Sentenza n. 93 del 2019

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SENTENZA N. 93

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 dicembre 2017, n. 17 (Legge collegata alla manovra di bilancio provinciale 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 26 febbraio-2 marzo 2018, depositato in cancelleria il 2 marzo 2018, iscritto al n. 19 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;

udito nella udienza pubblica del 19 febbraio 2019 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Provincia autonoma di Trento.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 26 febbraio-2 marzo 2018, e depositato il 2 marzo 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso in via principale impugnando l’art. 28, comma 5, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 dicembre 2017, n. 17 (Legge collegata alla manovra di bilancio provinciale 2018).

A parere del ricorrente, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 5 e 117, secondo comma, lettere s) ed m), della Costituzione – in riferimento agli artt. 7-bis, comma 8, e 27-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (d’ora in poi, anche: cod. ambiente) – con il principio di leale collaborazione e con l’art. 97 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto per il Trentino-Alto Adige).

1.1.– La disposizione impugnata inserisce un comma 01 nell’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Trento 17 settembre 2013, n. 19, recante «Disciplina provinciale della valutazione dell’impatto ambientale. Modificazioni della legislazione in materia di ambiente e territorio e della legge provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie)», il quale stabilisce che – in attesa dell’esito dell’impugnativa dell’art. 22 del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n.114), promossa dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso alla Corte costituzionale iscritto al n. 68 del registro ricorsi 2017 – «i rinvii agli allegati III e IV alla parte II del decreto legislativo n. 152 del 2006 contenuti [nel medesimo art. 3] s’intendono riferiti al testo vigente il 20 luglio 2017».

La disposizione censurata, osserva il ricorrente, richiama espressamente, dunque, il ricorso proposto dalla Provincia autonoma contro l’art. 22 del d.lgs. n. 104 del 2017, in vigore dal 21 luglio 2017, con il quale sono stati modificati, tra gli altri, gli Allegati II, III e IV ed introdotto il nuovo Allegato II-bis alla parte seconda del cod. ambiente, modificando il riparto delle competenze tra Stato e Regioni e Province autonome in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di verifica di assoggettabilità a VIA. I rinvii ai sopra richiamati Allegati III e IV si intendono riferiti – in base alla disposizione impugnata – al testo vigente prima della riforma introdotta dal d.lgs. n. 104 del 2017.

1.2.– La norma censurata si porrebbe anzitutto in contrasto, a parere del ricorrente, con l’art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale circoscrive, entro ambiti precisi e limitati, la possibilità che le Regioni e le Province autonome esercitino la propria potestà legislativa in materia di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA.

Tale difformità di disciplina, osserva il ricorrente, si tradurrebbe in una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., considerato che la disciplina della VIA rientra univocamente nella competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema: è evocata, sul punto, la giurisprudenza costituzionale, che ha ribadito tali principi anche con riferimento alle autonomie speciali.

Alle Regioni e alle Province autonome compete solo adottare norme di tutela ambientale più elevata, nell’esercizio delle competenze costituzionali che vengano a contatto con la materia dell’ambiente, stante la natura “trasversale” della stessa.

1.3.– Quanto, poi, alla disciplina del procedimento amministrativo, deve rilevarsi – osserva ancora il ricorrente – che il legislatore statale dispone di un ulteriore titolo di intervento esclusivo, rappresentato dalla competenza a dettare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, a norma dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.: livelli che vincolano anche i legislatori regionali.

La circostanza che la Provincia autonoma avesse già disciplinato la materia, nel quadro normativo anteriore alla riforma introdotta dal d.lgs. n. 104 del 2017, non escludeva certo il potere dello Stato di introdurre, in attuazione della direttiva europea, regole procedimentali con effetto vincolante per tutto il territorio nazionale. Pur rilevando, al riguardo, che gli spazi di intervento delle Regioni e delle Province autonome in materia di VIA e di assoggettabilità a VIA sono stati circoscritti, ma non eliminati del tutto: e di ciò, se ne sottolinea la portata.

La disposizione oggetto di censura violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. anche sotto altro profilo, evocandosi, come norma interposta, l’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dal d.lgs. n. 104 del 2017, introduttivo del provvedimento unico regionale, nel quale deve confluire anche la valutazione di impatto ambientale. Previsione, questa, destinata a ottenere importanti effetti di semplificazione amministrativa e, quindi, volta a stabilire – come affermato dalla giurisprudenza costituzionale in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) – un livello essenziale di prestazioni.

La norma provinciale impugnata, dunque, essendo destinata a impedire l’applicazione sul territorio provinciale anche del citato e novellato art. 27-bis cod. ambiente, determinerebbe la lesione dell’indicato parametro costituzionale.

1.4.– Sarebbero infine violati, inoltre, l’art. 5 Cost. e l’art. 97 dello statuto speciale di autonomia. La disposizione impugnata, infatti, avendo portata meramente «demolitoria» e di «reazione» alle norme statali, determinerebbe, secondo il ricorrente, da un lato, l’elusione del giudizio di costituzionalità azionato dalla medesima Provincia autonoma con il ricorso menzionato nella stessa disposizione censurata; e, dall’altro, violerebbe il principio di unità giuridica della Repubblica di cui all’art. 5 Cost., nonché il principio di leale collaborazione, «nella misura in cui è diretta, appunto, a sottrarre alle procedure costituzionalmente previste la risoluzione dei “conflitti legislativi”».

2.– Nel giudizio si è costituita la Provincia autonoma di Trento, chiedendo dichiararsi inammissibili o, comunque sia, infondate le questioni di legittimità costituzionale proposte dal ricorrente.

2.1.– Osserva la Provincia autonoma che la disposizione censurata sarebbe di interpretazione autentica di altra disposizione provinciale – l’art. 3 della legge prov. n. 19 del 2013 – e sarebbe funzionale a stabilire che il richiamo agli Allegati III e IV alla parte seconda del cod. ambiente compiuto dalla disposizione “interpretata” deve intendersi quale rinvio materiale o recettizio e non come rinvio mobile. Il senso complessivo della disposizione censurata sarebbe, pertanto, quello di confermare la vigenza della precedente legislazione provinciale.

Il mancato adeguamento al d.lgs. n. 104 del 2017 non potrebbe, in quanto tale, essere considerato come incompatibile con il principio di unità dello Stato. Infatti, in base all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concerti il rapporto tra atti legislativi statale e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), il Governo può impugnare le disposizioni regionali e provinciali che non si siano adeguate alla legislazione statale costituente limite: l’inapplicabilità del d.lgs. 104 del 2017, pertanto, non sarebbe «un effetto determinato dal legislatore provinciale, bensì un effetto direttamente determinato dal dispositivo di adeguamento di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992».

Il meccanismo dell’adeguamento, osserva la Provincia resistente, vale pacificamente anche per la materia ambientale, allorché siano in gioco competenze provinciali, come emergerebbe dal fatto che quel meccanismo è stato in concreto attivato dal Governo prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione e come trasparirebbe dalla sentenza di questa Corte n. 212 del 2017.

Accanto a ciò, si sottolinea l’importanza di assicurare la certezza del diritto e la stabilità dei rapporti normativi. Scopo della norma impugnata sarebbe, infatti, quello di evitare che l’eventuale declaratoria di illegittimità della norma interposta si riverberi sull’azione amministrativa nel frattempo intrapresa e, soprattutto, evitare incertezze sulla natura del rinvio (fisso o mobile) enunciato nella disposizione provinciale del 2013.

La Provincia resistente richiama, poi, la sentenza di questa Corte n. 496 del 1993, in tema di termini per l’adeguamento delle norme provinciali a quelle statali limitatrici, in caso queste ultime siano poste con decreto-legge: dal principio allora stabilito, in base al quale l’obbligo di adeguamento decorre dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione, deriverebbe la compatibilità con il principio di unità dell’ordinamento della scelta del legislatore provinciale di attendere l’esito del giudizio di costituzionalità sul contenzioso promosso dalla stessa Provincia autonoma, prima di procedere all’adeguamento dell’ordinamento provinciale alle norme statali sopravvenute e contestate.

2.2.– Ciò premesso, la Provincia confuta le singole censure proposte dal ricorrente.

2.2.1.– Quanto alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., se ne contesta il fondamento alla luce delle varie competenze statutarie di cui agli artt. 8 e 9 dello statuto speciale e alla stregua di quanto previsto dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), in base al quale le disposizioni contenute nel nuovo Titolo V della Costituzione si applicano alle autonomie speciali solo nel caso in cui prevedano forme maggiori di autonomia.

Si osserva, al riguardo, come la Provincia autonoma di Trento avesse già nel passato provveduto a disciplinare anche la valutazione di impatto ambientale nell’esercizio delle proprie potestà statutarie, fino agli interventi operati con la legge prov. n. 19 del 2013. Sarebbe inammissibile, pertanto, l’evocazione del parametro costituzionale in luogo di quello statutario, come d’altra parte questa Corte avrebbe riconosciuto nella sentenza n. 212 del 2017 e in altre precedenti decisioni.

Ugualmente impropria sarebbe l’evocazione dell’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente, in quanto tale previsione non è in grado di modificare il riparto di competenze derivanti dallo statuto, giacché, altrimenti, sarebbe esso stesso incostituzionale.

Si sottolinea, poi, che la norma interposta riguarda la conformazione della disciplina “sostanziale” dei procedimenti di VIA di competenza regionale o provinciale, mentre la norma impugnata si limita ad individuare i procedimenti di competenza della Provincia: dal che deriverebbe la non pertinenza del parametro evocato.

2.2.2.– Sarebbe inammissibile, altresì, la dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni che sarebbero determinati dall’art. 27-bis cod. ambiente, in quanto tale ultima disposizione si occupa del procedimento autorizzatorio unico, mentre la norma provinciale impugnata non regola né menziona tale procedimento.

Inoltre, per un verso, il parametro invocato non può fungere da limite per le competenze statutarie della Provincia autonoma, stante il disposto del già ricordato art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, e, per un altro, non ogni norma che semplifica procedimenti può ritenersi stabilire un livello essenziale di prestazioni concernenti i diritti civili o sociali.

2.2.3.– Non fondate sarebbero, poi, le dedotte lesioni degli artt. 5 Cost. e 97 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige.

La pretesa violazione di quest’ultimo sarebbe, innanzitutto, inammissibile, in quanto il ricorso non chiarisce la interferenza tra il parametro dedotto e l’oggetto della doglianza, posto che la disposizione statutaria si limita a regolare l’impugnazione del Governo contro le leggi della Regione e delle Province autonome, ma non si vede come l’esercizio di un siffatto potere sarebbe stato impedito dalla disposizione censurata. Ove il ricorrente avesse inteso lamentare l’elusione, da parte della Provincia autonoma, del controllo di legittimità costituzionale sulle leggi statali e gli atti equiparati, il parametro pertinente sarebbe stato l’art. 98 del medesimo statuto, che regola per l’appunto l’impugnativa di tali atti normativi. Tuttavia, la ripetuta menzione dell’art. 97 nonché la sua espressa riproduzione nel ricorso impedirebbero di ritenere si sia di fronte a un errore materiale.

Egualmente inammissibile sarebbe la pretesa violazione del principio di leale collaborazione, non essendo tale parametro pertinente rispetto all’esercizio della funzione legislativa.

La censura relativa alla violazione dell’art. 5 Cost. risulterebbe, in ogni caso, non fondata, poiché il caso di specie sarebbe diverso da quelli decisi con le sentenze n. 199 e n. 198 del 2004 di questa Corte.

La disposizione impugnata non sarebbe affatto una «legge di reazione» o «meramente demolitoria», poiché, come già osservato, avrebbe carattere interpretativo e, semmai, confermativo della vigente disciplina provinciale e, inoltre, non inciderebbe sull’efficacia della normativa statale. Inoltre, la norma costituirebbe un «aspetto di regolazione sostanziale di una materia», che potrà in ipotesi censurarsi «per eccesso dalla competenza materiale», ma non può essere denunciato come «modo arbitrario di risoluzione unilaterale e diretto di un conflitto tra atti legislativi».

3.– La Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria in data 12 novembre 2018, a precisazione e integrazione di quanto già dedotto.

3.1.– Rileva la resistente che la disposizione impugnata «non tocca né il significato né l’efficacia di alcuna normativa statale», ma si limita a chiarire che la previgente normativa provinciale «non costituisce di per sé un meccanismo di automatico recepimento» delle eventuali modifiche apportate agli Allegati al cod. ambiente cui la stessa rinvia. La norma impugnata, pertanto, non influisce sulle modalità di applicazione del d.lgs. n. 104 del 2017, né può determinare se quest’ultimo può trovare applicazione nella Provincia autonoma di Trento immediatamente o secondo il procedimento di cui allo statuto e alle relative norme di attuazione: essa – si ribadisce – vuole soltanto evitare che il rinvio alla normativa statale di cui alla legge provinciale in materia di VIA possa ritenersi funzionale a integrare nella disciplina provinciale qualsivoglia modifica decisa dal legislatore statale.

Il ricorso statale, secondo questa prospettazione, attribuirebbe pertanto alla disposizione impugnata un significato errato, il che renderebbe altresì non pertinenti i singoli profili di censura.

3.2.– Con riguardo a questi ultimi, ad ogni modo, la Provincia autonoma adduce ulteriori considerazioni.

3.2.1.– È ribadita, anzitutto, l’inammissibilità, e comunque sia l’infondatezza, della censura per violazione dell’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente.

La normativa statutaria e di attuazione, difatti, affida senz’altro alla Provincia resistente competenze in materia di VIA, sicché il fondamento di queste ultime non potrebbe trovarsi nella «tutela dell’ambiente» o nella norma interposta ma, appunto, nelle disposizioni dello statuto speciale e nelle relative disposizioni attuative (vengono richiamati, in particolare, l’art. 19-bis del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche», l’art. 1-bis, comma 3, del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di energia», nonché l’art. 13 dello statuto, come novellato dall’art. 1, comma 833, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020»). Non si potrebbe negare, pertanto, che la Provincia ha sempre esercitato la potestà legislativa in materia di VIA come competenza propria, nel rispetto dei limiti derivanti dallo statuto.

3.2.2.– Viene novamente eccepita l’inammissibilità, e in subordine l’infondatezza, della censura che evoca a parametro l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in relazione all’art. 27-bis cod. ambiente, sulla base dei medesimi argomenti già spesi nell’atto di costituzione.

3.2.3.– La Provincia autonoma, infine, ribadita l’inammissibilità della censura per violazione dell’art. 97 dello statuto, insiste anche per l’infondatezza delle questioni in riferimento all’art. 5 Cost. e al principio di leale collaborazione.

La resistente osserva, infatti, che il ricorso statale, come già rilevato nella medesima memoria, muove da un erroneo presupposto interpretativo, «non atteggiandosi la norma impugnata a strumento per reagire alla asserita incostituzionale [recte: incostituzionalità] di una legge statale». Inoltre, l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 considera come «normale e fisiologica» un’attività di recezione non automatica della legislazione statale condizionante quella provinciale. Recezione non automatica che caratterizzerebbe il complesso delle autonomie regionali, in virtù dell’art. 10 della legge 10 febbraio 1953, n. 62 (Costituzione e funzionamento degli organi regionali), sicché «non può certo dirsi che l’unità dell’ordinamento richieda invariabilmente la prevalenza diretta ed autoapplicativa della legge statale su quella regionale o provinciale». Neppure potrebbe farsi leva sul principio di leale collaborazione per imporre alla Provincia un meccanismo automatico di adattamento alla normativa statale, per di più dissonante con la richiamata normativa di attuazione statutaria, sol perché nella previgente legge provinciale era presente una disposizione che poteva interpretarsi come norma di recepimento automatico.

4.– In data 13 novembre 2018, anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

4.1.– Ribadite le argomentazioni proposte avverso l’impugnazione, da parte della Provincia autonoma, del d.lgs. n. 104 del 2017 con il ricorso n. 68 del 2017, il ricorrente reputa innanzitutto non fondata l’eccezione d’inammissibilità proposta dalla resistente.

La disciplina della VIA, proprio perché riconducibile a materia di competenza esclusiva statale, prevarrebbe sulle competenze regionali e provinciali, sicché queste ultime in tale ambito troverebbero i soli margini di autonomia previsti dagli artt. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017 e dall’art. 7-bis cod. ambiente, introdotto dall’art. 5, comma 1, del medesimo decreto legislativo. Ciò varrebbe, alla luce della giurisprudenza costituzionale, anche per le Regioni a statuto speciale, perché il titolo a intervenire in materia di VIA sarebbe tutto nella legge statale, non anche in norme costituzionali o statutarie.

La difformità dell’impugnata disposizione provinciale rispetto all’art. 7-bis cod. ambiente si tradurrebbe, pertanto, in violazione senz’altro dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

4.2.– Il ricorrente ribadisce, poi, che quanto alla disciplina del procedimento amministrativo il legislatore statale troverebbe titolo di intervento esclusivo anche nella competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., come avrebbe affermato questa Corte nella sentenza n. 203 del 2012.

Questo essendo il quadro normativo, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che la previgente disciplina in materia di VIA, ad opera della Provincia autonoma, non può considerarsi circostanza atta a negare la possibilità per lo Stato di legiferare sul punto, dettando regole procedimentali vincolanti su tutto il territorio nazionale.

Ciò peraltro, a parere del ricorrente, avrebbe ridimensionato ma non azzerato gli spazi di autonomia del legislatore provinciale, atteso quanto dispone il già richiamato art. 7-bis cod. ambiente.

4.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, ribadisce come appaia evidente anche la violazione degli artt. 5 Cost. e 97 dello statuto di autonomia, dovendosi ritenere invece infondata la relativa eccezione d’inammissibilità, perché chiaro sarebbe il senso complessivo della censura.

La giurisprudenza costituzionale, infatti, avrebbe già chiarito che l’esercizio delle competenze legislative da parte dello Stato e delle Regioni deve contribuire «a produrre un unitario ordinamento giuridico»: la dialettica tra i diversi livelli legislativi deve eventualmente trovare soluzione per mezzo del promovimento delle questioni di costituzionalità davanti alla Corte, mentre è esclusa la possibilità di adoperare la propria potestà legislativa per rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge statale (si richiamano le sentenze n. 199 e n. 198 del 2004).

A dispetto di quanto affermato dalla Provincia autonoma, la norma impugnata intenderebbe, per un verso, eludere il giudizio di costituzionalità azionato dalla stessa Provincia avverso il d.lgs. n. 104 del 2017, violando le norme che presiedono il giudizio di legittimità costituzionale in via principale; per un altro, sottrarre il conflitto legislativo alle procedure costituzionalmente previste, così violando il principio di unità giuridica della Repubblica e quello di leale collaborazione.

5.– In prossimità dell’udienza pubblica, la Provincia autonoma di Trento ha depositato un’ulteriore memoria, nella quale ha ribadito le proprie conclusioni circa l’inammissibilità e, comunque sia, l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri, contestando la fondatezza delle deduzioni svolte dal ricorrente nella memoria del 13 novembre 2018 e tenendo conto di quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 198 del 2018, intervenuta medio tempore, la quale ha deciso, tra gli altri, il richiamato ricorso n. 68 del 2017.

5.1.– La Provincia resistente, anzitutto, novamente sottolinea di disporre di competenze proprie anche in materia di VIA, evocando, in proposito, quanto prevede l’art. 13, primo comma, secondo periodo dello statuto di autonomia, il quale stabilisce che è la legge provinciale a disciplinare, in tema di demanio idrico e di grandi derivazioni idroelettriche, anche «le modalità di valutazione degli aspetti paesaggistici e di impatto ambientale, determinando le conseguenti misure di compensazione ambientale e territoriale, anche a carattere finanziario».

A livello di norme di attuazione, si richiama l’art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974, il quale prevede l’applicazione della disciplina provinciale in materia di VIA alle funzioni delegate dallo Stato in tema di opere pubbliche; confermando, quindi, che la disciplina provinciale trova applicazione anche in merito alle valutazioni ambientali che accedono a funzioni proprie della Provincia.

Competenze, quelle accennate, sempre riconosciute dalla giurisprudenza costituzionale (si richiamano le sentenze n. 273 del 1998 e n. 145 del 2013) e valorizzate anche nella sentenza n. 198 del 2018. Si osserva, al riguardo, che la normativa statale dettata dal codice dell’ambiente costituirebbe «non già il fondamento, ma un limite alla competenza legislativa statutaria delle due Province autonome»; sicché il ricorso non coglierebbe nel segno laddove parametra l’eccesso di competenza asseritamente realizzato dalla normativa provinciale a quanto disposto dall’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente e non a quanto previsto dalle norme statutarie e di attuazione dello statuto.

Inoltre, la legislazione statale in materia ambientale sarebbe opponibile alla potestà legislativa delle Province autonome solo ove, e nella misura in cui, essa concretizzasse i limiti previsti dallo statuto, mentre non può vincolare l’autonomia legislativa provinciale in base ai titoli di competenza esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., considerata la clausola di maggior favore prevista dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Tali rilievi sarebbero stati confermati dalla sentenza n. 198 del 2018, in quanto la Corte avrebbe ribadito che la materia della VIA rientra nella competenza statale in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la quale postula una protezione uniforme e non frazionabile del bene ambiente, ma ha puntualizzato, pure, che l’ambito materiale deve essere ulteriormente specificato per gli enti ad autonomia differenziata, dal momento che detta competenza esclusiva statale «deve essere necessariamente contemperata con lo spazio di autonomia spettante in virtù dello statuto speciale».

Il bilanciamento tra non frazionabilità della tutela ambientale e le competenze statutarie deve dunque tener conto dei limiti costituzionali contrassegnati dalle grandi riforme economico-sociali e da quelli derivanti dagli obblighi internazionali: limiti entro i quali si iscrive, secondo la sentenza n. 198 del 2018, l’ambito delineato dal d.lgs. n. 104 del 2017.

Come norme di grande riforma economico-sociale, pertanto, quelle dettate dal citato decreto si incrociano con le correlative competenze provinciali e in tali limiti la richiamata sentenza di questa Corte ne giustifica la cogenza anche nei confronti della Provincia resistente. Una vincolatività – sottolinea la memoria – che viene affermata «in forza di un limite sulla materia provinciale e non in ragione di un limite di materia».

Ciò sarebbe dimostrato dal dispositivo della citata sentenza, laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui le relative previsioni non prevedono o si discostano dalla disciplina dettata dal d.lgs. n. 266 del 1992 e dal meccanismo di adeguamento della legislazione provinciale ai limiti derivanti dalla normativa statale.

Un meccanismo di adeguamento, quello riconosciuto dalla Corte, che dovrebbe valere anche per le altre norme del d.lgs. n. 104 del 2017 – artt. 5, 22, commi 1, 2, 3 e 4, 26, comma 1, lettera a) – che, nel rinviare ai nuovi Allegati, hanno modificato l’assetto delle competenze in materia di VIA, dovendosi anch’esse qualificare come norme di riforma economico-sociale idonee a limitare le competenze statutarie delle Province autonome.

Risulterebbe da ciò, dunque, l’infondatezza della premessa da cui muove il ricorso, basata sull’assunto che la Provincia sarebbe priva di un titolo statutario di competenza.

5.2.– Alla luce di tale complessivo quadro normativo, la resistente ribadisce innanzitutto l’inammissibilità della censura fondata sull’art. 117, secondo comma, lettera s), in quanto il ricorso non prospetta una violazione dei limiti statutari, ma una violazione della competenza statale esclusiva. Viene poi osservato che la pretesa difformità della disciplina provinciale, rispetto al codice dell’ambiente, doveva, semmai, essere fatta valere in sede di mancato adeguamento e, dunque, con ricorso successivo alla scadenza del termine semestrale previsto dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

5.3.– Viene ribadita anche la dedotta inammissibilità della censura relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera m), per contrasto con l’art. 27-bis cod. ambiente.

Nella sentenza n. 198 del 2018, infatti, tale prospettiva non sarebbe stata accolta, in quanto la disposizione è stata ricondotta alla tutela dell’ambiente e, per le Regioni speciali e le Province autonome, «alle norme di grande riforma».

Si tratterebbe, comunque sia, di un parametro non conferente, in quanto la norma provinciale impugnata non regola in alcun modo il provvedimento autorizzatorio unico.

5.4.– Viene ribadita anche l’inammissibilità delle censure riferite all’art. 97 dello statuto e al principio di leale collaborazione, nonché l’infondatezza di quella prospettata in relazione all’art. 5 Cost.

Pur tenendo conto, infatti, delle osservazioni svolte dal ricorrente nella memoria, il riferimento all’art. 97 dello statuto risulterebbe del tutto oscuro, così come in termini del tutto generici sarebbe stato evocato il principio di leale collaborazione.

Quanto alla lamentata violazione dell’art. 5 Cost., si rinnova l’osservazione secondo la quale la disposizione impugnata avrebbe una portata meramente interpretativa, volta a evitare che il richiamo agli Allegati III e IV alla parte seconda del codice dell’ambiente fosse inteso quale rinvio mobile; il che troverebbe conferma nel fatto che quegli allegati si riferiscono ai progetti di competenza regionale e provinciale.

Così intesa, la legge provinciale non metterebbe in discussione la normativa statale, la cui efficacia rimane quella sua propria, secondo i rapporti tra fonti statali e provinciali per come determinati dalle disposizioni statutarie e dalle relative norme di attuazione. La non immediata efficacia del d.lgs. n. 104 del 2017, dunque, non deriverebbe dalla norma impugnata ma dal richiamato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e, conseguentemente, non vi sarebbe alcuna compromissione dell’unità dell’ordinamento giuridico né violazione del principio di leale collaborazione.

6.– Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato, in prossimità dell’udienza pubblica, un’ulteriore memoria, nella quale ha insistito sulle conclusioni già rassegnate nel ricorso.

6.1.– Nel rievocare il contenuto della sentenza n. 198 del 2018, si sottolinea che questa Corte ha dichiarato non fondate le censure rivolte al d.lgs. 104 del 2017, in quanto la disciplina statale, oltre a impingere nella materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, è riconducibile a due limiti previsti da tutti gli statuti delle autonomie speciali, rappresentati dalle norme statali di riforma economico-sociale e dagli obblighi internazionali: ciò che confermerebbe la fondatezza degli argomenti spesi nel ricorso e nella successiva memoria.

6.2.– Quanto alle due declaratorie di illegittimità costituzionale contenute nella richiamata sentenza n. 198 del 2018, si tratterebbe di declaratorie che non incidono sull’assetto delle competenze «come delineato con chiarezza nella sentenza stessa», ma che sono destinate esclusivamente a salvaguardare le prerogative delle Province autonome in ordine alle modalità e ai tempi di adeguamento dei propri ordinamenti alla nuova disciplina statale.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 28, comma 5, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 dicembre 2017, n. 17 (Legge collegata alla manovra di bilancio provinciale 2018).

La disposizione censurata inserisce un comma 01 all’art. 3 della legge della Provincia autonoma di Trento 17 settembre 2013, n. 19, recante «Disciplina provinciale della valutazione dell’impatto ambientale. Modificazioni della legislazione in materia di ambiente e territorio e della legge provinciale 15 maggio 2013, n. 9 (Ulteriori interventi a sostegno del sistema economico e delle famiglie)», il quale dispone che – in attesa dell’esito del ricorso, promosso davanti a questa Corte dalla stessa Provincia autonoma di Trento e iscritto al n. 68 del registro ricorsi 2017, avverso l’art. 22 del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n.114) – i rinvii agli Allegati III e IV alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (d’ora in poi, anche: cod. ambiente), contenuti nel medesimo art. 3 della legge prov. n. 19 del 2013, devono intendersi riferiti al testo degli Allegati precedente la modifica operata dal citato d.lgs. n. 104 del 2017.

Il Presidente del Consiglio dei ministri reputa tale disposizione in contrasto, innanzitutto, con l’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione: poiché la disciplina della valutazione d’impatto ambientale (VIA) – e in particolar modo il riparto di competenze tra Stato e Regioni e Province autonome, cui si riferiscono i suddetti Allegati – rientrerebbe, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, le Regioni e le Province autonome possono esercitare la loro competenza legislativa entro gli ambiti precisi e limitati delineati dall’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente.

Vertendosi in ambito di disciplina del procedimento amministrativo, lo Stato vanterebbe anche un ulteriore titolo di intervento esclusivo, rappresentato dalla competenza, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., a dettare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. La norma impugnata sarebbe lesiva di tale parametro costituzionale, in particolare, perché sarebbe volta a impedire l’applicazione sul territorio provinciale dell’art. 27-bis cod. ambiente, che prevede il provvedimento autorizzatorio unico regionale.

Il ricorrente, infine, reputa violati anche l’art. 5 Cost. e l’art. 97 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto per il Trentino-Alto Adige). La norma impugnata, infatti, avrebbe portata di «reazione» alle norme statali e in tal modo vorrebbe sottrarre la risoluzione dei conflitti legislativi alle procedure costituzionalmente previste, eludendo inoltre il giudizio di costituzionalità azionato dalla stessa Provincia.

2.– Seguendo l’ordine delle questioni di legittimità costituzionale proposte dal Presidente del Consiglio dei ministri, va innanzitutto scrutinata quella in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

3.– Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione d’inammissibilità della Provincia autonoma di Trento, per avere il ricorrente evocato a parametro la competenza esclusiva statale nella materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, in luogo dei conferenti parametri statutari.

3.1.– Questa Corte, successivamente alla proposizione dell’odierno ricorso, con la sentenza n. 198 del 2018, ha affermato che la materia su cui insiste il d.lgs. n. 104 del 2017 deve essere ricondotta, in via prevalente, alla competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, poiché la normativa in tema di VIA rappresenta, «anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale».

Ha altresì precisato che, «sulla base […] del titolo di competenza legislativa nella materia “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali», il legislatore statale può dettare una disciplina condizionante le potestà legislative delle Regioni ad autonomia differenziata e delle Province autonome, poiché tutti gli statuti speciali «annoverano, tra i limiti alle competenze statutariamente previste, le norme statali di riforma economico-sociale e gli obblighi internazionali».

Ciò premesso, ha osservato che l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, il quale ha introdotto il richiamato art. 7-bis cod. ambiente, e gli artt. 22 e 26 del medesimo d.lgs. n. 104 del 2017 sono il «“cuore”» della riforma, poiché sono le disposizioni «che – in attuazione degli obiettivi […] di “semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale” e di “rafforzamento della qualità della procedura di valutazione di impatto ambientale” – determinano un tendenziale allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali, assegnando allo Stato l’apprezzamento dell’impatto sulla tutela dell’ambiente dei progetti reputati più significativi e, così, evitando la polverizzazione e differenziazione delle competenze che caratterizzava il previgente sistema». L’unitarietà e l’allocazione in capo allo Stato delle procedure relative a progetti di maggior impatto ambientale ha risposto, pertanto, «ad una esigenza di razionalizzazione e standardizzazione funzionale all’incremento della qualità della risposta ai diversi interessi coinvolti, con il correlato obiettivo di realizzare un elevato livello di protezione del bene ambientale». È proprio in ragione del loro essere «nucleo essenziale della riforma» che, poi, tali disposizioni sono state qualificate come norme fondamentali di riforma economico-sociale.

3.2.– L’odierno ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri si fonda sull’assunto che, a seguito dell’adozione del d.lgs. n. 104 del 2017, l’art. 7-bis, comma 8, cod. ambiente circoscrive, entro ambiti precisi e limitati, la possibilità che le Regioni e le Province autonome esercitino la propria potestà legislativa in materia di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA: ciò perché il parametro interposto è ascrivibile alla competenza esclusiva statale nella materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.

Si tratta di un presupposto interpretativo che, alla luce di quanto affermato nella richiamata sentenza n. 198 del 2018, è parzialmente erroneo. Come si è visto, il citato art. 7-bis, comma 8, al pari della restante disciplina del cod. ambiente in materia di VIA, è sì da ricondurre alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela ambientale, ma la sua capacità di condizionare l’esercizio delle competenze legislative delle Regioni a statuto speciale deriva dalla sua qualificazione di norma di riforma economico-sociale.

Tale parziale erroneità del presupposto da cui muove il Presidente del Consiglio dei ministri, tuttavia, non vale a rendere inammissibile il ricorso, peraltro antecedente alla sentenza n. 198 del 2018. La disciplina recata dal cod. ambiente e, per quel che in questa sede maggiormente rileva, il suo art. 7-bis sono pur sempre stati adottati dallo Stato sulla base del titolo di competenza esclusiva nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», sicché l’esercizio della funzione legislativa da parte delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome può in ipotesi rivelarsi anche in diretto e frontale contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in tutti quei casi in cui la disciplina regionale o provinciale realizzi una vera e propria invasione della competenza statale, dettando una normativa che, prima ancora che lesiva dei parametri statutari dettanti il limite delle norme di riforma economico-sociale, pretenda di sostituirsi a quella posta dallo Stato.

Ciò, come ora si vedrà, è peraltro quanto accaduto nel caso di specie.

4.– La Provincia autonoma di Trento ha ampiamente sostenuto, tanto nell’atto di costituzione quanto nelle successive memorie, che la disposizione impugnata avrebbe natura interpretativa e sarebbe funzionale a stabilire che il rinvio agli Allegati III e IV alla parte seconda del cod. ambiente, di cui all’art. 3 della legge prov. n. 19 del 2013, deve intendersi quale rinvio recettizio e non quale rinvio mobile. L’intervento legislativo sarebbe stato necessario al fine di confermare la vigenza della precedente legislazione provinciale in materia di VIA e di evitare che il richiamato art. 3 della legge prov. n. 19 del 2013 potesse intendersi quale meccanismo di «automatico recepimento» delle modifiche apportate ai richiamati Allegati.

Così inquadrato, l’art. 28, comma 5, della legge prov. n. 17 del 2017 si sottrarrebbe alle censure di illegittimità costituzionale. L’inapplicabilità nell’ordinamento provinciale del d.lgs. n. 104 del 2017 non sarebbe determinata, infatti, da detta disposizione, ma dal peculiare meccanismo di adeguamento previsto dalla norma di attuazione statutaria di cui all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), in base al quale deve ritenersi «normale e fisiologica» un’attività di recezione non automatica della legislazione statale condizionante quella provinciale.

La tesi difensiva non può essere accolta.

4.1.– L’evocata disposizione di attuazione statutaria prevede che, in caso di adozione da parte dello Stato di principi e norme costituenti limiti, ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, alla potestà legislativa regionale e provinciale, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome hanno sei mesi di tempo (o il più ampio termine espressamente stabilito) per adeguarsi; pendente tale termine semestrale, restano applicabili le disposizioni regionali o provinciali preesistenti.

Come questa Corte ha già rilevato, «questo sistema comporta, non già l’immediata applicabilità delle ricordate norme statali nel territorio della Regione e delle Province, ma l’insorgere in capo a queste ultime, all’entrata in vigore di quelle disposizioni statali, di un obbligo di adeguamento della propria legislazione ai nuovi principi introdotti nell’ordinamento nazionale» (sentenza n. 172 del 1994).

Le disposizioni regionali o provinciali non adeguate possono essere impugnate dal Governo dinanzi a questa Corte, nei novanta giorni successivi alla decorrenza del termine. La loro mancata impugnazione, peraltro, non impedisce la proponibilità di questioni di legittimità costituzionale in via incidentale, poiché, per quanto la norma di attuazione statutaria intenda ulteriormente valorizzare l’autonomia speciale della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome, essa non attribuisce alcuna forza peculiare alla legge regionale o provinciale non impugnata in via principale (sentenze n. 147 del 1999 e n. 80 del 1996; in senso analogo, sentenza n. 380 del 1997).

4.1.1.– È fuor di dubbio che l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 delinei un sistema peculiare, che determina la «incostituzionalità sopravvenuta» (sentenze n. 147 del 1999, n. 380 del 1997 e n. 80 del 1996) delle norme regionali o provinciali che non siano state adeguate alla normativa statale una volta decorso il termine (il cui spirare, peraltro, ovviamente non impedisce alla Regione e alle Province di esercitare la funzione legislativa, adeguandosi alla normativa statale).

Tale sistema, tuttavia, opera se, e soltanto se, la legislazione regionale o provinciale vigente al momento dell’entrata in vigore della normativa statale, che ne costituisce il limite, si trovi effettivamente in contrasto con quest’ultima. È al ricorrere di questa circostanza che insorge in capo al legislatore regionale o provinciale l’obbligo di adeguare la propria normativa a quella sopravvenuta statale.

Altrimenti detto, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome godono, nel caso in cui la normativa preesistente non risulti già conforme, di un termine di sei mesi (o altro più ampio espressamente stabilito) per adempiere all’obbligo di adeguare la propria legislazione alla normativa statale sopravvenuta. Quando la normativa regionale o provinciale non necessita di adeguamento, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome non possono, neppure nell’arco del termine «di tolleranza» (sentenza n. 147 del 1999) di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, adottare norme che, modificando la preesistente normativa già conforme a quella statale sopravvenuta, si pongano illegittimamente in contrasto con quest’ultima.

4.2.– L’art. 3 della legge prov. n. 19 del 2013 – disposizione entro la quale la norma impugnata ha inserito un comma 01 – nell’indicare quali progetti sono sottoposti al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA e quali al procedimento di VIA fa espresso rinvio agli Allegati III e IV alla parte seconda del cod. ambiente.

Questa Corte ha già riconosciuto che l’effetto di incorporazione della norma richiamata nella norma richiamante (cosiddetto rinvio fisso) in tanto può aversi in quanto esso sia espressamente voluto dal legislatore o sia desumibile da elementi univoci e concludenti (sentenze n. 258 del 2014 e n. 80 del 2013). Nel caso di specie, la formulazione originaria della disposizione provinciale non presenta alcun elemento – né espresso né tacito – che possa portare a qualificare il richiamo degli Allegati al cod. ambiente quale rinvio recettizio e non, invece, quale rinvio mobile: con la conseguenza che, intervenuta la modifica di detti Allegati ad opera del d.lgs. n. 104 del 2017, nell’ordinamento trentino non era necessario provvedere all’adeguamento della legislazione provinciale, poiché quest’ultima – in virtù del carattere mobile del rinvio di cui all’art. 3 della legge prov. n. 19 del 2013 – era già conforme alla sopravvenuta normativa statale.

4.3.– Secondo la difesa della Provincia autonoma, il legislatore trentino, adottando la disposizione impugnata, avrebbe voluto espressamente qualificare come fisso il rinvio qui in esame, allo scopo di escludere l’automatica conformazione della normativa provinciale a quella statale sopravvenuta. Ciò anche al fine di rinviare l’obbligo di adeguamento ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 – in pretesa applicazione di un principio affermato con la sentenza n. 496 del 1993 – all’esito della pronuncia di questa Corte sul ricorso avverso il d.lgs. n. 104 del 2017, proposto dalla medesima Provincia (ricorso n. 68 del 2017).

Va rilevato, innanzitutto, che la sentenza n. 496 del 1993 è dalla resistente impropriamente evocata. Allora questa Corte riconobbe che il termine di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 decorre dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione del decreto-legge e non già dalla pubblicazione di quest’ultimo, in quanto i provvedimenti ex art. 77 Cost. sono provvisori e perdono efficacia sin dall’inizio in caso di mancata conversione, come espressamente prevede la norma costituzionale. È la naturale precarietà del decreto-legge, dunque, che impone di ritenere che il termine di cui alla norma di attuazione statutaria cominci a decorrere dal momento dell’avvenuta conversione. Non può invece certo considerarsi analogamente precario un decreto legislativo sol perché si dubiti della sua legittimità costituzionale e lo si sia ritualmente impugnato.

Deve osservarsi, poi, che, adottando la disposizione impugnata, il legislatore provinciale trentino non si è limitato a “interpretare” una previgente disposizione.

Per un verso, infatti, ha inteso eludere il meccanismo di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, non solo rinviando l’adeguamento dell’ordinamento provinciale alla normativa statale sopravvenuta a un dies incerto nel quando (ancorato com’è alla decisione di questa Corte sul ricorso n. 68 del 2017), ma adottando una disposizione che, con l’intervento sull’art. 3 della legge prov. n. 19 del 2013, ha fatto sì che quest’ultimo, previamente conforme alla sopravvenuta normativa statale, diventasse contrastante con le modifiche apportate al cod. ambiente (in specie, agli Allegati III e IV alla sua parte seconda) ad opera del d.lgs. n. 104 del 2017.

Per un altro verso, e decisivamente, ha finito per invadere direttamente la potestà legislativa esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.: affermando espressamente che i rinvii di cui all’art. 3 della legge prov. n. 19 del 2013 dovevano intendersi riferiti al testo degli Allegati vigente il 20 luglio 2017, la disposizione impugnata non ha fatto altro che stabilire che la disciplina provinciale in tema di VIA si applicasse anche a progetti che, all’indomani della riforma operata con il d.lgs. n. 104 del 2017, non erano più di competenza della Provincia autonoma ma dello Stato. In tal modo, il legislatore trentino ha preteso stabilire unilateralmente quali progetti è competente a sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilità a VIA, quando invece – come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 198 del 2018 – rientra nella competenza esclusiva statale nella materia “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” l’individuazione, in tale ambito, dei criteri di riparto delle competenze tra Stato, Regioni e Province autonome.

D’altra parte, che la pretesa del legislatore provinciale fosse quella or ora delineata emerge con chiarezza dai lavori preparatori della legge prov. n. 17 del 2017. Nella relazione illustrativa della Giunta provinciale, infatti, esplicitamente si afferma che la disposizione impugnata persegue la finalità «di mantenere in capo alla Provincia la competenza in ordine alle tipologie progettuali già attribuite nel regime previgente rispetto al decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104».

Deve essere, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5, della legge della Provincia autonoma di Trento n. 17 del 2017, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

5.– La declaratoria d’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata determina l’assorbimento delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale e, con esse, delle relative eccezioni d’inammissibilità proposte dalla Provincia autonoma di Trento.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 5, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 dicembre 2017, n. 17 (Legge collegata alla manovra di bilancio provinciale 2018).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 febbraio 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2019.