Sentenza n.119 del 1973
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SENTENZA N. 119

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

          composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 30 marzo 1971 dal tribunale di Pavia nel procedimento penale a carico di Agnelli Noemi Dario e Agesilai Giuseppe, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 21 luglio 1971;

2) ordinanza emessa il 19 febbraio 1972 dal giudice istruttore del tribunale di Milano nel procedimento penale a carico di Anquetil Lucette ed altri, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 141 del 31 maggio 1972.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 16 maggio 1973 il Giudice relatore Giuseppe Verzì;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso del procedimento penale a carico di Agnelli Noemi Dario e Agesilai Giuseppe, imputati del delitto di favoreggiamento della prostituzione, il tribunale di Pavia, con ordinanza 30 marzo 1971, ha sollevato d'ufficio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui dispone uguali pene per i fatti contemplati ai numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.

La stessa questione, accogliendo l'eccezione della difesa, é stata sollevata dal giudice istruttore del tribunale di Milano, con ordinanza 19 febbraio 1972, emessa nel corso del procedimento penale a carico di Anquetil Lucette ed altri, parimenti imputati di favoreggiamento della prostituzione.

In entrambi i giudizi conseguiti avanti questa Corte, non vi é stata costituzione di parti. In quello determinato dall'ordinanza del tribunale di Pavia é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la infondatezza della questione.

Considerato in diritto

1. - Le ordinanze del tribunale di Pavia e del giudice istruttore del tribunale di Milano sollevano l'identica questione di legittimità costituzionale, onde i due giudizi vanno riuniti e definiti con unica sentenza.

2. - Secondo le dette ordinanze l'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, sulla abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui, violerebbe l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui dispone pene uguali per fatti contemplati nei nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 ed 8. L'unificazione, nell'ambito di un solo articolo, di fattispecie criminose del tutto diverse, quali l'induzione, lo sfruttamento, il favoreggiamento etc. etc. attuerebbe un inspiegabile livellamento, colpendo con la medesima sanzione comportamenti che anche dalla comune coscienza sociale sono giudicati di differente gravità. Sarebbe sufficiente esaminare comparativamente il favoreggiamento con le altre fattispecie criminose, per evidenziare la violazione del principio di uguaglianza in quanto siffatta unificazione determinando "condizioni di vantaggio o di svantaggio per i soggetti del rapporto regolato dalla legge", non troverebbe alcuna ragionevole giustificazione.

3. - L'art. 3 della legge n. 75 del 1958 - così come é formulato - ha dato luogo a discussioni in dottrina ed in giurisprudenza, ritenendosi da alcuni che esso configuri un reato unico a fattispecie equivalenti e da altri che invece contempli tanti reati autonomi per ciascuna condotta criminosa descritta nei numeri da uno ad otto. A qualunque delle due opinioni si aderisca, la Corte é d'avviso che non sussiste alcuna violazione del principio di uguaglianza, come conseguenza di una irragionevole disciplina adottata dal legislatore, al quale, come é stato già deciso (sent. n. 45 del 1967; n. 109 del 1968; nn. 45 e 114 del 1970; n. 22 del 1971 e n. 36 del 1972), compete la valutazione della congruità fra reato e pena e su di essa nessun sindacato si rende possibile in questa sede, sempre che non ricorra il caso che la sperequazione assuma dimensioni tali da non riuscire sorretta da benché minima giustificazione. Nella specie non ricorre siffatto caso perché la latitudine della pena, che va da un minimo di due ad un massimo di sei anni di reclusione e da un minimo di centomila ad un massimo di quattro milioni di multa, ben consente al giudice di infliggere in concreto una pena del tutto proporzionata alla gravità della violazione.

Né giova affermare, che l'induzione, il reclutamento, la gestione o direzione di una casa di prostituzione nella loro obbiettività e nelle loro modalità esecutive appaiono più gravi dei fatti di favoreggiamento. Infatti, come bene osserva l'Avvocatura generale dello Stato, non si può escludere che, in concreto, certe ipotesi criminose risultino più gravi (e quindi meritevoli di maggiore pena) di altre che, in astratto, sono soltanto apparentemente di maggiore gravità; onde é da ritenere che il legislatore ha preferito lasciare al giudice un largo potere di valutazione della concreta varietà del fatto, prendendo in considerazione tutti gli elementi indicati dall'art. 133 del codice penale fra cui la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo ed il luogo ed ogni altra modalità dell'azione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui), sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione dalle ordinanze del tribunale di Pavia e del giudice istruttore del tribunale di Milano indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 giugno 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 10 luglio 1973.