Sentenza n.103 del 1985

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SENTENZA N. 103

ANNO 1985

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6 e 7 della legge 3 giugno 1940, n. 1078 (Norme per evitare il frazionamento delle unità poderali assegnate a contadini diretti coltivatori), in relazione agli artt. 3, 24 e 42, comma quarto, della Costituzione; art. 7, commi terzo e quinto, legge 29 maggio 1967, n. 379 (Modificazioni alle norme sulla riforma fondiaria), in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) due ordinanze emesse il 9 settembre 1977 e 1 marzo 1978 dal Tribunale di Avezzano sui ricorsi proposti da Cervellini Antonio c/Cervellini Maria e Silvagni Emilio c/Silvagni Mario ed altra, iscritte al n. 512 del registro ordinanze 1977 e al n. 287 del registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11 e 250 dell'anno 1978;

2) due ordinanze emesse il 17 giugno 1980 e 22 gennaio 1982 dal Tribunale di Civitavecchia nel procedimento civile vertente tra Coda Benedetta Maddalena c/Coda Mario e Ciancarella Anna c/ Ciancarella Francesco ed altri, iscritte al n. 565 del registro ordinanze 1980 e al n. 207 del registro ordinanze 1982 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 277 dell'anno 1980 e n. 255 del 1982.

Visto l'atto di costituzione di Giallatini Ezio nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 gennaio 1985 il Giudice relatore Aldo Corasanniti;

udito l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso del procedimento in camera di consiglio promosso da Cervellini Antonio nei confronti della sorella Maria, al fine di conseguire l'attribuzione del fondo assegnato dall'Ente Fucino alla madre, Cervellini Teresa, deceduta dopo aver affrancato l'immobile dal riservato dominio a favore dell'Ente, il Tribunale di Avezzano, con ordinanza emessa il 9 settembre 1977, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6 e 7 della legge 3 giugno 1940, n. 1078, in relazione agli artt. 3, 24 e 42, ultimo comma, della Costituzione.

Osserva il giudice a quo che la fattispecie sottoposta al suo esame é disciplinata dall'art. 10, commi primo e secondo, della legge 30 aprile 1976, n. 386, in quanto, avendo l'assegnataria, prima del suo decesso, pagato la quindicesima annualità del prezzo di assegnazione, il terreno é stato affrancato dal riservato dominio a favore dell'Ente di sviluppo, con conseguente acquisto ipso iure della proprietà del fondo da parte dell'assegnataria, restando tuttavia soggetto, per ulteriori quindici anni, ai vincoli, alle limitazioni ed ai divieti di cui agli artt. 4 e 5 della legge 29 maggio 1967, n. 379, ed in particolare, quindi, al vincolo di "indivisibilità" del fondo, come disciplinato dagli artt. 5, 6 e 7 della legge 3 giugno 1940, n. 1078 (Norme per evitare il frazionamento delle unità poderali assegnate a contadini diretti coltivatori), disposizioni queste ultime che l'art. 4 della legge n. 379/1967 richiama sul punto nella sua totalità, sia negli aspetti sostanziali che in quelli processuali.

Secondo il giudice a quo la disciplina applicabile - e cioé quella delineata dagli artt. 5, 6 e 7 della l. n. 1078/1940 per il subingresso all'assegnatario dell'unità poderale che sia deceduto - suscita dubbi di legittimità costituzionale in quanto: a) la prevista adozione del rito camerale sembra violare l'art. 24, commi primo e secondo, Cost., dato che il procedimento non assicura la difesa dell'interessato nella stessa misura in cui ciò avviene nell'ordinario giudizio di cognizione; b) la prevista attribuzione del fondo ad un solo coerede, designato dal testatore o dai coeredi, o, in caso di disaccordo, dall'autorità giudiziaria, con soddisfacimento delle quote dei coeredi esclusi con altri beni o con equivalente monetario, sembra in contrasto con l'art. 3 Cost., perché implica per i non assegnatari l'esclusione dai diritti successori su un bene esistente nel patrimonio del defunto, qual é il fondo in questione; c) la prevista attribuzione ope judicis sembra in contrasto con l'art. 42, comma quarto, Cost., per il quale non é possibile la devoluzione di un bene ereditario sulla base di un apprezzamento del giudice che, dovendo tenere conto solo delle condizioni e delle attitudini personali dei coeredi, é ampiamente discrezionale.

Le questioni sono ritenute rilevanti poiché il procedimento non può essere definito indipendentemente dalla loro decisione.

Nessuna parte privata si é costituita. É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha tempestivamente depositato le proprie deduzioni.

Osserva l'Avvocatura che erroneamente il Tribunale ritiene applicabili gli artt. 5, 6 e 7 della legge n. 1078/1940 nell'ipotesi di decesso dell'assegnatario, che sia già divenuto proprietario, in quanto l'art. 4, comma primo, della legge n. 379/1967 (richiamato dall'art. 10, comma secondo, della legge n. 386/1976) non é formulato in termini di rinvio a tutta la legge n. 1078/1940, bensì a quelle disposizioni di essa che riguardano l'indivisibilità, tra le quali non rientrano quelle che configurano la sorte della titolarità del fondo dopo la morte dell'assegnatario (e cioé gli artt. 5, 6, 7 e 8), poiché queste non riguardano l'unitarietà del fondo, ma il criterio della attribuzione di esso.

Ne deriva che, esclusa l'operatività del regime speciale di cui alla legge n. 1078/1940, la successione mortis causa dell'assegnatario già divenuto proprietario deve essere regolata dalle norme del codice civile (fermo il vincolo di indivisibilità, da risolvere ex art. 720 c.c.) e che le controversie tra coeredi debbono essere trattate in sede contenziosa ordinaria.

Ciò importa - ad avviso dell'interveniente - che la questione concernente, la legittimità del rito camerale debba essere dichiarata inammissibile per irrilevanza, essendo destinato il giudizio a quo a concludersi con una declaratoria di inammissibilità della domanda perché proposta nelle forme della giurisdizione volontaria, anziché in quelle della giurisdizione contenziosa, proprie dei giudizi divisionali; o, comunque, infondata, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale (sentt. n. 122/1966; n. 142/1970; n. 171/1972; n. 202/1975), poiché il procedimento in camera di consiglio non é lesivo del diritto di difesa garantito dall'art. 24, comma secondo, Cost., dal momento che le parti debbono essere sentite, possono farsi assistere da un difensore e possono servirsi di tutti i mezzi di prova ammessi nel rito camerale (informazioni, documenti, perizie, audizioni di terzi informatori ecc.).

Eguali conclusioni formula l'Avvocatura circa la denunciata violazione dell'art. 42, comma quarto, Cost., per essere affidata al giudice, anziché alla legge, la designazione del subentrante all'assegnatario defunto: la questione é infatti ritenuta irrilevante, per l'inapplicabilità, in materia, dell'art. 5, della legge n. 1078/1940, dovendo farsi riferimento alle norme del codice civile; o, in subordine, infondata, poiché l'art. 42, comma quarto, Cost. pone una riserva relativa di legge, rinviando a quest'ultima perché siano stabiliti norme e limiti della designazione dei successori, il che é avvenuto con l'art. 5, comma terzo, della legge n. 1078/1940, con il quale il legislatore demanda al giudice una scelta in base ad un corretto e logico criterio direttivo.

Viene infine negata la sussistenza della dedotta discriminazione (art. 3 Cost.) tra coerede subentrante e coeredi esclusi, in quanto gli artt. 5 e 6 della legge n. 1078/1940 prevedono un'ipotesi di successione straordinaria ed anomala (in quanto assume rilievo anche il possesso di determinati requisiti professionali), nell'ambito della quale l'attribuzione del fondo ad un solo coerede si giustifica con la prevalenza degli interessi pubblici della riforma fondiaria, ed appare conforme al dettato dell'art. 44 Cost., e non lesiva delle ragioni degli esclusi, ai quali é riconosciuto il soddisfacimento delle rispettive quote con altri beni o con il riconoscimento di un credito corrispondente al valore del fondo.

2. - Il Tribunale di Civitavecchia - adito con rito camerale da Ciancarella Anna al fine di ottenere l'attribuzione del fondo assegnato dall'Ente Maremma al padre Ciancarella Rinaldo, deceduto dopo aver riscattato l'immobile - con ordinanza emessa il 22 gennaio 1982 ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 7, della legge 3 giugno 1940, n. 1078, in relazione all'art. 24 della Costituzione, ritenendola rilevante, poiché incide sul rito del procedimento pendente, e non manifestamente infondata.

Il giudice a quo, premesso che, trattandosi di attribuzione ad un singolo coerede di fondo già riscattato, é applicabile la disciplina dettata dagli artt. 5 e 7, della legge n. 1078/l940, osserva che le norme in essi racchiuse, prevedendo l'adozione del rito camerale per la designazione giudiziale del coerede subentrante, sembrano violare l'art. 24, commi primo e secondo, Cost., in quanto tale procedimento "non appare idoneo a garantire la pienezza del contraddittorio propria del contenzioso e ad assicurare quindi adeguata tutela agli interessati che vantano in materia diritti soggettivi".

Nessuna parte privata si é costituita.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri eccependo l'infondatezza della questione, per essere adeguatamente garantito il diritto di difesa, in ciascuno dei suoi aspetti essenziali (assistenza tecnica, contraddittorio, facoltà di impugnazione), nell'ambito del procedimento camerale, come specificamente ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 122/1966.

3. - Con atto notificato l'11 luglio 1978 Coda Maddalena ed altri hanno convenuto avanti al Tribunale di Civitavecchia, in sede di cognizione ordinaria, Coda Mario ed altro, al fine di sentir dichiarare inefficace, per lesione della legittima, la disposizione testamentaria con la quale Coda Tommaso aveva lasciato al figlio Mario il terreno assegnatogli dall'Ente Maremma ed anticipatamente riscattato.

I convenuti, costituitisi, hanno eccepito che i terreni assegnati dagli enti di riforma, anche se riscattati, sono assoggettati a successione speciale secondo la legge 29 maggio 1967, n. 379.

Il Tribunale, con ordinanza emessa il 17 giugno 1980, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 6 e 7 della legge 3 giugno 1940, n. 1078, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost..

L'ordinanza - premesso che, in virtù - del richiamo contenuto nell'art. 4, comma primo, della legge 29 maggio 1967, n. 379, il vincolo di indivisibilità dei fondi provenienti dalle assegnazioni disposte dagli enti di riforma é disciplinato dalla legge n. 1078/1940 - prospetta due profili di incostituzionalità: a) l'art. 7 della legge n. 1078/1940, prevedendo, per la soluzione tra i coeredi delle questioni relative all'attribuzione del fondo a seguito della morte dell'assegnatario (divenuto proprietario), l'adozione del rito camerale, sembra contrastare con l'art. 24 Cost., in quanto detto procedimento non consente pienezza di difesa e di contraddittorio; b) l'art. 6 della stessa legge, prescrivendo che i coeredi esclusi dall'assegnazione sono soddisfatti con l'attribuzione di altri beni o, in difetto, con la liquidazione delle rispettive quote da parte dell'assegnatario, e prevedendo la rateazione del relativo debito, sembra costituire una ingiustificata disparità di trattamento (art. 3 Cost.) rispetto ad altre ipotesi di indivisibilità di beni ereditari (art. 720 c.c.), per le quali non é prevista la rateazione nel pagamento dei conguagli.

In punto di rilevanza si osserva che il requisito sussiste, poiché, essendo stata proposta la domanda nelle forme ordinarie, il Tribunale dovrebbe pervenire ad una pronuncia di improcedibilità.

Tra le parti private, si é costituito il solo Giallatini Ezio, instando per la dichiarazione di illegittimità delle norme denunciate.

Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri eccependo l'infondatezza della questione sub a), perché il rito camerale assicura il diritto di difesa in ciascuno dei suoi aspetti essenziali.

Conseguentemente appare irrilevante la questione sub b), in quanto il Tribunale, adito con ordinario procedimento di cognizione, dovrà dichiarare la domanda improponibile, definendo in tal modo il giudizio indipendentemente dalla questione di legittimità dell'art. 6 della legge n. 1078/1940. Tale questione, comunque, é da ritenere infondata, in quanto la rateazione (sino a dieci anni) del debito corrispondente al credito dei coeredi esclusi é giustificata dall'esigenza di non compromettere il buon andamento economico della impresa agricola, che costituisce scopo fondamentale della riforma fondiaria, evitando che l'assegnatario subentrante sia costretto a ricorrere al credito per soddisfare le ragioni dei coeredi esclusi, distraendo risorse finanziarie indispensabili alla valida gestione dell'impresa.

4. - Nel corso di procedimento in camera di consiglio promosso da Silvagni Emilio nei confronti di Silvagni Mario ed Onorina, al fine di essere designato quale avente titolo al subentro nell'assegnazione del fondo effettuata dall'Ente Fucino in favore del padre Silvagni Pasquale, deceduto prima di aver riscattato l'immobile, il Tribunale di Avezzano, con ordinanza emessa il 1 marzo 1978, ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) degli artt. 5, 6 e 7 della legge 3 giugno 1940, n. 1078, e 7, comma terzo, della legge 29 maggio 1967, n. 379, che implicitamente richiama le norme suddette, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.; b) dell'art. 7, comma quinto, legge n. 379 del 1967, in relazione all'art. 3 della Costituzione.

Osserva il giudice a quo, circa la questione sub a), che nell'ipotesi, ricorrente nella fattispecie, di morte dell'assegnatario prima del riscatto del fondo, la designazione del subentrante nel rapporto, prevista dall'art. 7, comma terzo, della legge n. 379/1967, deve avvenire nelle forme del rito camerale delineate dagli artt. 5, 6 e 7 della legge n. 1078/1940, che il suddetto art. 7, comma terzo, della legge n. 379/1967 recepisce.

Ciò determina - ad avviso del Tribunale - la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. essendo esclusa qualsiasi iniziativa istruttoria o di difesa, sia di diritti che di interessi, da parte dei coeredi resistenti, poiché il procedimento camerale é dominato dai poteri di direzione del giudice, residuando all'iniziativa delle parti la sola introduzione della procedura e l'eventuale reclamo, con esclusione di mezzi d'impugnazione avverso la decisione resa sul reclamo.

Quanto alla questione sub b), ritiene il Tribunale che l'art. 7, comma quinto, della legge n. 379/1967 contrasti con l'art. 3 Cost., dal momento che sembra determinare ingiustificata disparità di trattamento tra il coerede che beneficia dell'assegnazione, e quindi dell'immediato accredito in suo favore delle quote di prezzo pagate dall'assegnatario defunto, e gli altri coeredi esclusi dall'assegnazione, il soddisfacimento delle cui ragioni di credito può essere differito fino a dieci anni.

Circa la rilevanza delle questioni, osserva che essa é ricollegata alla loro influenza sulla definizione del procedimento e sul contenuto dell'eventuale decisione.

Ha svolto intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, eccependo l'infondatezza di entrambe le questioni.

Quella sub a), per essere pienamente rispettati, nel procedimento camerale, i principi fondamentali relativi al diritto di difesa, primo fra tutti quello del contraddittorio.

Quella sub b), per i motivi già riassunti in riferimento all'ordinanza n. 565/1980, e per l'ulteriore considerazione che la disparità di trattamento fra coeredi, nel caso di subentro ad assegnatario non ancora divenuto proprietario, é stata esclusa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 66/1974, concernente la legittimità dell'art. 7 della legge n. 379/1967 (sebbene non sotto lo specifico aspetto della rateazione del debito del subentrante verso i coeredi esclusi).

 

Considerato in diritto

 

1. - I giudizi promossi con le quattro ordinanze in epigrafe hanno ad oggetto questioni identiche o connesse e possono pertanto essere riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - Oggetto delle questioni sollevate con tre delle ordinanze in esame é la legittimità costituzionale della disciplina, sostanziale e processuale, della successione mortis causa all'assegnatario defunto relativamente al fondo assegnato in attuazione della riforma agraria, che sia stato riscattato: disciplina stabilita, secondo i giudici a quibus, dall'art. 4 della l. 29 maggio 1967, n. 379 mediante il richiamo alla normativa, contenuta negli artt. 5, 6 e 7 della l. 3 giugno 1940, n. 1078, concernente i trasferimenti tra vivi e mortis causa delle unità poderali costituite in comprensori di bonifica e assegnate in proprietà ai contadini diretti coltivatori, nonché dall'art. 10 della l. 30 aprile 1976, n. 386 mediante il richiamo all'art. 4 della legge n. 379 del 1967, e, per tal via, alla stessa normativa contenuta nella legge n. 1078 del 1940.

Oggetto della questione sollevata con la quarta ordinanza é la legittimità costituzionale della disciplina sostanziale e processuale del subingresso all'assegnatario defunto relativamente al fondo assegnato in attuazione della riforma agraria, che non sia stato ancora riscattato: disciplina stabilita dall'art 7 della l. 29 maggio 1967, n. 379 in modo simile in parte a quella dettata dall'art. 19 della legge 12 maggio 1950, n. 230 (cd. legge Sila) per l'ipotesi di morte dell'assegnatario, e in parte a quella dettata dagli artt. 5, 6 e 7 della legge n. 1078 del 1940 per l'ipotesi del trasferimento mortis causa del fondo già assegnato in proprietà.

Per chiarezza di motivazione é opportuno esaminare il contenuto delle dette normative, considerate nella loro sequenza temporale.

La legge 3 giugno 1940, n. 1078, reca norme dirette ad assicurare l'infrazionabilità delle unità poderali costituite in comprensori di bonifica da enti di colonizzazione ed assegnate in proprietà a contadini, diretti coltivatori, nel caso di trasferimento sia per atto tra vivi che a causa di morte. Dopo avere sancito la nullità degli atti tra vivi e dei testamenti, se aventi effetto di frazionamento, la legge stabilisce agli artt. 5, 6 e 7, rispettivamente:

a) - art. 5 - l'attribuzione dell'unità poderale, in caso di morte dell'assegnatario, al coerede designato dal testatore, o, in mancanza, ad uno dei coeredi che sia disposto ad accettare l'attribuzione e sia idoneo ad assumere l'esercizio dell'unità stessa. Qualora manchi un coerede disposto ad accettare l'attribuzione o vi sia disaccordo tra gli eredi sulla sua individuazione, é previsto l'intervento dell'autorità giudiziaria; nel primo caso per stabilire le modalità della vendita dell'unità poderale sulle quali gli eredi non concordino, e nel secondo caso per individuare l'attributario con riguardo alle "condizioni e attitudini personali";

b) - art. 6 - il soddisfacimento dei coeredi esclusi dall'assegnazione del fondo mediante l'attribuzione di altri beni ereditari, o, in mancanza, mediante l'attribuzione di un credito per il valore del fondo, in corrispondenza alla loro quota, - credito estinguibile ratealmente, in un tempo non superiore a dieci anni - a carico dell'assegnatario, o dei più assegnatari, in solido;

c) - art. 7 - il procedimento per i detti interventi dell'autorità giudiziaria, procedimento che può qualificarsi con riferimento alla nozione di rito camerale.

Questa normativa presuppone l'immediata assegnazione in proprietà del fondo, cioé dell'unità poderale, al contadino diretto coltivatore e, sia pur dall'angolo visuale dell'infrazionalità obbiettiva del fondo stesso, detta una speciale disciplina successoria.

A differenza dalla l. n. 1078 del 1940, le sopravvenute leggi sulla riforma agraria (legge Sila n. 230 del 1950 e legge stralcio n. 841 del 1950) - nella cui area di applicazione si muovono i giudizi a quibus, riguardanti contestazioni fra coeredi di terreni espropriati e assegnati ai contadini in attuazione della detta riforma - presuppongono la non immediata assegnazione in proprietà dei terreni ai contadini, bensì la riserva del dominio sui terreni stessi a favore dell'Ente di riforma fino all'integrale pagamento da parte dell'assegnatario del prezzo di assegnazione, pagamento rateizzato in trenta annualità, senza la possibilità del riscatto anticipato, che anzi é espressamente escluso dall'art. 18 della legge Sila.

Con la legge 29 maggio 1967, n. 379 é previsto, all'art. 1, il riscatto anticipato, dopo 6 anni dall'immissione in possesso del fondo, delle annualità del prezzo di assegnazione, con conseguente acquisto della proprietà del fondo da parte dell'assegnatario riscattante. Contestualmente la legge regola:

1) all'art. 4, comma primo, l'ipotesi del "fondo riscattato", disponendo che quest'ultimo é soggetto a vincolo di indisponibilità ai sensi della l. n. 1078 del 1940;

2) all'art. 7 l'ipotesi del subingresso all'assegnatario defunto relativamente al "fondo non ancora riscattato" disponendo il subingresso a favore del discendente in linea retta avente i requisiti previsti per l'assegnazione e, in mancanza, del coniuge non legalmente separato per sua colpa, avente i detti requisiti, su designazione dell'avente diritto, o, in mancanza, dei coeredi, ovvero, in caso di disaccordo fra essi, dell'autorità giudiziaria (su istanza degli interessati, o dell'ente, con riguardo alle condizioni e attitudini personali), salva l'attribuzione ai coeredi esclusi, per il soddisfacimento delle loro ragioni, di un credito verso l'assegnatario - credito estinguibile ratealmente in dieci anni con l'interesse legale - nei limiti della somma risultante dall'ammontare delle annualità versate, aumentato dall'incremento di valore conseguito dal fondo per effetto di miglioramenti.

Per completare il quadro occorre far riferimento alla legge n. 386 del 1976 che, all'art. 10, mentre abroga espressamente l'art. 17 della legge Sila, stabilisce la durata del riservato dominio limitatamente all'arco di 15 anni (occorrente per il pagamento di quindici annualità) e dispone che i terreni affrancati dal riservato dominio (dopo i 15 anni) sono soggetti alle limitazioni e ai divieti di cui agli artt. 4 e 5 della legge n. 379 del 1967.

3. - Le tre prime ordinanze (Tribunale Avezzano 9 settembre 1977, R.O. n. 512 del 1977; Tribunale Civitavecchia 17 giugno 1980, R.O. n. 565 del 1980 e 22 gennaio 1982, R.O. n. 207 del 1982) prospettano vari profili di illegittimità costituzionale della normativa, sostanziale e processuale, in materia di successione, relativamente a un terreno di riforma, all'assegnatario che sia deceduto dopo aver riscattato il fondo. Esse muovono dalla premessa che la normativa impugnata va desunta dal richiamo fatto dall'art. 4, comma primo, della l. 29 maggio 1967, n. 379, e (secondo l'ordinanza n. 512 del 1977) dall'art. 10, comma secondo, della l. 20 aprile 1976, n. 386, al disposto degli artt. 5, 6 e 7 della l. 3 giugno 1940, n. 1078.

La quarta ordinanza (Tribunale Avezzano 1 marzo 1978, R.O. n. 287 del 1978), pur investendo anch'essa le norme suindicate - ma solo in quanto implicitamente richiamate dall'art. 7 della l. n. 379 del 1967 - concerne la diversa fattispecie del subentro all'assegnatario morto prima del riscatto del fondo, e va quindi esaminata separatamente.

Ora, la comune premessa da cui muovono le prime tre ordinanze é contestata dall'Avvocatura dello Stato in base all'assunto che l'art. 4, comma primo, della l. n. 379 del 1967, nel disporre che "il fondo riscattato é soggetto a vincolo di indivisibilità ai sensi della l. 3 giugno 1940, n. 1078", opera un rinvio alle sole disposizioni di quest'ultima legge che riguardano l'indivisibilità (e cioé gli artt. 1, 4 e 10), e non anche a quelle concernenti la sorte della titolarità del fondo dopo il decesso dell'assegnatario (e cioé gli artt. 5, 6, 7 ed 8). Tali ultime norme riguarderebbero infatti il criterio dell'attribuzione del fondo e non l'infrazionabilità di esso, con la conseguenza che, esclusa l'applicabilità del regime speciale (sostanziale e processuale) delineato dagli artt. 5, 6 e 7 della l. n. 1078 del 1940, la sucessione mortis causa nella titolarità di un terreno di riforma all'assegnatario, già divenuto proprietario per aver riscattato il fondo, sarebbe regolata dalle norme del codice civile, mentre le controversie tra gli eredi dovrebbero essere decise in sede contenziosa ordinaria.

L'eccezione, che tende ad escludere la rilevanza delle questioni, é infondata, non essendovi motivo - che risulti dal "diritto vivente" - per escludere l'esattezza dell'interpretazione data dai giudici a quibus nel senso dell'applicabilità, all'ipotesi di cui si tratta, in forza dei richiami suindicati, del regime dettato con gli artt. 5, 6 e 7 della l. n. 1078 del 1940.

4. - É comune a tre delle ordinanze in esame (Tribunale Avezzano R.O. n. 512 del 1977; Tribunale Civitavecchia R.O. n. 565 del 1980 e n. 207 del 1982) la questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 24, commi primo e secondo Cost., degli artt. 5,6 e 7 della l. n. 1078 del 1940, nella parte in cui prevedono, nel caso di morte dell'assegnatario riscattante, che la designazione giudiziale del subentrante, in difetto di indicazione da parte del testatore o di accordo tra coeredi, avvenga con il rito camerale.

A sua volta, l'ordinanza del Tribunale di Avezzano R.O. n. 287 del 1978 dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 7, comma terzo, della l. n. 379 del 1967, il quale stabilisce - per la diversa ipotesi del decesso dell'assegnatario prima del riscatto del fondo - che l'assegnazione, in difetto di designazione del testatore o di accordo tra i coeredi, é disposta dall'autorità giudiziaria su "istanza" degli interessati (e, quindi, secondo il giudice a quo, con il rito camerale).

Quest'ultima ordinanza denuncia anche, in riferimento agli stessi parametri, e sempre in relazione al prescritto impiego del rito camerale, l'illegittimità costituzionale del regime dettato con gli artt. 5, 6 e 7 della l. n. 1078 del 1940, in quanto implicitamente richiamato dall'art. 73 comma terzo, della l. n. 379 del 1967.

Viene in tal modo sollevata, in definitiva, con tutte le ordinanze in esame, un'unica questione, concernente il rito camerale - adottato sia per la designazione del successore all'assegnatario il quale ha riscattato, sia per quella del subentrante all'assegnatario il quale non ha riscattato - rito la cui adozione, in relazione alla materia controversa, viene denunciata in sé, per la sua intrinseca lesività degli artt. 24 e 3 Cost..

Deducono i giudici a quibus che, siccome la decisione con la quale viene designato il successore o il subentrante incide sui diritti soggettivi dei più aspiranti (a succedere nella proprietà del terreno o nel rapporto di assegnazione), l'impiego del rito camerale offende l'art. 24, commi primo e secondo, Cost., in quanto non é idoneo ad assicurare quella pienezza di difesa e di contraddittorio, che, anche sotto il profilo delle impugnazioni, sarebbe garantita in materia dal giudizio ordinario; nonché l'art. 3 Cost., in quanto il detto impiego é preclusivo di qualsiasi iniziativa istruttoria da parte dei resistenti all'istanza.

La questione non é fondata.

In riferimento alla denunciata violazione dell'art. 24, commi primo e secondo, Cost., la giurisprudenza di questa Corte é costante nell'affermare che la previsione del rito camerale per la composizione di conflitti di interesse mediante provvedimenti decisori (ipotesi che, ad avviso dei giudici a quibus, ricorre nella specie), non é per sé suscettiva di frustrare il diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo può essere modulato dalla legge in relazione alle peculiari esigenze dei vari procedimenti speciali, "purché ne vengano assicurati lo scopo e la funzione" (cfr. le sentenze di questa Corte n. 122 del 1966; n. 119 del 1974; n. 202 del 1975).

Ora, il procedimento in camera di consiglio in oggetto - mediante il quale viene designato (con la sollecitudine imposta dalle esigenze di continuità della gestione dell'impresa agricola) il successore o il subentrante all'assegnatario defunto che ha riscattato o no, in base ad una valutazione incentrata sulle "condizioni e attitudini personali" (oggetto limitato, che ben si concilia con un rito rapido e informale) - consente un adeguato esercizio del cennato diritto fondamentale, considerato nelle sue componenti essenziali.

Risulta anzitutto garantito il principio del contraddittorio, in quanto le parti debbono essere sentite (art. 7 l. n. 1078 del 1940, richiamato implicitamente, secondo "il diritto vivente", dall'art. 7, comma terzo, della l. n. 379 del 1967): il che postula che il giudice debba accertare l'avvenuta convocazione in giudizio di tutti gli interessati e disporre eventuali integrazioni.

Quanto all'attività probatoria, questa non é totalmente preclusa alle parti in ragione dei poteri di indagine spettanti al giudice, bensì soltanto limitata a quei mezzi di prova che sono comunemente ritenuti ammissibili nel rito camerale (produzione di documenti, presentazione e audizione di terzi informatori, interrogatorio delle parti, deposito di pareri tecnici e di memorie illustrative ed ogni altro mezzo che possa esplicarsi nelle forme compatibili con la natura del procedimento: cfr. le sentenze di questa Corte n. 22 del 1973; n. 202 del 1975). E non v'é dubbio che si tratti di strumenti congrui in relazione alla modestia degli accertamenti da compiere per l'individuazione del soggetto più idoneo alla successione o al subingresso.

E del pari incontestabile che, nel silenzio della norma, le parti possano avvalersi della difesa tecnica, ricorrendo all'assistenza di un difensore, in quanto ciò risponde ad un principio generale, operante anche per i procedimenti camerali (cfr. le sentenze di questa Corte n. 172 del 1976 e n. 202 del 1975).

Risulta, infine, assicurata la facoltà d’impugnazione, dal momento che avverso il provvedimento del tribunale é consentito il reclamo alla Corte d'appello (art. 739 c.p.c.), la cui decisione, per consolidato orientamento giurisprudenziale, é impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., in considerazione della natura decisoria del provvedimento.

La determinazione del contenuto dell'attività istruttoria é operata in egual misura per l'istante e per i resistenti, il che esclude la lesione dell'art. 3 Cost., denunciata dall'ordinanza n. 287 del 1978.

5. - Il Tribunale di Avezzano, con l'ordinanza n. 512 del 1977, ed il Tribunale di Civitavecchia, con l'ordinanza n. 565 del 1980, censurano alcuni aspetti della successione all'assegnatario che abbia già riscattato, previsti dall'art. 6 della l. n. 1078 del 1940.

Sospettano in particolare:

a) che la norma impugnata sia costituzionalmente illegittima in riferimento all'art. 3 Cost. nella parte in cui, prevedendo il subentro di un solo coerede, esclude gli altri coeredi dell'assegnatario riscattante dai diritti successori su un bene esistente nel patrimonio del defunto, qual é il terreno di riforma già riscattato (ordinanza n. 512 del 1977);

b) che la detta norma sia costituzionalmente illegittima in riferimento allo stesso parametro, nella parte in cui (comma secondo) prevede che il soddisfacimento del credito dei coeredi esclusi dall'assegnazione, per la quota di valore del fondo riscattato ad essi spettante, può essere differito dal subentrante con rateazioni fino a dieci anni. La previsione determinerebbe disparità di trattamento rispetto ad altre ipotesi di indivisibilità dei beni ereditari (art. 720 c.c.), per le quali non é prevista la rateazione nel pagamento del conguaglio (ordinanza n. 565 del 1980).

Entrambe le questioni sono infondate.

Va anzitutto rilevato, quanto alla censura sub a), che la denunciata esclusione dei coeredi dai diritti successori sul fondo riscattato costituisce una necessaria conseguenza del divieto di frazionamento del fondo previsto dalla l. n. 1078 del 1940, in forza della quale la suddivisione dell'unità poderale non può derivare da nessun atto di trasferimento, tra vivi o mortis causa, volontario o coattivo (artt. 1 e 9, l. n. 1078 del 1940). In relazione a tale indivisibilità, infatti, la successione mortis causa nella proprietà dei terreni di riforma riscattati si svolge - in difetto di designazione da parte del testatore o di accordo tra i coeredi - secondo schemi peculiari, poiché il fondo viene attribuito, in base alle qualità e condizioni personali, ad uno dei coeredi, riconosciuto dall'autorità giudiziaria come il più idoneo a proseguire l'esercizio dell'impresa agricola, con esclusione degli altri.

Ciò posto, va osservato che già anteriormente all'entrata in vigore della Costituzione, nel quadro della previsione di una disciplina differenziata della proprietà fondiaria per il conseguimento di scopi di pubblico interesse (art. 845 c.c.), erano state poste limitazioni alla frazionabilità dei fondi in vista dell'interesse pubblico alla produttività dei medesimi (cfr. art. 846 c.c., diretto a delineare la figura, peraltro non attuata a norma del successivo art. 847, della "minima unità culturale", come limite alla parcellizzazione dei terreni nei trasferimenti di proprietà o diritti reali, divisioni o assegnazioni; cfr. artt. 720 e 722 c.c., diretti a sancire, in deroga all'art. 718 c.c., rispettivamente l'indivisibilità dei beni ereditari il cui frazionamento recherebbe pregiudizio alle ragioni della pubblica economia, e quella dei beni dichiarati indivisibili per legge nell'interesse della produzione nazionale). E nel detto quadro si inscrive la l. n. 1078 del 1940, dettata per l'assegnazione in proprietà dei terreni bonificati.

Entrata in vigore la Costituzione, le leggi di riforma agraria (in particolare, per quanto interessa questo giudizio, la l. n. 379 del 1967, all'art. 4, comma primo, e la l. n. 386 del 1976, all'art. 10, comma secondo) hanno previsto analoghe limitazioni mediante rinvio alla suindicata l. n. 1078 del 1940.

Orbene tali limitazioni appaiono funzionali ai fini della riforma agraria e coerenti al sistema emergente degli artt. 41, 42, 44 e 47 Cost..

In particolare deve ritenersi che le dimensioni minime del fondo oggetto di assegnazione siano strettamente correlate - in quanto ne condizionano la produttività e con essa l'autosufficienza dell'impresa diretta-coltivatrice e la stessa funzione della proprietà diretta-coltivatrice - alla destinazione del fondo e quindi ai fini della riforma.

E non é senza ragione che l'art. 44 Cost., coordinando il fine di stabilire equi rapporti sociali e quello di conseguire il razionale sfruttamento del suolo, nel prevedere che la legge imponga obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissi limiti alla sua estensione, e promuova e imponga la trasformazione del latifondo, prevede altresì che la legge promuova e imponga la "ricostituzione delle unità produttive".

Dimodiché appaiono pienamente giustificate sia la previsione delle cennate limitazioni alla frazionabilità del fondo assegnato, sia la creazione - che ne discende - di uno statuto proprietario differenziato, statuto che si aggiunge con ben più forte legittimazione - in relazione alla destinazione a fini sociali del bene che ne é oggetto - a quelli presenti nell'ordinamento anteriormente alla Costituzione.

Così come é giustificata la conservazione, pur voluta dalla riforma agraria, dell'unità aziendale e della continuità imprenditoriale attinenti alla gestione del fondo assegnato.

Il limite dell'infrazionabilità, poi, e così lo statuto proprietario differenziato al medesimo connesso, ben possono determinare un differenziato regime successorio - l'art. 42, comma quarto, Cost. ammette d'altronde limiti ex lege alla successione mortis causa - e in particolare escludere l'applicabilità della regola del pari diritto degli eredi ad una porzione in natura dei beni ereditari. Regola quest'ultima, sancita dall'art. 718 c.c., strettamente ancorata al principio del regime proprietario unico e indifferenziato, alla pretesa osservanza della quale, a ben vedere, si correla il dubbio circa la questione di legittimità costituzionale della norma impugnata per disparità di trattamento fra coeredi.

D'altro canto, la posizione dei coeredi estromessi appare adeguatamente tutelata dal riconoscimento del diritto a percepire, in proporzione alla quota, la somma corrispondente al valore venale del fondo ed a conseguire (se gli esclusi rappresentano la maggioranza delle quote ereditarie) l'assegnazione del fondo in comunione.

Quanto alla questione sub b), concernente la rateazione dei conguagli in denaro spettanti ai coeredi esclusi, non prevista in relazione ad altri beni ereditari egualmente indivisibili (art. 720 c.c.), va anzitutto rilevato che all'indivisibilità può collegarsi una disciplina diversa nell'ambito dei vari regimi successori, purché ciò sia razionalmente giustificato.

Orbene, le osservazioni svolte in precedenza consentono di ritenere giustificata anche la diversa disciplina di cui si tratta, in considerazione delle esigenze di continuità dell'impresa agraria. Invero l'immediato soddisfacimento dei crediti dei coeredi esclusi imporrebbe al subentrante di procurarsi i capitali ricorrendo, di norma (si tratta, é bene ricordarlo, di coltivatore diretto), all'indebitamento, con conseguente pericolo di contrazione dei mezzi finanziari necessari per la continuazione dell'impresa agricola, laddove la dilazione (con l'interesse legale) agevola indubbiamente le esigenze di continuità e di produttività dell'impresa stessa, alle quali é legata la riforma agraria, in conformità con i precetti costituzionali suindicati.

6. - Ulteriore questione é posta dal Tribunale di Avezzano, con l'ordinanza n. 512 del 1977, nella quale si censura, in riferimento all'art. 42, comma quarto, Cost., l'art. 5 della l. n. 1078 del 1940, nella parte in cui consente la devoluzione di un bene ereditario, qual é il fondo riscattato, in base a pronuncia discrezionale dell'autorità giudiziaria, che deve tener conto soltanto delle condizioni ed attitudini personali degli interessati.

La questione non é fondata.

Ed infatti non é certamente ravvisabile nella previsione della norma impugnata una successione rimessa alla discrezionalità del giudice in violazione della riserva di legge stabilita dall'art. 42, comma quarto, Cost.: il giudice é chiamato ad applicare un criterio legale di preferenza, collegato alle qualità e condizioni personali del prescelto, e cioé ad attuare un precetto normativo teso ad assicurare la successione nel fondo assegnato a favore del soggetto più idoneo a garantire la continuazione dell'impresa agraria, sicché la successione, sia pur attraverso il tramite di una pronuncia giudiziaria, avviene pur sempre in forza di legge.

7. - Si muove in un ambito diverso da quello fino ad ora esaminato l'ordinanza n. 287 del 1978 del Tribunale di Avezzano, la quale, in tema di subentro all'assegnatario morto prima del riscatto del fondo, censura, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 7, comma quinto, della l. n. 379 del 1967, nella parte in cui consente (con disposizione analoga a quella, già esaminata, dell'art. 6, comma secondo, della l. n. 1078 del 1940) la dilazione decennale nel pagamento dei crediti dei coeredi esclusi.

La questione non é fondata.

Con essa é riproposta solo sotto lo specifico aspetto ora individuato la questione di legittimità della norma impugnata per ingiustificata disparità di trattamento fra coeredi dell'assegnatario di fondo non riscattato, questione risolta negativamente da questa Corte con la sentenza n. 66 del 1974.

Ora, in proposito é sufficiente richiamare le osservazioni svolte nel precedente n. 5 in relazione alla questione sub b), atteso che le esigenze di continuazione dell'impresa agricola, il cui andamento sarebbe pregiudicato dall'onere di un pagamento immediato, sono ravvisabili sia nel caso di successione ad assegnatario il quale abbia riscattato, che in quello di subentro ad assegnatario il quale non abbia ancora riscattato il fondo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i procedimenti iscritti ai nn. 512 R.O. del 1977; 287 R.O. del 1978; 565 R.O. del 1980; 207 R.O. del 1982:

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, 6 e 7 della legge 3 giugno 1940, n. 1078, in quanto richiamati dall'art. 4, comma primo, della legge 29 maggio 1967, n. 379, e dall'art. 10, comma secondo, della legge 30 aprile 1976, n. 386, nonché dell'art. 7, comma terzo, della legge n. 379 del 1967, nella parte in cui prevedono l'adozione del rito camerale per la designazione giudiziale del successore o del subentrante all'assegnatario defunto: questione sollevata dal Tribunale di Avezzano con le ordinanze n. 512 R.O. del 1977 e n. 287 R.O. del 1978, e dal Tribunale di Civitavecchia con le ordinanze n. 565 R.O. del 1980 e n. 207 R.O. del 1982, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge n. 1078 del 1940, in quanto richiamato dall'art. 4 della legge n. 379 del 1967, al quale rinvia l'art. 10, comma secondo, della legge n. 386 del 1976, nella parte in cui esclude i coeredi diversi dal designato dai diritti successori sul fondo di riforma riscattato: questione sollevata dal Tribunale di Avezzano con l'ordinanza n. 512 R.O. del 1977, in riferimento all'art. 3 Cost.;

3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge n. 1078 del 1940, in quanto richiamato dall'art. 4, comma primo, della legge n. 379 del 1967, nella parte in cui prevede la successione per causa di morte all'assegnatario del fondo riscattato mediante pronuncia dell'autorità giudiziaria: questione sollevata dal Tribunale di Avezzano con l'ordinanza n. 512 R.O. del 1977, in riferimento all'art. 42, comma quarto, Cost.;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma secondo, della legge n. 1078 del 1940, in quanto richiamato dall'art. 4, comma primo, della legge n. 379 del 1967, nella parte in cui prevede che il soddisfacimento del credito dei coeredi esclusi dalla successione, relativamente al fondo di riforma riscattato, può essere differito con rateazione fino a dieci anni: questione sollevata dal Tribunale di Civitavecchia con l'ordinanza n. 565 R.O. del 1980, in riferimento all'art. 3 Cost.;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma quinto, della legge n. 379 del 1967, nella parte in cui prevede che il soddisfacimento dei coeredi esclusi dal subentro, relativamente al fondo di riforma non riscattato, può essere differito con rateazione fino a dieci anni: questione sollevata dal tribunale di Avezzano con l'ordinanza n. 287 R.O. del 1978, in riferimento all'art. 3 Cost..

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 1985.

Leopoldo ELIA -Aldo CORASANNITI

Depositata in cancelleria il 17 aprile 1985.