposte, in via generale, dall'art. 7, l. 23 aprile 1981, n. 154.

Anche sotto tale profilo, la questione é fondata.

In effetti, mentre l'impugnato art. 175 si limita a stabilire, all'ultimo comma, che <la decadenza é dichiarata dai rispettivi Consigli, sentiti gli interessati, con preavviso di dieci giorni>, al contrario l'art. 7 della legge n. 154 del 1981 dispone nei commi 3-8 una serie di garanzie a tutela del diritto fondamentale di elettorato passivo, con specifico riferimento alla persona eletta che si trovi in una situazione di incompatibilità. Più in particolare, esso prevede un procedimento che consta delle seguenti fasi: a) attivazione del procedimento d'ufficio o su istanza di qualsiasi elettore; b) contestazione della causa di incompatibilità all'interessato da parte del Consiglio d'appartenenza; c) rimozione della causa o, in caso contrario, formulazione di osservazioni da parte dell'interessato nei successivi dieci giorni; d) decisione definitiva del Consiglio entro i dieci giorni successivi, con diffida all'interessato, in caso di accertamento positivo, ad effettuare la rimozione della causa (ove non sia stata già rimossa); e) dichiarazione della decadenza dalla carica ad opera del Consiglio di appartenenza nei dieci giorni successivi, con notifica del provvedimento allo stesso consigliere decaduto entro i cinque giorni successivi, onde permettergli la possibilità di un'adeguata tutela giurisdizionale.

Come appare evidente, con riferimento alla stessa ipotesi disciplinata dalla norma di legge siciliana oggetto della presente impugnazione, la legislazione statale, a differenza di quella regionale, prevede un sistema di contestazione della causa impeditiva che é ispirato al principio del contraddittorio ed e assistito da garanzie procedurali a favore dell'interessato. Si tratta di un sistema indubbiamente più rispondente al principio costituzionale, desumibile dall'art. 24 Cost., secondo il quale nessuno può essere comunque impedito nell'esercizio o nel godimento di un diritto inviolabile senza il <giusto procedimento> previsto dalla legge: un sistema la cui mancata previsione nella legislazione siciliana genera, in ogni caso, un'illegittima disparità di trattamento nel godimento del diritto fondamentale di elettorato passivo, in danno degli eletti nei consigli comunali della Sicilia che versino in una situazione di incompatibilità prevista dalla legge.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

a) l'illegittimità costituzionale dell'art. 175, d. leg. Pres. Reg. Sic., 29 ottobre 1955, n. 6, comma primo, nella parte in cui prevede, per le cause d'incompatibilità preesistenti all'e lezione, la sanzione della nullità dell'elezione stessa anzichè quella della decadenza dalla carica;

b) l'illegittimità costituzionale del medesimo art. 175, ultimo comma, nella parte in cui non prevede un procedimento di dichiarazione di decadenza dalla carica conforme ai principi di cui all'art. 7, commi 3-8, della legge 23 aprile 1981, n. 154.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/02/88.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Antonio BALDASSARRE, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 03 Marzo 1988.