Sentenza n. 119 del 1971
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SENTENZA N. 119

ANNO 1971

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 4 febbraio 1963, n. 129 (piano regolatore generale degli acquedotti e delega al Governo ad emanare le relative norme di attuazione), promossi:

1) dalla Regione della Lombardia, con ricorso notificato il 27 agosto 1970, depositato in cancelleria il 5 settembre successivo ed iscritto al n. 14 del registro ricorsi 1970;

2) dalla Regione degli Abruzzi, con ricorso notificato il 2 ottobre 1970, depositato in cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 1970.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 13 gennaio 1971 il Giudice relatore Michele Fragali;

uditi l'avv. Enrico Allorio, per la Regione della Lombardia, l'avv. Pietro Tranquilli Leali, per la Regione degli Abruzzi, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 

1. - Separati ricorsi della Regione della Lombardia e di quella degli Abruzzi, notificati al Presidente del Consiglio dei ministri rispettivamente il 27 agosto 1970 e il 2 ottobre 1970, hanno impugnato la legittimità costituzionale della legge 4 febbraio 1963, n. 129, sul piano regolatore generale degli acquedotti e il conferimento di una delegazione al Governo per emanare le relative norme di attuazione. Specificatamente la Regione lombarda ne ha denunciato gli artt. 1, 2 e 3, per violazione delle competenze legislative e amministrative delle Regioni in materia di acquedotti di interesse regionale (artt. 117 e 118 della Costituzione), tutto l'art. 5 per l'inammissibilità di una delega legislativa al Governo in materia di competenza legislativa regionale (art. 117 della Costituzione), l'art. 5, primo comma, lett. c, per violazione delle competenze legislativa e amministrativa regionali e dell'autonomia finanziaria della regione con relativa competenza per l'erogazione della spesa nella materia regolata dalla legge (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). É stato rilevato dalle due Regioni che la legge impugnata detta norme che debbono valere anche dopo che le Regioni avranno esercitato la loro competenza nella materia degli acquedotti.

2. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto dinanzi alla Corte, eccepisce l'inammissibilità dei ricorsi, perché notificati entro i trenta giorni dalla data d'insediamento della prima giunta regionale, ma a distanza di anni dalla data di pubblicazione della legge impugnata: le ragioni dell'eccezione sono quelle stesse esposte dalla medesima parte a proposito del ricorso proposto dalla Regione lombarda avverso la legge 16 maggio 1970, n. 281, contenente provvedimenti finanziari per l'attuazione delle regioni a statuto ordinario, deciso con la sentenza 25 febbraio 1971, n. 39.

Nel merito il Presidente del Consiglio fa presente che la legge impugnata é di programmazione di settore: ha una rilevanza primaria ai fini del benessere economico sociale delle popolazioni, importa un rilevante intervento finanziario dello Stato e trova la sua legittimità nell'art. 41 della Costituzione. La sentenza di questa Corte 24 gennaio 1964, n. 4, a proposito della stessa legge, affermò che lo Stato é competente in materia di piano generale degli acquedotti, a protezione degli interessi generali; mise in risalto la necessità del coordinamento con la competenza regionale sugli specifici settori interessati al piano; e giudicò idoneo allo scopo quel concorso o quell'intesa con le Regioni, che la legge esplicitamente prevede. L'intervento programmatico e finanziario dello Stato non esclude l'apporto determinante delle Regioni, e funge da volano delle iniziative di queste ultime, allo scopo di eliminare squilibri, così da realizzare una effettiva parità di trattamento nelle condizioni socio-economiche dei cittadini.

3. - La Regione lombarda non ritiene invece che la legge impugnata ne rispetti la competenza: l'art. 1, terzo comma, disponendo che le Regioni siano soltanto sentite, le riduce ad una posizione semplicemente consultiva, e l'art. 5, lett. b, attribuisce al Ministro dei lavori pubblici il potere di disporre il vincolo totale o parziale delle risorse idriche, al fine di consentirne una utilizzazione di piano, anche oltre i limiti del quadriennio indicato nell'art. 51 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque pubbliche. L'art. 4 del d.P.R. 11 marzo 1968, n. 1090, che attuò la delegazione contenuta nella legge impugnata, dispose che tale vincolo dovrà essere stabilito, per le Regioni a statuto speciale, con provvedimento dei competenti organi regionali, nulla prevedendo per le Regioni a statuto ordinario.

La sentenza di questa Corte del 24 gennaio 1964, n. 4, opinò che la realizzazione del piano generale doveva avvenire attraverso piani regionali, ma la legge impugnata non distingue fra acquedotti di portata pluriregionale e acquedotti di interesse semplicemente regionale, ed il piano statale deve essere formulato in relazione alle esigenze del prossimo cinquantennio (art. 2, lett. a, della legge).

4. - Obietta il Presidente del Consiglio dei ministri che la legge impugnata non ha inteso regolare la realizzazione di singole opere o il compimento di attività limitate in ambiti regionali, ma ha obbedito anche a ragioni topografiche trascendenti la sfera territoriale di una sola regione: basta pensare alla cesura esistente fra localizzazione delle risorse idriche e zone di effettivo loro impiego, cesura costituita proprio dalla conterminazione regionale, che potrebbe condurre all'assurdo di distinguere fra regioni idricamente autosufficienti o addirittura esuberanti, e regioni assetate.

Il Presidente del Consiglio fa rilevare infine che l'esercizio delle potestà legislativa e amministrativa dello Stato si é completamente esaurito, essendo state emanate le norme delegate con d.P.R. 11 marzo 1968, n. 1090, ed essendo approvato il piano regolatore generale con d.P.R. 3 agosto 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 febbraio 1969, n. 50; la Regione non ha impugnato i due atti, così che dovrà valutarsi se ne risulta una carenza di interesse all'impugnativa della legge di delegazione.

Il piano doveva proiettarsi nel tempo per un periodo ragionevole ed appare congruo quello di cinquanta anni adottato dalla legge; il vincolo delle acque, nell'art. 3 delle norme delegate, é stato suddiviso in due periodi venticinquennali; le norme delegate, non soltanto attribuiscono alle Regioni a statuto speciale la competenza all'imposizione del vincolo (art. 4), ma fanno salve le competenze delle Regioni in materia di concessioni di acque (art. 7); per la parte finanziaria, le norme delegate (art. 20) lasciano ampio spazio di rappresentatività alle Regioni.

5. - All'udienza del 13 gennaio 1971 i difensori delle Regioni e del Presidente del Consiglio dei ministri hanno confermato le rispettive tesi e conclusioni.  

Considerato in diritto 

1. - I due ricorsi debbono essere decisi con unica sentenza, perché riguardano la medesima legge, quella 4 febbraio 1963, n. 129, sul piano generale degli acquedotti, che le Regioni ricorrenti ritengono lesiva delle rispettive competenze.

2. - L'eccezione pregiudiziale di inammissibilità dei ricorsi a causa della tardività della loro proposizione deve essere disattesa per le ragioni esposte nella sentenza 25 febbraio 1971, n. 39, che ha deciso identica questione. In tale occasione si era sostenuto che l'impugnazione era preclusa, perché erano già decorsi i termini previsti dall'art. 2 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1; ma la Corte giudicò che, per le Regioni di nuova formazione, questi termini devono computarsi a far data dal giorno della formazione delle rispettive giunte. Nessun nuovo profilo é stato esposto, in questa causa, riguardo alla eccezione predetta; e quindi la pronuncia precedente deve essere ribadita.

Calcolati i termini nel modo sopra esposto, i ricorsi in esame risultano tempestivamente proposti.

3. - Essi però sono inammissibili sotto altro riflesso.

L'art. 9 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, nel testo modificato dall'art. 17 della legge 16 maggio 1970, n. 281, prescrive che le Regioni a statuto ordinario possono esercitare la funzione legislativa e quella amministrativa di loro competenza dopo che gliene sarà fatto trasferimento e dopo che sarà passato nei loro ruoli il relativo personale dipendente dallo Stato; in mancanza, la loro competenza potrà esercitarsi dopo decorsi i due anni dall'entrata in vigore della predetta legge 16 maggio 1970, n. 281. Questa norma fu denunziata dalla Lombardia, dal Veneto e dagli Abruzzi, sotto il profilo che essa pone alla competenza regionale limiti costituzionalmente non previsti, che peraltro ne impediscono, ne ostacolano o indebitamente ne limitano l'esercizio. Ma, con sentenza 25 febbraio 1971, n. 39, la questione é stata dichiarata priva di fondatezza: si é considerato anzitutto che la necessità del presupposto del previo trasferimento delle funzioni e del personale statale risponde ad esigenze di certezza nei rapporti fra Stato e Regioni, di ordinato e coordinato svolgimento delle relative attribuzioni, di necessaria gradualità del passaggio da un sistema di organizzazione fortemente accentrato ad uno, per contro, di largo decentramento, anche a livello legislativo; si é rilevato, in secondo luogo, che la fissazione di un termine decorso il quale le Regioni potrebbero esplicare il loro potere anche per quelle materie riguardo alle quali non é ancora avvenuto il trasferimento di funzioni, soddisfa all'esigenza di evitare che venga procrastinata sine die e rimessa alla mera discrezione statale l'effettiva esplicazione delle competenze che alle Regioni attribuisce la Costituzione.

Non risulta che sia avvenuto il trapasso alle ricorrenti di funzioni statali relative alla materia oggetto della legge denunziata; e non é nemmeno decorso ancora il biennio di cui sopra si é detto. La potestà legislativa delle ricorrenti riguardo alle materie stesse non é perciò ancora esercitabile, quindi non é rivendicabile. Nel frattempo é ovvio che lo Stato deve continuare ad esercitare la propria competenza; e così ad esso soltanto spetta la valutazione discrezionale dell'opportunità di interventi normativi nelle materie predette.

Le Regioni, in altre parole, avrebbero potuto rilevare che, nelle materie in esame, secondo il loro giudizio, si erano verificate invasioni nella sfera della loro potestà da parte dello Stato soltanto se fosse venuto meno l'impedimento costituzionale che non ne consentiva l'esplicazione; sussistendo ancora tale impedimento, manca nelle medesime ogni interesse all'impugnazione delle leggi denunciate, emanate dallo Stato in materia per la quale esso ha ritenuto non differibile una sistemazione normativa. Donde l'inammissibilità delle doglianze proposte.

Si obietta senza fondamento che la legge denunziata, essendo destinata ad operare anche dopo che le Regioni avranno acquistato la legittimazione all'esercizio della rispettiva competenza, vengono a confiscare a favore dello Stato le corrispondenti potestà regionali anche per il tempo in cui ne sarà legittimo l'esercizio. Sennonché, la legge emanata dallo Stato in periodo di quiescenza della potestà legislativa regionale non ha la forza di impedire l'esercizio di quella potestà, dopo che ne saranno maturati i presupposti: concorrerà ad indicare i principi fondamentali che le Regioni ricorrenti dovranno osservare nella materia di cui si tratta e gli interessi che esse dovranno rispettare, secondo quanto prescrive l'art. 117 della Costituzione e l'art. 9 della citata legge 10 febbraio 1953, n. 62.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale:

1) degli artt. 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 4 febbraio 1963, n. 129, relativa al piano regolatore generale degli acquedotti ed alla delega al Governo ad emanare le relative norme di attuazione, sollevata dalla Regione degli Abruzzi, con ricorso del 10 ottobre 1970, in riferimento agli artt. 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione;

2) degli artt. 1, terzo comma, 2, 3, 5 della citata legge 4 febbraio 1963, n. 129, promossa dalla Regione della Lombardia con ricorso del 5 settembre 1970, in riferimento ai predetti articoli 5, 76, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 giugno 1971.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 9 giugno 1971.