Sentenza n. 105 del 1969
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SENTENZA N. 105

ANNO 1969

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Gtovanni BATTTSTA BENEDETTI

Prof. Francesco PAOEO BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 2070, commi primo e secondo, del Codice civile, promossi con due ordinanze emesse il 20 novembre 1967 dal pretore di Napoli nei procedimenti civili vertenti rispettivamente tra Callegher Sergio e la Compagnia esercizio trasporti automobilistici e tra D'Amore Umberto e la predetta Compagnia, iscritte ai nn. 27 e 28 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 84 del 30 marzo 1968.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 7 maggio 1969 la relazione del Giudice Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Chiarotti, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

In due giudizi civili promossi separatamente davanti al pretore di Napoli, Sergio Callegher e Umberto D'Amore chiedevano che la Compagnia Esercizio Trasporti Automobilistici (C.E.T.A.) a.r.l., alle cui dipendenze assumevano di aver prestato la propria attività lavorativa per la costruzione di una autorimessa, fosse condannata, in base alle disposizioni del contratto collettivo 24 luglio 1959 per gli addetti all'industria edilizia (reso efficace erga omnes con decreto del Presidente della Repubblica 14 luglio 1960, n. 1032), al pagamento di compensi per ferie non godute, festività gratifiche natalizie e lavoro straordinario, nonché di indennità conseguenti alla cessazione del rapporto di lavoro.

La società convenuta contestava le pretese degli attori, adducendo che non fosse applicabile ai rapporti in questione il citato contratto collettivo, stipulato dalle associazioni sindacali del settore edilizio, alle quali non aveva mai aderito per la diversa natura della propria attività imprenditoriale concernente i trasporti automobilistici.

Il pretore, con ordinanze di identico contenuto pronunziate in entrambi i giudizi il 20 novembre 1967, affermava che, nelle controversie portate alla sua cognizione, appariva incerta l'applicabilità del contratto collettivo di lavoro per gli addetti all'industria edilizia invece di quello, in data 24 luglio 1959, reso parimenti efficace erga omnes con decreto del Presidente della Repubblica 28 agosto 1960, n. 1271 e riguardante le imprese di trasporti automobilistici in concessione; che, per escludere il primo, non avesse rilievo risolutivo la circostanza che la società convenuta non avesse aderito alle associazioni sindacali partecipanti alla conclusione dell'accordo collettivo richiamato dagli attori, e che si dovesse quindi fare ricorso alle norme dei primi due commi dell'art. 2070 del Codice civile, per cui l'appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell'applicazione dei contratti collettivi, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore, mentre se l'imprenditore esercita distinte attività aventi carattere autonomo si applicano, ai rispettivi rapporti di lavoro, le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività.

Il pretore dubitando però della compatibilità di tali norme, che assumeva ispirate alla ideologia corporativa dominante al tempo della loro emanazione, con il principio della libertà sindacale espresso nel primo comma dell'art. 39 della Costituzione, ne prospettava la incostituzionalità disponendo la trasmissione degli atti processuali a questa Corte.

Ricordati i diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali circa l'interpretazione di dette norme, il pretore ha posto in risalto come il concetto di categoria professionale, che di quell'interpretazione costituisce il fulcro, ha assunto nell'attuale regime di autonomia sindacale, garantito dalla Costituzione, significato politico e giuridico diverso da quello precedentemente accolta nei motivi del Codice civile.

La nozione autoritativa corporativistica, stabilita secondo astratti criteri ontologici di classificazione delle attività produttive e professionali, si é mutata in quella risultante dalla spontanea adesione dei lavoratori alle libere istituzioni sindacali e dalla autonomia collettiva nella quale é compresa la potestà di determinare l'ambito professionale e le categorie di lavoratori per le quali il contratto collettivo ha forza di legge, secondo i princìpi enunciati anche da questa Corte, con le sentenze n. 106 del 1962 e nn. 70 e 106 del 1963, con particolare riguardo alla sfera di applicazione della legge 14 luglio 1959, n. 741.

Ma pur interpretando evolutivamente il termine "categoria", ricorrente nel primo comma dell'art. 2070 del Codice civile, in correlazione con la legge testé menzionata del 1959, tuttavia non si perverrebbe, a giudizio del pretore, "a dar conto delle ragioni per le quali possa o debba prescegliersi quel determinato contratto collettivo rispetto ad altro fornito di pari titolo di considerazione" nell'ipotesi, quale in concreto é configurata nel giudizio di merito, di impresa con attività plurima. In questa ipotesi, infatti, il criterio stabilito nella norma denunziata (secondo comma dell'art. 2070) non conferisce alcuna rilevanza alle mansioni svolte dal prestatore di lavoro, ai fini della individuazione della disciplina collettiva applicabile, mentre risolve il conflitto, che verrebbe, in tal caso, a profilarsi fra diverse disposizioni di contratti collettivi, sulla base soltanto della attività "finale" dell'impresa, che caratterizza e qualifica la categoria professionale dell'imprenditore.

Da ciò la conseguenza, più volte ammessa dalla giurisprudenza, che la medesima prestazione di lavoro potrebbe essere sottoposta a diverso trattamento normativo a seconda della natura dell'impresa a cui favore é svolta, o del settore produttivo in cui di volta in volta risulti accessoriamente inserita, senza peraltro alcuna considerazione della tutela contrattuale stabilita dalle organizzazioni sindacali proprie dei prestatori di lavoro.

Eseguite ritualmente le notificazioni alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e le comunicazioni ai Presidenti dei due rami del Parlamento, le ordinanze sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 30 marzo 1968 ed iscritte ai nn. 27 e 28 del Registro delle ordinanze dell'anno 1968.

Nel giudizio promosso con la prima di dette ordinanze é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato la quale, con atto di deduzioni depositato il 19 aprile 1968, ha concluso per la non fondatezza della questione.

L'Avvocatura ha ricordato i motivi politico-legislativi della introduzione, nel sistema della disciplina dei contratti collettivi, delle disposizioni impugnate ed ha precisato il diverso valore che queste hanno assunto, nella giurisprudenza e nella dottrina, in relazione alla natura giuridica e all'efficacia dei contratti collettivi nel regime corporativo, nel sistema instaurato in virtù del decreto legislativo luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369, nella successiva disciplina di diritto comune e in quella stabilita con la legge 14 luglio 1959, n. 741.

Ha affermato, quindi, che al fine di determinare l'ambito di applicazione dei contratti collettivi che quest'ultima legge ha dichiarato obiettivamente efficaci nei confronti di tutti gli appartenenti ad una medesima categoria, si rende necessario fare ricorso ai criteri stabiliti nei primi due commi dell'art.2070 del Codice civile, i soli che nel diritto positivo consentono di individuare concretamente i destinatari delle norme stabilite a tutela dei lavoratori, secondo le stesse predeterminazioni dei contratti collettivi e della legge.

Conferita, invero, rilevanza giuridica, non già a categorie identificabili secondo astratti criteri di classificazione delle attività produttive e professionali, bensì alle categorie quali risultano dalla spontanea organizzazione sindacale e dalla stipulazione collettiva, quella che era determinazione autonoma e contrattuale assurge a dignità di determinazione legislativa della categoria, alla quale le norme del contratto stesso sono obbligatoriamente applicabili.

Osserva d'altra parte l'Avvocatura che lo stesso primo comma dell'art. 39 della Costituzione, prevedendo che i contratti collettivi possano essere applicati ad imprenditori e a lavoratori che non siano iscritti affatto ai sindacati o non siano associati a quelle particolari organizzazioni che hanno partecipato alla stipulazione dei detti contratti, presuppone quale necessario complemento della disciplina costituzionale, l'esistenza di criteri oggettivi per accertare l'appartenenza o meno del singolo alla categoria indicata nel contratto collettivo.

Il legislatore ordinario potrà invero dettare al riguardo criteri diversi da quelli posti con i primi due commi dell'art. 2070, sulla base di una scelta politico-legislativa a lui esclusivamente rimessa.

Nella pubblica udienza del 7 maggio 1969 l'Avvocatura dello Stato ha oralmente illustrato le accennate conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - I due giudizi, avendo ad oggetto la stessa questione di legittimità costituzionale, devono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. -Le ordinanze del pretore di Napoli denunziano, in riferimento all'art. 39, primo comma, della Costituzione, la illegittimità dei primi due commi dell'art. 2070 del Codice civile. La disposizione secondo la quale, ai fini della individuazione della normativa collettiva applicabile ai rapporti di lavoro, debbasi tener conto della categoria professionale dell'imprenditore, determinata secondo l'attività da lui effettivamente esercitata (primo comma), e l'altra, desunta dal secondo comma, che impone lo stesso criterio di riferimento anche per la disciplina delle prestazioni di lavoro aventi carattere di complementarità ed accessorietà, rispetto all'attività principale dell'impresa, sarebbero in contrasto col principio della libertà sindacale. Per esso, a giudizio del pretore, é necessariamente garantito anche il diritto all'attuazione, nei rapporti individuali, del regime normativo e retributivo determinato dalla autonomia collettiva, con la partecipazione delle organizzazioni dei lavoratori, costituite con la volontaria adesione dei componenti di ciascun settore di produzione e lavoro.

In riferimento a tali principi la questione é sollevata dal giudice a quo, sia sotto l'aspetto della incompatibilità con l'attuale ordinamento della nozione di categoria professionale accolta nella norma impugnata, in quanto, nell'intento del legislatore, essa rispecchierebbe la tematica del corporativismo autoritativo e statuale, e non sarebbe sicuramente suscettibile di accezioni evolutive ispirate all'ideologia della libertà democratica e sindacale; sia sotto l'ulteriore aspetto del contrasto, con le accennate finalità delle associazioni sindacali, dei criteri legali di applicabilità della normativa collettiva ai rapporti di lavoro inerenti ad imprese ad attività plurima, con particolare riguardo alle attività complementari ed accessorie. La questione non é fondata.

3. - Devesi anzitutto precisare che il giudice a quo, nel sollevare la questione medesima, ne ha ritenuta la rilevanza in riferimento a fattispecie riguardanti contratti collettivi postcorporativi, aventi efficacia erga omnes in virtù di decreti legislativi delegati, ai sensi della legge 14 luglio 1959, n. 741. Fattispecie nelle quali, come sopra accennato, gli attori hanno chiesto che, in luogo della disciplina collettiva in vigore per i lavoratori dipendenti da imprese esercenti gli autotrasporti in concessione, fra le quali é da annoverare la convenuta Società C.E.T.A., sia applicato il contratto collettivo stipulato il 24 luglio 1959 dai sindacati degli addetti all'industria edilizia, sostenendo doversi avere preminente considerazione per la effettiva natura delle prestazioni di lavoro, per le quali essi erano stati assunti allo scopo della costruzione di una autorimessa.

All'esame della questione resta pertanto estranea, in questa sede, la disciplina sia dei contratti collettivi di lavoro stipulati durante il regime corporativo e tuttora in vigore in base all'art. 43 del decreto luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369 (vedi sent. n. 1 del 1963 di questa Corte), sia di quelli, così detti di diritto comune, la cui efficacia, non obiettivamente estesa alla generalità dei soggetti, é limitata (secondo ben noti principi di diritto) a quanti, con iscrizione alle associazioni sindacali, hanno a queste conferito la rappresentanza dei propri interessi nella stipulazione dei contratti collettivi diretti a prestabilire il trattamento, cui debbono adeguarsi i singoli contratti individuali di lavoro.

4. - Come questa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 70 dell'8 maggio 1963, nell'ordinamento attuale, che garantisce la libertà e l'autonomia sindacale, le categorie professionali hanno rilevanza giuridica non già in base ad astratti concetti di classificazione settoriali dei lavoratori autoritativamente prestabilite secondo il sistema corporativo, ma in quanto costituiscono entità economico-sociali risultanti dalla spontanea organizzazione sindacale e dalla autonomia collettiva.

A questo nuovo significato delle dette categorie, rispondente al principio costituzionale della libertà sindacale, ha sicuro riferimento la ricordata legge del 14 luglio 1959, n. 741, e non é dubbio che la nozione di categoria, così intesa, costituisce, come criterio per determinare la sfera di applicazione del contratto collettivo, una componente normativa del sistema, dalla quale non si possa prescindere.

Con i principi sopra enunciati non risulta incompatibile l'art. 2070 del Codice civile.

L'applicabilità dei contratti collettivi dichiarati obbligatori erga omnes, secondo lo spirito e le finalità della legge sopra menzionata, importa che di tali contratti (come questa Corte ha affermato con le sentenze nn. 106 del 1962 e 70 del 1963) si é inteso sostanzialmente stendere la efficacia a quanti, imprese e lavoratori, in difetto di iscrizione alle rispettive organizzazioni sindacali e pur rientrando per l'attività espletata nella medesima categoria professionale indicata dal contratto collettivo, non avrebbero potuto invocarne l'attuazione in base alle norme di diritto comune.

E, come ha osservato l'Avvocatura, con la estensione dell'efficacia del contratto collettivo ad opera della legge predetta la delimitazione dei destinatari del contratto collettivo, che in origine ha costituito libera espressione della volontà sindacale, acquista vigore di determinazione legislativa anche circa la categoria professionale, alla quale le norme del contratto sono obbligatoriamente applicabili.

Nell'ambito dei summenzionati principi, certamente non contrastanti, per le suddette ragioni, con la libertà sindacale garantita dalla Costituzione, le disposizioni impugnate dell'art. 2070 rimangono dirette a dirimere gli eventuali conflitti tra difformi normative collettive, di cui sia invocata l'applicazione, ad un rapporto individuale di lavoro.

Non é da escludere, ovviamente, che il futuro legislatore, in attuazione dell'art. 39, ultimo comma, della Costituzione, possa provvedere a dirimere tali conflitti anche secondo criteri diversi.

Ma, allo stato, le disposizioni di cui sopra adempiono ad una funzione necessaria e non appaiono prive di razionalità.

Né manca di rilievo la circostanza che le disposizioni stesse furono tenute presenti nel corso della elaborazione della ricordata legge n. 741 del 1959.

É posta, anzitutto, nel primo comma, la regola che "l'appartenenza alla categoria professionale ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attività effettivamente esercitata dall'imprenditore", e che, cioè, nell'effettiva qualificazione economica dell'impresa deve essere ricercato il criterio per determinare il contratto collettivo applicabile.

Il secondo comma, nel caso che l'imprenditore eserciti distinte attività aventi carattere autonomo, dichiara applicabili "ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi corrispondenti alle singole attività". E consente implicitamente all'interprete di adottare diversa soluzione quando si tratti di attività connesse dirette al raggiungimento di una stessa finalità produttiva.

In una visione completa dei problemi attinenti all'applicazione dei Contratti collettivi non va poi trascurata (ancorché non sia oggetto espresso della questione proposta) la disposizione del terzo comma dell'art. 2070.

In essa é stabilito che quando il datore di lavoro esercita non professionalmente una attività organizzata, sono applicabili al rapporto le norme collegate alla effettiva natura della attività espletata: ipotesi il cui accertamento nella specie é, ovviamente, demandato al giudice di merito.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2070, commi primo e secondo, del codice civile (criteri di applicazione del contratto collettivo), proposta, in riferimento all'art. 39, primo comma, della Costituzione, con le due ordinanze 20 novembre 1967 del pretore di Napoli.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 1969.

Giuseppe BRANCA  -  Michele FRAGALI  -   Giuseppe CHIARELLI  -  Giuseppe VERZÌ  -  Giovanni BATTISTA BENEDETTI  -  Francesco PAOLO BONIFACIO  -  Luigi OGGIONI  -  Angelo DE MARCO  -  Ercole ROCCHETTI  -  Enzo CAPALOZZA  -  Vincenzo MICHELE TRIMARCHI  -  Vezio CRISAFULLI  -  Nicola REALE

 

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1969.