Sentenza n. 258 del 2020

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SENTENZA N. 258

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

 

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, 10, 11, 12, 16, della legge della Regione Puglia 23 luglio 2019, n. 34 (Norme in materia di promozione dell’utilizzo di idrogeno e disposizioni concernenti il rinnovo degli impianti esistenti di produzione di energia elettrica da fonte eolica e per conversione fotovoltaica della fonte solare e disposizioni urgenti in materia di edilizia), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 23-26 settembre 2019, depositato in cancelleria il 30 settembre 2019, iscritto al n. 100 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Puglia;

 

udito nell’udienza pubblica del 3 novembre 2020 il Giudice relatore Franco Modugno;

 

uditi l’avvocato dello Stato Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Tiziana Teresa Colelli per la Regione Puglia, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;

 

deliberato nella camera di consiglio del 3 novembre 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ricorso depositato il 30 settembre 2019, iscritto al reg. ric. n. 100 del 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, in forza della delibera di impugnazione assunta dal Consiglio dei ministri in data 19 settembre 2019, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 10, 11, 12 e 16 della legge della Regione Puglia 23 luglio 2019, n. 34 (Norme in materia di promozione dell’utilizzo di idrogeno e disposizioni concernenti il rinnovo degli impianti esistenti di produzione di energia elettrica da fonte eolica e per conversione fotovoltaica della fonte solare e disposizioni urgenti in materia di edilizia), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, per violazione delle norme contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e all’art. 117, terzo comma, Cost., per violazione dei principi fondamentali in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» fissati nel decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) e nel decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).

 

2.– Nell’introdurre i motivi d’impugnazione degli artt. 3 e 10 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019, la difesa statale rammenta che la disciplina della valutazione d’impatto ambientale (VIA) e della valutazione ambientale strategica (VAS), secondo la giurisprudenza costituzionale, deve essere uniformemente osservata sul territorio nazionale e che deve essere riservato alla competenza legislativa statale il potere di fissare i livelli uniformi di tutela, ferma restando la facoltà delle Regioni di regolare interessi funzionalmente connessi con quelli propriamente ambientali.

 

2.1.– Per quanto riguarda l’impugnazione dell’art. 3 (Piano regionale dell’idrogeno), l’Avvocatura generale dello Stato censura, in particolare, i commi 3 e 4, ove è prevista la procedura per l’adozione del Piano (d’ora in avanti: PRI) e non è stabilito che esso debba essere sottoposto a VAS. Tale omissione ne determinerebbe la sottrazione alla VAS, in contrasto con l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, che richiede una valutazione per tutti i piani e i programmi che incidano sulla qualità dell’aria e dell’ambiente, per il settore energetico, tra i quali il PRI senz’altro rientrerebbe.

 

2.2.– Quanto all’impugnazione dell’art. 10 (Valutazione preliminare dei potenziali impatti ambientali), esso sarebbe illegittimo per violazione della disciplina statale sulla VIA. In primo luogo, in tesi, occorrerebbe specificare che le disposizioni regionali possono riguardare solo gli impianti per cui le verifiche d’impatto ambientale sono di competenza regionale, dovendo essere espressamente sottratti all’applicazione dell’impugnato art. 10 gli impianti eolici di potenza superiore a 30 MW, che vanno assoggettati a VIA di competenza statale. In secondo luogo, il comma 2 dell’articolo impugnato, disponendo che all’esito della procedura prevista dall’art. 6, comma 9, d.lgs. n. 152 del 2006 (d’ora in avanti, anche: cod. ambiente), comunque sia, nessuna valutazione ambientale occorre quando le modifiche agli impianti eolici e fotovoltaici già esistenti riducano il numero di aerogeneratori o la superficie occupata, introdurrebbe una deroga alla disciplina della verifica di assoggettabilità a VIA e della VIA di cui all’art. 5 (recte: 6), commi 6 e 7, cod. ambiente. Secondo la legislazione nazionale, infatti, le Regioni potrebbero esonerare gli impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile dalla verifica di assoggettabilità a VIA e dalla VIA solamente nel caso in cui la potenza dell’impianto non superi 1 MW. L’illegittimità costituzionale di queste disposizioni deriverebbe, allora, dal fatto che l’esonero dalle citate procedure di valutazione dell’impatto ambientale sarebbe determinato non già in base alla potenza generata dall’impianto, bensì da criteri del tutto diversi.

 

3.– A seguire, il ricorso denunzia l’illegittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019, che disciplina il regime abilitativo delle modifiche sostanziali e non sostanziali di impianti eolici e fotovoltaici esistenti, per contrasto con il principio fondamentale in materia di energia contenuto nell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, che individua gli interventi sottoponibili a procedura abilitativa semplificata (PAS). L’articolo impugnato, dopo aver previsto, al comma 1 – e conformemente alla disciplina statale –, che le modifiche che, «a prescindere dalla potenza nominale complessiva risultante dagli interventi proposti, non comportano variazioni in aumento delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e della superficie destinata all’installazione degli impianti stessi» sono assentite con PAS, introdurrebbe al comma 4, lettera b), una norma contraddittoria che sottopone alla procedura di autorizzazione unica (AU) gli interventi non sostanziali che comportano la realizzazione di un impianto di potenza nominale complessiva superiore a 1 MW, limitando così l’utilizzo della PAS.

 

L’Avvocatura generale sottolinea che lo Stato ha dettato i principi fondamentali in materia di produzione dell’energia, attribuita alla potestà legislativa concorrente dall’art. 117, terzo comma, Cost., con il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), il d.lgs. n. 387 del 2003 e il d.lgs. n. 28 del 2011. Tali norme di principio non potrebbero subire deroghe ad opera delle leggi regionali «per il necessario rispetto dei canoni di proporzionalità e di adeguatezza (art. 4 d.lgs. 28/2011) nonché di esigenze di celerità e soprattutto di omogeneità sull’intero territorio nazionale». I regimi abilitativi per la costruzione degli impianti di energia da fonti rinnovabili, dunque, non potrebbero che essere gli stessi in tutto il Paese, anche perché, altrimenti, si produrrebbe una ingiustificata discriminazione tra le iniziative economiche nelle diverse Regioni.

 

3.1.– Per la difesa dello Stato, le medesime ragioni che sostengono l’impugnazione dell’art. 11 determinerebbero l’illegittimità costituzionale del successivo art. 12, concernente il rinnovo del titolo abilitativo. Quest’ultimo, infatti, imporrebbe una serie di condizioni per l’ottenimento del rinnovo che «non trovano alcun riscontro nella normativa nazionale». Sarebbero, in tesi, previsti considerevoli aggravi per gli operatori, in contrasto con l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e con gli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 e, conseguentemente, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

 

3.2.– Infine, per motivi analoghi a quelli posti a fondamento delle censure rivolte agli artt. 11 e 12 della legge regionale impugnata, sarebbe incostituzionale, ad avviso del ricorrente, l’art. 16 della medesima legge regionale, che «rimanda alla Giunta regionale la definizione, tra l’altro, di termini per i procedimenti di cui al Capo II che ha ad oggetto i regimi della Procedura abilitativa semplificata (PAS) e dell’Autorizzazione Unica (AU)».

 

4.– Con atto depositato il 5 novembre 2019, si è costituita in giudizio la Regione Puglia, chiedendo che si dichiari la non fondatezza delle questioni di costituzionalità promosse con il ricorso.

 

4.1.– Quanto all’impugnazione dell’art. 3, secondo la resistente esso non intenderebbe sottrarre il PRI alla normativa nazionale sulla tutela dell’ambiente; conseguentemente, il Piano dovrà «necessariamente essere assoggettato a valutazione ambientale strategica ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 152/2006». Ciò sarebbe chiaro valorizzando quanto scritto nell’art. 1 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019: la promozione dell’utilizzo dell’idrogeno prodotto da fonte rinnovabile deve avvenire «in armonia con la legislazione comunitaria, statale e regionale in materia di tutela dell’ambiente, della salute e della qualità della vita della popolazione». La difesa regionale aggiunge che il PRI, come risulterebbe dall’ultimo comma dell’art. 3, integrerebbe il più generale piano energetico ambientale regionale (PEAR) e che quest’ultimo sarebbe pacificamente sottoposto a VAS. Il PRI non potrebbe essere considerato strumento autonomo rispetto al PEAR, in quanto s’inserirebbe proprio all’interno della programmazione regionale in materia di energia e, dunque, sarebbe soggetto alle medesime valutazioni ambientali.

 

4.2.– Con riferimento all’impugnazione dell’art. 10, la difesa regionale innanzitutto esclude che le disposizioni impugnate possano applicarsi a progetti di impianti eolici di potenza complessiva superiore a 30 MW, assoggettati a VIA di competenza statale, visto che l’art. 13 della stessa legge regionale stabilisce che «[p]er quanto non espressamente previsto dagli articoli 10, 11 e 12, trovano applicazione le disposizioni statali e regionali che disciplinano i procedimenti di valutazione preliminare, verifica di assoggettabilità a VIA, valutazione di impatto ambientale, nonché di autorizzazione unica e procedura abilitativa semplificata».

 

Per quanto riguarda il comma 2 dell’art. 10, per la difesa regionale esso s’inserirebbe nella cornice normativa disegnata, da un lato, dalla lettera t), punto 8, dell’Allegato IV alla Parte II del codice dell’ambiente – ai sensi del quale sono soggette a verifica di assoggettabilità a VIA le «modifiche o estensioni di progetti di cui all’Allegato III o all’Allegato IV già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente» – e, dall’altro lato, dall’art. 6, comma 9, cod. ambiente, sulla valutazione preliminare (altresì detta procedura di pre-screening) ­– ai sensi del quale, per le modifiche, le estensioni o gli adeguamenti tecnici finalizzati a migliorare il rendimento e le prestazioni ambientali dei progetti elencati negli Allegati alla Parte II del codice dell’ambiente, il proponente, in ragione della presunta assenza di potenziali impatti ambientali significativi e negativi, ha la facoltà di richiedere all’autorità competente una valutazione preliminare che indichi se le modifiche, le estensioni o gli adeguamenti tecnici devono essere assoggettati alla verifica di assoggettabilità a VIA, alla VIA, ovvero non rientrano nelle categorie di cui all’art. 6, commi 6 o 7, cod. ambiente. Dato che il legislatore statale non ha fissato criteri per decidere quali interventi sugli impianti possano considerarsi esenti dalla verifica di assoggettabilità a VIA o dalla VIA, le disposizioni regionali, «nell’ambito dei confini così delineati, [hanno] inteso definire un quadro normativo chiaro e ben definito, individuando i criteri […] in base ai quali è da ritenere esclusa una ripercussione negativa sull’ambiente e sul paesaggio». I contenuti dell’articolo impugnato, peraltro, sarebbero in linea con le direttive europee in materia, secondo cui «[g]li Stati membri possono fissare soglie o criteri per stabilire in quali casi non è necessario che i progetti siano oggetto di una determinazione a norma dei paragrafi 4 e 5, né di valutazione dell’impatto ambientale» (è citato l’art. 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/92/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati). Ad avviso della resistente, peraltro, la giurisprudenza costituzionale avrebbe più volte affermato che la tutela dell’ambiente non si configura come materia in senso stretto, bensì come valore avente natura trasversale, la cui protezione presuppone la coesistenza di competenze statali e regionali.

 

4.3.– La difesa regionale, poi, rileva che i commi 1 e 4 dell’art. 11 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019 non sarebbero in contrasto tra loro e nemmeno definirebbero, per le modifiche non sostanziali di impianti eolici e fotovoltaici, una disciplina più gravosa di quella prevista dalla legge dello Stato, causando la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. La finalità del comma 4 dell’art. 11 sarebbe, al contrario, quella di evitare condotte elusive della normativa nazionale, intendendo in particolare evitare che impianti «assentiti con titoli abilitativi o semplificati (DIA, PAS, SCIA) che, dunque, non hanno scontato il procedimento di cui all’art. 12 del D.lgs. 387/2003 di Autorizzazione Unica né tantomeno la valutazione degli impatti del progetto sull’ambiente (screening o VIA), possano superare la soglia di potenza di 1 MW a seguito di interventi di ammodernamento che siano considerati come modifiche non sostanziali (quindi assentiti con PAS), così aggirando il limite di potenza oltre il quale è dovuto, secondo la normativa nazionale, il procedimento amministrativo di Autorizzazione Unica». Così, le disposizioni impugnate presidierebbero la corretta applicazione della disciplina statale – la quale prevede, all’art. 5, comma 3, d.lgs. n. 28 del 2011, che le modifiche non sostanziali siano assentite con PAS, facendo però salvo quanto disposto dall’art. 6, secondo cui «le Regioni e le Province autonome possono estendere la soglia di applicazione della procedura di cui al comma 1 [la PAS] agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW» – non consentendo di eluderla tramite interventi di cosiddetto revamping sugli impianti già esistenti.

 

4.4.– Quanto ai rilievi mossi nel ricorso avverso l’art. 12, la resistente sostiene che la possibilità di fruire di un regime abilitativo semplificato al momento del rinnovo dell’autorizzazione dell’impianto, alle condizioni stabilite al comma 1 dell’articolo impugnato, rappresenterebbe un’alternativa rispetto al procedimento di AU «che il soggetto proponente ben può richiedere senza assoggettare il progetto alle soglie dimensionali previste all’articolo 12, comma 1». La rispondenza a principi di proporzionalità e adeguatezza dell’azione regionale sarebbe testimoniata proprio dal riconoscimento di una possibilità di scelta al soggetto proponente: potrebbe adeguarsi alle condizioni previste dall’impugnato art. 12, riducendo l’impatto dell’impianto sull’ambiente, e ottenere il rinnovo secondo la procedura semplificata, oppure potrebbe presentare una ordinaria istanza di AU. Sarebbe, così, da escludersi la violazione delle norme statali sulle procedure autorizzative e, quindi, dell’art. 117, terzo comma, Cost.

 

5.– In prossimità dell’udienza, il 13 ottobre 2020 l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria con cui insiste per la declaratoria di illegittimità costituzionale degli articoli della legge reg. Puglia n. 34 del 2019 impugnati con il ricorso, poiché, sostiene, le tesi difensive spiegate dalla parte resistente sarebbero inconsistenti.

 

5.1.– In particolare, non potrebbe condividersi la prospettiva per cui il PRI estenderebbe o integrerebbe il PEAR, rappresentando, invece, un atto dotato di autonomia contenutistica rispetto a quest’ultimo.

 

5.2.– La difesa dello Stato ricorda, poi, che le disposizioni di cui all’art. 10 della legge regionale impugnata vanificherebbero l’intervento riformatore di cui al decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), che ha ridisegnato le procedure di VIA statale e regionale in attuazione della direttiva 2014/52/UE, introducendo la procedura di pre-screening e prevedendo, nell’Allegato III alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, che l’esonero dalle verifiche d’impatto ambientale operi esclusivamente per impianti eolici che generino potenza non superiore a 1 MW.

 

5.3.– Infine, gli argomenti difensivi della resistente a sostegno della non fondatezza delle questioni degli artt. 11, 12 e 16 della legge regionale impugnata sarebbero, pure, privi di fondamento, dato che lo Stato, recependo le direttive europee in tema di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili, ha fissato «un punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato, e la “speciale” tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall’altro» (è citata la recente sentenza n. 106 del 2020 di questa Corte) e le Regioni non potrebbero prevedere discipline differenziate.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcuni articoli della legge della Regione Puglia 23 luglio 2019, n. 34 (Norme in materia di promozione dell’utilizzo di idrogeno e disposizioni concernenti il rinnovo degli impianti esistenti di produzione di energia elettrica da fonte eolica e per conversione fotovoltaica della fonte solare e disposizioni urgenti in materia edilizia). Sono impugnati l’art. 3 (Piano regionale dell’idrogeno), l’art. 10 (Valutazione preliminare dei potenziali impatti ambientali), l’art. 11 (Disciplina delle modifiche sostanziali e non sostanziali), l’art. 12 (Rinnovo del titolo abilitativo) e l’art. 16 (Disposizioni in materia di adempimenti della Giunta regionale).

 

La legge reg. Puglia n. 34 del 2019, si propone, in generale, di valorizzare l’idrogeno come combustibile alternativo alle fonti fossili attraverso la sua produzione con energia elettrica ottenuta da fonte rinnovabile; di favorire l’ammodernamento degli impianti eolici e fotovoltaici, semplificando le procedure per gli interventi di potenziamento o rifacimento e, al contempo, ricercando il migliore inserimento degli impianti stessi nel contesto paesaggistico. Il legislatore pugliese dichiara di agire nel solco degli obiettivi condivisi a livello internazionale ed europeo sulla promozione dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e sulla semplificazione dei procedimenti per gli interventi migliorativi del rendimento di tale genere di impianti.

 

Il ricorso denunzia, da un lato, il contrasto tra gli artt. 3 e 10 della legge regionale e l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, derivante dalla violazione delle norme del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) sulla valutazione ambientale strategica (VAS) e sulla valutazione d’impatto ambientale (VIA) di piani e progetti riguardanti la produzione di energia da fonti rinnovabili, e, dall’altro lato, il contrasto tra gli artt. 11, 12 e 16 della legge regionale e l’art. 117, terzo comma, Cost., derivante dalla violazione delle norme statali sulle procedure per l’abilitazione all’esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili, che fissano i principi fondamentali in materia di produzione dell’energia.

 

2.– È anzitutto censurato l’art. 3, che prevede che la Giunta regionale «approva il piano regionale triennale dell’idrogeno (PRI). Il PRI: a) analizza lo stato delle conoscenze tecnologiche e le prospettive di sviluppo della ricerca applicata all’idrogeno; b) definisce gli obiettivi da raggiungere nell’arco temporale di tre anni; c) individua gli interventi regionali di promozione e sostegno dei settori legati alla filiera dell’idrogeno prodotto da energia da fonte rinnovabile al fine di razionalizzare e ottimizzare le risorse finanziarie disponibili; d) definisce gli ambiti di ricerca e di ricerca applicata da sostenere; e) evidenzia le risorse finanziarie destinate all’attuazione del PRI; f) prevede strumenti di verifica dello stato di attuazione del PRI». Stabilisce poi, al suo ultimo comma, che, «tenendo conto delle finalità, degli obiettivi e delle azioni di cui alle presenti disposizioni, la Regione aggiorna gli atti di programmazione generale e il Piano energetico ambientale regionale (PEAR), di cui all’articolo 2, della legge regionale 24 settembre 2012, n. 25 (Regolazione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili)».

 

Il ricorso muove dalla preoccupazione che il PRI possa sottrarsi alla VAS, prescritta dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006 (d’ora in avanti, anche: cod. ambiente) per i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente. Il legislatore pugliese, omettendo di precisare che il PRI va sottoposto alla VAS, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., di cui le disposizioni del codice assunto a norma interposta rappresentano diretta espressione.

 

2.1.– L’esame della legge regionale impugnata permette di interpretare l’art. 3 in senso diverso da quello prefigurato dal ricorrente e conforme alla Costituzione. Deve, infatti, ritenersi che il PRI non sia sottratto alla VAS, essendo così esclusa la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La corretta lettura delle norme regionali deriva dalla loro considerazione sistematica e merita di essere qui brevemente illustrata.

 

Nella disciplina del procedimento di adozione del PRI non vi è espresso richiamo alla necessità della VAS, ma nemmeno se ne prevede l’esclusione. Occorre, perciò, considerare le altre disposizioni normative pertinenti.

 

L’art. 1 della legge regionale impugnata afferma che la Regione «sostiene e promuove» la produzione di energia da fonte rinnovabile – riconosce, in particolare, «l’idrogeno come sistema di accumulo, vettore energetico e combustibile alternativo alle fonti fossili e ne favorisce la sua produzione» – «in armonia con la legislazione comunitaria, statale e regionale in materia di tutela dell’ambiente, della salute e della qualità della vita della popolazione». Se ne può desumere che, ove non esclusa, l’applicazione della disciplina statale sulla protezione ambientale operi senz’altro e a prescindere da disposizioni regionali che specificamente la richiamino.

 

L’art. 3, all’ultimo comma, prevede che, a seguito dell’adozione del PRI, sia aggiornato il PEAR. Anche tale disposizione concorre a concludere nel senso della sottoposizione del PRI alla VAS, perché porta a ritenere che la nuova programmazione specificamente riguardante la produzione di idrogeno vada integrata nel PEAR: quest’ultimo, originariamente adottato con delibera della Giunta pugliese dell’8 giugno 2007, n. 827 e successivamente aggiornato, è sottoposto alla VAS. Se, dunque, il PRI è parte del PEAR, deve ritenersi che esso sarà oggetto di VAS al pari degli altri contenuti di quest’ultimo.

 

2.2.– Nella cornice delineata la questione di costituzionalità dell’art. 3 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019 non è fondata, perché la disciplina sulla VAS, contenuta nel codice dell’ambiente, trova applicazione nel contesto dell’articolo impugnato.

 

Le iniziative che, nel rispetto delle norme sulla protezione ambientale, sono volte ad accrescere l’utilizzo di combustibili ottenuti da fonti rinnovabili sono, peraltro, meritevoli di apprezzamento. Come questa Corte ha già affermato, l’obiettivo dell’incremento della produzione elettrica da fonti rinnovabili è, infatti, in linea con la politica energetica dell’Unione europea (così, da ultimo, sentenza n. 106 del 2020), che mostra «un deciso favor per le fonti energetiche rinnovabili al fine di eliminare la dipendenza dai carburanti fossili» (sentenza n. 148 del 2019).

 

3.– È poi impugnato l’art. 10, che sarebbe illegittimo per violazione della disciplina statale sulla VIA, espressiva della competenza esclusiva ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Esso, dopo aver stabilito – come disposto dall’art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006 – che, per i progetti relativi a interventi di ricostruzione, potenziamento, rifacimento e riattivazione di impianti fotovoltaici ed eolici di potenza nominale complessiva superiore a 1 MW, può chiedersi una valutazione preliminare degli impatti ambientali, prevede, al comma 2, che «[a]ll’esito della valutazione preliminare, i progetti di cui al comma 1 non sono comunque assoggettati al procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale o a VIA a condizione che prevedano: a) per gli impianti eolici, la riduzione del numero di aereogeneratori pari ad almeno il 50 per cento del totale di aereogeneratori precedentemente installati; b) per gli impianti fotovoltaici, la riduzione della superficie radiante pari ad almeno il 20 per cento della superficie radiante precedentemente installata o una riduzione della superficie destinata all’installazione dell’impianto fotovoltaico pari ad almeno il 20 per cento di quella precedentemente occupata».

 

3.1.– Anzitutto, secondo il ricorrente, non specificando che tali disposizioni riguardano gli impianti che generano una potenza maggiore di 1 MW ma non superiore a 30 MW, il legislatore regionale eccederebbe dalla sua competenza. La disciplina sarebbe, infatti, suscettibile di applicazione anche in relazione a impianti di potenza maggiore di 30 MW per cui le verifiche di impatto ambientale sono di competenza statale (Allegati I e II alla Parte II del codice dell’ambiente).

 

Sotto tale profilo, il ricorso non coglie nel segno. L’analisi della legge impugnata porta a ritenere che l’art. 10 sia volto a disciplinare i procedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA e di VIA regionali. L’art. 1, come già osservato, afferma che la promozione dell’utilizzo delle energie rinnovabili deve realizzarsi in armonia con la legislazione statale, e l’art. 8 precisa, a sua volta, che «[l]a Regione, nel rispetto della normativa statale dettata in materia di impianti di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, favorisce gli interventi di integrale ricostruzione, potenziamento, rifacimento e riattivazione di impianti esistenti […]». L’art. 13 prevede, inoltre, che «[p]er quanto non espressamente previsto dagli articoli 10, 11 e 12, trovano applicazione le disposizioni statali e regionali che disciplinano i procedimenti di valutazione preliminare, verifica di assoggettabilità a VIA, valutazione di impatto ambientale, nonché di autorizzazione unica e procedura abilitativa semplificata». Lo stesso art. 10, infine, all’ultimo comma, individua la Regione quale autorità competente per la valutazione di cui all’art. 6, comma 9, cod. ambiente; previsione, questa, che vale a significare, ancora, che la normativa si riferisce a progetti che rientrano nelle competenze regionali, nella generale consapevolezza che i progetti per impianti di potenza superiore a 30 MW sono sottoposti al controllo ministeriale.

 

3.2.– Sotto altro profilo, l’art. 10, al comma 2, è censurato nella parte in cui stabilisce quali sono i criteri per ritenere che la modifica degli impianti non avrà impatti negativi sull’ambiente e può, quindi, realizzarsi senza sottoporsi a valutazioni d’impatto ambientale. Esso violerebbe la disciplina prevista dal codice dell’ambiente sulla verifica di assoggettabilità a VIA e sulla VIA.

 

Si può osservare che il legislatore regionale persegue l’obiettivo di accelerare le tempistiche e alleggerire le procedure per le modifiche, le estensioni o gli adeguamenti tecnici degli impianti eolici e fotovoltaici, nella convinzione di agire in conformità agli indirizzi del legislatore europeo. Afferma, infatti, la parte resistente che, in considerazione del fatto che il legislatore statale nulla ha previsto circa i criteri e le soglie di potenza rispettati i quali gli interventi su impianti esistenti non debbano assoggettarsi alla verifica di assoggettabilità o alla VIA, le disposizioni regionali hanno «inteso definire un quadro normativo chiaro e ben definito, individuando i criteri […] in base ai quali è da ritenere esclusa una ripercussione negativa sull’ambiente e sul paesaggio».

 

3.3.– La questione è fondata.

 

L’assunto per cui spetta alla competenza regionale la decisione su quali progetti di modifica o estensione degli impianti possono essere esonerati dalle verifiche d’impatto ambientale non può essere condiviso. D’altronde, proprio sulla scorta di tale ultima considerazione, l’analisi tecnico-normativa resa dal Servizio affari e studi giuridici e legislativi al Consiglio regionale della Puglia rilevava profili di contrasto con la legislazione statale e, così, un possibile vizio di legittimità costituzionale dell’art. 10.

 

Il codice dell’ambiente prevede che siano sottoposti a verifica di assoggettabilità a VIA regionale i progetti di impianti eolici con potenza complessiva nominale superiore a 1 MW e di impianti per conversione fotovoltaica (Allegato IV alla Parte II del codice dell’ambiente, punto 2, rispettivamente lettere d) e b). Il medesimo Allegato, al punto 8, lettera t), prevede inoltre che si sottopongano a verifica di assoggettabilità a VIA le modifiche o estensioni di progetti già autorizzati che possono avere «notevoli impatti negativi sull’ambiente» (se le modifiche o estensioni non si possano ricomprendere nelle soglie previste nell’Allegato III, caso in cui vi sarebbe la necessità di effettuare direttamente la VIA).

 

Lo Stato ha, inoltre, adottato regole che indirizzano l’azione delle Regioni nell’ambito della verifica di assoggettabilità a VIA. Le Linee guida per la verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale dei progetti di competenza delle Regioni e Province autonome (Allegato IV alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006), allegate al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 30 marzo 2015, n. 52, stabiliscono, tra l’altro, al punto 6., che «[…] il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con proprio decreto, su richiesta della regione o provincia autonoma, tenendo conto delle specifiche peculiarità ambientali e territoriali e per determinate categorie progettuali dalle stesse individuate: […] definisce criteri o condizioni in base ai quali è possibile escludere la sussistenza di potenziali effetti significativi sull’ambiente e pertanto non è richiesta la procedura di verifica di assoggettabilità». Demandano, così, all’autorità centrale la possibilità di prendere le decisioni che il legislatore pugliese ha autonomamente assunto nell’art. 10 impugnato. Le regole contenute nel citato decreto, per precisa affermazione di questa Corte, sono da considerarsi vincolanti (sentenza n. 286 del 2019).

 

In assenza di standard in base ai quali possa presumersi che le varianti abbiano impatti negativi sull’ambiente, il legislatore statale ha introdotto, con la riforma di cui al decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), la procedura di valutazione preliminare (altresì detta procedura di pre-screening), che consente all’operatore del settore che vuole procedere alla modifica o estensione dell’impianto, se ritiene che siano assenti impatti ambientali significativi e negativi, di richiedere all’autorità competente una valutazione preliminare con cui ottenere l’indicazione di quale procedura seguire: se quella di verifica di assoggettabilità a VIA (art. 6, comma 6, cod. ambiente), se quella di VIA (art. 6, comma 7, cod. ambiente), oppure se trattasi di progetto che non necessita di tali procedure valutative.

 

Tale quadro normativo è espressione delle scelte operate dallo Stato nell’adeguarsi ai contenuti delle direttive europee in materia. All’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 2011/92/UE si prevedeva che «[…] per i progetti elencati nell’allegato II gli Stati membri determinano se il progetto debba essere sottoposto a valutazione a norma degli articoli da 5 a 10. Gli Stati membri prendono tale decisione, mediante: a) un esame del progetto caso per caso; o b) soglie o criteri fissati dallo Stato membro. Gli Stati membri possono decidere di applicare entrambe le procedure di cui alle lettere a) e b)». E la direttiva 2014/52/UE, che ha modificato quell’articolo, ha disposto, all’art. 1, paragrafo 4, lettera a), che «[g]li Stati membri possono fissare soglie o criteri per stabilire in quali casi non è necessario che i progetti siano oggetto di una determinazione a norma dei paragrafi 4 e 5, né di una valutazione dell’impatto ambientale […]».

 

Lo Stato italiano, come sopra osservato, ha stabilito, negli Allegati alla Parte II del cod. ambiente, quali piani e progetti devono essere sottoposti alle procedure valutative e ha poi introdotto la procedura di valutazione preliminare, che ha il pregio di orientare l’operatore verso la corretta procedura da seguire per autorizzare le modifiche dell’impianto. Ha sinora evitato di indicare quali progetti d’intervento sugli impianti eolici e fotovoltaici esistenti, rispondendo a criteri fissi, risultino automaticamente esenti da verifiche dei loro impatti ambientali.

 

La ricerca del punto di equilibrio tra l’esigenza di semplificare le procedure per esercitare impianti alimentati da fonti di energia rinnovabili e la tutela dell’ambiente in cui essi si trovano è un compito dello Stato. Non spetta, dunque, alle Regioni decidere quali siano le condizioni che determinano l’esclusione dalle verifiche d’impatto ambientale. Si ribadisce che, sebbene la competenza esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. non escluda aprioristicamente interventi regionali, anche legislativi, «è tuttavia necessario che ciò avvenga in termini di piena compatibilità con l’assetto normativo individuato dalla legge statale, non potendo tali interventi alterarne il punto di equilibrio conseguito ai fini di tutela ambientale» (sentenza n. 178 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 147 del 2019). Questa Corte ha infatti affermato con chiarezza che la disciplina sulla VIA rientra a pieno titolo nella competenza statale esclusiva indicata dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e, infatti, lo Stato riconosce alle Regioni e Province autonome spazio di intervento soltanto in ambiti specifici e precisati dallo stesso codice dell’ambiente (sentenze n. 93 del 2019, n. 246 e n. 198 del 2018).

 

Di conseguenza, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

 

4.– Successivamente, con il ricorso sono impugnati gli artt. 11 e 12 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019. Essi, ponendosi in contrasto con i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale in materia di produzione dell’energia, violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost.

 

4.1.– In questa parte dell’atto introduttivo, le censure sono motivate in modo alquanto sintetico, se pur non apodittico. Può quindi dirsi raggiunta la soglia minima di chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità delle questioni promosse in via principale (di recente, sentenza n. 199 del 2020).

 

4.2.– L’art. 11 della legge regionale impugnata disciplina il regime abilitativo delle modifiche sostanziali e non sostanziali degli impianti eolici e fotovoltaici esistenti. Nella sua prima parte, l’articolo impugnato riproduce la disciplina statale evocata come parametro interposto: l’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE). L’art. 11 prevede, infatti, che le modifiche dell’impianto che non ampliano la dimensione degli apparecchi, delle strutture e della superficie occupata si considerino non sostanziali e siano assentite con procedura abilitativa semplificata (PAS). Al comma 4, però, precisa che le modifiche non sostanziali degli impianti assentiti con procedure semplificate non possono sottoporsi alla PAS se, come effetto dell’intervento, si ottiene un impianto di potenza superiore a 1 MW. Il ricorrente sostiene che quest’ultima previsione determini la limitazione dell’utilizzo della PAS e così l’applicazione, da parte del legislatore pugliese, di procedure più gravose di quelle previste dalla legge statale.

 

Nel quadro normativo statale di riferimento, l’autorizzazione unica (AU), di cui all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), occorre per assentire impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, al di sopra della soglia di potenza di 1 MW. La procedura abilitativa semplificata (PAS), introdotta dal d.lgs. 28 del 2011, è utilizzabile per la realizzazione dello stesso tipo di impianti al di sotto di prefissate soglie di potenza: le Regioni, in coerenza con la soglia prevista per l’AU, sono autorizzate a estendere l’utilizzo della PAS a impianti che producano sino a 1 MW di potenza nominale (art. 6, comma 9, del d.lgs. n. 28 del 2011). La Comunicazione al Comune, infine, è la più snella procedura prevista per semplificare l’iter autorizzativo di alcune tipologie di piccoli impianti, come previsto dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili).

 

Quanto alle modifiche di impianti esistenti, ai sensi dell’evocato parametro di cui all’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, per le modifiche sostanziali, occorre l’AU; per le modifiche non sostanziali, è sufficiente la PAS. L’individuazione degli interventi di modifica sostanziale, per ogni tipologia d’impianto, è rimessa a un decreto del Ministero dello sviluppo economico. Nelle more della sua adozione, le modifiche che, a prescindere dalla potenza nominale, non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse, sono considerate non sostanziali e assoggettate a PAS.

 

4.3.– Alla luce di quanto appena esposto, si può concludere che le censure relative all’art. 11 impugnato sono prive di fondamento. È, inoltre, condivisibile la tesi che la Regione Puglia ha sostenuto per provare la non fondatezza della questione.

 

Se, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 28 del 2011, le Regioni possono, infatti, assentire alla realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici con PAS solo se l’impianto produce una potenza nominale complessiva non superiore a 1 MW, il legislatore pugliese, all’art. 11, introduce una precisazione avente funzione antielusiva del quadro normativo statale. Pur riproducendo la previsione statale per cui si applica la PAS alle modifiche che non estendono l’area dell’impianto, essa intende al contempo evitare che, a seguito di singoli interventi di revamping, risultino in esercizio impianti – in origine assentiti con procedure semplificate (PAS o Comunicazione) – che generano una potenza superiore a 1 MW senza essere passati per i più approfonditi controlli, anche sugli impatti ambientali, previsti nel procedimento di AU.

 

Nel caso di specie, le disposizioni regionali impugnate sono conformi al complesso delle norme statali di riferimento nel solco della giurisprudenza costante di questa Corte, secondo la quale le regole inerenti i regimi abilitativi degli impianti alimentati da fonti rinnovabili sono fissate, quali principi fondamentali della materia dell’energia, nel d.lgs. n. 28 del 2011 e nel d.lgs. n. 387 del 2003 e che devono essere rispettate dalle Regioni (ex plurimis, sentenze n. 106 del 2020, n. 286 del 2019, n. 69 del 2018 e n. 99 del 2012).

 

Questa Corte ha già avuto occasione di dichiarare la questione non fondata una volta accertato che «si tratta[va] chiaramente di una norma antielusiva, volta a impedire surrettizi “frazionamenti” degli impianti, finalizzati a rendere possibile l’autorizzazione semplificata (basata sul silenzio-assenso) in luogo dell’autorizzazione unica, con conseguente esclusione della valutazione di compatibilità ambientale» (sentenza n. 86 del 2019; così anche sentenza n. 286 del 2019). Similmente, nel caso odierno, non si riscontra la violazione dei principi fondamentali in materia di energia, poiché la normativa regionale è volta a far osservare tutti i limiti stabiliti a tal proposito dalla legge statale.

 

In considerazione di quanto sopra illustrato, dunque, la questione di costituzionalità dell’art. 11 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019 – per come prospettata nel ricorso e in considerazione delle norme applicabili ratione temporis – non è fondata.

 

Questa Corte deve rilevare, infine, che, dopo l’instaurazione di questo giudizio di costituzionalità e senza che sul punto si sia svolto contraddittorio fra le parti, la disciplina statale sulle procedure inerenti gli interventi di modifica di impianti di energia da fonti rinnovabili è mutata. Con l’adozione del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, infatti, per quanto qui interessa, dette procedure sono state ulteriormente semplificate. L’intervento sull’art. 5, comma 3, e l’introduzione dell’art. 6-bis del d.lgs. n. 28 del 2011 sono volti a facilitare l’ammodernamento degli impianti, per incentivare la massima diffusione possibile della produzione d’energia da fonti rinnovabili. Eventuali incompatibilità tra le normative regionali e la nuova legislazione di principio potranno essere rilevate nell’operare degli ordinari meccanismi di risoluzione delle antinomie.

 

4.4.– È, poi, impugnato l’art. 12 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019, concernente il rinnovo del titolo abilitativo all’esercizio degli impianti eolici e fotovoltaici. Esso imporrebbe condizioni per ottenere detto rinnovo, in assenza di simili indicazioni nella legislazione di principio in materia di energia – in particolare negli artt. 4 e 6 del d.lgs. n. 28 del 2011 e 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 – violando così l’art. 117, terzo comma, Cost.

 

L’art. 12 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019 stabilisce che: «1. Al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 8, il rinnovo dell’autorizzazione di un impianto esistente, per una durata pari a quella autorizzata dal titolo abilitativo originario, può essere disposto a condizione che si preveda l’esecuzione di uno degli interventi di cui all’articolo 11 e: a) per gli impianti eolici, la riduzione del numero di aereogeneratori pari ad almeno il 40 per cento del totale degli aereogeneratori precedentemente installati; b) per gli impianti fotovoltaici, la riduzione della superficie radiante pari ad almeno il 15 per cento della superficie radiante precedentemente installata o la riduzione della superficie destinata all’installazione dell’impianto fotovoltaico pari ad almeno il 15 per cento di quella precedentemente occupata». Il medesimo articolo, ai commi successivi, descrive dettagliatamente il procedimento che occorre seguire per ottenere il rinnovo e gli oneri che gravano a tali fini sugli operatori.

 

4.5.– La censura coglie nel segno, non potendosi ritenere che l’art. 12 impugnato rispetti i principi fondamentali della materia fissati dalla legge statale.

 

La disciplina delle procedure per il conferimento del titolo abilitativo non pone, infatti, condizioni ulteriori o specifiche al fine dell’ottenimento del rinnovo di detto titolo. La tesi della Regione – secondo cui il legislatore pugliese avrebbe rispettato canoni di proporzionalità e adeguatezza nel prevedere due possibilità alternative per gli operatori del settore interessati al rinnovo: per chi avesse rispettato le condizioni di cui al comma 1 dell’art. 12, vi sarebbe l’opportunità di accedere a una procedura semplificata; per chi non fosse in grado di rispettare tali condizioni, residuerebbe la possibilità di ottenere il rinnovo attraverso le ordinarie, ma più gravose, procedure abilitative previste nelle leggi statali – non può essere condivisa.

 

Intanto, la tesi contrasta col dato positivo: il testo dell’articolo impugnato è chiaro nel prescrivere che il rinnovo dell’autorizzazione di un impianto esistente «può essere disposto a condizione che» si operino modifiche agli impianti secondo le indicazioni ivi presenti. Nella relazione illustrativa del progetto di legge regionale è, difatti, scritto che una delle principali novità recate dalla legge impugnata risiede proprio nella fissazione di condizioni per il rinnovo degli impianti che porteranno a un migliore inserimento degli stessi nel paesaggio e nel contesto naturale, grazie alla riduzione delle installazioni e delle superfici occupate.

 

Comunque sia, il compito della semplificazione delle procedure riguardanti i titoli abilitativi in questa materia non spetta al legislatore regionale, come questa Corte ha affermato più volte. È infatti lo Stato che, in attuazione della normativa europea, ha il compito di dettare norme ispirate «alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità» (sentenza n. 106 del 2020), al fine di favorire gli investimenti nel settore (in tal senso, sentenze n. 86 del 2019 e n. 177 del 2018).

 

Per altro verso, questa Corte ha anche precisato che «[i]l contrasto con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili si fa ancora più radicale» quando gli aggravi procedurali previsti dalla legge regionale «possono giungere fino al punto di impedire del tutto la costruzione e l’esercizio degli impianti» (sentenza n. 286 del 2019). L’Avvocatura generale dello Stato correttamente rileva che sarebbe illegittimo «far derivare dal diverso impatto ambientale degli impianti esistenti conseguenze in materia di rinnovo del titolo abilitativo»: il mancato rispetto delle condizioni prescritte dall’art. 12 può determinare l’impossibilità di ottenere il rinnovo del titolo e, dunque, l’impossibilità di proseguire l’attività di produzione d’energia eolica o fotovoltaica. Questa Corte, con affermazione generale, ha già stabilito che «il margine di intervento riconosciuto al legislatore regionale non permette che le Regioni prescrivano limiti generali, perché ciò contrasterebbe con il principio fondamentale di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, stabilito dal legislatore statale in conformità alla normativa dell’Unione europea» (sentenza n. 148 del 2019).

 

La questione è, conseguentemente, fondata, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

 

5.– Infine, è impugnato l’art. 16 della legge pugliese, che «rimanda alla Giunta regionale la definizione, tra l’altro, di termini per i procedimenti di cui al Capo II che ha ad oggetto i regimi della Procedura abilitativa semplificata (PAS) e dell’Autorizzazione Unica (AU)», e che, ad avviso del ricorrente, sarebbe incostituzionale «per analoghe ragioni» rispetto a quelle in precedenza esposte per sostenere l’illegittimità degli artt. 11 e 12.

 

5.1.– In primo luogo, l’impugnazione dell’art. 16 deve intendersi rivolta al solo comma 1, lettera a), in assenza di qualsivoglia riferimento, da parte del ricorrente, al resto dei contenuti dell’articolo.

 

5.2.– In secondo luogo, la questione dell’art. 16, comma 1, lettera a), deve dichiararsi inammissibile per insufficiente motivazione della censura.

 

La doglianza è infatti condensata in due righe, che richiamano per relationem i parametri che si assumevano violati nella questione precedentemente promossa. La modalità assertiva con cui è motivato il contrasto tra l’art. 16, comma 1, lettera a), della legge regionale e i principi fondamentali in materia di produzione dell’energia rende, altresì, oscura la censura, non comprendendosi le ragioni per cui si abbia interesse a impugnare tale passaggio normativo e non anche gli altri contenuti dell’articolo.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della legge della Regione Puglia 23 luglio 2019, n. 34 (Norme in materia di promozione dell’utilizzo di idrogeno e disposizioni concernenti il rinnovo degli impianti esistenti di produzione di energia elettrica da fonte eolica e per conversione fotovoltaica della fonte solare e disposizioni urgenti in materia di edilizia);

 

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019;

 

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, lettera a), della legge reg. Puglia n. 34 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 4 e 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) e all’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

 

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 6, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

 

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Puglia n. 34 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione all’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 28 del 2011, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2020.

 

F.to:

 

Mario Rosario MORELLI, Presidente

 

Franco MODUGNO, Redattore

 

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

 

Depositata in Cancelleria il 2 dicembre 2020.