Sentenza n. 5 del 1972

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SENTENZA N. 5

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 5 e 6 del d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523 (testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), promosso con ricorso della Regione degli Abruzzi, notificato il 2 ottobre 1970, depositato in cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 20 del registro ricorsi 1970.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 24 novembre 1971 il Giudice relatore Costantino Mortati;

uditi l'avv. Pietro Tranquilli-Leali, per la Regione degli Abruzzi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ricorso notificato al Presidente del Consiglio dei ministri il 2 ottobre 1970, la Giunta regionale d'Abruzzo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in via principale, degli artt. 2, 3, 5 e 6 del testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, approvato con d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, i quali prevedono la formulazione da parte del Comitato di ministri per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno e l'approvazione da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica dei piani pluriennali di coordinamento, deducendo che, trattandosi d’interventi che possono riguardare materie di competenza regionale, tali norme violano gli artt. 5, 115, 118 e 119 della Costituzione.

Precisamente, la lesione della competenza regionale risulterebbe, da un lato, dal fatto che le norme impugnate disciplinano, senza un effettivo intervento delle Regioni ed anche con riferimento ad epoca successiva alla loro istituzione, materie ad esse riservate dall'art. 117 della Costituzione, e, dall'altro lato, dal fatto che esse attribuiscono ad organi statali il potere di predisporre ed attuare, con diretti interventi finanziari, i "piani pluriennali per il coordinamento degli interventi" in materie riservate alle Regioni (quali l'agricoltura, l'industria, il turismo e l'industria alberghiera, l'assistenza sanitaria ed ospedaliera, l'approvvigionamento idrico, l'artigianato, la pesca, ecc.), invadendo la sfera propria della Regione, sia sotto il profilo della competenza legislativa ed amministrativa, sia per ciò che concerne l'autonomia finanziaria.

Conseguentemente, sarebbero altresì incostituzionali, per quanto di ragione, i successivi articoli della parte prima del testo unico che contemplano gli interventi nelle singole materie di competenza della Regione.

Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato come per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale, nell'atto depositato il 21 ottobre 1970, eccepisce innanzi tutto la tardività del ricorso per essere stato notificato oltre il trentesimo giorno dalla pubblicazione della legge impugnata e, per negare valore alla prevista obiezione secondo la quale le Regioni non potevano esercitare il potere di ricorso prima che i loro organi fossero costituiti, trae argomento dalla II disposizione transitoria della legge n. 87 del 1953, che spostò il termine per i ricorsi che avrebbero potuto venir proposti prima che la Corte costituzionale cominciasse a funzionare, che dimostrerebbe, sulla base del principio ubi lex voluit dixit, l'infondatezza dell'obiezione stessa.

L'impugnabilità delle leggi ordinarie, in relazione alle quali il termine decorrente dalla loro pubblicazione sia decorso, sarebbe altresì da escludere ragionando in base alla VIII e IX disposizione transitoria della Costituzione, alla stregua dell'interpretazione che ne ha dato la sentenza n. 52 del 1969, per effetto delle quali la Repubblica deve adeguare le sue leggi alle esigenze delle autonomie locali entro tre anni dall'istituzione delle Regioni.

Nel merito la difesa dello Stato conclude per l'infondatezza della questione osservando (con richiamo alla sentenza di questa Corte n. 4 del 1964) che la potestà pianificatrice dello Stato trova la sua radice costituzionale nell'art. 41 della Costituzione, che deve valere tanto per i privati che per gli enti pubblici.

All'esigenza di coordinare le competenze regionali con quelle statali negli specifici settori interessati al piano deve farsi fronte, d'altronde, mediante il "concorso" o l'"intesa" delle Regioni, come previsto anche dalle disposizioni impugnate.

L'intervento programmatico finanziario dello Stato - il quale non esclude l'apporto determinante della Regione - funge da volano delle iniziative delle varie Regioni, allo scopo di eliminare gli squilibri che potrebbero determinarsi fra Regioni "ricche" e Regioni "povere", realizzando un’effettiva parità di trattamento nelle condizioni socio-economiche dei cittadini.

La difesa dello Stato conclude perciò che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque infondato e queste conclusioni riafferma nella memoria depositata il 28 gennaio 1971, nella quale deduce altresì che, secondo l'art. 2, primo comma, del testo unico impugnato, i piani pluriennali per il coordinamento degli interventi costituiscono attuazione del programma economico nazionale, con conseguente loro "statalità" e loro efficacia anche oltre il termine iniziale dell'attività legislativa ed amministrativa delle Regioni.

Circa la "statalità" dei piani, l'Avvocatura generale dello Stato ricorda che la potestà legislativa ed amministrativa attribuita alle Regioni incontra, oltre che il limite degli interessi nazionali, anche quello delle riforme economico-sociali della Repubblica, uno dei cardini delle quali dev'essere considerata la politica meridionalistica, e che d'altra parte tale "statalità" non é esclusiva, ma prevede l'inserimento responsabile delle Regioni nella fase procedimentale dell’elaborazione dei piani, mediante la partecipazione dei Presidenti delle rispettive Giunte (art. 3).

In questo contesto, conclude la difesa dello Stato, trova razionale - e costituzionale - giustificazione la strutturazione degli organi politici di pianificazione articolata sul Comitato dei ministri o, secondo le più recenti deliberazioni, sul Comitato interministeriale per la programmazione economica.

 

Considerato in diritto

 

1. - Dev'essere respinta l'eccezione d’inammissibilità, sollevata in via pregiudiziale dall'Avvocatura generale dello Stato, fatta discendere dall'asserita tardività della proposizione del ricorso della Giunta regionale d'Abruzzo. Ciò per i motivi svolti nella sentenza n. 39 del 1971, in base ai quali é da ritenere che il termine per le impugnative promosse dalle Giunte delle Regioni a statuto ordinario, di nuova costituzione, non può decorrere da data anteriore a quella in cui i detti organi sono divenuti capaci di agire a tutela degli interessi dell'ente.

Così computato, il termine dei 30 giorni stabilito dall'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, risulta nella specie rispettato.

2. - Una diversa ragione d’inammissibilità deve invece farsi valere per quanto riguarda il merito. Infatti le doglianze che si muovono contro gli artt. 2, 3, 5 e 6 del t.u. approvato con d.P.R. 30 giugno 1967, n. 1523, per l'asserita lesione da essi recata alle competenze legislative regionali, garantite dall'art. 117 della Costituzione, nonché all'autonomia finanziaria sancita con l'art. 119, non possono essere prese in considerazione, dato che ancora non si sono realizzati i presupposti richiesti per l'esercizio delle competenze stesse, quali previsti dall'art. 9 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, nel testo modificato dall'art. 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281, che rendono necessario, o un apposito atto di trasferimento alle Regioni delle funzioni già esercitate dallo Stato, nonché il passaggio nei ruoli regionali del personale statale che le assolveva, oppure, in mancanza di tali adempimenti, l'avvenuto decorso di un biennio dalla data d’entrata in vigore dell'ultima delle leggi richiamate.

Non essendosi ancora realizzati tali presupposti, e permanendo pertanto temporaneamente nello Stato la potestà di disporre in ordine alle materie di cui é contestazione, la Regione non ha veste per rivendicarle a sé e pretenderne l'esercizio, secondo ha già statuito la Corte in analoghi casi con le sentenze n. 119,120, 121 del 1971.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

a) dichiara non fondata l'eccezione d’inammissibilità per tardività della presentazione del ricorso;

b) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del t.u. 30 giugno 1967, n. 1523, delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno, proposta nel ricorso in epigrafe, con riferimento agli artt. 5, 115, 118, 1l9 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Costantino MORTATI

Depositata in cancelleria il 19 gennaio 1972