Sentenza n. 80 del 1996

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SENTENZA N.80

ANNO 1996

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Avv. Mauro FERRI, Presidente

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

-     Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

-     Prof. Valerio ONIDA

-     Prof. Carlo MEZZANOTTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, della legge della Provincia di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10 (Espropriazioni per causa di pubblica utilità per tutte le materie di competenza provinciale) promosso con ordinanza emessa il 25 luglio 1995 dalla Corte di appello di Trento nel procedimento civile vertente tra Martinoli Sirina e Provincia autonoma di Bolzano, iscritta al n. 653 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1995.

Visto l'atto di costituzione della Provincia di Bolzano;

udito nella udienza pubblica del 6 febbraio 1996 il Giudice relatore Renato Granata;

uditi gli avv.ti Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia di Bolzano.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 25 luglio 1995 - emessa in un giudizio di opposizione alla stima dell'indennizzo espropriativo di un suolo edificatorio, effettuata in applicazione dell'art.8, comma 1, della legge della Provincia di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10 - l'adita Corte di appello di Trento ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale della norma suddetta, per contrasto con gli artt. 3, 5, 42 della Costituzione, 4 e 8 dello statuto del Trentino Alto Adige, in relazione all'art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n.333, inserito in sede di conversione dalla legge statale 8 agosto 1992, n.359.

Secondo il giudice a quo il criterio indennitario, per l'espropriazione di aree fabbricabili, stabilito dalla disposizione provinciale denunciata [in relazione al "giusto prezzo che ... avrebbe avuto l'immobile in una libera contrattazione di compravendita ridotto del 25%"] sarebbe infatti ora incompatibile con la ben più restrittiva disciplina statuale - basata sul criterio della semisomma del valore venale e di quello dominicale ex artt. 24 e ss. d.P.R. n. 917 del 1986, con ulteriore riduzione del 40% - introdotta dal citato art. 5-bis anche al fine di recuperare alla collettività il plusvalore del fondo espropriato, frutto di investimenti economici pubblici e di favorevoli valenze dell'assetto urbanistico.

E tale incompatibilità - non rimossa dalla Provincia nel termine (6 mesi) e con il procedimento all'uopo previsto dall'art. 2 della nuova normativa di attuazione dello statuto di autonomia - determinerebbe appunto l'incostituzionalità sopravvenuta, in riferimento ai parametri suindicati, della disposizione impugnata, per contrasto con normativa di grande riforma economico-sociale, quale quella sub art. 5-bis cit., di obbligatoria osservanza anche per le regioni e le provincie autonome titolari, in materia, di competenza legislativa primaria: come confermato dalla recente sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 1995 (di cui chiede in sostanza il giudice a quo di fare applicazione anche nella fattispecie), che ha dichiarato l'incostituzionalità di disposizioni legislative della Regione siciliana sulla determinazione della indennità di esproprio di suoli edificatori per (sopravvenuta) incompatibilità, appunto, con lo ius superveniens nazionale.

2. - Nel giudizio innanzi alla Corte, si è costituito il Presidente della Provincia di Bolzano che, in linea pregiudiziale, ha eccepito l'inammissibilità dell'odierna impugnativa incidentale per l'effetto preclusivo, a suo avviso, discendente dalla mancata proposizione dell'impugnativa principale, nel quadro del meccanismo di adeguamento della legge provinciale previsto dall'art. 2 del d. lgs. 16 marzo 1992, n. 266, di attuazione dello statuto di autonomia.

Ha dedotto inoltre, in via subordinata, l'infondatezza nel merito della questione sollevata sul rilievo che la legge provinciale in discussione - con il previsto abbattimento del 25% del valore venale dell'area espropriata ai fini della determinazione del correlativo indennizzo - avrebbe di fatto anticipato [risultando così in sintonia e non già in contrasto con] il nucleo centrale della riforma economico-sociale introdotta dalla sopravvenuta legge statale 8 agosto 1992, n. 359, a suo avviso rappresentato dallo sganciamento della predetta indennità dal valore venale integrale del fondo ablato, con ripudio del criterio di cui al previgente art. 39 della legge n. 2359 del 1865.

Ha eccepito, infine, in sede di discussione orale, un ulteriore profilo di inammissibilità per irrilevanza della questione nel processo a quo, sul rilievo che la vicenda espropriativa si sarebbe, nella specie, conclusa prima della entrata in vigore della citata legge n. 359 del 1992.

Considerato in diritto

1. - Viene denunciato, dalla Corte di appello di Trento, l'art. 8, comma 1, della legge della Provincia di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10 - che assume a parametro di determinazione dell'indennizzo espropriativo il valore venale del bene con un abbattimento del 25% - dubitandosi che detta norma sia divenuta costituzionalmente illegittima, in riferimento agli artt. 3, 5, 42 della Costituzione, oltreché 4 e 8 dello statuto di autonomia, per contrasto con la sopravvenuta normativa statuale di grande riforma di cui all'art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, inserito in sede di conversione dalla legge n. 359 del 1992 - che introduce una ben più riduttiva disciplina di liquidazione di quell'indennizzo - alla quale la Provincia non si è spontaneamente "adeguata" ai sensi e nel termine di cui all'art. 2 delle norme di attuazione dello statuto (d. lgs. n. 266 del 1992).

2. - Vanno preliminarmente respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla Provincia.

2.1. - La prima eccezione ha riguardo - come in narrativa detto - proprio al riferito meccanismo di adeguamento della legge provinciale di cui all'art.2 delle norme di attuazione dello statuto di autonomia "concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali ...".

La succitata disposizione - nel prevedere testualmente che "... la legislazione regionale e provinciale deve essere adeguata ai principi e limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e recati da atto legislativo dello Stato entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell'atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale ..." e che, decorso il termine di cui sopra, "le disposizioni non adeguate ... possono essere impugnate davanti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 97 dello statuto, per violazione di esso ... entro 90 giorni" - effettivamente si ispira (come non a torto sottolineato quindi dalla Provincia) a ragioni di ulteriore valorizzazione della autonomia speciale degli indicati enti territoriali attraverso la sostituzione del meccanismo caducatorio sub art. 10 della legge n. 62 del 1953 con un ricorso principale di nuovo tipo (ma riconducibile alla previsione della richiamata norma statutaria e quindi fruente di quella copertura costituzionale) proponibile, per incostituzionalità sopravvenuta, solo in esito al decorso di un termine di tolleranza all'interno del quale è consentito all'ente interessato di "adeguare" spontaneamente la propria legislazione, continuandosi nel frattempo ad applicare le disposizioni previgenti.

Ma ciò che dal meccanismo istituzionale così congegnato non è consentito inferire è proprio il corollario cui la Provincia, viceversa, lega la prima eccezione di inammissibilità e cioè - come conclusivamente essa afferma - che ove il Presidente del Consiglio dei ministri non abbia (come nella specie) impugnato in termini la legge [regionale o] provinciale "non adeguata", resterebbe preclusa la prospettabilità di questioni incidentali nei riguardi della legge medesima, "dovendo il giudice ordinario restare fuori da questo dialogo istituzionale".

Una tesi del genere - che si risolverebbe nella attribuzione di una vis rinforzata alla legge provinciale (o regionale) non impugnata in via principale - è stata, in realtà, pur prospettata nel corso dei lavori della Commissione paritetica per la redazione delle norme di attuazione di cui all'art. 107 dello statuto (vedi verbale della seduta 13 marzo 1991), ma ad essa fu prontamente ed esattamente replicato che l'abolizione del controllo diffuso dei giudici comuni, oltre a sopprimere una garanzia, si sarebbe posta irrimediabilmente in contrasto con il dettato costituzionale.

E non a caso quindi nel testo finale dell'art. 2 in esame si trova ribadito che "si applicano altresì la legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87", vale a dire le disposizioni che appunto prevedono e disciplinano l'incidente di costituzionalità.

La questione odierna deve considerarsi per ciò ritualmente sollevata.

2.2. - Del pari va respinta anche la successiva eccezione di irrilevanza alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte per cui non può rimettersi, in questa fase, in discussione il giudizio di rilevanza quando esso risulti - come nella specie - non implausibilmente motivato dal giudice a quo.

3. - Nel merito la questione è fondata.

Il carattere di legge statale di grande riforma è già stato riconosciuto all'art. 5-bis introdotto dalla legge n. 359 del 1992, che ha ridefinito il criterio di liquidazione dell'indennizzo espropriativo (anche al fine di recuperare alla collettività il plusvalore del fondo espropriato), sia (implicitamente) dalla sentenza n. 283 del 16 giugno 1993 - con cui sono state, tra l'altro, respinte plurime censure di incostituzionalità formulate avverso la norma medesima - sia (esplicitamente) dalla successiva pronunzia n. 153 dell'8 maggio 1995 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di leggi regionali siciliane proprio per la ragione che il criterio indennitario ivi stabilito non più rispondeva a quello introdotto dalla "norma fondamentale" del citato art. 5-bis.

La stessa Provincia di Bolzano, in definitiva, non contesta una tale valenza della richiamata disciplina statuale, ma - individuandone il nucleo centrale nel disancoraggio della misura dell'indennizzo espropriativo da quella del valore venale del bene espropriato - ne desume l'inesistenza di un effettivo contrasto tra detta legge e la precedente propria normativa che, con la prevista decurtazione del 25%, avrebbe anticipatamente attuato un analogo sganciamento della indennità in questione dal prezzo di mercato dei suoli.

Un tale rilievo non può però condividersi, perché basato su una interpretazione arbitrariamente riduttiva, e per ciò errata, della norma di riforma.

Questa infatti - a differenza dalla disposizione provinciale in comparazione - non si limita a prevedere un mero indice di abbattimento del valore venale. Essa, invece, introduce un differente e più complesso sistema di determinazione dell'indennità, risultante dalla concorrenza di più fattori complementari, e quindi non un mero correttivo del precedente criterio ma un altro criterio, nella conformazione del quale è proprio la combinazione prescelta tra i vari elementi (positivi e negativi) del meccanismo liquidatorio che é, nel suo complesso, coessenziale all'obiettivo perseguito dal legislatore statale di determinare l'indennizzo espropriativo in misura particolarmente contenuta nella attuale congiuntura economica.

Il denunziato art. 8, comma 1, della legge provinciale 15 aprile 1991 n. 10 - recante un criterio indennitario molto più oneroso per l'amministrazione e comunque notevolmente difforme da quello introdotto dall'art. 5-bis inserito dalla sopravvenuta legge n. 359 del 1992 - risulta pertanto in contrasto con gli artt. 4 e 8 dello statuto speciale di autonomia che impongono alla legislazione regionale e provinciale, anche primaria od esclusiva, il rispetto del limite della normativa statuale di riforma economico-sociale. E per la violazione appunto dei predetti parametri statutari (assorbita rimanendo ogni altra censura) la norma medesima va dichiarata quindi costituzionalmente illegittima in parte qua.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 1, della legge della Provincia di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10 (Espropriazioni per causa di pubblica utilità per tutte le materie di competenza provinciale), nella parte in cui determina l'indennità di espropriazione con criterio non adeguato a quello stabilito dall'art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 inserito dalla legge statale 8 agosto 1992, n. 359.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1996.

Mauro FERRI, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 19 marzo 1996.