Sentenza n. 106 del 1963
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SENTENZA N. 106

ANNO 1963

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Prof. BIAGIO PETROCELLI

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 105, e del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 106, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 26 settembre 1962 dal Pretore di Bologna nel procedimento penale a carico di Costa Gervasio, iscritta al n. 189 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 313 del 7 dicembre 1962;

2) ordinanza emessa il 28 settembre 1962 dal Pretore di Crema nel procedimento penale a carico di Arrigoni Ettore, iscritta al n. 190 del Registro ordinanze 1962 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 307 del 1 dicembre 1962.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione in giudizio di Costa Gervasio e di Sabbi Nino e Vitali Arturo, parti civili nel procedimento penale a carico di Costa Gervasio;

udita nell'udienza pubblica del 22 maggio 1963 la relazione del Giudice Giovanni Cassandro;

uditi gli avvocati Francesco Santoro Passarelli e Benedetto Bussi, per Sabbi Nino e Vitali Arturo, l'avv. Alfonso Sermonti, per Costa Gervasio, e il sostituto avvocato generale dello Stato Valente Simi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento penale davanti al Pretore di Bologna a carico del dott. Gervasio Costa, la difesa dell'imputato eccepì, in linea principale, l'illegittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, in linea subordinata l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 105, e, infine, per connessione, quella del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 106, perché in contrasto tutti - legge e decreti - con gli artt. 76, 39 e 3 della Costituzione.

Il Pretore di Bologna ritenne non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della legge n. 741 in confronto di tutti e tre gli invocati articoli della Costituzione: a) per ché sarebbero stati resi obbligatori erga omnes contratti stipulati in difformità dal procedimento stabilito dall'art. 39 della Costituzione; b) perché non sarebbero stati stabiliti i principi e i criteri direttivi della delegazione e nemmeno definito esattamente l'oggetto di questa, tanto che, nell'ipotesi in cui per una stessa categoria esistano più contratti collettivi diversi fra loro e tutti regolarmente depositati ai sensi dell'art. 3 della legge, non sarebbe possibile stabilire in qual modo debba essere operata la scelta del contratto; c) perché l'art. 8 della legge impugnata comminerebbe sanzioni penali esclusivamente a carico del datore di lavoro inadempiente e non anche dei lavoratori che non osservino le clausole del contratto tramutate in norme di legge.

Se si dichiarasse, prosegue l'ordinanza, l'illegittimità costituzionale della legge n. 741, ne dovrebbe derivare l'illegittimità costituzionale dei decreti legislativi n. 105 e n. 106 del 1961 sopra ricordati, in quanto, contenendo questi decreti norme sul trattamento economico e normativo relativo ai lavoratori di una stessa categoria, e cioé agli addetti alle centrali del latte e alle imprese lattiero casearie, si verificherebbe l'ipotesi sopra menzionata dell'esistenza di più contratti per la medesima categoria, con la conseguenza di una disparità di trattamento economico e di una situazione normativa molto confusa e in contrasto con i ricordati articoli della Costituzione 76 e 39. Questa tesi sarebbe sorretta, a giudizio del Pretore di Bologna, dal parere n. 7 del 1959 del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro.

In conseguenza , il Pretore di Bologna ha sospeso il giudizio e inviato gli atti a questa Corte con ordinanza emessa il 26 settembre 1962, che, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 313 del 7 dicembre dello stesso anno.

2. - Nel giudizio si é costituito il dott. Gervasio Costa, presidente della Società Polenghi Lombardo, rappresentato e difeso dagli avvocati Ezio Todaro e Alfonso Sermonti, con atto di deduzioni depositato il 13 dicembre 1962.

In punto di fatto la difesa del dott. Costa premette che la Società Polenghi Lombardo avrebbe applicato sempre ai propri dipendenti il contratto collettivo 9 dicembre 1957, stipulato tra l'Associazione italiana lattiero-casearia e le competenti associazioni sindacali dei lavoratori. A questo contratto fu attribuita efficacia erga omnes con D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 106. Senonché, nello stesso numero della Gazzetta Ufficiale in cui fu pubblicato questo decreto presidenziale, fu altresì pubblicato il D.P.R. n. 105 che attribuiva efficacia erga omnes a un altro contratto collettivo, quello stipulato l'11 febbraio - 12 marzo 1959 per il personale delle centrali del latte e dei centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare, stipulato tra l'Associazione nazionale centrali del latte d'Italia e le organizzazioni competenti dei lavoratori. Il problema di legittimità costituzionale sorgerebbe dal fatto che il contratto del 1957, che riguardava in genere tutte le imprese esercenti attività lattiero-casearia, fu stipulato dall'Associazione lattiero casearia alla quale aderivano anche aziende esercenti centrali del latte: con la conseguenza che una stessa categoria si trova ad essere regolata, almeno pro parte, da due contratti collettivi con efficacia erga omnes.

La difesa del dott. Costa, dopo aver esposto i motivi che a suo avviso rendono illegittima la legge 14 luglio 1959, n. 741 (violazione dell'art. 39 della Costituzione, perché si conferisce efficacia obbligatoria erga omnes a contratti collettivi stipulati in difformità del precetto costituzionale con conseguente compressione della libertà e della autonomia sindacale; violazione dell'art. 76 della Costituzione, perché la delega conferita in questo caso dal Parlamento al Governo fu una finta delega, con la conseguenza che mancherebbe addirittura la possibilità di principi e criteri direttivi e di un concreto atto di produzione normativa del Governo delegato; in sostanza, una delega falsa e impropria, diretta a dissimulare una manifesta e grave illegittimità costituzionale; violazione dell'art. 3 della Costituzione, perché l'art. 8 della legge prevede sanzioni penali soltanto per i datori di lavoro inadempienti), afferma che i problemi particolari che pongono i due decreti delegati sopraricordati sarebbero una riprova e una conferma dell'asserita illegittimità costituzionale della legge di delegazione. A questo fine la difesa sostiene che, nel silenzio della legge che non dà alcun criterio al Governo nell'ipotesi contemplata di due contratti collettivi stipulati, sia pure parzialmente, per una medesima categoria, il Governo non avrebbe dovuto esercitare la delega. Nella totale meccanicità del sistema, così si esprime testualmente la difesa, non é dato rinvenire alcun elemento che autorizzi a ritenere il Governo investito di un potere di scelta e, anche se codesto potere si volesse considerare attribuito dalla legge, sarebbe stato attribuito, dice ancora la difesa, "nullamente" perché mancherebbero i criteri e i principi richiesti dall'art. 76 della Costituzione. In questa ipotesi, dunque, prosegue la difesa, il Governo, conformemente, del resto, a un parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, non avrebbe dovuto "pubblicare" né l'uno né l'altro contratto e per le categorie interessate avrebbe dovuto continuare a vigere il sistema dei contratti collettivi di diritto comune.

Né si potrebbe sostenere la tesi, che, nel caso di più contratti, applicabili in parte a categorie diverse, in parte a una stessa categoria, il Governo abbia il potere-dovere di esercitare la delega relativamente a quelle categorie per le quali si applica un solo contratto. All'assoluta mancanza di norme della legge di delegazione che regolino questo punto, continua la difesa, si deve attribuire il significato dell'inestensibilità di qualunque contratto, non quello della parziale estensibilità di uno di essi: del che sarebbe conferma il fatto che, nell'ipotesi contraria, il Governo dovrebbe individuare le singole categorie e sub categorie non soltanto in base all'enunciazione dei destinatari, eventualmente contenuta nei medesimi contratti, ma anche in base alla competenza organizzativa risultante dagli statuti delle associazioni stipulanti e all'effettiva appartenenza alle categorie e alle sub categorie degli iscritti alle associazioni stipulanti stesse. Un giudizio che non potrebbe essere compiuto dal legislatore delegato senza che la legge stabilisse criteri e principi direttivi.

Infine, non avrebbe alcun valore la tesi, che, nel caso di due o più contratti, il Governo debba procedere alla trasformazione in legge di tutti i contratti, lasciando poi al giudice di decidere caso per caso quale sia il contratto da applicare. Infatti, se il legislatore non ha espresso la propria volontà, non potrebbe il magistrato, che é chiamato ad attuare e non a creare la volontà della legge, colmare il vuoto lasciato dal legislatore. Nell'ipotesi, che é ora all'esame, non ci sono che due soluzioni: o il Governo riterrà che gli sia stata attribuita la delega ed emetterà il comando determinandone i destinatari, o riterrà che la delegazione non gli attribuisca questo potere-dovere e non emetterà alcun provvedimento. La conclusione della difesa é che si debba dichiarare, in via principale, l'illegittimità costituzionale dei due decreti delegati, quale conseguenza della illegittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, o, in via subordinata, nell'ipotesi che la questione di costituzionalità di questa legge si ritenesse non fondata, l'illegittimità costituzionale dei due decreti per vizio loro proprio.

3. - Nel presente giudizio si sono costituiti anche i signori Nino Sabbi e Arturo Vitali, rappresentati e difesi dagli avvocati Francesco Santoro Passarelli e Benedetto Bussi, con deduzioni depositate il 27 dicembre 1962.

La difesa dei signori Sabbi e Vitali, ricordato che la Corte costituzionale ha già pronunciato sulla questione di legittimità della legge di delegazione, limita il suo esame ai due decreti delegati già ricordati, contenenti il n. 105 "norme sul trattamento economico e normativo dei lavoratori dipendenti dalle centrali del latte e dai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare" e il n. 106 "norme sul trattamento economico e normativo dei lavoratori dipendenti dalle imprese esercenti attività lattiero-casearie".

La questione non sarebbe fondata perché, nella specie, non si verificherebbe l'ipotesi di coesistenza di più contratti collettivi per una stessa categoria depositati a norma dell'art. 3 della legge di delegazione. Se si considera, infatti, il disposto dei rispettivi articoli unici dei due decreti, mentre il decreto n. 106 concerne "i rapporti di lavoro costituiti per le attività per le quali sono stati stabiliti il contratto collettivo nazionale di lavoro 9 dicembre 1957 e l'accordo aggiuntivo 21 novembre 1949, relativi ai lavoratori addetti alle imprese lattiero-casearie e alla stagionatura del formaggio pecorino", il decreto n. 105 riguarda invece "i rapporti di lavoro costituiti per le attività per le quali é stato stipulato il contratto collettivo nazionale di lavoro 11 febbraio-12 marzo 1959, relativo ai lavoratori addetti alle centrali del latte e ai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare". La semplice lettura di queste norme dovrebbe convincere che si é in presenza di due diverse categorie, e ciò sarebbe confermato dalle disposizioni dei contratti e dell'accordo, ai quali i due decreti impugnati si sono uniformati, concernenti le qualifiche degli operai, che sono diverse tra loro e corrispondenti ad attività diverse. Infine, la non coincidenza dell'ambito di applicazione dei due decreti si desumerebbe anche dalla diversa sfera di competenza delle associazioni stipulanti, dato che, mentre da parte dei lavoratori soggetto della stipulazione sono sempre le medesime associazioni, che rappresentano tutti i lavoratori del settore, da parte dei datori di lavoro non soltanto si ha una distinzione di soggetti, ma anche una netta differenza di competenza delle associazioni stipulanti.

Conclude perché la Corte dichiari non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge di delegazione e dei più volte citati decreti presidenziali.

4. - Nel giudizio é intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato che ha depositato l'atto di intervento il 24 ottobre 1962.

Anche per l'Avvocatura dello Stato non sussisterebbe la contemporanea esistenza di due contratti collettivi per la medesima categoria, stante che il contratto 9 dicembre 1957 riguarderebbe in genere gli addetti alle aziende lattiero-casearie e il contratto 11 febbraio-12 marzo 1959 soltanto gli addetti alle centrali del latte, una categoria specifica, a detta dell'Avvocatura, che si sarebbe staccata dalla categoria più ampia. Il problema pertanto della scelta non si poneva al Governo, il quale, anzi, era tenuto a rispettare i processi spontanei che pongono capo alla formazione di categorie mediante l'associazione degli interessati e la contrattazione collettiva. E poiché i due contratti sono stati opera delle stesse associazioni sindacali dei lavoratori, il fatto che l'uno sia posteriore all'altro porterebbe come conseguenza la prevalenza della contrattazione speciale su quella più generale, e, perciò, l'applicabilità del contratto generale, a tutto il personale delle aziende lattiero-casearie, salvo a quello addetto alle centrali del latte.

Anche, quindi, conclude l'Avvocatura, sul piano del coordinamento necessario tra i contratti collettivi si arriverebbe ad escludere una duplicazione di disciplina per una stessa categoria e a dover ammettere l'avvenuta formazione di una categoria più ristretta con una propria autonomia e con una propria particolare e autonoma disciplina.

5. - In una memoria depositata il 9 maggio 1963, la difesa della Società Polenghi Lombardo, richiamata la sentenza di questa Corte n. 106 del 1962, limita le sue considerazioni alla questione di legittimità costituzionale dei due decreti delegati, ribadendo soprattutto la tesi della difesa dello Stato e dei signori Sabbi e Vitali, secondo la quale i due contratti collettivi, poi trasformati in legge, riguarderebbero due categorie affatto diverse fra loro. Viceversa, un esame dello statuto dell'Associazione italiana lattiero-casearia (e segnatamente dell'art. 6 di detto statuto) dimostrerebbe come questa Associazione estenda la sua competenza organizzativa a tutte le imprese comunque addette alla lavorazione del latte e, perciò, anche alle centrali del latte e ai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare. E, d'altra parte, le vicende della contrattazione collettiva darebbero la prova che i contratti stipulati da quell'Associazione, tanto quello del 12 marzo 1949, quanto quello del 9 dicembre 1957, quanto infine l'altro del 10 gennaio 1961, si estendono anche alle aziende che gestiscono centrali del latte o centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare. Infine, l'elenco delle imprese aderenti all'Associazione lattiero-casearia dal 9 dicembre 1957, data del contratto collettivo di lavoro di cui al citato D.P.R. n. 106, al 16 gennaio 1961, data di emanazione di questo decreto, dimostrerebbe come una notevole parte delle aziende che gestiscono centri di trattamento ed alcune di quelle che gestiscono centrali del latte aderivano a quell'Associazione di datori di lavoro.

Né il fatto che successivamente sia stata costituita un'Associazione sindacale limitata alle centrali del latte e ai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare, ha tolto all'"Assolatte" la sua rappresentatività. In un regime di libertà sindacale, come l'esistenza di un ' associazione per una categoria specifica o per una subcategoria non preclude la formazione di altre associazioni per queste medesime categorie o subcategorie o di associazioni per categorie più vaste e comprensive, così il sorgere di associazioni sindacali per categorie già organizzate non riduce l'ambito di rappresentatività delle associazioni preesistenti. In ultimo luogo, non avrebbe valore la tesi che le disposizioni concernenti le qualifiche degli operai compresi nell'una o nell'altra categoria sarebbero diverse. La difesa della società non nega che ci sia diversità tra i destinatari dei due contratti, ma la spiega con la circostanza che l'uno di essi riguarda ogni e qualsiasi attività di lavorazione del latte, l'altro soltanto quelle proprie delle centrali e dei centri; e aggiunge che i criteri per la determinazione delle qualifiche di lavoro sono gli stessi nei due contratti, mentre le mansioni specifiche sono indicate in via soltanto esemplificativa, e che, finalmente, le qualifiche operaie del contratto stipulato dall'"Assolatte" erano sufficienti a regolare anche i rapporti di lavoro delle centrali e dei centri di trattamento, come risulta dal fatto che la disciplina di codesti rapporti, quanto meno dal 1949 al 1959, fu realizzata esclusivamente dai contratti collettivi stipulati dall'"Assolatte".

Sarebbe dunque dimostrata la coincidenza pro parte della sfera di applicazione dei due contratti collettivi e, di conseguenza, l'illegittimità costituzionale dei due decreti delegati, che é la sola possibile soluzione in casi come questi, giusta la tesi che la difesa della Società ha sostenuto nell'atto di costituzione e che é stata già riferita.

6. - Anche la difesa dei signori Sabbi e Vitali ha depositato il 9 maggio 1963 una memoria, nella quale ribadisce le tesi già sostenute nell'atto di costituzione, sottolineando in particolare che il contratto collettivo 11 febbraio-12 marzo 1959 (decreto n. 105) avrebbe individuato nel seno della più ampia categoria dei lavoratori addetti alle aziende esercenti attività lattiero-casearie, alla quale si riferisce il contratto collettivo 9 dicembre 1957 (decreto n. 106), la specifica categoria degli addetti alle centrali del latte e ai centri di trattamento e confezionamento: un procedimento di cui non si potrebbe negare la legittimità senza negare insieme il principio della libertà sindacale in uno dei suoi aspetti essenziali, vale a dire quello per cui i datori e i prestatori di lavoro possono organizzarsi nel modo che ritengono più confacente alla tutela dei propri interessi collettivi, e stipulare i contratti che ritengono più idonei al soddisfacimento di questi stessi interessi.

7. - In termini analoghi a quelli dell'ordinanza del Pretore di Bologna la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 105, e della legge 14 luglio 1959, n. 741, é stata sollevata nel corso di un procedimento penale davanti al Pretore di Crema a carico del sig. Ettore Arrigoni, consigliere delegato della S. p. a. "Latteria Cremasca Voltana". La difesa dell'imputato eccepiva che il decreto presidenziale fosse in contrasto con l'art. 76 della Costituzione e la legge n. 741 con l'art.39 della Costituzione. Il Pretore ha ritenuto la questione rilevante e non manifestamente infondata e, con ordinanza 28 settembre 1962, ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 307 del 1 dicembre 1962.

8. - Davanti alla Corte é intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, nell'atto depositato il 27 ottobre 1962, ha riproposto le medesime tesi svolte nel giudizio promosso con l'ordinanza del Pretore di Bologna e sopra riferito.

Non c'é stata costituzione di parte privata.

9. - All'udienza del 22 maggio 1963, dove i due giudizi sono stati discussi congiuntamente, le parti hanno svolto le rispettive tesi difensive e insistito nelle già prese conclusioni.

 

Considerato in diritto

 

1. - I giudizi hanno ad oggetto le medesime questioni di costituzionalità, e pertanto vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - La questione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, é stata già esaminata dalla Corte, che ne ha dichiarato la non fondatezza con sentenza 11 dicembre 1962, n. 106; né essa viene ora presentata sotto profili nuovi o diversi che ne impongano il riesame. La precedente decisione deve perciò essere confermata.

Vero é che é stato anche riproposto, come motivo di incostituzionalità, il fatto che la legge di delegazione non indichi criteri per l'esercizio della delega nei casi in cui siano stati depositati, ai sensi della legge, più contratti di lavoro relativi alla medesima categoria, ed é anche vero che la questione di costituzionalità dei due decreti delegati, che é portata per la prima volta all'esame di questa Corte, é collegata con questo aspetto della legge di delegazione. Ma la Corte ha già dichiarato, nella citata sentenza, che la mancanza di una norma, la quale ipotizzi e regoli il concorso di una duplice disciplina contrattuale per una medesima categoria, non configura un vizio di costituzionalità della legge di delegazione, ma pone soltanto il problema degli effetti di codesta omissione in confronto all'esercizio della delega: che é appunto il thema decidendum della presente controversia.

3. - Senonché, la Corte deve esaminare in primo luogo se sia fondata la tesi, sostenuta dalla difesa dei signori Sabbi e Vitali e dall'Avvocatura dello Stato, che i due decreti impugnati riguardino due categorie affatto diverse: quella generale dei dipendenti dalle aziende lattiero-casearie e quella particolare dei dipendenti dalle centrali del latte e dai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare. É, infatti, evidente il carattere pregiudiziale e assorbente di questa tesi e la necessità che essa venga, quindi, esaminata per prima.

Non é controverso che il contratto collettivo 9 dicembre 1957 regolasse anche i rapporti di lavoro dei dipendenti dalle centrali e dai centri di trattamento del latte: una categoria speciale nel seno della categoria generale dei dipendenti dalle aziende che hanno ad oggetto la lavorazione del latte e già individuata nel contratto collettivo 12 marzo 1949, alla medesima stregua di quella formata dagli operai addetti alla salagione e stagionatura del formaggio pecorino, per la quale intervenne tra le parti l'accordo aggiuntivo del 21 novembre 1949, "recepito" nel decreto legislativo 16 gennaio 1961, n. 106. Né la circostanza che un accordo analogo non fosse stato raggiunto tra le parti per i dipendenti dalle centrali e dai centri di trattamento del latte, può significare che costoro fossero rimasti senza tutela contrattuale, dovendosi, viceversa, trarne la conclusione che per essi valessero le norme del contratto per così dire generale, come, del resto, non é contestato sia di fatto avvenuto.

La difesa dei signori Sabbi e Vitali, nonché l'Avvocatura dello Stato, hanno insistito sulla circostanza che l'enucleazione di categorie e subcategorie da una categoria più generale e comprensiva o lo scindersi di una categoria in altre e diverse o, infine, l'aggrupparsi e fondersi di più categorie in una sola, é vicenda ordinaria di un mondo sindacale che si conformi alle modifiche tecniche e al moto economico-sociale, ed é espressione del principio di libertà sindacale. In conseguenza di che le categorie, nel sistema instaurato dall'art. 39 della Costituzione, non sarebbero più un prius , ma un posterius rispetto all'inquadramento sindacale e alla stipulazione collettiva.

La Corte non ha ragione di respingere queste argomentazioni, delle quali, del resto, essa stessa ha ammesso la fondatezza nella sentenza n. 70 dell'8 maggio 1963. Inammissibili sono, invece, le conseguenze che se ne vogliono trarre.

L'enucleazione di nuove categorie o di subcategorie o, detto diversamente, la specificazione di categorie di imprese e di categorie di lavoratori, che si assume e si ammette conforme alla dinamica delle forze del lavoro e alla struttura delle imprese, non può comportare, in un regime di libera organizzazione sindacale e di libera contrattazione collettiva (quando ancora non é stata data esecuzione al precetto del quarto comma dell'art. 39 della Costituzione), che le organizzazioni preesistenti perdano la rappresentanza, rispettivamente, delle imprese e dei lavoratori che esercitano una attività identica a quella oggetto di sopravvenute associazioni sindacali e di sopraggiunti contratti collettivi. In un regime di piena libertà e autonomia le antiche associazioni continuano a rappresentare le imprese ed i lavoratori che ad esse aderiscono e gli antichi contratti collettivi a regolare i reciproci rapporti delle imprese e dei lavoratori rappresentati dalle associazioni stipulanti. Se si accogliesse la tesi opposta, cioé che il nuovo sindacato, che assuma la rappresentanza di una subcategoria, attragga a sé la rappresentanza delle aziende e dei lavotatori fino a quel momento inseriti in associazioni, le quali hanno un ambito che abbraccia quelle stesse ed altre imprese, quegli stessi ed altri lavoratori, si perverrebbe davvero a una violazione dell'invocato principio di libertà e di autonomia sindacale.

Il richiamo, che le difese hanno fatto ai rapporti tra contratto generale e contratto speciale, in analogia a quelli che passano tra legge generale e legge particolare, non ha senso in un regime come quello attuale; lo avrebbe soltanto in un sistema che definisse e predeterminasse autoritativamente le categorie e ne regolasse autoritativamente la rappresentanza.

4. - Nel caso in esame il legislatore delegato si é trovato di fronte a due contratti: uno che regola i rapporti di lavoro dei dipendenti da aziende che esercitano ogni forma di attività connessa con la lavorazione del latte, l'altro che limita il suo ambito ai dipendenti dalle centrali del latte e dai centri di trattamento; si é trovato, cioé, di fronte a due contratti, uno dei quali, il più ampio e comprensivo, regola anche i rapporti di lavoro di una categoria regolata dall'altro: una ipotesi, come si vede, particolare, ma non diversa rispetto a quella di due o più contratti che regolino i rapporti economici e normativi relativi agli appartenenti a una sola e medesima categoria.

Ritiene la Corte che casi come questi restino fuori dell'ambito della delegazione conferita al Governo, sicché se questo l'esercita, ne travalica i limiti, con la conseguenza che i decreti delegati devono essere, in tutto o in parte, dichiarati illegittimi. Che questa sia la conseguenza del silenzio del legislatore, venuto per di più dopo un parere del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, che appunto riteneva in casi siffatti non dovesse essere esercitata la delega, non pare contestabile.

Il sistema introdotto con la legge n. 741 del 1959 é un sistema transitorio ed eccezionale, che non deve ledere la libertà e l'autonomia sindacale e che solo in questi limiti, come già la Corte ha affermato, può non considerarsi in contrasto col precetto costituzionale. Ora, di fronte a due contratti, depositati ai sensi della legge e che regolino i rapporti di una medesima categoria - poco importa se uno di essi regoli anche i rapporti di altre categorie o quelli della stessa categoria nell'ambito di una categoria più vasta -, ogni scelta del legislatore delegato violerebbe quella libertà e quell'autonomia costituzionalmente garantite. Né a superare questo punto vale dire che il legislatore sarebbe tenuto a "recepire" nei decreti delegati l'uno e l'altro contratto, perché anche questo configurerebbe l'esercizio di un potere non conferito al Governo e in contrasto col fine della legge, che é quello di assicurare a tutti gli appartenenti alla medesima categoria un identico minimo trattamento economico e normativo. Né la situazione che si verrebbe a creare dal contemporaneo vigore di più leggi nella medesima materia, può essere risolta dal giudice ordinario col ricorso a principi generali, come quelli, ad esempio, della successione delle leggi nel tempo o quelli relativi ai rapporti tra legge generale e legge speciale, che non possono ovviamente trovare applicazione nel caso presente.

Tuttavia la pronunzia d'illegittimità non travolge anche quella parte del decreto n. 106 che regola i rapporti di categorie diverse da quelle degli addetti alle centrali o ai centri di trattamento del latte. Per questa parte, com'é evidente, non c'é se non un solo contratto e un solo decreto e, pertanto, il Governo ha esercitato legittimamente il potere-dovere conferitogli dalla delega.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara:

la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741;

l'illegittimità costituzionale del D.P.R. 16 gennaio 1961, n. 105;

l'illegittimità costituzionale del D. P. R 16 gennaio 1961, n. 106, in quanto si riferisca alla Categoria dei lavoratori dipendenti dalle centrali del latte e dai centri di trattamento e confezionamento del latte alimentare,

in riferimento agli articoli 3, 39 e 76 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1963.

GASPARE AMBROSINI, PRESIDENTE

GIOVANNI CASSANDRO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 29 giugno 1963.