Sentenza n. 298 del 2013

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SENTENZA N. 298

ANNO 2013

 

Commento alla decisione di

 

Cesare Mainardis

Autonomie speciali e riparto delle competenze: quando la casistica prevale sulla sistematica

 

(per g-c. del Forum di Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Gaetano                      SILVESTRI                           Presidente

-      Luigi                           MAZZELLA                         Giudice

-      Sabino                         CASSESE                                      "

-      Giuseppe                    TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                NAPOLITANO                 "

-      Giuseppe                    FRIGO                                           "

-      Paolo                          GROSSI                                        "

-      Giorgio                       LATTANZI                                   "

-      Aldo                           CAROSI                                        "

-      Marta                          CARTABIA                                  "

-      Sergio                         MATTARELLA                            "

-      Mario Rosario             MORELLI                                     "

-      Giancarlo                    CORAGGIO                                 "

-      Giuliano                      AMATO                                        "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 9, 12, comma 8, 13, commi 2, 3, 4, 5 e 6, 14, per intero e, in subordine, riguardo ai commi 2, 7 e 9, 16, comma 2, lettera a), 17, 18, commi 2 e 4, 34, comma 1, lettere f) ed h) e 35, comma 7, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia di energia e distribuzione dei carburanti), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 17-21 dicembre 2012, depositato in cancelleria il 20 dicembre 2012 ed iscritto al n. 191 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato dello Stato Filippo Bucalo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso depositato il 20 dicembre 2012 e notificato il 17-21 dicembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso in via principale, questione di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 9; 12, comma 8; 13, commi 2, 3, 4 e 5; 13, comma 6; 14 per intero e, in subordine, commi 2, 7, 9; 16, comma 2, lettera a); 17; 18, commi 2 e 4; 34, comma 1, lettere f) ed h), e 35, comma 7, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia di energia e distribuzione dei carburanti), in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, secondo comma, lettere e), l), m) ed s), e terzo comma, della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

1.1.– Il ricorrente impugna l’art. 5, comma 9, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 42 (recte: 19) del 2012, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

La disposizione, stabilendo che l’atto di programmazione regionale (d’ora in avanti APR) predisposto, nelle more dell’approvazione del Piano energetico regionale (PER), è sottoposto alla procedure relative alla valutazione ambientale strategica (VAS) nelle sole ipotesi in cui contenga l’individuazione delle aree e dei siti non idonei, implicitamente la esclude negli altri casi. Si porrebbe, pertanto, in contrasto con l’art. 6, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), trattandosi di «piano» concernente il «settore energetico», che, secondo il dettato della norma statale interposta appena citata, deve essere assoggettato sempre − ad eccezione dei limitati casi previsti dal ricordato comma 3 dello stesso art. 6 − alla VAS prevista da tale fonte statale.

1.2.– Oggetto di impugnazione è altresì l’art. 12, comma 8, della citata legge regionale n. 19 del 2012, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

La disposizione, nella parte in cui assoggetta alla procedura abilitativa semplificata di cui all’art. 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003 /30/CE) gli interventi per modifiche non sostanziali da realizzarsi, «anche in corso d’opera», su impianti e infrastrutture che hanno ottenuto l’autorizzazione unica (e quindi non necessariamente esistenti), contrasterebbe con l’art. 5, comma 3, del citato d.lgs. n. 28 del 2011. Quest’ultima norma, infatti, attribuisce ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico (adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata) l’individuazione degli interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica. Nelle more dell’approvazione di tale decreto, la disposizione statale citata perimetra l’area degli interventi da considerare «non sostanziali» e, quindi, sottoposti alla procedura abilitativa semplificata, delimitandola ai soli interventi da realizzare sugli impianti «esistenti».

1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della legge regionale in esame sotto diversi profili: per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) ed m), e terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Sotto il primo ed il secondo profilo, il ricorrente rileva come tali previsioni introducano oneri amministrativi – «a pena di improcedibilità» – superflui e comunque non previsti dalla normativa statale di riferimento, e segnatamente dall’art. 1-sexies del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 ottobre 2003, n. 290. Ne conseguirebbe, da un lato, la violazione dell’ambito della potestà legislativa concorrente riservata alla Regione in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e, dall’altro lato, la violazione in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», nel cui novero andrebbero sussunte anche le norme che attuano il principio di semplificazione amministrativa e quelle che fissano e regolano i principi fondamentali relativi al procedimento amministrativo.

Quanto al terzo profilo, la norma regionale, modulando i requisiti e i contenuti della progettazione sugli artt. 93 e 94 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), si porrebbero in contrasto con quanto previsto dall’art. 206 del medesimo decreto legislativo, il quale non include, tra le norme applicabili ai settori speciali (gas, energia termica ed elettricità), le disposizioni sui livelli di progettazione di cui ai citati articoli.

1.4.– Il ricorrente impugna, poi, l’art. 13, comma 6, della legge regionale in esame per violazione degli artt. 3, 41 e 117, comma terzo, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Tale disciplina, subordinando il rilascio dell’autorizzazione per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili alla dimostrazione, da parte del richiedente, del possesso di idonei requisiti soggettivi, nonché di atti definitivi attestanti la titolarità delle aree, contrasterebbe con la normativa statale di principio di cui al d.lgs. n. 28 del 2011, al decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica)

In particolare, l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo da ultimo citato configura l’attività de qua come libera.

La disciplina statale di cui al comma 1 dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, sancendo che le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti, rivela che l’iniziativa può essere intrapresa anche da soggetti non in possesso di «atti definitivi attestanti la titolarità delle aree», i quali sono agevolati ad acquisire tale titolarità contro la volontà dei proprietari con lo strumento autoritativo costituito dal provvedimento di espropriazione per pubblica utilità.

Inoltre, soltanto nel caso previsto al comma 4-bis del citato art. 12, relativo alla realizzazione di impianti alimentati a biomassa e fotovoltaici, la normativa statale richiede che il proponente dimostri la disponibilità del suolo su cui realizzare l’impianto (trattandosi peraltro comunque di mera disponibilità e non di titolarità).

Il ricorrente censura la norma anche in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto la stessa inciderebbe negativamente sul diritto costituzionale di iniziativa economica e creerebbe ingiustificata disparità di trattamento tra operatori del settore.

1.5.– L’art. 14 della legge regionale in esame, avente ad oggetto la disciplina del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione, è impugnato per violazione degli art. 4 e 5 dello statuto oltre che dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, contrasterebbe con l’art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003.

La norma, infatti, diversamente dal comma 3 del citato art. 1-sexies, non prevede l’apposizione di «misure di salvaguardia» volte ad impedire che, nelle more dell’autorizzazione della nuova infrastruttura, vengano rilasciati permessi di costruire sui terreni potenzialmente impegnati dal progetto.

Inoltre, detta disposizione, diversamente dal comma 1 del predetto art. 1-sexies, non prevede che l’autorizzazione unica sia titolo sufficiente a realizzare ogni opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre infrastrutture esistenti, in conformità al progetto approvato ed alle prescrizioni eventualmente contenute nel decreto autorizzatorio.

A parere del ricorrente la mancata previsione di misure di salvaguardia e la mancata previsione che l’autorizzazione unica disciplinata dal censurato art. 14 costituisca titolo sufficiente anche per realizzare ogni opera inserita nel progetto approvato comporterebbero, altresì, un pregiudizio del principio costituzionale di buon andamento, pregiudicando l’economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, concretando la violazione dell’art. 97 Cost.

1.6.– L’art. 14, comma 2, della legge regionale impugnata, poi, sarebbe in contrasto, oltre che con gli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, con gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, Cost.

Con riferimento a tale ultimo parametro, la disposizione censurata, imponendo al proponente, contestualmente all’istanza per il rilascio dell’autorizzazione unica, di effettuare, qualora l’impianto non ricada in zona sottoposta a tutela, una comunicazione alle competenti Soprintendenze, contrasterebbe con la normativa statale di principio di cui all’art. 12, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 387 del 2003 – oltre che con le linee guida adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) –, il quale prevede che l’autorizzazione unica sia rilasciata a seguito di un procedimento unico al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate.

Il ricorrente lamenta che siffatto obbligo mortificherebbe le istanze di semplificazione e di celerità insite nel procedimento di autorizzazione unica disciplinato dal legislatore nazionale, con conseguente violazione del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. oltre che dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

1.7.– Viene altresì impugnato l’art. 14, comma 7, della legge regionale indicata in epigrafe per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

La disposizione censurata, la quale prevede, riguardo alle autorizzazioni per la realizzazione degli elettrodotti, la necessità della previa espressione del parere favorevole di ARPA che accerti il rispetto dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità relativi alle emissioni elettromagnetiche, sarebbe in contrasto con la normativa statale di principio di cui all’art. 1-sexies, comma 5, del d.lgs. n. 329 del 2003 (recte: d.l. n. 239 del 2003) nonché con i principi fondamentali dettati con legge statale in materia di procedimento amministrativo e, in particolare, con il principio di semplificazione dell’attività amministrativa.

1.8.– Con riferimento agli artt. 14, comma 9, e 18, comma 2, della impugnata legge regionale viene prospettata la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Le disposizioni, prevedendo che l’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione per infrastrutture energetiche lineari non abbia di per sé effetto di variante urbanistica, essendo necessario a tal fine anche l’assenso del Comune, espresso in sede di conferenza di servizi sulla base del previo parere favorevole espresso dal Consiglio comunale, si porrebbero in contrasto con l’art. 1-sexies, comma 2, lettera b), del d.l. n. 239 del 2003, a norma del quale, qualora le opere comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica, oltre che con le linee guida, le quali, al punto 13.4, con riferimento agli impianti alimentati da fonti rinnovabili, prevedono che le Regioni o le Province delegate non possono subordinare la ricevibilità, la procedibilità dell’istanza o la conclusione del procedimento alla presentazione di previe convenzioni ovvero atti di assenso o gradimento, da parte dei comuni il cui territorio è interessato dal progetto.

1.9.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 16, comma 2, lettera a), della citata legge regionale per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

La disposizione, infatti, assoggetta al regime della comunicazione di inizio lavori l’installazione degli impianti di produzione di energia elettrica o termica da fonti rinnovabili su edifici o aree di pertinenza degli stessi, senza riprodurre né lo specifico limite di potenza («non superiore a 50 kW») previsto dalla legge statale per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili né la limitazione legata alla ubicazione («sugli edifici») per gli impianti solari fotovoltaici, così indebitamente estendendo detto regime abilitativo anche oltre tali limiti. Tale disciplina contrasterebbe, quindi, con la normativa statale di principio di cui ai d.lgs. n. 28 del 2011 e n. 387 del 2003, ed in particolare, l’art. 6, comma 11, del predetto d.lgs. n. 28 del 2011, il quale prevede le su richiamate limitazioni di potenza ed ubicazione.

Il ricorrente lamenta altresì la violazione degli artt. 3 e 41 Cost., in considerazione della ingiustificata discriminazione tra le iniziative economiche nelle diverse regioni, e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto «la disciplina statale inerente il regime abilitativo garantisce la sussistenza di un equilibrio tra la competenza esclusiva statale in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia».

1.10.– Sempre per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale è oggetto di impugnazione l’art. 17 della legge regionale in esame.

La norma dispone che l’Assessore regionale competente in materia di energia possa proporre alla Giunta regionale l’approvazione di uno schema di accordo con i proponenti volto ad attribuire vantaggi economici o occupazionali per il territorio regionale, misure compensative, ovvero opere di razionalizzazione di linee elettriche esistenti. In tal caso l’espressione dell’intesa tra Stato e Regione nell’ambito delle funzioni riservate allo Stato ed esercitate d’intesa con la Regione ai sensi dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 23 aprile 2002, n. 110 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di energia, miniere, risorse geotermiche e incentivi alle imprese) è subordinata alla stipula dell’accordo.

A parere del ricorrente tale disciplina si porrebbe, innanzitutto, in contrasto con il principio fondamentale dettato dal legislatore statale all’art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), il quale, pur consentendo alle Regioni e agli enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e di riequilibrio ambientale non prevede che la stipula di detti accordi possa condizionare – subordinandola – l’intesa con lo Stato ed il correlato rilascio dei pareri propedeutici all’ottenimento dell’autorizzazione alla costruzione ed esercizio della infrastruttura energetica.

Nel ricorso viene, inoltre, evidenziato che la facoltà di individuare misure di compensazione e di riequilibrio ambientale sarebbe circoscritta dalla legislazione nazionale esclusivamente a quegli interventi compensativi che presentino carattere ambientale e che, al contempo, siano coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica, mentre la norma regionale impugnata consentirebbe la stipula di accordi esorbitanti tali connotazioni e finalità.

Viene, infine, segnalato che la norma censurata, attribuendo all’assessore regionale competente in materia di energia il potere di concludere i suddetti accordi, contrasterebbe con l’art. 34, comma 11 (recte: comma 16), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221, il quale dispone che le modalità di stipula dei predetti accordi siano individuati da un decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, da adottarsi entro i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Infine, il ricorrente lamenta che la norma impugnata, stabilendo già la «posizione» che la Regione deve assumere ai fini dell’intesa disciplinata all’art. 11, comporta che il ricorso alla procedura alternativa (deliberazione assunta dal Consiglio dei ministri con la partecipazione del presidente della Regione interessata) prevista dal comma 3 dell’art. 2 del d.lgs. n. 110 del 2002 per le ipotesi di mancato raggiungimento dell’intesa risulti sostanzialmente obbligatorio. Tale aggravamento del procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica comporterebbe la violazione del principio costituzionale di buon andamento previsto dall’art. 97 Cost.

1.11.– Sempre per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, è impugnato l’art. 18, comma 4, della legge regionale in esame.

A parere del ricorrente la norma violerebbe l’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della legge n. 239 del 2004 in quanto, riservando una quota significativa dell’energia disponibile importata al fabbisogno energetico regionale e, quindi, sottraendola alle regole del libero mercato dell’energia, recherebbe un vulnus al sistema unitario nazionale di gestione dell’approvvigionamento energetico con conseguente falsamento delle regole di concorrenza del mercato dell’energia.

1.12.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, infine, gli artt. 35, comma 7, e 34, comma 1, lettere f) ed h), della legge regionale in esame per violazione degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Tali disposizioni, introducendo onerosi requisiti (tra cui, ad esempio, l’obbligatorietà degli impianti fotovoltaici e della gestione di servizi di car sharing) per l’apertura di impianti di distribuzione di carburanti, introdurrebbero significative e sproporzionate barriere all’ingresso nei mercati, non adeguatamente giustificate dal perseguimento di specifici interessi pubblici, ingenerando ingiustificate discriminazioni a danno della concorrenza, così ponendosi in contrasto con il principio contenuto nell’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27.

2.– Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, la quale, sia nell’atto di costituzione che nella memoria depositata successivamente (nella quale vengono approfondite le argomentazioni difensive), chiede che sia dichiarata l’inammissibilità o l’infondatezza delle censure prospettate nel ricorso.

Sulle singole materie di riferimento, la Regione evidenzia che il ricorso è concepito come se la materia di riferimento fosse esclusivamente la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost., con l’eccezione della contestazione relativa all’art. 5, comma 9, della legge regionale impugnata, in cui il ricorso si riferisce alla materia statale «ambiente», mentre, trattandosi di impianti la cui costruzione impatta profondamente sul territorio, la Regione potrebbe intervenire anche in forza della propria potestà primaria in materia di urbanistica (art. 4, numero 11, recte: numero 12, dello statuto speciale), alla quale vanno affiancate altre materie che possono venire in considerazione, in relazione a singole disposizioni.

2.1.– In ordine all’art. 5, comma 9, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 42 (recte: n. 19) del 2012, la Regione evidenzia che l’APR è emanato in attuazione del provvedimento ministeriale previsto dall’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale o pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2008), in modo da essere congruente con la quota minima di produzione di energia da fonti rinnovabili assegnata alla Regione. Il decreto ministeriale da attuare ha il compito di «definire la ripartizione fra regioni e province autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento dell’energia prodotta con fonti rinnovabili per raggiungere l’obiettivo del 17 per cento del consumo interno lordo entro il 2020». L’APR non sarebbe un atto di programmazione territoriale ma di programmazione delle quantità. Esso, sino a che assuma soltanto contenuti finanziari e non territoriali, non potrebbe quindi rientrare nel novero degli atti individuati dall’art. 6, comma 2, lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006, non costituendo un atto di pianificazione del settore energetico suscettibile di riflessi ambientali. Solo in via eventuale l’APR assume contenuti territorialmente − e dunque ambientalmente – rilevanti, e in tali ipotesi, infatti, secondo la normativa regionale, non opera l’esclusione delle procedure di VAS.

2.2.– Con riferimento all’art. 12, comma 8, della legge regionale in esame, la Regione non contesta che dall’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2011 possano ricavarsi principi fondamentali della materia, ma sostiene che tra essi non potrebbe farsi rientrare la necessità dell’esistenza (intesa come completa realizzazione) dell’impianto ai fini del ricorso alla procedura semplificata per le modifiche non sostanziali.

2.3.– Relativamente all’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della legge regionale n. 19 del 2012, la Regione sostiene la inammissibilità e infondatezza del primo motivo di censura, legato alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

In primo luogo, viene rilevato che l’art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003, assunto a parametro interposto, di per sé disciplina la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica (comma 1), prevedendo, al comma 5, che «le Regioni disciplinano i procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche di competenza regionale in conformità ai principi e ai termini temporali di cui al presente articolo […]». Da ciò deriverebbe che, non potendo ricavarsi da tale norma principi fondamentali della materia per impianti e strutture diverse dalle reti elettriche, dovrebbe dichiararsi l’inammissibilità, per mancata indicazione del necessario parametro interposto, della questione riferita all’art. 13, commi 2 e 3, per la parte in cui essi riguardano impianti e strutture diverse dalle reti elettriche; comma 4 (che riguarda impianti di produzione di energia, e impianti di deposito e di stoccaggio di oli minerali); comma 5, per la parte in cui disciplina la autorizzazione unica per i gasdotti e per le reti di trasporto di fluidi termici.

La censura sarebbe comunque non fondata nel merito, sia nella parte in cui si riferisce alle reti elettriche, sia nella parte in cui essa si dovesse riferire ai rimanenti impianti e strutture considerati dagli artt. 12 e 13 della legge regionale. E ciò in quanto l’autorizzazione unica è rilasciata a seguito di una conferenza di servizi convocata al fine di giungere all’adozione di una decisione nel merito, che deve avere necessariamente ad oggetto un progetto definitivo.

2.3.1.– La Regione sostiene la inammissibilità e infondatezza anche del secondo motivo di censura avente ad oggetto sempre l’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della legge regionale in esame, legato alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

La Regione ritiene che la disposizione statale che sarebbe stata violata – l’art. 1-sexies, comma 3, del d.l. n. 239 del 2003, nella parte in cui stabilisce che il procedimento di autorizzazione unica può essere avviato sulla base di un progetto preliminare o analogo − si riferisce ad elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica, per i quali l’autorizzazione unica è rilasciata dal Ministero delle attività produttive di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e previa intesa con la regione o le regioni interessate. Le autorizzazioni uniche cui si riferisce l’impugnato art. 13 della legge regionale sono invece solo quelle di competenza regionale, provinciale e comunale. Ne deriverebbe che il comma 3 del citato art. 1-sexies non potrebbe essere qualificato come norma diretta a stabilire prestazioni essenziali, cui le regioni si debbano uniformare.

2.3.2.– Con riferimento, infine, al terzo motivo di censura del predetto art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, legato alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., a parere della Regione la questione sarebbe frutto di un errore di prospettiva e, conseguentemente, palesemente non fondata. Nella disposizione impugnata il riferimento a elaborati della progettazione definitiva delle opere pubbliche sarebbe solo un mero espediente redazionale per indicare in forma sintetica certi atti, mediante rinvio ad una altra fonte che già li descrive, non avendo, invero, nulla a che fare con l’applicazione della disciplina che regola i contratti pubblici. Del resto, la norma regionale non richiamerebbe tutti gli elaborati tecnici che devono accompagnare il progetto per la realizzazione di un’opera pubblica, limitandosi a quelli rilevanti, per il loro contenuto, ai fini del rilascio o del diniego della autorizzazione unica.

2.4.– Non fondata sarebbe, a parere della Regione, anche la questione avente ad oggetto l’art. 13, comma 6, della legge regionale n. 19 del 2012.

Per comprendere le ragioni della infondatezza, la Regione precisa, in via preliminare, che la necessità di «atti definitivi attestanti la titolarità delle aree», richiesta dalla norma, risulterebbe in realtà circoscritta e mitigata ad opera della stessa legge regionale. Da un lato, alla luce delle disposizioni del comma 6 e del comma 8 del medesimo art. 13, non è richiesta la titolarità delle aree per gli impianti idroelettrici, eolici, geotermici (per l’installazione dei quali è necessaria una concessione) e, più in generale, per tutti i casi in cui vi sia un atto amministrativo che individua uno specifico sito ai fini dello sfruttamento di una risorsa rinnovabile. Dall’altro, il comma 7 dello stesso art. 13, dispone che il procedimento autorizzativo possa essere avviato anche sulla base di dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà, che attestino la titolarità delle aree, ovvero sulla base di contratti preliminari regolarmente registrati, purché entro la data di adozione del provvedimento autorizzativo finale l’istanza sia integrata con gli atti definitivi redatti in forma di atti pubblici regolarmente registrati.

Tanto premesso sul quadro normativo nel quale si inserisce la norma impugnata, la Regione, in ordine alla presunta violazione dell’art. l, comma l, del d.lgs. n. 79 del 1999, sostiene che libertà delle attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica significa che suddette attività non sono soggette a contingentamenti o a concessioni, rimanendo, invece, del tutto impregiudicata la questione, affatto diversa, relativa alla disponibilità del bene che sia strumentalmente necessario allo svolgimento della attività stessa. In ogni caso la norma regionale impugnata non contrasterebbe affatto con il principio di libertà della attività produttiva, in quanto, in concreto, essa considera idoneo ogni soggetto o come imprenditore o come auto produttore (che sia tale sulla base delle definizioni statali).

Ad avviso della Regione non sarebbe neanche fondata la censura in ordine alla presunta violazione dell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale mostrerebbe che l’iniziativa produttiva può essere intrapresa anche da soggetti non in possesso di «atti definitivi attestanti la titolarità delle aree». Ed invero, anche alla luce della precisa − e ben ristretta − delimitazione del campo di applicazione della norma impugnata, come sopra esposta, la previsione della necessità del titolo di disponibilità rappresenterebbe un ragionevole bilanciamento tra l’interesse alla produzione di energia da fonti rinnovabili e l’interesse dei proprietari del fondo.

È sostenuta, altresì, l’inammissibilità o infondatezza delle censure relative agli artt. 3 e 41 Cost. In ordine alla prima censura, si profilerebbe una disparità costituzionalmente irrilevante, derivante dalla legittima esplicazione della potestà legislativa regionale. In ordine alla seconda censura, la norma sarebbe il frutto del ragionevole bilanciamento tra il diritto di iniziativa economica privata e il diritto proprietario del titolare del fondo su cui l’attività di produzione sarebbe destinata a svolgersi.

2.5.– In ordine all’art. 14 della legge regionale impugnata, la Regione, con riferimento alle misure di salvaguardia, ne valorizza l’elemento funzionale, concludendo che esse atterrebbero – secondo un giudizio di prevalenza − alla materia dell’urbanistica, di competenza primaria della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell’art. 4, numero 12, dello statuto, in quanto esse toccano in modo assolutamente rilevante e condizionante la programmazione dell’uso del territorio. Non sussisterebbe, quindi, alcuna violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Viene ritenuta non fondata anche la censura relativa all’art. 97 Cost., in quanto, da un lato, essa presuppone − ad avviso della Regione inesattamente − che sia sempre l’interesse alla realizzazione della rete a prevalere sull’interesse ad altre utilizzazioni del territorio. Dall’altro lato, l’autorizzazione unica comprende anche il permesso di costruire, in ordine al quale il Comune interessato deve esprimersi in conferenza di servizi, ermo restando che – una volta avviato l’iter per l’autorizzazione unica – l’ente locale, nelle proprie determinazioni in materia urbanistica, già in base ai principi generali dovrà comunque tenere conto dell’opera per la quale il proponente ha chiesto la autorizzazione.

Anche con riferimento alla mancata previsione che l’autorizzazione unica costituisca titolo sufficiente pure per realizzare ogni opera inserita nel progetto approvato che si renda necessaria per la risoluzione delle interferenze, la questione promossa non sarebbe fondata. E ciò in quanto una tale omissione non sussisterebbe e non sarebbe ravvisabile alcun contrasto con la disposizione statale assunta a parametro. La Regione giunge a tale conclusione sulla base di due norme della legge regionale censurata: l’art. 13, comma 2, il quale stabilisce, con norma generale, che l’istanza di autorizzazione unica «deve contenere l’elenco di tutte le interferenze», con i relativi progetti, e l’art. 12, comma 3, primo periodo, il quale prevede che «[l’]autorizzazione unica rilasciata a seguito di conferenza di servizi sostituisce autorizzazioni, concessioni, pareri, nulla osta e atti di assenso comunque denominati, contiene la dichiarazione di pubblica utilità nei casi previsti dalla legge e costituisce a tutti gli effetti titolo a costruire ed esercire gli impianti e le infrastrutture relative, in aderenza e in conformità al progetto tecnico approvato».

2.6.– Con riferimento alla questione avente ad oggetto l’art. 14, comma 2, della legge regionale impugnata, la Regione ne sostiene l’inammissibilità relativamente all’art. 97 Cost., in quanto priva di qualunque motivazione specifica, e l’infondatezza, relativamente agli altri parametri invocati. E ciò in quanto la norma regionale si limiterebbe a riprendere il contenuto delle linee guida, le quali, al punto 13.3., prevedono una comunicazione alle competenti soprintendenze nei medesimi termini della legge regionale.

2.7.– In ordine all’art. 14, comma 7, della legge regionale n. 19 del 2012, relativamente all’art. 117, terzo comma, Cost., la Regione segnala come il ricorrente parta dal presupposto errato che la disposizione regionale chieda l’acquisizione del parere di ARPA al di fuori della conferenza di servizi.

Quanto alla presunta violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera m), Cost., la Regione ritiene che le censure, prima che infondate (perché il contenuto della disposizione non è quello che vi legge il Governo), siano inammissibili per genericità e difetto di motivazione, limitandosi esse a sostenere che la (supposta) violazione dei principi fondamentali è anche violazione di queste due ultime disposizioni costituzionali.

2.8.– Passando alla trattazione degli artt. 14, comma 9, e 18, comma 2, della legge regionale in esame, la Regione ritiene opportuno rammentare come nel sistema regionale si preveda che, nel caso di mancata acquisizione del parere favorevole del consiglio comunale, l’organo esecutivo dell’ente titolare del procedimento autorizzativo (secondo il riparto di competenze tracciato dagli artt. 2 e 3 della medesima legge regionale n. 19 del 2012) abbia il potere di assumere la determinazione conclusiva in luogo della conferenza di servizi, eventualmente superando il dissenso urbanistico comunale qualora esso dovesse apparire ingiustificato.

Quanto alle più volte citate linee guida, la Regione sostiene trattarsi di un parametro del tutto inconferente, in quanto, analogamente al decreto legislativo che ne è alla base, esse riguardano solo gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, mentre le disposizioni regionali impugnate riguardano solo le infrastrutture energetiche lineari (elettrodotti e gasdotti, nei limiti sopra evidenziati).

Infine, si contesta la totale assenza di motivazione in ordine alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

2.9.– Con riferimento all’art. 16, comma 2, lettera a), della legge reg. n. 19 del 2012, la Regione sostiene che il quadro normativo regionale complessivo, caratterizzato da una valutazione più ampia degli effetti del regime di autorizzazione o comunicazione sulle destinazioni e sulle utilizzazioni del territorio, consentirebbe di ritenere che l’estensione della facoltà riconosciuta alle Regioni dall’art. 6, comma 11, del d.lgs. n. 28 del 2011 ad altre ipotesi, corrispondenti per ratio e per gli effetti perseguiti e prodotti, costituisca non una contraddizione del principio espresso dalla norma statale ma un suo sviluppo coerente.

La Regione puntualizza inoltre che la disposizione censurata interseca inestricabilmente la materia dell’urbanistica, di competenza primaria della Regione, non soggetta, come tale, al limite dei principi fondamentali della materia.

In ordine agli artt. 3 e 41 Cost., la Regione segnala come, più che per avanzare una censura autonoma, il richiamo a tali parametri costituzionali sembrerebbe valere come argomento per attribuire il carattere di principi fondamentali alla richiamata norma del d.lgs. n. 28 del 2011. Quanto alla asserita violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., si rileva che il ricorso non indicherebbe alcuna norma (diversa da quella del d.lgs. n. 28 del 2011) in qualche modo attinente all’ambiente e al paesaggio violata dalla disposizione regionale.

2.10.– Affrontando la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 17 della legge regionale impugnata, la Regione preliminarmente traccia il perimetro della norma, evidenziando che la stipula dell’accordo con il proponente è configurata dalla legge regionale come una delle opzioni a disposizione della Regione nel momento in cui si appresta a prendere le proprie decisioni in materia. Sarebbe, poi, ben possibile − fisiologico, anzi − che l’accordo si raggiunga. Né potrebbe costituire una ragione di incostituzionalità della legge la circostanza che in certe ipotesi la Regione non ritenga di addivenire all’intesa.

In ordine al lamentato appesantimento e aggravamento del procedimento, con la conseguente violazione dell’art. 97 Cost., la Regione rileva che la posizione di siffatte regole procedurali circa il modo in cui si forma la volontà della Giunta regionale su questioni rilevanti come quelle per le quali occorre l’intesa, piuttosto che contrastare con l’invocato parametro costituzionale, lo attuano sotto il profilo della controllabilità dell’azione amministrativa, anche di governo, e comunque ricadono nella potestà di autorganizzazione dell’esecutivo regionale, riconosciuta dallo statuto speciale (art. 12, comma 2, e art. 4, numero l).

Relativamente alla censura legata al contrasto con l’art. 34, comma 16, del d.l. n. 179 del 2012, la Regione ne sostiene la palese inammissibilità, in quanto la disposizione statale invocata è successiva alla legge regionale impugnata, e, comunque, la assoluta infondatezza.

Con riferimento alla censura relativa al presunto contrasto con il principio fondamentale in materia di «produzione, distribuzione e trasporto di energia» dettato dal legislatore statale all’art. l, comma 5, della legge n. 239 del 2004, la Regione segnala che, diversamente da quanto sostenuto nella prospettazione del ricorrente, la disposizione statale non escluderebbe affatto che le misure − in particolare quelle di compensazione − possano riferirsi ad altri ambiti, ove non espressamente vietati ed ove ragionevolmente correlati all’opera da realizzare.

2.11.− La Regione sostiene l’infondatezza della questione avente ad oggetto l’art. 18, comma 4, della legge reg. n. 19 del 2012, in quanto la legislazione statale, nel definire gli obiettivi generali di politica energetica del Paese, consentirebbe a tutte le istituzioni di esercitare i propri poteri al fine, tra l’altro, di «salvaguardare le attività produttive con caratteristiche di prelievo costanti e alto fattore di utilizzazione dell’energia elettrica, sensibili al costo dell’energia» (art. 1, comma 3, lettera m, della legge n. 239 del 2004). A tale obiettivo si ispirerebbe la norma impugnata, la quale stabilirebbe una modesta correlazione tra il sacrificio subito dalla comunità regionale e la partecipazione ai vantaggi che l’impianto di reti elettriche transfrontaliere produce.

2.12.− Con riferimento agli artt. 35, comma 7, e 34, comma l, lettere f) ed h), della legge regionale impugnata, la Regione rileva l’infondatezza della questione promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri. Viene innanzitutto evidenziato che le caratteristiche delle «stazioni di servizio» stabilite dalla legge regionale risponderebbero tutte ad esigenze di pubblica utilità prese in considerazione dalla normativa statale. Così, l’obbligo di installare apparecchiature di tipo self-service prepagamento funzionanti autonomamente 24 ore su 24 risponderebbe all’esigenza di garantire la continuità nell’accesso al bene carburante, strumentale alla libertà di circolazione e di impresa; l’installazione di pannelli fotovoltaici sulle coperture risponderebbe al principio di massima diffusione delle energie rinnovabili sulle nuove costruzioni; l’obbligo di servizi igienici e di parcheggi per gli utenti risponderebbe alle esigenze delle persone e dei consumatori e alle esigenze di accessibilità per soggetti diversamente abili; la presenza di apparecchiature di ricarica per auto elettriche sarebbe funzionale alla incentivazione della diffusione di questo mezzo di trasporto non inquinante; la previsione di accessi per i veicoli separati e distinti per entrata e uscita risponderebbe a esigenze di sicurezza della circolazione stradale.

Quanto alla asserita discriminazione in danno dei nuovi operatori entranti, essa non sussisterebbe affatto, stante la previsione regionale, a carico degli impianti esistenti, dell’obbligo di adeguamento − entro termini prestabiliti e con la sola eccezione per l’obbligo dell’installazione dei pannelli fotovoltaici sulle coperture − ai nuovi requisiti (art. 37, comma 6; art. 41, comma 2, lettera a), alla cui mancata ottemperanza possono seguire persino la chiusura e la rimozione dell’impianto (art. 42, comma 6).

Con specifico riferimento alla norma relativa ai nuovi impianti del tipo «stazione di rifornimento elettrico», viene segnalato che essa è stata abrogata dall’art. 191 della legge regionale 21 dicembre 2012, n. 26 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012), cosicché oggi alla definizione di «stazione di rifornimento elettrico» non si collega alcuna conseguenza normativa. La Regione attesta che, nel breve lasso di tempo nel quale la norma è stata in vigore, essa non ha avuto applicazione, in quanto la limitazione alla realizzazione non era assistita da alcuna sanzione, né la installazione e l’esercizio dell’impianto erano soggetti ad alcuna autorizzazione. Ne conseguirebbe, pertanto, la cessazione della materia del contendere.

3.– All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita della legittimità costituzionale di numerose disposizioni della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia di energia e distribuzione dei carburanti), ed in particolare degli artt. 5, comma 9; 12, comma 8; 13, commi 2, 3, 4, 5 e 6; 14 per intero e, in subordine, commi 2, 7 e 9; 16, comma 2, lettera a); 17; 18, commi 2 e 4; 34, comma 1, lettere f) ed h), e 35, comma 7, in riferimento agli artt. 3, 41, 97, 117, secondo comma, lettere e), l), m) ed s), e terzo comma, della Costituzione, e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

2.– Preliminarmente va evidenziato che il richiamo da parte del Presidente del Consiglio dei ministri agli artt. 4 e 5 dello statuto va letto come esposizione delle ragioni per le quali non trovano applicazione le norme speciali statutarie, bensì quelle del Titolo V della Costituzione (sentenze n. 165 del 2009 e n. 286 del 2007), e non come parametro invocato a supporto di specifici motivi di censura.

In effetti, lo statuto regionale non contempla una competenza in materia di ambiente (cui va ricondotta la disposizione oggetto della prima questione) né in materia di concorrenza (cui va ricondotta la disposizione oggetto dell’ultima questione) né in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia (cui vanno ricondotte le disposizioni oggetto delle restanti questioni); pertanto, secondo la clausola di equiparazione di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) si applica il nuovo Titolo V per le parti in cui prevede «forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite».

3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 5, comma 9, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 42 (recte: 19) del 2012, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

La disposizione stabilisce che l’atto di programmazione regionale (d’ora in avanti APR) predisposto, nelle more dell’approvazione del piano energetico regionale (d’ora in avanti PER), in attuazione del provvedimento ministeriale previsto dall’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale o pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2008), è sottoposto alle procedure relative alla valutazione ambientale strategica (VAS) «nel caso in cui contenga l’individuazione delle aree e dei siti non idonei» (implicitamente escludendola negli altri casi).

Il ricorrente evidenzia che l’APR rientra, per le sue caratteristiche, nella definizione di cui all’art. 5, comma 1, lettera e), numero 1), del decreto legislativo 30 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) quale «atto» di «programmazione» elaborato da «un’autorità a livello regionale» per «essere approvato […] mediante una procedura legislativa». Pertanto, trattandosi di «piano» concernente il «settore energetico», ai sensi dell’art. 6, comma 2, lettera a), del predetto d.lgs. n. 152 del 2006, rientrerebbe nel novero dei piani assoggettati sempre − ad eccezione dei limitati casi previsti dal comma 3 dello stesso art. 6 (in questa sede non rilevanti) − alla VAS prevista da tale fonte statale.

3.1.– La Regione eccepisce l’inammissibilità della questione, in quanto l’esclusione delle procedure di VAS sarebbe disposta dal comma 8, e non dal comma 9, oggetto di impugnazione.

L’eccezione non è fondata in quanto la disposizione impugnata (il comma 9, appunto) individua le ipotesi in cui il piano è sottoposto alla VAS e, comunque, dal contesto complessivo del ricorso è chiaro che la disposizione censurata è quella che esclude le procedure relative alla VAS se non nelle ipotesi in cui contenga l’individuazione delle aree e dei siti non idonei.

3.2.– Nel merito, la questione è fondata.

3.3.– L’art. 5 del citato d.lgs. n. 152 del 2006, al comma 1, lettera e), numero 1), fornisce una precisa definizione di piano energetico: «ai fini del presente decreto si intende per: […] e) piani e programmi: gli atti e provvedimenti di pianificazione e di programmazione comunque denominati, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche: 1) che sono elaborati e/o adottati da un’autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un’autorità per essere approvati, mediante una procedura legislativa, amministrativa o negoziale e 2) che sono previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative».

Ebbene, l’APR, sia per l’oggetto che per le modalità di adozione, è atto avente natura di piano energetico.

È da escludere, in particolare, che l’APR possa essere considerato atto di mera programmazione finanziaria delle risorse da destinare al settore, come sostiene la Regione sulla base della circostanza che esso è emanato, nelle more dell’approvazione del PER, «in attuazione del provvedimento ministeriale previsto dall’art. 2, comma 167, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria 2008), (burden sharing)», il quale ha il compito di «definire la ripartizione fra regioni e province autonome di Trento e di Bolzano della quota minima di incremento dell’energia prodotta con fonti rinnovabili necessaria per raggiungere l’obiettivo del 17 per cento del consumo interno lordo entro il 2020».

Difatti, la norma regionale, nel perimetrare contenuto e finalità dell’APR, smentisce tale lettura limitativa, in quanto dispone che esso «assicura uno sviluppo equilibrato delle diverse fonti, definisce le misure e gli interventi necessari al raggiungimento degli obiettivi fissati dal provvedimento ministeriale, può individuare le aree e i siti del territorio non idonei all’installazione di impianti a fonti rinnovabili», con evidente incidenza sulla programmazione energetica. 

Del resto, lo stesso carattere transitorio dell’APR, destinato ad una fisiologica fine al momento della adozione del PER, conferma l’identità di natura dei due atti.

L’atto di programmazione in questione, pertanto, rientrando nell’ambito applicativo della norma interposta, è affetto dal vizio di costituzionalità dedotto dal ricorrente.

3.4.– Va, dunque, dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 9 dell’art. 5 della legge regionale impugnata, e «in via consequenziale», ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve essere dichiarato incostituzionale il comma 8 del medesimo articolo, limitatamente alle parole «escluse le procedure relative alla VAS», trattandosi di disposizione la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata.

4.– Il ricorrente impugna, poi, l’art. 12, comma 8, della citata legge regionale per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello Statuto speciale.

La disposizione censurata, nella parte in cui assoggetta alla procedura abilitativa semplificata, di cui all’art. 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), gli interventi per modifiche non sostanziali da realizzarsi «anche in corso d’opera» su impianti e infrastrutture che hanno ottenuto l’autorizzazione unica, contrasterebbe con l’art. 5, comma 3, dello stesso decreto legislativo.

Quest’ultimo articolo, infatti, nell’attribuire ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico (adottato di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Conferenza unificata) l’individuazione degli interventi di modifica «sostanziale» degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica, prevede che, nelle more dell’approvazione di tale decreto, «non sono considerati sostanziali e sono sottoposti alla disciplina di cui all’art. 6 [cioè alla procedura abilitativa semplificata] gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici, idroelettrici ed eolici esistenti».

4.1.− La questione è fondata.

4.2.− La norma regionale, estendendo l’autorizzazione semplificata anche agli interventi relativi ad impianti non necessariamente esistenti, si pone in contrasto con la normativa statale di principio fissata dal d.lgs. n. 28 del 2011 nella materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», cui va ricondotta la disposizione censurata.

4.3.– La norma statale, infatti, ha natura di principio fondamentale della materia, secondo quanto già riconosciuto da questa Corte (vedi sentenze n. 275 e n. 99 del 2012), in particolare quanto alla necessità dell’esistenza (intesa come completa realizzazione) dell’impianto ai fini del ricorso alla procedura semplificata per le modifiche «non sostanziali». La giustificazione di tale disciplina è evidentemente legata al suo carattere transitorio e alla preoccupazione che la suddetta fase possa incidere negativamente sull’efficienza degli impianti esistenti: questa giustificazione non può essere estesa al caso in questione.

5.– L’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della legge regionale in esame è impugnato per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Le disposizioni censurate – che disciplinano i contenuti dell’istanza di autorizzazione unica − eccederebbero l’ambito della potestà legislativa concorrente riservata alla Regione in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, introducendo oneri amministrativi – «a pena di improcedibilità» – superflui e comunque non previsti dalla normativa statale di riferimento: l’art. 1-sexies del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito, con modificazioni, dall’art. della legge 27 ottobre 2003, n. 290.

In particolare, il ricorrente censura le disposizioni regionali nella parte in cui prevedono «che il progetto da allegare all’istanza di autorizzazione unica, nonché il progetto relativo a tutte le interferenze, siano corredati da elaborati tecnici con grado di approfondimento analogo a quello richiesto per il progetto definitivo dei lavori pubblici e che "a pena di improcedibilità” l’istanza sia corredata da un progetto con contenuti assimilabili al progetto definitivo dell’opera pubblica, comprensivo di: 1) opere per la connessione alla rete; 2) altre infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio dell’impianto; 3) elaborati grafici e normativi di variante al PRGC, qualora necessaria».

5.1.– Va dichiarata la non fondatezza, per inconferenza del parametro interposto (sentenza n. 255 del 2013 e n. 263 del 2012; ordinanze n. 31 del 2013, n. 84 del 2011, n. 286 e n. 77 del 2010), della questione relativa all’art. 13, commi 2 e 3, per la parte in cui riguardano impianti e strutture diverse dalle reti elettriche; comma 4 (che riguarda impianti di produzione di energia elettrica, impianti e depositi di stoccaggio di oli minerali); comma 5, per la parte in cui disciplina la autorizzazione unica per i gasdotti e per le reti di trasporto di fluidi termici.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le disposizioni regionali contrasterebbero con il citato art. 1-sexies, assunto a parametro interposto. Senonché tale norma disciplina la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica (comma 1) e, al comma 5, precisa che «Le regioni disciplinano i procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche di competenza regionale in conformità ai principi e ai termini temporali di cui al presente articolo». Essa è, quindi, inconferente rispetto alle questioni relative ai commi sopra indicati, aventi diverso oggetto.

5.2.– Anche per la parte rimanente della disposizione, la questione non è fondata.

5.3.– Per valutare la correttezza o meno della necessaria allegazione del progetto definitivo – e non di quello preliminare, come, in sostanza, preteso dal ricorrente – vanno tenute presenti la natura e la portata della relativa istanza. Questa è, nella specie, finalizzata alla convocazione di una conferenza di servizi nell’ambito della quale devono essere valutati in modo definitivo tutti gli interessi pubblici coinvolti: essa, infatti, si conclude con il rilascio dell’autorizzazione unica che «sostituisce autorizzazioni, concessioni, pareri, nulla osta e atti di assenso comunque denominati, contiene la dichiarazione di pubblica utilità nei casi previsti dalla legge e costituisce a tutti gli effetti titolo a costruire ed esercire gli impianti e le infrastrutture relative, in aderenza e in conformità al progetto tecnico approvato» (art. 12, comma 3, della legge reg. n. 19 del 2012).

Ebbene, ciò richiede necessariamente che sia presentato un progetto definitivo, quale indispensabile supporto delle valutazioni da effettuare.

Né dalla disciplina statale si desume un principio diverso, in quanto la previsione che per l’avvio della conferenza di servizi sia sufficiente un progetto preliminare o analogo va letta in aderenza alla legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Quest’ultima perimetra, in via generale, la possibilità che la conferenza di servizi sia convocata sulla base di un progetto preliminare, disciplinando, all’art. 14-bis, la «conferenza di servizi preliminare». La norma regionale, al contrario, si riferisce, come si è visto, all’apertura della conferenza di servizi decisoria e dunque non contraddice la richiesta di un progetto definitivo.

In tal senso, del resto, è la disciplina introdotta dal legislatore statale con le linee guida adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili). Tali linee guida, al punto 13.1., dispongono che «[l’]istanza per il rilascio dell’autorizzazione unica [...] è corredata da: a) progetto definitivo dell’iniziativa […]». Esse, anche se riguardano solo gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili – disciplinati dall’impugnato comma 4 dell’art. 13, in ordine al quale (per quanto sopra scritto) la questione è manifestamente infondata per inconferenza del parametro –, rappresentano un’ulteriore dimostrazione della correttezza della norma regionale.

Resta peraltro ferma la possibilità, prevista dal comma 3 dell’impugnato art. 13, per le ipotesi in cui l’intervento debba essere sottoposto a VIA, che si apra una prima fase sulla base di progetto composto da «elaborati tecnici con grado di approfondimento analogo a quello richiesto per il progetto preliminare dei lavori pubblici», finalizzata all’emissione del provvedimento di VIA, successivamente alla quale si richiede l’integrazione con progetto di natura definitiva.

6.– Lo stesso art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, è impugnato anche per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Le disposizioni, prevedendo «a pena di improcedibilità» oneri amministrativi documentali superflui e comunque non previsti dalla normativa statale di riferimento, contrasterebbero con i principi fondamentali dettati con legge statale in materia di procedimento amministrativo e, in particolare, con il principio di semplificazione dell’attività amministrativa, in violazione della competenza legislativa statale in materia di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», nel cui novero andrebbero sussunte anche le norme che attuano il principio di semplificazione amministrativa.

6.1.– Analogamente a quanto argomentato sulla questione precedente, va, innanzitutto, dichiarata la non fondatezza per inconferenza del parametro interposto della questione relativa all’art. 13, commi 2 e 3, per la sola parte in cui essi riguardano impianti e strutture diverse dalle reti elettriche; comma 4 (che riguarda impianti di produzione di energia elettrica, impianti ed depositi di stoccaggio di oli minerali); comma 5, per la parte in cui disciplina la autorizzazione unica per i gasdotti e per le reti di trasporto di fluidi termici.

6.2.– Per la parte rimanente della disposizione, la questione non è fondata.

6.3.– È corretto invocare l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. posto che «le norme di semplificazione amministrativa sono state ricondotte da questa Corte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in quanto "anche l’attività amministrativa, […] può assurgere alla qualifica di "prestazione” (quindi, anche i procedimenti amministrativi in genere), della quale lo Stato è competente a fissare un "livello essenziale” a fronte di una specifica pretesa di individui, imprese, operatori economici ed, in generale, di soggetti privati” (sentenze n. 207 e n. 203 del 2012)» (sentenza n. 62 del 2013).

Tuttavia non può ritenersi, per quanto già argomentato in riferimento alla questione precedentemente trattata, che rientri nel concetto di semplificazione amministrativa la previsione dell’avvio della conferenza di servizi in assenza di un progetto definitivo.

7.– L’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, viene, infine, impugnato per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Le disposizioni censurate sarebbero contrastanti con quanto previsto dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), che, all’art. 206, nell’individuare le norme applicabili ai settori speciali (gas, energia termica ed elettricità), non richiama le disposizioni sui livelli di progettazione di cui agli artt. 93 e 94, ai quali, invece, si ispirerebbe la disciplina regionale nell’individuare i requisiti e i contenuti della progettazione.

7.1.– La questione non è fondata.

7.2.– Nella disposizione impugnata il riferimento a elaborati della progettazione definitiva delle opere pubbliche non concreta un’applicazione della disciplina di cui ai richiamati artt. 93 e 94 del citato decreto legislativo, ma solo un espediente di tecnica redazionale per indicare in forma sintetica una serie di documenti, rimandando ad un’altra fonte normativa che già li descrive analiticamente. La norma regionale, del resto, non richiama tutti gli elaborati tecnici che devono accompagnare il progetto per la realizzazione di un’opera pubblica indicati nei predetti articoli.

8.− Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, poi, l’art. 13, comma 6, della citata legge regionale n. 19 del 2012 per violazione degli artt. 3, 41 e 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Tale disposizione, nel prevedere che l’autorizzazione per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili sia rilasciata esclusivamente al richiedente che dimostri di essere in possesso di idonei requisiti soggettivi, nonché di atti definitivi attestanti la titolarità delle aree, contrasterebbe con la normativa statale di principio di cui al d.lgs. n. 28 del 2011; al decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica) e al decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).

In particolare, la previsione della dimostrazione del possesso degli idonei requisiti soggettivi contrasterebbe con l’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 1999, il quale sancirebbe la natura libera dell’attività in esame; mentre quella avente ad oggetto il possesso di atti attestanti la titolarità delle aree contrasterebbe con il d.lgs. n. 387 del 2003, dalla cui disciplina, ed in particolare dall’art. 12, potrebbe desumersi che l’iniziativa può essere intrapresa anche da soggetti non in possesso di «atti definitivi attestanti la titolarità delle aree».

Il ricorrente censura la norma anche in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., in quanto inciderebbe sul diritto costituzionale di iniziativa economica e creerebbe ingiustificata disparità di trattamento tra operatori del settore.

8.1.– Va premesso che, da quanto esposto nel ricorso e dai parametri invocati, la questione deve intendersi limitata alla parte in cui la disposizione impugnata riguarda gli impianti alimentati da fonte rinnovabile (art. 12, comma 1, lettera a, della legge regionale n. 19 del 2012) e non anche, quindi, gli elettrodotti (art. 12, comma 1, lettera b), gli impianti di produzione di energia elettrica che utilizzano fonti tradizionali (art. 12, comma 1, lettera e), gli impianti e i depositi di stoccaggio di oli minerali (art. 12, comma 1, lettera f).

8.2.– La questione, così delimitata, è fondata con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

8.3.– Relativamente al profilo della libertà dell’attività, la disposizione regionale individua i «soggetti dotati di idonei requisiti», disegnando una precisa, per quanto ampia, perimetrazione degli stessi e, pertanto, limitando il novero di coloro che possono produrre energia rinnovabile; essa si pone così in contrasto con la norma interposta che prevede che l’attività di produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita di energia elettrica sia «libera».

8.4.– Quanto alla dimostrazione del possesso di atti definitivi attestanti la titolarità delle aree come presupposto per il rilascio dell’autorizzazione, emerge un chiaro contrasto con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003.

La norma interposta, al comma 1, dispone che «[l]e opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili [...] sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti», e, al comma 3, che «l’autorizzazione unica […] costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico». Da ciò si evince che l’iniziativa produttiva può essere intrapresa anche da soggetti che acquisiscano la «titolarità» delle aree a seguito della successiva espropriazione per pubblica utilità. Si aggiunga che la disposizione statale – al comma 4-bis, limitatamente agli impianti alimentati a biomassa e agli impianti fotovoltaici – richiede la (mera) disponibilità e mai la «titolarità delle aree».

8.5.– Restano assorbiti i motivi di censura formulati in riferimento agli ulteriori parametri.

9.– Viene impugnato, per violazione degli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, l’art. 14 della legge regionale in esame, il quale disciplina il procedimento per il rilascio dell’autorizzazione.

La norma regionale eccederebbe la competenza legislativa regionale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», in quanto contrasterebbe con la normativa statale di principio di cui al d.l. n. 239 del 2003, sotto due distinti profili.

Si deduce, innanzitutto, che essa non prevede l’apposizione di «misure di salvaguardia» volte ad impedire che, nelle more dell’autorizzazione della nuova infrastruttura, vengano rilasciati permessi di costruire sui terreni potenzialmente impegnati dal progetto, mentre l’art. 1-sexies del citato decreto-legge, al comma 3, disporrebbe la sospensione, dalla data di comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento ai comuni interessati, di ogni determinazione comunale in ordine alle domande di permesso di costruire nelle aree potenzialmente impegnate, fino alla conclusione del procedimento autorizzativo.

La norma, inoltre, non prevede che l’autorizzazione unica sia titolo sufficiente a realizzare ogni opera si renda necessaria, in conformità al progetto approvato ed alle prescrizioni eventualmente contenute nel decreto autorizzatorio, mentre il predetto articolo 1-sexies, al comma 1, sancirebbe il principio contrario.

A parere del ricorrente la norma censurata violerebbe anche il principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., incidendo negativamente sulla economicità ed efficacia dell’azione amministrativa.

9.1.– Va premesso che dal complessivo tenore del ricorso, oltre che dai parametri invocati, risulta che la questione è limitata alla parte in cui la disposizione impugnata riguarda gli elettrodotti (art. 12, comma 1, lettera b, della legge regionale).

Diversamente opinando, le questioni riferite alle autorizzazioni uniche di impianti o strutture diverse dagli elettrodotti sarebbero comunque manifestamente infondate per totale inconferenza del parametro. L’art. 14, infatti, disciplina il procedimento relativamente a tutte le autorizzazioni uniche, per ogni tipologia di impianto od opera, mentre la disposizione invocata come principio fondamentale della materia – come si è già osservato – concerne unicamente le reti elettriche (i commi l e 3 dell’art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003 riguardano gli elettrodotti facenti parte della rete di trasporto nazionale dell’energia elettrica, e il comma 5 vincola la Regione espressamente per la disciplina dei «procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche»).

Le questioni, sotto tale profilo, devono, quindi, intendersi limitate alla sola autorizzazione di cui all’art. 12, comma l, lettera b), della legge regionale n. 19 del 2012.

9.2.– Con riferimento alla lamentata violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la questione promossa in ordine alla mancata previsione delle misure di salvaguardia è fondata.

9.3.– Va disattesa, infatti, la tesi della Regione, secondo cui le norme in esame andrebbero ricondotte alla materia urbanistica, e ciò in considerazione di un presunto elemento funzionale. Infatti, proprio in riferimento a tale elemento, esse vanno ascritte alla materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», attesa la natura degli interessi pubblici sottesi allo svolgimento delle attività (sentenza n. 383 del 2005).

In questa prospettiva, la norma statale interposta (art. 1-sexies, comma 3, del d.l. n. 239 del 2003) costituisce un principio fondamentale della legislazione statale, come dispone il comma 5 dello stesso articolo, secondo cui «Le regioni disciplinano i procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche di competenza regionale in conformità ai principi e ai termini temporali di cui al presente articolo». Esso è infatti espressione della volontà di incentivazione della produzione e distribuzione di energia elettrica e, pertanto, la mancata previsione delle misure di salvaguardia si pone in contrasto con un principio fondamentale fissato dal legislatore statale.

9.4.– Anche la questione relativa alla portata dell’autorizzazione unica è fondata relativamente alla denunciata lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

9.5.– Il più volte citato art. 1-sexies, al comma 1, sancisce che l’autorizzazione unica «sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre infrastrutture esistenti, costituendo titolo a costruire ed esercitare tali infrastrutture, opere o interventi, in conformità al progetto approvato» e, anche tale disposizione, va considerata, ai sensi del comma 5 del medesimo articolo, quale principio fondamentale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione di energia» per le considerazioni prima svolte.

La norma regionale, non specificando con chiarezza tale portata, deve ritenersi contrastante con il principio in questione.

9.6.– Restano assorbite le altre censure di legittimità costituzionale prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

10.– Oggetto di impugnazione è anche l’art. 14, comma 2, della legge regionale in esame.

La disposizione, oltre a porsi in contrasto con gli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, eccederebbe la competenza legislativa regionale in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbe con la normativa statale di principio di cui all’art. 12, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 387 del 2003, oltre che con le linee guida. L’art. 12 da ultimo citato, in particolare, al comma 4, prevede che l’autorizzazione unica sia «rilasciata a seguito di un procedimento unico, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, svolto nel rispetto dei principi di semplificazione e con le modalità stabilite dalla legge 7 agosto 1990, n. 241».

La disciplina regionale, secondo il ricorrente, aggraverebbe e irrigidirebbe il procedimento, imponendo al proponente, qualora l’impianto non ricada in zona sottoposta a tutela, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), di effettuare, contestualmente all’istanza per il rilascio dell’autorizzazione unica, una comunicazione alle competenti soprintendenze.

Sussisterebbe, anche, la violazione della competenza legislativa statale ex art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. («determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»), sotto il profilo del contrasto con il principio di semplificazione amministrativa nonché con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

10.1.– Va dichiarata l’inammissibilità della questione relativa al parametro da ultimo citato.

Si deve ribadire la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la questione di legittimità costituzionale è inammissibile allorché sia omesso qualsiasi accenno alla stessa nella delibera di impugnazione dell’organo politico, dovendo, in questo caso, «escludersi la volontà del ricorrente di promuoverla» (ex pluribus: sentenze n. 20 del 2013; n. 227 del 2011, n. 365 e n. 275 del 2007).

Nel caso di specie, l’esame della delibera governativa di impugnazione dell’11 dicembre 2012 consente di rilevare che la stessa non contiene alcun riferimento al parametro costituzionale dettato dall’art. 97 Cost., sul quale peraltro, nel ricorso, manca qualsivoglia sviluppo motivazionale, come rilevato dalla Regione.

10.2.– Con riferimento ai restanti parametri, la questione non è fondata.

10.3.– La norma regionale, infatti, si limita a riprendere il contenuto delle linee guida, le quali, al punto 13.3., dispongono l’obbligo di comunicazione alle soprintendenze, disciplinandolo in maniera sostanzialmente sovrapponibile alla norma in esame.

11.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 14, comma 7, della legge reg. n. 19 del 2012, per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, nella parte in cui prevede che le autorizzazioni per la realizzazione degli elettrodotti, sia di quelli ricompresi nella rete di trasmissione nazionale, sia di quelli che rientrano nella spettanza della Regione, siano rilasciate «[...] previa espressione del parere favorevole di ARPA» quanto alle emissioni elettromagnetiche.

La disciplina regionale contrasterebbe con la normativa statale di principio dettata in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» di cui all’art. 1-sexies, comma 5, del d.lgs. n. 329 del 2003 (recte: d.l. 29 agosto 2003, n. 239), e con il principio di semplificazione in esso contenuto, violando, in tal modo, anche la competenza legislativa statale ex art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.

11.1.– Va premesso che anche la censura in esame è limitata, secondo quanto esposto dallo stesso ricorrente, agli elettrodotti, cui si riferisce la norma interposta, secondo quanto già argomentato supra.

11.2.– Relativamente alla denunciata violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la questione è fondata.

11.3.– La materia cui è ascrivibile la norma in esame è la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia elettrica», nel cui ambito il già citato comma 5 dell’art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003 dispone che le Regioni disciplinino i relativi procedimenti di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reti elettriche in conformità ai termini e ai principi da esso enunciati, in particolare a quello della unicità del procedimento. In contrasto con esso la norma impugnata prevede che sia acquisito il parere di ARPA al di fuori della conferenza di servizi.

Al contrario di quanto sostenuto dalla Regione, infatti, dal complesso della normativa regionale non può desumersi che il parere sia acquisito nell’ambito della conferenza di servizi. Ciò si evince dalla disposizione censurata, la quale prevede che le autorizzazioni siano rilasciate «previa» espressione del parere di ARPA, e si desume anche dalla mancata previsione di tale parere nell’Allegato A, cui rinvia l’art. 13, comma 1, della legge reg. n. 19 del 2012, richiamato dall’art. 14, comma 1, della stessa legge regionale per individuare quali siano le amministrazioni che partecipano alla conferenza di servizi.

11.4.– Restano assorbiti i motivi di censura formulati in riferimento agli ulteriori parametri.

12.– Gli artt. 14, comma 9, e 18, comma 2, della legge regionale in esame vengono impugnati, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

Il ricorrente rileva che le disposizioni censurate prevedono che l’autorizzazione unica rilasciata dalla Regione per infrastrutture energetiche lineari non abbia di per sé effetto di variante urbanistica, essendo necessario a tal fine anche l’assenso del Comune, espresso in sede di conferenza di servizi sulla base del previo parere favorevole del Consiglio comunale. Tale disciplina si porrebbe in contrasto con l’art. 1-sexies, comma 2, lettera b), del d.l. n. 239 del 2003, secondo cui «[…] [q]ualora le opere di cui al comma 1, comportino variazione degli strumenti urbanistici, il rilascio dell’autorizzazione ha effetto di variante urbanistica», e con le linee guida, le quali, al punto 13.4., con riferimento agli impianti alimentati da fonti rinnovabili, prevedono, che «Le Regioni o le Province delegate non possono subordinare la ricevibilità, la procedibilità dell’istanza o la conclusione del procedimento alla presentazione di previe convenzioni ovvero atti di assenso o gradimento, da parte dei comuni il cui territorio è interessato dal progetto».

12.1.– Va premesso, anche in ordine alla censura in esame, che essa deve essere limitata, secondo quanto esposto dallo stesso ricorrente, alle infrastrutture energetiche lineari, cui, ad ogni buon conto, si riferisce la norma interposta (art. 1-sexies del d.l. n. 239 del 2003), secondo quanto già argomentato supra.

12.2.– Relativamente alla lamentata lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la questione è fondata.

12.3.– È evidente, infatti, la difformità di tale disciplina rispetto a quella statale (art. 1-sexies, comma 2, lettera b, del d.l. n. 239 del 2003, invocato dal ricorrente quale parametro interposto), poiché essa introduce un passaggio ulteriore e superfluo nell’iter procedimentale dell’autorizzazione.

Né rileva, come invece pretende la Regione, la previsione di un meccanismo normativo per superare l’eventuale dissenso del Consiglio comunale, ricostruito sulla base dell’art. 12, comma 2, della legge regionale in esame. Ciò infatti non elide l’aggravio del procedimento prodotto dalle disposizioni censurate, consistente nella necessaria acquisizione dell’assenso del Comune.

12.4.− Restano assorbiti i restanti profili di illegittimità costituzionale dedotti da parte ricorrente.

13.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna l’art. 16, comma 2, lettera a), della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, per violazione degli artt. 3, 41 e 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

La disposizione assoggetta al regime della comunicazione di inizio lavori l’installazione degli impianti di produzione di energia elettrica o termica da fonti rinnovabili su edifici o aree di pertinenza degli stessi.

Secondo il ricorrente tale disciplina contrasterebbe con la normativa statale di principio di cui al d.lgs. n. 387 del 2003 e al d.lgs. n. 28 del 2011. In particolare, l’art. 6, comma 11, del decreto legislativo da ultimo citato rimette alle linee guida la determinazione degli interventi da assoggettare a comunicazione, precisando che «[l]e Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione [...] ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche». La disposizione regionale, quindi, estenderebbe il predetto regime abilitativo oltre i limiti fissati dal legislatore statale: il limite di potenza («non superiore a 50 kW») per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili e la limitazione legata alla ubicazione («sugli edifici») per gli impianti solari fotovoltaici.

Il ricorrente lamenta altresì la violazione degli artt. 3 e 41 Cost., in considerazione della ingiustificata discriminazione tra le iniziative economiche nelle diverse regioni, e dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto «la disciplina statale inerente il regime abilitativo garantisce la sussistenza di un equilibrio tra la competenza esclusiva statale in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia».

13.1.– In ordine alla denunciata violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la questione è fondata.

13.2.– Al di là delle argomentazioni difensive in ordine alla ratio della normativa, resta indiscusso (e la stessa Regione, significativamente, non lo contesta, limitandosi a motivarlo) il contrasto con la normativa statale, più volte qualificata di principio, dettata in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia».

La disposizione regionale censurata, infatti, estende lo speciale regime abilitativo oltre i limiti fissati dalla legge statale in ordine all’ubicazione e alla potenza degli impianti.

13.3.− Restano assorbite le altre censure di legittimità costituzionale prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri.

14.− Il ricorrente impugna l’art. 17 della legge regionale in esame per violazione degli artt. 97 e 117, terzo comma, Cost., e degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

La norma dispone che l’Assessore regionale competente in materia di energia possa proporre alla Giunta regionale l’approvazione di uno schema di accordo con i proponenti volto ad attribuire vantaggi economici o occupazionali per il territorio regionale, misure compensative ovvero opere di razionalizzazione di linee elettriche esistenti. In tal caso l’espressione dell’intesa tra Stato e Regione nell’ambito delle funzioni riservate allo Stato ed esercitate, appunto, d’intesa con la Regione ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 23 aprile 2002, n. 110 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia concernenti il trasferimento di funzioni in materia di energia, miniere, risorse geotermiche e incentivi alle imprese) è subordinata alla stipula dell’accordo.

La disposizione è censurata, con riferimento al parametro dettato dall’art. 117, terzo comma, Cost. sotto diversi aspetti: a) la previsione che la stipula dell’accordo condizioni l’espressione dell’intesa di cui all’art. 11 della legge regionale impugnata; b) l’ampiezza di contenuto degli accordi, maggiore di quella perimetrata dalla normativa statale di riferimento; c) il contrasto con la norma statale che prevede che gli accordi siano stipulati nei modi stabiliti da un decreto ministeriale.

Sotto il primo aspetto, tale disciplina si porrebbe in contrasto con il principio fondamentale dettato dal legislatore statale all’art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), il quale, pur consentendo alle regioni e agli enti locali di stipulare accordi con i soggetti proponenti che individuino misure di compensazione e di riequilibrio ambientale, non prevedrebbe che la stipula di detti accordi possa condizionare − subordinandola − l’espressione dell’intesa ed il correlato rilascio dei pareri propedeutici all’ottenimento dell’autorizzazione alla costruzione ed esercizio della infrastruttura energetica.

Con riferimento allo stesso aspetto, inoltre, il ricorrente lamenta che la norma impugnata, stabilendo già la «posizione» che la Regione deve assumere ai fini dell’intesa disciplinata all’art. 11, comporterebbe, per le ipotesi di mancato raggiungimento della stessa, la sostanziale obbligatorietà del ricorso alla procedura alternativa prevista dal comma 3 dell’art. 2 del d.lgs. n. 110 del 2002. Il conseguente aggravamento del procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica rappresenterebbe una violazione del principio costituzionale di buon andamento previsto dall’art. 97 Cost.

Viene, poi, evidenziato, in ordine al secondo aspetto, che la facoltà di individuare misure di compensazione e di riequilibrio ambientale sarebbe circoscritta dalla legislazione nazionale esclusivamente a quegli interventi compensativi che presentino carattere ambientale e che, al contempo, siano coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica, mentre la norma regionale impugnata consentirebbe la stipula di accordi esorbitanti tali connotazioni e finalità. In particolare il comma 2 dell’impugnato art. 17 prevede, alla lettera a), «quantificate e positive ricadute sul territorio in termini di vantaggi economici, occupazionali e di sviluppo per le utenze produttive o civili del territorio regionale» e, alla lettera c), «opere di razionalizzazione di linee elettriche esistenti che prevedano, ove possibile, interventi di demolizione e interramento di linee aeree esistenti».

Infine, con riferimento al terzo aspetto, viene segnalato che la norma censurata, attribuendo all’assessore regionale competente in materia di energia il potere di concludere i suddetti accordi, contrasterebbe con l’art. 34, comma 11 (recte: comma 16), del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, a norma del quale «[g]li accordi di cui all’art. 1, comma 5, della legge 23 agosto 2004, n. 239, sono stipulati nei modi stabiliti con decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata, da adottarsi entro sei mesi».

14.1.– Va premesso che, anche in questo caso, alla luce di quanto argomentato dallo stesso ricorrente e considerato l’ambito applicativo della norma interposta, la questione in esame va limitata alle infrastrutture energetiche.

14.2.– La questione legata al primo profilo (la subordinazione della stipula dell’intesa al raggiungimento dell’accordo) è fondata.

14.2.1.– Se pure è vero − come evidenziato dalla Regione – che la stipula dell’accordo è configurata dalla legge regionale come una mera possibilità (posto che vi è la facoltà di proporre uno schema di accordo), e che, quando si sposa tale opzione, è possibile che l’accordo si raggiunga e che, conseguentemente, non vi sia alcun riflesso negativo sull’intesa, cionondimeno vi è la possibilità che, intrapresa la via dell’accordo, lo stesso non venga raggiunto, con la conseguente preclusione di addivenire all’intesa.

Ebbene, ciò comporta la violazione della norma di principio su enunciata, poiché genera un ingiustificato aggravamento del procedimento.

14.2.2.– Sussiste, inoltre, la violazione dell’art. 97 Cost. a nulla rilevando, nel caso di specie, la potestà di autorganizzazione dell’esecutivo regionale, riconosciuta dallo statuto speciale (artt. 4, numero 1, e 12, comma 2), invocata dalla Regione.

14.3.– La questione in ordine al secondo profilo (l’ampiezza di contenuto degli accordi), invece, non è fondata.

14.3.1.– Il contrasto ravvisato dal ricorrente con il principio fondamentale di cui all’art. l, comma 5, della legge n. 239 del 2004 − per cui gli accordi sono funzionali alla tutela del solo interesse ambientale, con la conseguente esclusione della possibilità per le regioni di prendere in considerazione altri interessi, come quelli indicati dal comma 2 dell’impugnato art. 17 − non sussiste.

La norma statale non esprime un principio che esclude la possibilità di stipulare accordi che si riferiscano ad altri ambiti, ove non espressamente vietati (come accade, ad esempio, nell’ipotesi dell’art. 12, comma 6, del d.lgs. n. 387 del 2003, che la legge regionale fa salvo) e ove gli interessi che vengono in rilievo siano ragionevolmente correlati all’opera da realizzare.

In conclusione, l’esercizio della facoltà in questione non deve trovare una norma statale di legittimazione ad hoc, dovendo solo osservare eventuali limitazioni e divieti posti espressamente dal legislatore statale.

14.4.– Neanche è fondata la questione relativa al terzo profilo, legato al contrasto dell’art. 17 della legge regionale con l’art. 34, comma 16, del d.l. n. 179 del 2012.

14.4.1.− Difatti, in mancanza del decreto ministeriale, previsto da tale articolo, che disciplini le modalità di stipula degli accordi, il contrasto è solo ipotetico, ben potendo la normativa statale prevedere modalità del tutto compatibili con quelle della disposizione regionale.

15.− L’art. 18, comma 4, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012 viene impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

La norma censurata, che disciplina l’autorizzazione unica per le reti degli scambi transfontalieri, prevede che sia riservata una quota significativa dell’energia disponibile importata al fabbisogno energetico regionale.

Essa, a parere del ricorrente, violerebbe l’art. 1, comma 4, lettere a), b) e c), della legge n. 239 del 2004, in quanto recherebbe un vulnus al sistema unitario nazionale di gestione dell’approvvigionamento energetico con conseguente alterazione delle regole di concorrenza del mercato dell’energia.

15.1.– La questione è fondata.

15.2.– La disposizione impugnata si pone in evidente contrasto con la citata norma interposta, da ritenersi norma di principio della materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia».

Quest’ultima, infatti, prevede che lo Stato e le regioni, «al fine di assicurare su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti l’energia nelle sue varie forme e in condizioni di omogeneità, sia con riguardo alle modalità di fruizione sia con riguardo ai criteri di formazione delle tariffe e al conseguente impatto sulla formazione dei prezzi, garantiscano: a) il rispetto delle condizioni di concorrenza sui mercati dell’energia, in conformità alla normativa comunitaria e nazionale; b) l’assenza di vincoli, ostacoli o oneri, diretti o indiretti, alla libera circolazione dell’energia all’interno del territorio nazionale e dell’Unione europea; c) l’assenza di oneri di qualsiasi specie che abbiano effetti economici diretti o indiretti ricadenti al di fuori dell’ambito territoriale delle autorità che li prevedono […]».

La disposizione impugnata, subordinando il rilascio dell’autorizzazione unica alla sottrazione di una quota, peraltro non marginale, del totale dell’energia elettrica importata per destinarla al fabbisogno energetico regionale, comporta una chiara violazione delle condizioni puntualmente indicate dal legislatore nazionale. Essa, in particolare, incide negativamente sulla libera circolazione dell’energia e impone un significativo onere idoneo a produrre rilevanti effetti economici, certamente non limitati all’àmbito regionale.

16.– Il ricorrente impugna, infine, gli artt. 35, comma 7, e 34, comma 1, lettere f) ed h), della legge regionale indicata in epigrafe per violazione degli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), Cost., oltre che degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale.

L’art. 35, comma 7, prevede che «possono essere autorizzati sul territorio regionale esclusivamente nuovi impianti di tipologia stazione di servizio come definiti all’articolo 34, comma 1, lettera f)», sicché essi devono comprendere, secondo tale ultimo articolo, «apparecchiature di tipo self-service prepagamento funzionanti automaticamente 24 ore su 24 − apparecchiature di ricarica per alimentazione auto elettriche − locale per l’attività del gestore con relativo servizio igienico – [...] servizi igienici separati per sesso di utenti, di cui almeno uno con servizio igienico per diversamente abili − pensiline di copertura delle aree di rifornimento − pannelli fotovoltaici sulle coperture, di potenza installata nell’area almeno pari a 10 chilowatt − uno o più parcheggi per gli utenti − accessi dei veicoli alla stazione separati e distinti per entrate e uscita − eventuali servizi accessori […]».

Sempre il citato comma 7, nel testo antecedente la modifica introdotta dall’art. 191 della legge regionale Friuli Venezia-Giulia 21 dicembre 2012, n. 26 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2012), prevedeva, all’ultimo periodo, che «Nuovi impianti di tipologia stazione di rifornimento elettrico, come definiti dall’art. 34, comma 1, lettera h), possono essere realizzati esclusivamente negli ambiti territoriali dei Comuni tra loro limitrofi con popolazione superiore ai 40.000 abitanti», riferendosi, con tale locuzione, a quanto indicato nell’articolo ivi indicato ovvero all’«impianto costituito da apparecchiature di ricarica per l’alimentazione di auto elettriche di tipo self service prepagamento funzionanti autonomamente 24 ore su 24, locale per l’attività del gestore con relativo servizio igienico, servizio gestito di car sharing».

A parere del ricorrente, tali disposizioni, prevedendo onerosi requisiti per l’apertura di nuovi impianti, introdurrebbero significative e sproporzionate barriere all’ingresso nei mercati, non giustificate dal perseguimento di specifici interessi pubblici, e delineerebbero una regolazione asimmetrica, che aggraverebbe gli adempimenti per i nuovi entranti, condizionandone o ritardandone l’ingresso e, conseguentemente, ingenerando ingiustificate discriminazioni a danno della concorrenza.

Nel ricorso viene inoltre evidenziato che le diposizioni impugnate contrasterebbero con il principio contenuto nell’art. 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, che considera contraria al principio di libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 Cost. e al principio di concorrenza stabiliti dal Trattato dell’Unione europea le norme «che pongono divieti o restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite […], che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici, ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato […]». Il ricorrente segnala anche che il comma 4 del medesimo articolo 1 obbliga le Regioni ad adeguarsi a tale principio entro il 31 dicembre 2012.

16.1.– In via preliminare, va dichiarata la cessazione della materia del contendere con riferimento alla questione avente ad oggetto la disposizione relativa agli impianti del tipo «stazione di rifornimento elettrico», in quanto, successivamente alla proposizione del ricorso, essa è stata abrogata dal già ricordato art. 191 della legge reg. n. 26 del 2012 e la Regione attesta che la disposizione, nel breve lasso di tempo nel quale è stata in vigore, non ha avuto applicazione, secondo quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 19 e n. 18 del 2013; n. 300, n. 245, n. 226 e n. 193 del 2012; n. 325 del 2011).

16.2.– Quanto alla parte della disposizione concernente la tipologia «stazione di servizio», la questione è fondata con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

16.3.– L’art. 35, comma 7, pone divieti e restrizioni che condizionano e ritardano l’avvio di nuove attività economiche e l’ingresso di nuovi operatori, senza che tali ostacoli siano proporzionati alle finalità pubbliche perseguite.

Sussiste, in particolare, un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni analoghi.

Per questi ultimi, infatti, la legge regionale dispone che gli impianti debbano essere adeguati, ma in modo graduale anche in ordine ai diversi obblighi imposti (art. 37, comma 6). Inoltre, decorso inutilmente un anno dalla data di entrata in vigore della legge, è concesso un ulteriore lasso di tempo per presentare un programma di adeguamento (non meglio delimitato nel suo tempo esecuzione) (art. 42, comma 4) e, solo in ipotesi di mancata presentazione del programma, di inammissibilità dello stesso a seguito di verifica del Comune o di sua mancata esecuzione secondo le modalità e le scadenze in esso previste, si verifica, infine, la decadenza dell’autorizzazione (artt. 42 e 43). A ciò va aggiunto che l’adeguamento non ricopre tutti gli obblighi previsti per i nuovi entranti e non riguarda, in particolare, l’installazione dei pannelli fotovoltaici, oltre che delle apparecchiature di tipo self-service prepagamento funzionanti automaticamente 24 ore su 24.

16.4.– Restano assorbiti i motivi di censura formulati in riferimento agli ulteriori parametri.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 9, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 11 ottobre 2012, n. 19 (Norme in materia di energia e distribuzione dei carburanti), limitatamente alle parole «Nel caso in cui contenga l’individuazione delle aree e dei siti non idonei di cui al comma 8»;

2) dichiara, altresì, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 8, della medesima legge regionale n. 19 del 2012, limitatamente alle parole «escluse le procedure relative alla VAS»;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 8, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, nella parte in cui non prevede che si tratti di interventi da realizzarsi relativamente a impianti e infrastrutture «esistenti»;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, limitatamente alla disciplina degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili;

5) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, nella parte in cui, limitatamente agli elettrodotti, non dispone che «dalla data di comunicazione dell’avviso dell’avvio del procedimento ai comuni interessati, è sospesa ogni determinazione comunale in ordine alle domande di permesso di costruire nelle aree potenzialmente impegnate, fino alla conclusione del procedimento autorizzativo» e nella parte in cui, limitatamente agli elettrodotti, non dispone che l’autorizzazione unica «sostituisce autorizzazioni, concessioni, nulla osta e atti di assenso comunque denominati previsti dalle norme vigenti e comprende ogni opera o intervento necessari alla risoluzione delle interferenze con altre strutture, costituendo titolo a costruire e ad esercire tali infrastrutture, opere o interventi, in conformità con il progetto approvato»;

6) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 7, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, limitatamente alla disciplina degli elettrodotti, nella parte in cui non prevede che il parere di ARPA sia acquisito in conferenza di servizi;

7) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 9, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, limitatamente alla disciplina delle infrastrutture energetiche lineari, nella parte in cui prevede che il rilascio dell’autorizzazione sortisca l’effetto di variante urbanistica solo subordinatamente alla circostanza che, in sede di conferenza di servizi, il rappresentante del Comune esprima il suo assenso, sulla base del previo parere favorevole espresso dal Consiglio comunale;

8) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, lettera a), della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, nella parte in cui non prevede che la possibilità di realizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica o termica da fonti rinnovabili su edifici o aree di pertinenza degli stessi all’interno delle zone destinate ad attività produttive o commerciali previste dagli strumenti urbanistici comunali, ai sensi dell’art. 16, comma 1, lettera m-bis), della legge regionale 11 novembre 2009, n. 19 (Codice regionale dell’edilizia), previa comunicazione dell’inizio dei lavori, sia limitata ai progetti di impianti alimentati da fonti rinnovabili «con potenza nominale fino a 50 kW» e agli impianti fotovoltaici «di qualunque potenza da realizzare sugli edifici»;

9) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, con riferimento alle sole infrastrutture energetiche, limitatamente alle parole «In tal caso l’espressione dell’intesa di cui all’articolo 11 è subordinata alla stipula dell’accordo»;

10) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, limitatamente alle parole «anche qualora sia stata approvata la variante urbanistica ai sensi di quanto disposto all’articolo 14, comma 9»;

11) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 4, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012;

12) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 35, comma 7, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, nella parte in cui prevede che, a seguito dell’entrata in vigore della legge regionale, possano essere autorizzati sul territorio regionale esclusivamente nuovi impianti di tipologia stazione di servizio aventi le caratteristiche indicate nell’art. 34 della medesima legge regionale;

13) dichiara la cessazione della materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale degli artt. 35, comma 7, e 34, comma 1, della legge regionale Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa, in riferimento agli artt. 41 e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

14) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 2, 3, 4 e 5, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere l) ed m), e terzo comma, della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe;

15) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera m), e terzo comma, della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe;

16) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe, nella parte in cui consente alla Regione di individuare misure di compensazione e di riequilibrio ambientale anche diverse dagli interventi compensativi che presentino carattere ambientale e che, al contempo, siano coerenti con gli obiettivi generali di politica energetica;

17) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione e agli artt. 4 e 5 della legge costituzionale n. 1 del 1963 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe, nella parte in cui attribuisce all’assessore regionale competente in materia di energia il potere di concludere gli accordi, anziché rinviare ai «modi stabiliti con decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, sentita la conferenza unificata, da adottare entro sei mesi» individuati dall’art. 34, comma 16, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n. 221;

18) dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 19 del 2012, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2013.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2013.