Sentenza n. 216 del 2022

SENTENZA N. 216

ANNO 2022

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4, commi 17 e 18, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 2 novembre 2021, n. 16 (Misure finanziarie intersettoriali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 4 gennaio 2022, depositato in cancelleria l’11 gennaio 2022, iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica del 13 settembre 2022 il Giudice relatore Francesco Viganò;

uditi l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

deliberato nella camera di consiglio del 13 settembre 2022.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 4 gennaio 2022 e depositato l’11 gennaio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 4, commi 17 e 18, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 2 novembre 2021, n. 16 (Misure finanziarie intersettoriali), per contrasto: con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali determinati dalla legislazione statale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»; con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 15, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili; con l’art. 41 Cost.; con l’art. 97 Cost.; nonché con i limiti stabiliti dagli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) alle competenze legislative attribuite alla Regione.

1.1.– Il ricorrente impugna anzitutto il comma 17 dell’art. 4 menzionato.

Tale disposizione, che indica una serie di aree non idonee alla realizzazione di impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW, dovrebbe essere ricondotta alla materia di competenza concorrente «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e dovrebbe pertanto rispettare i principi fondamentali contenuti nel decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e nel decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), nonché nel decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili); tali linee guida, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, avrebbero «natura inderogabile e devono essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale» (sono richiamate le sentenze n. 177 del 2021, n. 69 del 2018 e n. 308 del 2011).

Il ricorrente rammenta che, ai sensi del paragrafo 17.1 delle linee guida, le regioni devono individuare le aree e i siti non idonei all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili attraverso «un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale», indicando nell’atto di programmazione la non idoneità di ciascuna area «in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti» e motivando tale inidoneità in base alle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate.

Il ricorrente osserva inoltre, da un lato, che, secondo la costante giurisprudenza amministrativa, il ruolo del comune nel procedimento abilitativo degli impianti in esame dovrebbe limitarsi al vaglio del progetto sotto il profilo della conformità alla disciplina urbanistica, e, dall’altro, che, con riferimento agli impianti fotovoltaici su aree agricole, l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 prevede la compatibilità urbanistica di tali installazioni, senza necessità di alcun procedimento di variante. Per contro, l’impugnato comma 17, nell’includere alla lettera a), tra le aree non idonee, quelle «individuate dal piano regolatore comunale in esito alla conformazione al PPR e a una lettura paesaggistica approfondita, ai sensi dell’articolo 14 delle Norme tecniche di attuazione (NTA) del PPR», attribuirebbe di fatto ai comuni la possibilità di introdurre limitazioni all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in contrasto con quanto previsto dalla disposizione citata delle linee guida.

Quanto poi alle previsioni di cui alle successive lettere da b) a h) del medesimo comma 17, esse introdurrebbero numerosi vincoli di merito, così ponendosi in contrasto «con l’art. 41 della Costituzione e con la normativa interna e sovranazionale che, promuovendo la diffusione delle fonti rinnovabili, inibisce qualsiasi previsione di astratta e aprioristica limitazione dei procedimenti autorizzativi e delle relative installazioni». Viene al riguardo richiamato l’orientamento di questa Corte secondo cui le regioni non potrebbero imporre in via legislativa vincoli generali non previsti dalla disciplina statale; e si rileva che «una normativa regionale che non rispetti la riserva di procedimento» impedirebbe «la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati», ponendosi in contrasto con il principio, espresso dal diritto dell’Unione, di massima diffusione degli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Il ricorrente rileva altresì che l’art. 4, comma 17 «individua le aree non idonee esclusivamente per la realizzazione di nuovi impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW».

Infine, sempre con riferimento all’art. 4, comma 17, il ricorrente ritiene che esso si ponga in contrasto anche con «i principi generali di cui al mutando quadro normativo statale delineato dalla legge n. 56/2021 [recte: n. 53 del 2021]». In attuazione della delega contenuta nell’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020), infatti, il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili», all’art. 20, ha stabilito che «[c]on uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili». La disposizione impugnata si porrebbe così in contrasto con i nuovi principi fondamentali della materia, in quanto, di fatto, anticiperebbe i contenuti del decreto interministeriale di cui all’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 199 del 2021, che dovrà dettare principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione degli impianti.

1.2.– Il ricorrente impugna quindi il comma 18 dell’art. 4, il quale pone ulteriori condizioni alle quali è subordinata la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW.

In particolare, l’art. 4, comma 18, lettera a), richiedendo che «la realizzazione dell’impianto non comprometta un bene paesaggistico alterando negativamente lo stato dell’assetto scenico-percettivo e creando un notevole disturbo della sua leggibilità», conterrebbe un’indicazione eccessivamente generica in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte (è richiamata la sentenza n. 286 del 2019) e conferirebbe all’autorità amministrativa decidente una discrezionalità eccessiva, in violazione sia del principio di legalità dell’azione amministrativa, sia dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

Analoghe censure sono mosse anche nei confronti delle lettere d) e f) dello stesso comma, le quali richiedono, rispettivamente, che «l’impianto sia posto in aree non visibili da strade di interesse panoramico, non comprometta visuali panoramiche o coni visuali e profili identitari tutelati dal PPR o dagli strumenti urbanistici comunali» e che «sia assicurato il contenimento del livello di compromissione e di degrado determinato dalla dimensione e dalla concentrazione degli impianti fotovoltaici a terra».

Secondo il ricorrente, le norme impugnate, «in contrasto con il procedimento delineato dalle Linee guida e con quanto statuito dalla Corte, non basano il divieto di installazione di nuovi impianti su una valutazione puntuale e in concreto delle aree dichiarate “non idonee”, ma ipostatizzano i controinteressi pubblici alla realizzazione degli impianti, precludendo o, quanto meno, ostacolando, il bilanciamento in concreto e la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati, che il legislatore statale affida al procedimento amministrativo di pianificazione».

2.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che le questioni siano dichiarate parzialmente inammissibili e, comunque, non fondate.

2.1.– La Regione – stigmatizzati una serie di errori compiuti nel ricorso nella indicazione delle disposizioni impugnate, che non impedirebbero comunque l’univoca individuazione dell’oggetto dell’impugnazione medesima – formula varie eccezioni di inammissibilità.

Sarebbero innanzitutto inammissibili le censure rivolte contro l’art. 4, comma 17, lettere b), c), d), e), f), g) e h), sia perché di esse non vi sarebbe alcuna menzione nella delibera del Consiglio dei ministri che ha autorizzato il ricorso, sia perché il ricorso non illustrerebbe argomenti in relazione alle singole disposizioni, limitandosi a «censure cumulative» non correlate al loro specifico contenuto.

Con riferimento alle medesime disposizioni, sarebbero inoltre inammissibili tanto la censura formulata in riferimento all’art. 41 Cost., in quanto «priva di ogni motivazione o illustrazione che ne chiarisca l’oggetto, il senso e le ragioni», quanto quella di asserita violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., dal momento che il ricorrente si limiterebbe a richiamare a supporto l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2018/2001/UE, che tuttavia concernerebbe i procedimenti di autorizzazione e non la localizzazione degli impianti, e che pertanto risulterebbe inconferente rispetto al contenuto delle disposizioni impugnate.

Inammissibile sarebbe poi la censura rivolta nei confronti dell’intero comma 17, nella parte in cui lamenta che la legge regionale individui le aree non idonee «esclusivamente per la realizzazione di nuovi impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW», in quanto il ricorso non ne fornirebbe alcuna motivazione.

Quanto al comma 18, sarebbe anzitutto inammissibile per carenza di motivazione la censura avente a oggetto la lettera a) per violazione dell’art. 97 Cost., mentre quelle aventi ad oggetto le lettere b), c) ed e) sarebbero inammissibili in quanto la delibera del Consiglio dei ministri non indicherebbe tali disposizioni come oggetto di impugnazione.

2.2.– Nel merito, dopo aver premesso che la Regione autonoma è «pienamente impegnata nel comune sforzo nazionale ed europeo di transizione alle energie rinnovabili» e che le disposizioni impugnate hanno lo scopo «non di frenare l’impiantistica fotovoltaica ma al contrario di indirizzarla verso le aree più idonee», la resistente sostiene in primo luogo che le citate linee guida «non possono essere ritenute vincolanti nel loro dettaglio per la Regione autonoma, che vede le proprie competenze in materia di energia specificamente regolate nelle norme di attuazione dello statuto speciale» e segnatamente nel decreto legislativo 23 aprile 2002, n. 110 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di energia, miniere, risorse geotermiche e incentivi alle imprese). Quest’ultimo non si sarebbe limitato a estendere alla Regione autonoma la competenza in materia di energia di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., bensì avrebbe «stabilito un regime proprio e speciale della Regione in materia di energia». Né le menzionate linee guida potrebbero imporsi alla Regione a statuto speciale in forza del principio di leale collaborazione, in ragione della loro adozione a seguito di intesa in sede di Conferenza unificata. Nella seduta che ha sancito l’intesa, infatti, l’assenso da parte regionale era stato espressamente subordinato all’introduzione di una clausola di salvaguardia delle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome: non essendo stata poi recepita tale clausola, le linee guida non potrebbero considerarsi assentite dalle regioni a statuto speciale, ciò che escluderebbe l’applicazione del principio di leale collaborazione.

2.3.– Quanto alle censure mosse nei confronti dell’art. 4, comma 17, lettera a), secondo la difesa regionale tale disposizione non trasferirebbe ai comuni la competenza a individuare le aree e i siti non idonei, bensì si limiterebbe «ad affidare ad essi l’attuazione nel piano regolatore comunale delle decisioni assunte dalla Regione e dal Ministero dei beni culturali in sede di Piano paesaggistico». Il procedimento di conformazione del piano regolatore comunale al piano paesaggistico regionale, infatti, sarebbe disciplinato dagli artt. 13 e 14 delle Norme tecniche di attuazione del piano paesaggistico regionale, i quali prevedono che l’ente territoriale competente rediga la proposta di adeguamento o conformazione dello strumento urbanistico e convochi una conferenza di servizi decisoria in modalità sincrona. In tale conferenza, un ruolo determinante sarebbe svolto non solo dalla regione, ma anche dal Ministero dei beni culturali. Ai sensi dell’art. 14, comma 2, delle citate Norme tecniche, infatti, «[i]l parere del Ministero, espresso in conferenza di servizi o trasmesso alla stessa, assume carattere vincolante in merito ai beni paesaggistici, in applicazione dell’articolo 145, comma 5, del Codice», mentre il comma 4 precisa che, «[q]ualora la conferenza di servizi non ritenga la proposta adeguata o conforme al PPR», l’ente proponente «presenta una nuova proposta di adeguamento dello strumento urbanistico generale». Non si tratterebbe, dunque, di un procedimento di esclusiva spettanza dell’ente locale, bensì di «un complesso procedimento amministrativo, nel quale la Regione e lo Stato condividono con il Comune la trascrizione nel Piano regolatore delle valutazioni di non idoneità all’insediamento di impianti fotovoltaici di potenza superiore ad 1 Mw in relazione alla tutela dei beni paesaggistici».

La Regione rileva inoltre che le linee guida, che non sarebbero comunque vincolanti nel loro dettaglio nei confronti della Regione autonoma, non le impedirebbero di dettare con legge norme di coordinamento fra i diversi atti pianificatori che disciplinano l’uso del territorio.

Infine, la Regione rileva che l’affermazione del ricorrente, secondo cui gli impianti fotovoltaici sarebbero compatibili con la destinazione agricola delle aree, ai sensi dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, non considera che la stessa disposizione richiede anche che «[n]ell’ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge 5 marzo 2001, n. 57, articoli 7 e 8, nonché del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 14».

2.4.– Per quanto concerne le censure formulate nei confronti delle lettere da b) a h) del comma 17, la resistente sottolinea che tali previsioni «non dettano limitazioni generali ed astratte, bensì menzionano aree, delimitate e normalmente di ridotta estensione, già previamente specificamente individuate mediante i pertinenti ed idonei procedimenti amministrativi». In relazione a tali siti, già vi sarebbe stata una valutazione degli interessi concorrenti indicati al paragrafo 17.1 delle linee guida; proprio sulla base di tale valutazione il legislatore avrebbe ritenuto tali aree inidonee all’installazione di specifici impianti.

Più specificamente, con riferimento alle singole ipotesi, la Regione rileva che le aree non idonee indicate alle lettere b), c), d), g) e h) sarebbero previste anche dall’Allegato 3 delle linee guida fra quelle che le regioni possono indicare come aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti. Quanto alla lettera e), inoltre, l’indicazione di inidoneità ivi contemplata sarebbe soltanto tendenziale e superabile in concreto, «potendo l’interessato dimostrare che non vi è lesione degli interessi paesaggistici tutelati dal Codice o dal Piano paesaggistico», mentre la lettera f), ricognitiva di istituti di tutela ambientale, si riferirebbe ad aree di fatto mai interessate da istanze per la realizzazione di impianti fotovoltaici, e comunque già predeterminate e ben individuate.

2.5.– La resistente affronta infine la questione della compatibilità delle norme impugnate con il nuovo quadro normativo dettato dalla legge n. 53 del 2021 e dal d.lgs. n. 199 del 2021, quest’ultimo emanato successivamente alla pubblicazione delle disposizioni impugnate. Premesso che la mancata adozione dei decreti ministeriali previsti dal citato d.lgs. n. 199 del 2021 non potrebbe impedire alla Regione di esercitare la propria competenza legislativa, quest’ultima sottolinea che il legislatore regionale «non ha inteso affatto sostituire la propria disciplina alla futura regolazione statale», dal momento che l’art. 4, comma 16, della stessa legge regionale, peraltro non impugnato, precisa che i criteri per la localizzazione e la realizzazione di nuovi impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW «trovano applicazione sino al compimento, a cura della Regione, degli adempimenti previsti dalla disciplina statale attuativa della legge 22 aprile 2021, n. 53 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020), per l’installazione di impianti da fonti rinnovabili». In ogni caso, le nuove norme statali confermerebbero la legittimità costituzionale della legge regionale impugnata.

2.6.– Con riferimento al comma 18 dell’art. 4, la Regione premette che tale comma, diversamente da quanto assunto dal ricorrente, non riguarderebbe le aree inidonee, bensì detterebbe criteri finalizzati a orientare la discrezionalità amministrativa con riferimento alle aree potenzialmente idonee a ospitare gli impianti di cui trattasi.

Quanto in particolare al criterio di cui alla lettera a), sarebbe non fondata la censura secondo cui all’amministrazione è attribuita una discrezionalità eccessiva. Infatti, poiché i beni paesaggistici sono individuati in maniera precisa a seguito del procedimento di pianificazione, la discrezionalità nel valutare se la realizzazione dell’impianto «comprometta un bene paesaggistico alterando negativamente lo stato dell’assetto scenico-percettivo e creando un notevole disturbo della sua leggibilità» sarebbe in realtà ridotta, «in quanto guidata dalle oggettive e precostituite valutazioni del Piano paesaggistico».

Considerazioni analoghe varrebbero, secondo la Regione, con riferimento alla successiva lettera d). Le «strade panoramiche» sarebbero infatti «puntualmente individuate e disegnate nell’ambito della Rete della mobilità lenta di PPR (Allegato 79 del PPR - E3. Scheda della Rete della Mobilità lenta)», mentre il piano paesaggistico del Friuli-Venezia Giulia «ha attribuito un effettivo interesse paesaggistico ad alcuni contesti figurativi di beni per i quali si riteneva utile tutelare il contesto di giacenza (ulteriori contesti paesaggistici)» e puntualmente individuato alcuni coni ottici privilegiati e vedute panoramiche. Tutti gli elementi individuati dalla disposizione impugnata, pertanto, sarebbero «frutto di un’oggettiva analisi di dettaglio supportata da un’attenta istruttoria sulle componenti paesaggistiche coinvolte».

La lettera f), infine, offrirebbe un criterio di valutazione degli effetti cumulativi derivanti dalla concentrazione degli impianti, idoneo a circoscrivere la discrezionalità dell’amministrazione e del tutto conforme al quadro derivante dalla legislazione statale di principio (art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011 e lettera e dell’Allegato 3 delle linee guida).

In conclusione, i criteri di cui all’impugnato art. 4, comma 18, non prescriverebbero una prevalenza astratta e aprioristica dell’interesse paesaggistico, bensì richiederebbero una valutazione in concreto caso per caso, all’esito della quale l’interesse alla tutela del paesaggio si imporrebbe ove non vi fosse compatibilità paesaggistica.

3.– In prossimità dell’udienza la Regione ha depositato memoria illustrativa per dare conto «degli sviluppi fattuali e delle sopravvenienze normative» intervenute nella materia de qua, nonché per svolgere ulteriori argomenti a sostegno della non fondatezza delle censure proposte.

3.1.– Rileva la Regione che «la fondamentale linea di indirizzo stabilita dal legislatore statale» attraverso la legge n. 53 del 2021 e pienamente confermata dal d.lgs. n. 199 del 2021 consisterebbe nel tentativo di localizzare gli impianti per le energie rinnovabili in aree di minor pregio paesaggistico o ambientale, e dunque in aree prevalentemente «degradate», coniugando in questo modo il favor per la massima diffusione delle fonti rinnovabili con la tutela di altri primari valori. La medesima finalità caratterizzerebbe la legge impugnata, quale espressa in particolare dall’art. 4, comma 16, non oggetto di impugnazione, che risulterebbe pertanto pienamente in armonia con i principi fondamentali desumibili della legislazione statale.

La resistente rappresenta inoltre che i decreti ministeriali di attuazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, diretti a stabilire i principi e i criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili, non sono stati ancora adottati, nonostante sia trascorso il termine acceleratorio di 180 giorni decorrenti dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 199 del 2021 (15 dicembre 2021), previsto dall’art. 20, comma 1. In particolare, la Regione riferisce che, nella seduta della Conferenza unificata del 25 maggio 2022, il rappresentante del Ministero per la transizione ecologica ha dichiarato che «lo schema di decreto interministeriale era in fase di definizione e che doveva ancora essere inoltrato ai ministeri concertanti», sicché, per quanto consta alla Regione autonoma, non è prevedibile quando tali decreti saranno sottoposti alla Conferenza unificata per l’intesa e poi emanati.

La Regione ricostruisce inoltre i più recenti mutamenti del quadro legislativo statale, dovuti alla «crisi energetica determinata dalla guerra in Ucraina» e dalla necessità di accelerare la transizione ecologica. Menziona, in particolare, il decreto-legge 1° marzo 2022, n. 17 (Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 27 aprile 2022, n. 34. Tale decreto, pur avendo ampliato il novero delle aree per le quali gli operatori possono formulare progetti di impianti fotovoltaici con la pratica certezza di non incontrare ostacoli collegati alla tutela del territorio, avrebbe comunque mantenuto il principio di fondo di cui al d.lgs. n. 199 del 2021, volto a promuovere la concentrazione degli impianti nelle aree già degradate, salvaguardando quelle di pregio. Di segno diverso sarebbe invece l’intervento operato dal decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50 (Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2022, n. 91, che altererebbe il principio di fondo della disciplina di concentrazione degli impianti nelle aree già degradate, sostituendolo con una dichiarazione di generale idoneità ex lege del territorio, che ne eccettua soltanto le porzioni oggetto di vincolo ai sensi del codice dei beni culturali.

Pur ribadendo che la presente controversia deve essere decisa sulla base delle norme e dei principi esistenti al momento dell’impugnazione (viene richiamata al riguardo la sentenza di questa Corte n. 258 del 2020), la Regione afferma che non vi sarebbe alcuna disarmonia tra le previsioni regionali impugnate e le nuove disposizioni statali entrate in vigore nel 2022, posto che la maggiore tutela regionale riguarderebbe esclusivamente le norme sulle aree agricole individuate dalle lettere f), g) e h) dell’impugnato comma 17, norme che si pongono come attuative della «della direttiva costituzionale sulla necessità di “razionale sfruttamento del suolo”, sancita espressamente dall’art. 44 Cost». Sarebbe semmai la lettera c-quater), aggiunta nel comma 8 dell’art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021 dall’art. 6, comma 1, lettera a), numero 2.3), del d.l. n. 50 del 2022, come convertito, a porsi in contrasto con l’art. 44 Cost.: sicché, nell’ipotesi in cui il Presidente del Consiglio dei ministri intenda invocare tale disposizione come parametro di illegittimità sopravvenuta, la Regione ne eccepisce l’illegittimità costituzionale, in quanto essa attribuisce «prevalenza assoluta e tirannica all’interesse alla produzione di energia su ogni altro possibile uso del suolo, compreso l’essenziale uso agricolo».

In conclusione, la resistente ritiene che, chiarito il contenuto normativo delle norme impugnate, «la censura del Presidente del Consiglio si riduce al dato formale dell’indicazione dei siti non idonei per i maggiori impianti mediante legge, anziché mediante atto amministrativo». Tale censura, ribadisce la Regione, sarebbe non fondata, in quanto le aree inidonee «non sono individuate direttamente dalla legge in base a caratteristiche generali e astratte […] ma sono invece luoghi concretamente e “cartograficamente” individuati in base ad atti di piano (in particolare il piano paesaggistico codeterminato con lo Stato) o comunque mediante determinazioni amministrative, attuative della legge o da questa assunte come riferimento». Con ciò risulterebbe superfluo ricordare, secondo la Regione, che, per risalente e consolidato orientamento di questa Corte, non esisterebbe in Costituzione una «riserva di amministrazione» opponibile al legislatore.

Considerato in diritto

1.– Con ricorso notificato il 4 gennaio 2022 e depositato l’11 gennaio 2022, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 4, commi 17 e 18, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2021, che pongono limiti e condizioni all’installazione di impianti fotovoltaici nel territorio della Regione, per contrasto:

– con l’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione ai principi fondamentali determinati dalla legislazione statale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia»;

– con l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 15, paragrafo 1, della direttiva (UE) 2018/2001;

– con l’art. 41 Cost.;

– con l’art. 97 Cost.;

– con gli artt. 4 e 5 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia.

2.– È necessario preliminarmente precisare l’oggetto del ricorso e, conseguentemente, il thema decidendum sottoposto a questa Corte.

2.1.– Quanto al comma 17, la Regione eccepisce anzitutto l’inammissibilità delle censure rivolte nei confronti delle lettere b), c), d), e), f), g) e h), perché di esse non vi sarebbe alcuna menzione nella delibera del Consiglio dei ministri che ha autorizzato il ricorso; di talché (parzialmente) ammissibile risulterebbe soltanto l’impugnazione relativa alla lettera a) di tale comma.

L’eccezione non può essere accolta. Dall’esame sia della delibera autorizzativa del Consiglio dei ministri, sia del tenore complessivo del ricorso, emerge chiaramente come quantomeno la censura riferita al contrasto con la riserva di amministrazione, asseritamente ricavabile dal paragrafo 17.1 delle linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, interessi l’intero comma 17, in quanto si contesta in radice la scelta di procedere con legge all’individuazione delle aree inidonee.

2.2.– Quanto invece al comma 18, dalla relazione allegata alla delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri e dal tenore complessivo del ricorso emerge univocamente che le censure governative si appuntano soltanto sulle disposizioni di cui alle lettere a), d) e f); e l’Avvocatura generale dello Stato ha confermato in udienza l’intenzione del ricorrente di limitare l’impugnazione a tali tre previsioni.

3.– Il ricorrente impugna dunque, in primo luogo, l’intero comma 17 dell’art. 4 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2021.

La disposizione impugnata recita: «Non sono idonee per la realizzazione degli impianti fotovoltaici a terra di cui al comma 16:

a) le aree individuate dal piano regolatore comunale in esito alla conformazione al PPR e a una lettura paesaggistica approfondita, ai sensi dell'articolo 14 delle Norme tecniche di attuazione (NTA) del PPR;

b) i siti regionali inseriti nella lista del patrimonio mondiale culturale e naturale riconosciuto dall’UNESCO e nelle relative zone tampone, nonché i siti per i quali è stata presentata la candidatura per il riconoscimento UNESCO;

c) i siti Natura 2000 e le aree naturali tutelate ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), e della legge regionale 30 settembre 1996, n. 42 (Norme in materia di parchi e riserve naturali regionali);

d) le aree e i beni di notevole interesse culturale di cui alla parte II del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), le aree dichiarate di notevole interesse pubblico ai sensi dell’articolo 136 del decreto legislativo 42/2004 e i relativi ulteriori contesti, le zone di interesse archeologico e gli ulteriori contesti d’interesse archeologico, nonché le aree a rischio potenziale archeologico indicate nel PPR o negli strumenti urbanistici comunali;

e) le aree ricadenti nei beni paesaggistici di cui all’articolo 142, comma 1, del decreto legislativo 42/2004, o loro ulteriori contesti, o in generale ulteriori contesti, ferma restando la facoltà del richiedente di presentare documentazione idonea a dimostrare la non interferenza degli impianti con gli obiettivi e la disciplina d’uso previsti dal PPR;

f) le aree agricole ricomprese in zone territoriali omogenee F di “Tutela ambientale” individuate dagli strumenti urbanistici generali comunali adeguati al PURG;

g) le aree localizzate in comprensori irrigui serviti dai Consorzi di bonifica e oggetto di riordino fondiario;

h) le aree agricole che rientrano nelle classi 1 e 2 di capacità d’uso secondo la Land Capability Classification (LCC) del United States Department of Agriculture (USDA) e individuate nella Carta regionale di capacità d’uso agricolo dei suoli, ferma restando la facoltà del richiedente di presentare idonea documentazione e, in particolare, una relazione pedologica, finalizzata alla riclassificazione delle aree di interesse aziendale».

3.1.– Secondo il ricorrente, tale disposizione – individuando una serie di aree inidonee alla realizzazione di impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW – si porrebbe in primo luogo in contrasto con i principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», e dunque con l’art. 117, terzo comma, Cost. Tali principi si ricaverebbero dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e dalle linee guida da esso previste.

Il ricorrente assume altresì che la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con i «principi generali di cui al mutando quadro normativo statale», delineato dalla legge delega n. 53 del 2021 e dal d.lgs. n. 199 del 2021, attuativo della delega; dal che discenderebbe – secondo quanto pare evincersi dal ricorso – un diverso profilo di violazione dello stesso art. 117, terzo comma, Cost. In particolare, il ricorrente lamenta che la disciplina impugnata anticiperebbe di fatto i contenuti del decreto interministeriale previsto dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 199 del 2021, che dovrà dettare principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione degli impianti.

3.2.– Circa il primo profilo, la Regione eccepisce preliminarmente la non vincolatività delle linee guida nei propri confronti. Le competenze in materia di energia della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sarebbero infatti specificamente regolate dalle norme di attuazione dello statuto speciale, e segnatamente dal d.lgs. n. 110 del 2002. Quest’ultimo non si sarebbe limitato a estendere alla Regione autonoma la competenza in materia di energia di cui godono le regioni ordinarie ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., bensì avrebbe «stabilito un regime proprio e speciale della Regione in materia di energia». Né la vincolatività delle linee guida potrebbe fondarsi sulla circostanza che la loro adozione sia stata decisa in sede di Conferenza unificata, dal momento che in tale occasione l’assenso da parte della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sarebbe stato espressamente subordinato all’introduzione di una clausola di salvaguardia delle competenze delle autonomie territoriali, clausola poi non inserita nelle linee guida.

3.3.– L’eccezione non è fondata.

3.3.1.– La giurisprudenza di questa Corte ha già più volte affermato, rispetto alla generalità delle regioni, che «la disciplina dei regimi abilitativi degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, riconducibile alla materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (art. 117, terzo comma, Cost.), deve conformarsi ai principi fondamentali, previsti dal d.lgs. n. 387 del 2003, nonché, in attuazione del suo art. 12, comma 10, dalle menzionate Linee guida (ex plurimis, sentenze n. 258 del 2020, n. 106 del 2020, n. 286 del 2019 e n. 69 del 2018)» (sentenza n. 177 del 2021). Con riferimento a queste ultime, inoltre, è stato costantemente ricordato che esse, «approvate in sede di conferenza unificata, sono espressione della leale collaborazione tra Stato e Regioni e sono, pertanto, vincolanti, in quanto “costituiscono, in settori squisitamente tecnici, il completamento della normativa primaria” (sentenza n. 86 del 2019). Nell’indicare puntuali modalità attuative della legge statale, le linee guida hanno “natura inderogabile e devono essere applicate in modo uniforme in tutto il territorio nazionale (sentenze n. 286 e n. 86 del 2019, n. 69 del 2018)” (sentenza n. 106 del 2020)» (ancora, sentenza n. 177 del 2021). Anche le disposizioni contenute nelle linee guida, quindi, «sono annoverate – per giurisprudenza costante di questa Corte – tra i principi fondamentali della materia, vincolanti nei confronti delle Regioni» (sentenza n. 77 del 2022).

3.3.2.– Questi principi sono stati ritenuti applicabili anche nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dalla sentenza di questa Corte n. 148 del 2019. In quell’occasione, si è infatti affermato che, in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», «lo statuto speciale di autonomia non prevede, in favore della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, alcuna competenza legislativa» e che «[o]pera, pertanto, la clausola di equiparazione di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione)». Nella medesima pronuncia si è altresì chiarito che il legislatore della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia è «parimenti tenuto al rispetto delle norme fondamentali della materia, quali poste dalla normativa statale».

3.3.3.– Tali conclusioni devono essere ribadite in questa sede. Il d.lgs. n. 110 del 2002, lungi dallo stabilire «un regime proprio e speciale della Regione in materia di energia», come sostiene la difesa regionale, ha la funzione, già riconosciuta dalla sentenza n. 148 del 2019, di dare attuazione alla competenza concorrente in materia di energia che alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia è stata attribuita in forza dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Traendo origine non dallo statuto, bensì dalla cosiddetta clausola di maggior favore, la competenza legislativa così acquisita dalla Regione autonoma è soggetta al «regime complessivo del Titolo V» (sentenza n. 119 del 2019), che comprende, per le materie di cui all’art. 117, comma terzo, Cost., l’obbligo di rispettare i principi fondamentali stabiliti dallo Stato; principi che nella materia all’esame sono dettati, come si è già ricordato, dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e dalle linee guida da esso previste.

Non può invece condividersi l’assunto della difesa regionale, che finirebbe per far derivare da una normativa che attua la clausola di maggior favore – finalizzata, quest’ultima, semplicemente a evitare che le autonomie differenziate possano trovarsi, a seguito della riforma del Titolo V e sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, in una posizione di minore autonomia rispetto alle regioni a statuto ordinario – competenze legislative addirittura maggiori di quelle spettanti a queste ultime, in una materia rispetto alla quale lo statuto speciale non attribuiva in origine alcuna competenza.

A prescindere da ogni altro rilievo, risulta pertanto inconferente la circostanza – valorizzata dalla difesa regionale – secondo cui la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in sede di Conferenza unificata avrebbe subordinato il proprio assenso all’adozione delle linee guida alla condizione che fosse in esse inserita una clausola di salvaguardia delle competenze delle autonomie differenziate, dal momento che tali competenze – a fronte di quanto appena osservato – non possono, in ogni caso, ritenersi più ampie di quelle di cui godono le regioni a statuto ordinario.

3.4.– Ciò posto, la disposizione impugnata si pone effettivamente in contrasto con la disciplina disegnata dalle linee guida.

3.4.1.– Il paragrafo 17 delle linee guida dispone che «le Regioni e le Province autonome possono procedere alla indicazione di aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all’allegato 3». Tale individuazione deve avvenire «attraverso un’apposita istruttoria avente ad oggetto la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l’insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, pertanto, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni, in sede di autorizzazione». Le aree non idonee sono quindi individuate dalle regioni «nell’ambito dell’atto di programmazione con cui sono definite le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi di burden sharing», nel quale devono essere richiamati gli esiti dell’istruttoria svolta, contenenti «in relazione a ciascuna area individuata come non idonea in relazione a specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, la descrizione delle incompatibilità riscontrate con gli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate».

Sulla base di tale disciplina, questa Corte ha già più volte affermato che «[l]a dichiarazione di inidoneità deve […] risultare quale provvedimento finale di un’istruttoria adeguata volta a prendere in considerazione tutta una serie di interessi coinvolti», e che «[i]n ogni caso l’individuazione delle aree non idonee deve avvenire a opera delle Regioni attraverso atti di programmazione» (sentenza n. 86 del 2019); cosicché «[u]na normativa regionale, che non rispetti la riserva di procedimento amministrativo e, dunque, non consenta di operare un bilanciamento in concreto degli interessi, strettamente aderente alla specificità dei luoghi, impedisce la migliore valorizzazione di tutti gli interessi pubblici implicati e, di riflesso, viola il principio, conforme alla normativa dell’Unione europea, della massima diffusione degli impianti da fonti di energia rinnovabili (sentenza n. 286 del 2019, in senso analogo, ex multis, sentenze n. 106 del 2020, n. 69 del 2018, n. 13 del 2014 e n. 44 del 2011)» (sentenza n. 177 del 2021).

In applicazione di questi principi, in diverse occasioni sono state dichiarate costituzionalmente illegittime discipline regionali che, in contrasto con le linee guida, avevano individuato esse stesse le aree inidonee all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili (sentenze n. 121 del 2022, n. 177 del 2021, n. 106 del 2020, n. 86 del 2019 e n. 69 del 2018).

3.4.2.– La difesa regionale nega il contrasto fra l’impugnato art. 4, comma 17, e le linee guida sulla base essenzialmente di due ordini di argomenti.

In primo luogo, la Regione sostiene che detta disposizione sarebbe in sostanziale sintonia con le linee guida, in quanto non detterebbe limitazioni generali ed astratte, bensì menzionerebbe «aree, delimitate e normalmente di ridotta estensione, già previamente specificamente individuate mediante i pertinenti ed idonei procedimenti amministrativi». In relazione a tali siti, già vi sarebbe stata una valutazione degli interessi concorrenti indicati al paragrafo 17 delle linee guida; sarebbe anzi sulla base di un bilanciamento fra tali interessi che il legislatore avrebbe ritenuto inidonee all’installazione di specifici impianti le aree indicate. Ad esempio, la lettera a) dell’impugnato comma 17, nell’indicare quali zone inidonee «le aree individuate dal piano regolatore comunale in esito alla conformazione al PPR e a una lettura paesaggistica approfondita, ai sensi dell’articolo 14 delle Norme tecniche di attuazione (NTA) del PPR», farebbe riferimento ad aree individuate attraverso «un complesso procedimento amministrativo, nel quale la Regione e lo Stato condividono con il Comune la trascrizione nel Piano regolatore delle valutazioni di non idoneità all’insediamento di impianti fotovoltaici di potenza superiore ad 1 Mw in relazione alla tutela dei beni paesaggistici». Analoghe considerazioni si applicherebbero, secondo la Regione, anche alle lettere d), e) e f) del medesimo comma.

In secondo luogo, la Regione nega che vi sia contrasto con le linee guida poiché le aree individuate dalla disposizione regionale corrisponderebbero a quelle indicate dall’Allegato 3 (Criteri per l’individuazione di aree non idonee), lettera f), delle linee guida. Questo sarebbe il caso, ad esempio, dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO, espressamente indicati come aree inidonee tanto dalla lettera b) dell’impugnato comma 17 quanto dall’Allegato 3, lettera f), delle linee guida, e, più in generale, delle aree di cui alle lettere c), d), e) g) e h), dello stesso comma 17, che troverebbero appunto corrispondenza nelle previsioni di cui alla lettera f) del menzionato Allegato 3 delle linee guida.

3.4.3.– Questa Corte non è persuasa da tali argomenti.

Il ricorso statale si fonda su un duplice ordine di presupposti, che certamente colgono nel segno e che la difesa regionale a ben guardare non contesta: a) che la previsione di un’«apposita istruttoria» finalizzata all’individuazione di aree non idonee ai sensi del paragrafo 17 delle linee guida impone alla regione di attivare un procedimento amministrativo nel quale vengano bilanciati, da un lato, l’interesse alla massima diffusione delle energie rinnovabili, e, dall’altro, gli interessi alla tutela del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale; b) che in base al medesimo paragrafo 17 tale istruttoria è destinata a sfociare non già in una legge, ma – come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte – in un atto di programmazione avente natura di provvedimento amministrativo, con il quale vengano individuate le aree non idonee.

Contrariamente a quanto argomentato dalla difesa regionale, d’altra parte, non può nemmeno ritenersi consentito ad una legge regionale dichiarare non idonee aree già previamente individuate in esito a procedimenti amministrativi non specificamente funzionali al bilanciamento dei contrapposti interessi sopra menzionati, come quelli cui la disposizione impugnata rinvia. Tali procedimenti non sono infatti finalizzati all’identificazione delle aree inidonee all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, bensì all’individuazione di altre aree o beni, in funzione di scopi affatto eterogenei rispetto a quello che qui viene in considerazione, quali i beni di notevole interesse culturale, le aree di notevole interesse pubblico, i beni paesaggistici, ovvero particolari aree destinate a riordino fondiario. Rispetto a tali scopi non viene in considerazione lo specifico interesse, del quale la disciplina statale interposta si fa portatrice, allo sviluppo di energie rinnovabili: interesse quest’ultimo di cruciale rilievo rispetto al vitale obiettivo di tutela dell’ambiente, anche nell’interesse delle future generazioni.

Né vale a ovviare alla mancanza di un procedimento amministrativo specificamente finalizzato alla individuazione di aree inidonee la circostanza, pure invocata dalla difesa regionale, che le aree indicate dal comma 17 corrispondano in sostanza, almeno in parte, a quelle menzionate alla lettera f) dell’Allegato 3 delle linee guida. A tacer d’altro, il citato Allegato 3 non vieta in maniera generalizzata l’installazione di impianti nelle aree ivi indicate. Esso consente piuttosto alle regioni, in esito al procedimento amministrativo di cui al paragrafo 17, di indicare come aree e siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti, «all’interno di quelle di seguito elencate», le aree «particolarmente sensibili e/o vulnerabili alle trasformazioni territoriali o del paesaggio». Le aree menzionate nell’Allegato 3 e in parte riprese dalla disposizione impugnata non sono, dunque, direttamente qualificate come inidonee dalle linee guida, ma «possono» essere dichiarate tali, in tutto o in parte, solo all’esito di una scelta operata dalla regione attraverso l’apposita istruttoria di cui si è detto. Anziché procedere a tale selezione nei modi indicati, la Regione autonoma ha invece stabilito con legge l’inidoneità generalizzata di tutte le aree elencate, ponendosi così in contrasto con le univoche indicazioni contenute nelle linee guida.

3.5.– L’incompatibilità della disposizione impugnata con il paragrafo 17 delle linee guida, enunciante principi fondamentali della materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», vincolanti anche per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, ne determina l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Ciò senza che sia necessario valutare se la disposizione medesima si ponga altresì in contrasto, come sostenuto dal ricorrente, con la nuova disciplina prevista dalla legge n. 53 del 2021 e dal successivo d.lgs. n. 199 del 2021 – decreto legislativo, peraltro, ancora non emanato al momento dell’entrata in vigore della disposizione regionale impugnata, e che a sua volta rimanda a decreti interministeriali ancora non adottati –; e senza che, per converso, abbia alcun rilievo accertare se e in che misura la disciplina anticipi, come sostenuto dalla difesa regionale, taluni aspetti del nuovo quadro normativo statale di riferimento nella materia, trattandosi per l’appunto di un quadro normativo oggi ancora non compiutamente definito.

Né vale ad assicurare la sua compatibilità con la Costituzione la natura transitoria della disposizione, che si evince dal non impugnato comma 16 dello stesso art. 4, ai sensi del quale, tra l’altro, i commi 17 e 18 «trovano applicazione sino al compimento, a cura della Regione, degli adempimenti previsti dalla disciplina statale attuativa della legge [n. 53 del 2021]». Nelle more di tale complesso procedimento, infatti, resta pienamente operante il quadro normativo previgente, imperniato sul paragrafo 17 delle linee guida invocato dal ricorrente quale parametro interposto, la cui violazione da parte della disposizione impugnata deve – per quanto sopra osservato – ritenersi accertata.

Resta assorbita ogni ulteriore censura.

4.– Sono poi impugnate le disposizioni di cui alle lettere a), d) e f) del successivo comma 18 del medesimo art. 4 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2021.

Il comma 18, mantenendo ferme le esclusioni di cui al comma 17 appena esaminate, individua una serie di condizioni cui è subordinata la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra di potenza superiore a 1 MW. Nelle parti impugnate, la disposizione prescrive:

– «che la realizzazione dell’impianto non comprometta un bene paesaggistico alterando negativamente lo stato dell’assetto scenico-percettivo e creando un notevole disturbo della sua leggibilità» (lettera a);

– «che l’impianto sia posto in aree non visibili da strade di interesse panoramico, non comprometta visuali panoramiche o coni visuali e profili identitari tutelati dal PPR o dagli strumenti urbanistici comunali conformati al PPR o in corso di conformazione al PPR e adottati» (lettera d);

– «che sia assicurato il contenimento del livello di compromissione e di degrado determinato dalla dimensione e dalla concentrazione degli impianti fotovoltaici a terra di cui al comma 16, che ai sensi dell’articolo 33 delle NTA del PPR qualificano la superficie interessata quale area compromessa e degradata, in ragione della morfologia del territorio, del bacino visuale, della prossimità, delle loro dimensioni e della tipologia in un medesimo ambito di paesaggio del PPR» (lettera f).

4.1.– Anche in questo caso, il ricorrente lamenta tra l’altro la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., osservando in sostanza che le prescrizioni impugnate si porrebbero in contrasto con il descritto procedimento delineato dalle linee guida, introducendo di fatto divieti di installazione di nuovi impianti non previsti dalle medesime, precludendo così la valutazione puntuale e in concreto degli interessi in conflitto da parte dell’autorità amministrativa competente.

4.2.– Osserva in proposito la difesa regionale che il ricorrente sarebbe caduto in equivoco nel ritenere che anche le disposizioni di cui al comma 18, al pari di quelle di cui al comma 17, individuino aree inidonee all’installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, e siano per tale ragione in contrasto con le linee guida e la già richiamata giurisprudenza di questa Corte. Al contrario, il comma 18 si limiterebbe a indicare criteri finalizzati a orientare la discrezionalità amministrativa con riferimento alle singole richieste di autorizzazione relative ad aree potenzialmente idonee a ospitare gli impianti di cui trattasi.

L’osservazione è corretta, ma non risolutiva. Questa Corte ha recentemente affermato che, sulla base del quadro normativo delineato dalle linee guida, nella materia del sostegno alla produzione di energia derivante da fonti alternative, non può riconoscersi alle regioni il potere di provvedere autonomamente, per legge, «“alla individuazione di criteri per il corretto inserimento nel paesaggio degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa” (sentenza n. 168 del 2010; in termini simili anche le sentenze n. 106 del 2020, n. 298 del 2013 e n. 308 del 2011), né a fortiori quello di creare preclusioni assolute e aprioristiche che inibiscano ogni accertamento in concreto da effettuare in sede autorizzativa (sentenze n. 106 del 2020 e n. 286 del 2019)» (sentenza n. 121 del 2022).

Invero, attraverso le linee guida, adottate in Conferenza unificata in attuazione del principio di leale collaborazione, lo Stato e le regioni hanno congiuntamente definito una serie di criteri funzionali alla individuazione di punti di equilibrio sostenibili fra un largo spettro di interessi: il rispetto dei «vincoli imposti dalla normativa dell’Unione europea, così come degli obblighi assunti a livello internazionale con la legge 1° giugno 2002, n. 120 (Ratifica ed esecuzione del Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, fatto a Kyoto l’11 dicembre 1997) e con la legge 4 novembre 2016, n. 204 (Ratifica ed esecuzione dell’Accordo di Parigi collegato alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottato a Parigi il 12 dicembre 2015), nel comune intento “di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra” (sentenza n. 275 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del 2012), onde contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici (sentenza n. 77 del 2022)» (sentenza n. 121 del 2022); la tutela del paesaggio e del territorio; la necessità di assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale ai soggetti privati interessati alla realizzazione degli impianti.

Ampio spazio è inoltre riconosciuto all’autonomia delle regioni a valle delle linee guida. Esse sono, infatti, chiamate a concretizzare tali complessi bilanciamenti nell’ambito dei singoli territori regionali, attraverso procedimenti amministrativi destinati a sfociare negli atti di programmazione menzionati dal paragrafo 17 delle linee guida, nei quali ben possono essere individuate le aree non idonee alla installazione degli impianti; atti a loro volta destinati a orientare la discrezionalità amministrativa nei procedimenti relativi alle domande di autorizzazione dei singoli impianti.

Ciò che invece, nel vigore dell’attuale quadro normativo, non è consentito alle regioni è dettare direttamente per legge criteri generali per la localizzazione degli impianti ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla legislazione statale e dalle stesse linee guida: ancor più quando tali criteri si risolvano, in pratica, in divieti assoluti di concedere autorizzazioni in singole porzioni del territorio regionale, come accade con riferimento alle previsioni di cui alla lettera d).

4.3.– Da ciò consegue l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 18, lettere a), d) e f), anche in questo caso per violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost., restando assorbite le rimanenti censure.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 17, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 2 novembre 2021, n. 16 (Misure finanziarie intersettoriali);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 18, lettere a), d) e f), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2021.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 settembre 2022.

F.to:

Silvana SCIARRA, Presidente

Francesco VIGANÒ, Redattore

Igor DI BERNARDINI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2022.