Sentenza n. 122 del 1966
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SENTENZA N. 122

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino PAPALDO, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 15 del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, sull'istituzione e funzionamento del tribunale dei minorenni, promosso con ordinanza emessa il 30 settembre 1964 dalla Corte di appello di Torino, Sezione per i minorenni, nel procedimento penale a carico di Ferreri Livio, iscritta al n. 73 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 5 giugno 1965.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 23 novembre 1966 la relazione del Giudice Francesco Paolo Bonifacio;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giovanni Albisinni, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con provvedimento emesso il 30 settembre 1964 nel procedimento penale a carico di Livio Ferreri la Sezione per i minorenni della Corte di appello di Torino, accogliendo un'eccezione proposta dalla difesa dell'imputato appellante, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 15 del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404 (convertito nella legge 27 maggio 1935, n. 835) sulla istituzione e sul funzionamento del tribunale per i minorenni.

Nell'ordinanza di rimessione la Corte, premesso che la concessione del perdono giudiziale implica, per ragioni logiche confermate dalla disciplina positiva dell'istituto, l'affermazione di piena responsabilità dell'imputato e comporta rilevanti effetti giuridici, osserva che l'art. 14 impugnato, in quanto statuisce che il tribunale per i minorenni decide in camera di consiglio sulla richiesta del Pubblico Ministero, non assicura all'imputato l'esercizio del diritto di difesa (conoscenza degli atti processuali, contraddittorio, assistenza tecnica, ecc.) e viola perciò l'art. 24 della Costituzione. Nello stesso vizio di illegittimità costituzionale incorre, secondo il giudice a quo, anche il successivo art. 15 nella parte in cui stabilisce che la Sezione di Corte di appello per i minorenni provvede egualmente in camera di consiglio sulla impugnazione della sentenza che abbia dichiarato di non doversi procedere per concessione del perdono giudiziale.

L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 5 giugno 1965. Nel presente giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

2. - Nelle deduzioni depositate il 30 novembre 1964 l'Avvocatura dello Stato chiede che la questione sia dichiarata non fondata ed osserva che anche se si va al di là dell'aspetto formale della sentenza di concessione del perdono giudiziale, che é sentenza di proscioglimento, non può sorgere dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme impugnate, perché l'ordinamento offre all'imputato tutti gli strumenti necessari all'effettivo esercizio del diritto di difesa: l'istruttoria relativa ai reati di competenza del tribunale per i minorenni é, infatti, condotta col rito sommario, ma nell'ipotesi di concessione del perdono giudiziale essa partecipa della natura dell'istruttoria formale e perciò, in relazione al principio enunciato nell'art. 392 del Codice di procedura penale, il tribunale deve applicare l'art. 372 del Codice di procedura penale e disporre il deposito in cancelleria degli atti e documenti del procedimento. Se a ciò si aggiunge che il tribunale, eventualmente sollecitato dall'imputato, può disporre che il Pubblico ministero compia altri atti istruttori, si deve concludere, secondo l'Avvocatura, che non sussiste alcuna violazione dell'art. 24 della Costituzione.

Nella pubblica udienza l'Avvocatura dello Stato ha insistito nelle tesi e conclusioni esposte nell'atto di intervento.

 

Considerato in diritto

 

1. - Secondo l'ordinanza di rimessione la concessione del perdono giudiziale, anche se inquadrata fra le cause di estinzione del reato (art. 169 del Codice penale), presuppone l'accertamento della colpevolezza dell'imputato - e, cioè, della sussistenza degli elementi obiettivi e subiettivi del reato - e la relativa sentenza irrevocabile acquista autorità di cosa giudicata nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento dei danni. Tale disciplina giustificherebbe, ad avviso del giudice a quo, il dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme impugnate, le quali consentono che un provvedimento di tanta gravità venga adottato in camera di consiglio, senza che l'imputato minorenne possa esperire quei mezzi di difesa che solo il dibattimento può assicurare.

La Corte osserva preliminarmente che l'art. 14 del R.D. L. 20 luglio 1934, n. 1404, disciplina la concessione del perdono giudiziale in sede di definizione dell'istruttoria condotta dal pubblico ministero, e perciò la sentenza pronunciata dal tribunale in camera di consiglio né implica l'accertamento di risultati probatori che legittimerebbe la condanna del minorenne né ha autorità di cosa giudicata quanto alla sussistenza del fatto, alla sua illiceità ed alla responsabilità dell'imputato (effetto che l'art. 27 del Codice di procedura penale collega solo alla sentenza pronunziata a seguito di dibattimento). Ciò non esclude, tuttavia, che il provvedimento possa produrre conseguenze pregiudizievoli al minore prosciolto: esso, infatti, preclude l'ulteriore concessione di perdono giudiziale (art. 169, ultimo comma, del Codice penale) ed é destinato ad incidere sulla dignità personale, giacché presuppone un giudizio di sussistenza di elementi probatori che sarebbero sufficienti ad autorizzare il rinvio a giudizio dell'imputato (art. 379 del Codice di procedura penale). E perciò, nonostante si tratti di una pronunzia di non doversi procedere, la garanzia predisposta dal secondo comma dell'art. 24 della Costituzione resterebbe inattuata ove l'ordinamento non consentisse al minorenne di conoscere le prove raccolte a suo carico, di contestare la loro sufficienza, di eccitare il potere del tribunale di disporre il compimento di ulteriori atti istruttori: di difendersi, in definitiva, dall'accusa e di richiedere, con la necessaria assistenza tecnica, la pronunzia di assoluzione per causa diversa da quella di concessione del perdono.

2. - La Corte ritiene che sulla decisione della presente questione di legittimità costituzionale non possano incidere né la circostanza che il tribunale deve decidere in camera di consiglio né, per altro verso, la circostanza che l'art. 15 della legge in esame prevede il potere di impugnativa della sentenza: non la prima, perché il procedimento in camera di consiglio non può essere ritenuto di per sé contrastante con l'art. 24 della Costituzione; non la seconda, perché, se é vero che l'imputato prosciolto per concessione di perdono giudiziale può cognita causa contestare gli elementi assunti dal giudice a motivazione della sua pronuncia (e, in particolare, a motivazione del convincimento di sussistenza di prove che sarebbero state sufficienti al rinvio a giudizio), é altrettanto certo che la norma costituzionale esige che il diritto di difesa venga garantito "in ogni stato e grado del procedimento" e, dunque, anche prima che il provvedimento sia adottato in primo grado. Sicché appare evidente che il punto decisivo della questione consiste nell'accertare se il procedimento che si conclude con la concessione del perdono offra o meno all'imputato quella possibilità di difesa che valga a soddisfare il precetto costituzionale.

Giova in proposito rilevare che il procedimento minorile non é svincolato, se non nei punti espressamente disciplinati dalla legge speciale, dal rispetto delle norme dettate dal Codice di procedura penale (art. 34 del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404; art. 18 del D.P.R. 25 ottobre 1955, n. 932, emanato in forza dell'art. 20 della legge 18 giugno 1955, n. 517). Dal che discendono conseguenze di rilevante importanza ai fini della decisione della presente questione. Ed infatti:

a) in virtù delle modifiche apportate al precedente sistema dalla legge 18 giugno 1955, n. 517, il giudice non può in nessun caso (cfr. artt. 376, primo comma; 395, quarto comma; 398, quarto comma, del Codice di procedura penale) dichiarare di non doversi procedere per concessione del perdono giudiziale "se l'imputato non é stato interrogato sul fatto costituente l'oggetto dell'imputazione ovvero se il fatto non é stato enunciato in un mandato rimasto senza effetto";

b) per effetto della sentenza n. 52 del 16 giugno 1965 di questa Corte all'istruttoria minorile condotta dal pubblico ministero col rito sommario devono essere applicate tutte le disposizioni contenute negli artt. 304 bis, ter e quater del Codice di procedura penale;

c) deve infine ritenersi, come esattamente sostiene l'Avvocatura dello Stato, che il tribunale per i minorenni é anche tenuto all'osservanza dell'art. 372 del Codice di procedura penale. Ed in effetti i provvedimenti devoluti alla sua competenza e da adottarsi in camera di consiglio sono quelli stessi (cfr. art. 13, ultimo comma, della legge in esame) che il pubblico ministero nell'istruttoria sommaria ordinaria é tenuto a richiedere al giudice istruttore a norma dell'art. 395 del Codice di procedura penale. É agevole dedurre da ciò che il tribunale per i minorenni, investito dalla richiesta del procuratore della repubblica, deve osservare gli stessi obblighi che il Codice impone al giudice istruttore prima del provvedimento che chiude la fase istruttoria; deve, cioè, procedere, nel rispetto dell'art. 372 del Codice di procedura penale, al deposito degli atti e documenti, a seguito del quale il difensore dell'imputato potrà esercitare quelle facoltà (estrazione di copie, presentazione di memorie e di istanze) che la stessa norma gli conferisce.

Dal complesso delle disposizioni fin qui richiamate risulta che l'imputato minorenne prima che il tribunale adotti i provvedimenti di sua competenza può difendersi dalla imputazione, aver conoscenza di tutti gli elementi probatori acquisiti al processo, presentare memorie e richieste con l'assistenza del difensore e chiedere il proscioglimento per motivi diversi dalla concessione del perdono giudiziale. E pertanto gli artt. 14 e 15 del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, inquadrati nel sistema processuale e interpretati alla luce di questo, appaiono non in contrasto con l'art. 24 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 15 del R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404 su "Istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni", sollevata dalla Corte di appello di Torino, Sezione per i minorenni, in riferimento al secondo comma dell'art. 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 13 dicembre 1966.

 

 

Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO  Luigi OGGIONI 

 

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1966.