Sentenza n. 272 del 2020

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SENTENZA N. 272

 

ANNO 2020

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente: Giancarlo CORAGGIO;

 

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, e, in via consequenziale, 3, 4 e 5 della legge della Regione Marche 18 settembre 2019, n. 29 (Criteri localizzativi degli impianti di combustione dei rifiuti e del CSS), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25-28 novembre 2019, depositato in cancelleria il 3 dicembre 2019, ed iscritto al n. 112 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;

 

udito nella udienza pubblica del 18 novembre 2020 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

 

uditi l’avvocato dello Stato Giovanni Palatiello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Marche;

 

deliberato nella camera di consiglio del 18 novembre 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ricorso notificato il 25 novembre 2019 e depositato il successivo 3 dicembre (reg. ric. n. 112 del 2019) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Marche 18 settembre 2019, n. 29 (Criteri localizzativi degli impianti di combustione dei rifiuti e del CSS), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 136 della Costituzione.

 

L’art. 1 impugnato «definisce i criteri per l’individuazione dei luoghi idonei ad accogliere gli impianti di combustione del combustibile solido secondario (CSS) e quelli rientranti nelle tipologie di cui ai punti 1 e 10 dell’Allegato 2, Suballegato 1 (Norme tecniche per l’utilizzazione dei rifiuti non pericolosi come combustibili o come altro mezzo per produrre energia), del decreto del Ministero dell’Ambiente 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22)».

 

L’impugnato art. 2 prevede a tal fine che «[g]li impianti di cui all’articolo 1 devono essere ubicati ad una distanza minima di 5 chilometri dai centri abitati, come definiti dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) e da funzioni sensibili» (comma 1), e che «[l]a distanza dai centri abitati di cui al comma 1 va considerata dal perimetro esterno delle zone residenziali consolidate, di completamento e di espansione come individuate dagli strumenti urbanistici» (comma 2).

 

Il ricorrente osserva che, con la sentenza n. 142 del 2019, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Marche 28 giugno 2018, n. 22 (Modifica alla legge regionale 12 ottobre 2009, n. 24 “Disciplina regionale in materia di gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”), che escludeva la collocazione, sul territorio regionale, di impianti di gestione dei rifiuti mediante combustione.

 

Ne conseguirebbe che le norme regionali impugnate sarebbero lesive dell’art. 136 Cost., poiché, eludendo il giudicato costituzionale, perseguirebbero un obbiettivo corrispondente.

 

In secondo luogo, vi sarebbe la lesione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

 

Premesso che la normativa sui rifiuti appartiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, il ricorrente osserva che gli artt. 195, comma 1, lettera p), e 196, comma 1, lettere n) e o) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) consentono alla Regione, sulla base dei criteri generali dettati dalla normativa statale, di definire criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti.

 

Le norme regionali impugnate, viceversa, vietano l’installazione degli impianti a 5 chilometri di distanza dai centri abitati e da «funzioni sensibili», ovvero, aggiunge il ricorrente, da «strutture scolastiche, asili, ospedali, case di riposo e case circondariali».

 

In tal modo, anziché un criterio di localizzazione coerente con la normativa statale, si sarebbe introdotta una illegittima limitazione alla localizzazione, che non permetterebbe né di identificare con certezza le aree interdette, né di individuare in positivo le aree idonee. Mancherebbe, inoltre, a causa del carattere legale del divieto, la «concreta istruttoria tecnica preordinata all’equo contemperamento degli interessi coinvolti».

 

Il ricorrente auspica, infine, che gli artt. 3, 4 e 5 della legge regionale impugnata siano dichiarati incostituzionali in via consequenziale, in quanto privi di autonomia rispetto alle disposizioni censurate.

 

2.– Si è costituita in giudizio in data 3 gennaio 2020 la Regione Marche, chiedendo che le questioni promosse con il ricorso siano dichiarate inammissibili, e comunque infondate.

 

La Regione eccepisce anzitutto l’inammissibilità del ricorso, nella parte relativa all’art. 1 impugnato, posto che la delibera del Consiglio dei ministri di autorizzazione alla proposizione del ricorso non lo menziona tra le disposizioni da censurare.

 

Inoltre, sarebbe inammissibile, per analoga ragione, la censura basata sull’art. 136 Cost., a sua volta non indicato nella suddetta delibera.

 

Quanto all’art. 2, impugnato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la difesa regionale sostiene anzitutto che la sola norma statale pertinente, tra quelle richiamate dall’Avvocatura, sarebbe l’art. 196, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 152 del 2006 (d’ora in avanti cod. ambiente) cod. ambiente, perché gli artt. 195, comma 1, lettera p), e 196, comma 1, lettera o), del medesimo d.lgs., avrebbero per oggetto i soli “impianti di smaltimento”, mentre gli impianti regolati dalle norme regionali impugnate sarebbero “di recupero”, in base alla classificazione recata dall’art. 35, comma 4, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive) convertito, con modificazioni, nella legge n. 164 del 2014.

 

Ciò premesso, la difesa regionale conclude che l’art. 2 impugnato abbia provveduto a definire i criteri ai quali le Province dovranno attenersi per la individuazione delle aree non idonee, per l’appunto in esecuzione di quanto demandato alla Regione dall’art. 196, comma 1, lettera n), del cod. ambiente.

 

La questione sarebbe perciò manifestamente infondata.

 

3.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica, le parti hanno depositato memorie.

 

3.1.– L’Avvocatura generale sottolinea che l’impugnato art. 1 della legge reg. Marche n. 19 del 2019 impugnata è strettamente connesso all’art. 2, sicché deve ritenersi che il Consiglio dei ministri abbia autorizzato la proposizione del ricorso, anche quanto alla prima di tali disposizioni.

 

Parimenti, la relazione allegata alla delibera del Consiglio dei ministri reca la sottolineatura che le disposizioni regionali impugnate sono state introdotte “surrettiziamente”, per riproporre la disciplina già dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 142 del 2019.

 

Pertanto, la questione relativa all’art. 136 Cost. sarebbe ammissibile.

 

Nel merito, la difesa statale ribadisce che agli “impianti di recupero”, da considerare parte dell’insieme costituito dagli “impianti di smaltimento”, si applicano le norme relative a questi ultimi, e tra queste gli artt. 195, comma 1, lettera p), e 196, comma 1, lettera o), del cod. ambiente.

 

3.2.– La Regione Marche, a sua volta, ha insistito sulle conclusioni già rassegnate.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Marche 18 settembre 2019, n. 29 (Criteri localizzativi degli impianti di combustione dei rifiuti e del CSS), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 136 della Costituzione.

 

Con la legge regionale impugnata il legislatore marchigiano ha inteso esercitare la competenza attribuita alla Regione dall’art. 196, comma 1, lettera n), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), quanto alla definizione dei criteri per l’individuazione, da parte delle Province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti.

 

In particolare, con riguardo alla tipologia di impianti individuata dall’impugnato art. 1, l’art. 2 seguente ne vieta l’ubicazione ad una distanza inferiore a 5 chilometri dai centri abitati, nonché dai luoghi ove siano esercitate “funzioni sensibili”.

 

Il ricorrente deduce che tali disposizioni ledano l’art. 136 Cost., perché con esse il legislatore regionale avrebbe riprodotto norme già dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 142 del 2019.

 

Con tale pronuncia, in particolare, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Marche 28 giugno 2018, n. 22 (Modifica alla legge regionale 12 ottobre 2009, n. 24 “Disciplina regionale in materia di gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati”), che escludeva la collocazione, sull’intero territorio regionale, di impianti di gestione dei rifiuti mediante combustione.

 

Inoltre, sarebbe violata la competenza legislativa statale esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), alla quale va pacificamente ricondotta la disciplina dei rifiuti (ex plurimis, sentenza n. 289 del 2019), per due profili distinti.

 

In primo luogo, somministrando alle Province, con la legge regionale impugnata, i criteri per individuare le aree non idonee ad accogliere gli impianti, sarebbe stato eluso l’obbligo, formulato dalla normativa statale, di valutare «in concreto» i luoghi, «in sede procedimentale», e sarebbe perciò mancata una adeguata «istruttoria tecnica preordinata all’equo contemperamento degli interessi coinvolti».

 

In secondo luogo, il divieto di localizzazione prescelto sarebbe carente quanto alla parallela necessità di selezionare le aree invece idonee e, in ogni caso, non previsto dalla normativa statale. Esso si rivelerebbe, perciò, un illegittimo limite alla localizzazione, anziché un criterio di localizzazione.

 

2.– La Regione Marche, nel costituirsi in giudizio, ha eccepito l’inammissibilità delle questioni concernenti l’art. 1 impugnato, poiché esso non è indicato tra le disposizioni di cui il Consiglio dei ministri ha autorizzato l’impugnativa.

 

L’eccezione è fondata, perché questa Corte ha costantemente affermato che la questione proposta in via principale, rispetto alla quale difetti la necessaria piena corrispondenza tra il ricorso e la delibera del Consiglio dei ministri che l’ha autorizzato, è inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 199 del 2020, n. 83 del 2018, n. 152 del 2017, n. 265 e n. 239 del 2016).

 

3.– La resistente ha anche eccepito l’inammissibilità delle questioni (artt. 1 e 2) basata sulla violazione dell’art. 136 Cost., perché neppure tale parametro sarebbe stato indicato nella delibera del Consiglio dei ministri.

 

L’eccezione è infondata.

 

La delibera di autorizzazione alla proposizione del ricorso rinvia, infatti, alla relazione del Ministro per gli affari regionali, ove si osserva che «[l]a disposizione regionale in esame, surrettiziamente, ripropone dunque il medesimo divieto generalizzato già censurato» con la sentenza n. 142 del 2019.

 

Benché l’art. 136 Cost. non sia espressamente menzionato, è evidente la volontà dell’organo politico, titolare del potere di impugnativa, di porre a questa Corte, a mezzo della intermediazione tecnica dell’Avvocatura generale, la questione di costituzionalità concernente la violazione del giudicato costituzionale.

 

In presenza di tale volontà, questa Corte ha già affermato che «spetta alla parte ricorrente “la più puntuale indicazione dei parametri del giudizio”, giacché la discrezionalità della difesa tecnica ben può integrare una solo parziale individuazione dei motivi di censura […]» (sentenza n. 128 del 2018).

 

4.– Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 impugnato, in riferimento all’art. 136 Cost., non è fondata.

 

La violazione del giudicato costituzionale si ha ogni qual volta una disposizione di legge intende mantenere in vita o ripristinare, sia pure indirettamente, gli effetti della struttura normativa che aveva formato oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale (da ultimo, sentenza n. 256 del 2020).

 

Con la sentenza n. 142 del 2019 è stata dichiarata costituzionalmente illegittima la scelta del legislatore marchigiano di impedire sull’intero territorio regionale qualsiasi forma di combustione del combustibile solido secondario, dei rifiuti o dei materiali e sostanze derivanti dal trattamento dei rifiuti medesimi.

 

La disposizione oggi impugnata, viceversa, prescrive criteri di localizzazione degli impianti di trattamento, sul presupposto che sia venuto meno il divieto assoluto colpito dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale.

 

Essa, pertanto, non lede il giudicato costituzionale.

 

5.– La questione di costituzionalità dell’art. 2 impugnato, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., è fondata.

 

Il ricorrente ha anzitutto sostenuto che, nell’ambito di una materia assegnata alla competenza legislativa esclusiva statale, la Regione non avrebbe potuto fissare nella forma della legge regionale i criteri di individuazione delle aree non idonee all’installazione degli impianti, perché, invece, sarebbe stato necessario pronunciarsi all’esito di un procedimento amministrativo.

 

Questa Corte ha recentemente affermato che il procedimento amministrativo costituisce il luogo elettivo di composizione degli interessi, in quanto «“[è] nella sede procedimentale […] che può e deve avvenire la valutazione sincronica degli interessi pubblici coinvolti e meritevoli di tutela, a confronto sia con l’interesse del soggetto privato operatore economico, sia ancora (e non da ultimo) con ulteriori interessi di cui sono titolari singoli cittadini e comunità, e che trovano nei princìpi costituzionali la loro previsione e tutela. La struttura del procedimento amministrativo, infatti, rende possibili l’emersione di tali interessi, la loro adeguata prospettazione, nonché la pubblicità e la trasparenza della loro valutazione, in attuazione dei princìpi di cui all’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241[…]: efficacia, imparzialità, pubblicità e trasparenza. Viene in tal modo garantita, in primo luogo, l’imparzialità della scelta, alla stregua dell’art. 97 Cost., ma poi anche il perseguimento, nel modo più adeguato ed efficace, dell’interesse primario, in attuazione del principio del buon andamento dell’amministrazione, di cui allo stesso art. 97 Cost. (sentenza n. 69 del 2018)”» (sentenza n. 116 del 2020).

 

Si è aggiunto che «se la materia, per la stessa conformazione che il legislatore le ha dato, si presenta con caratteristiche tali da enfatizzare il rispetto di regole che trovano la loro naturale applicazione nel procedimento amministrativo, ciò deve essere tenuto in conto nel vagliare sotto il profilo della ragionevolezza la successiva scelta legislativa, pur tipicamente discrezionale, di un intervento normativo diretto» (sentenza n. 116 del 2020).

 

Tali asserzioni di carattere generale trovano una speculare corrispondenza nella prerogativa, propria del legislatore statale nelle materie affidate alla sua competenza legislativa esclusiva, di vincolare la Regione ad esercitare in forma procedimentale l’attività amministrativa che la normativa statale abbia allocato a livello regionale, precludendo il ricorso alla funzione legislativa (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2019, n. 66 del 2018 e n. 20 del 2012).

 

6.– Con riferimento al procedimento di localizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti tale principio ha già trovato reiterate conferme nella giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 142, n. 129 e n. 28 del 2019).

 

L’art. 199, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 (d’ora in avanti cod. ambiente) disciplina i piani regionali di gestione dei rifiuti, attribuendo loro un contenuto in parte eventuale, in parte necessario.

 

Entro quest’ultimo si colloca proprio la specificazione dei «criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, nonché per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti» (art. 199, comma 3, lettera l, del cod. ambiente).

 

È perciò il suddetto piano la sede che il legislatore competente ha scelto, al fine di ponderare i complessi interessi coinvolti dalla decisione, all’esito di un procedimento amministrativo aperto alla partecipazione del pubblico, e nel quale sono sentiti gli enti locali e le Autorità d’ambito.

 

Sul punto, l’art. 199, comma 1, del cod. ambiente è infatti esplicito nel prevedere che «[l]’approvazione dei piani regionali avviene tramite atto amministrativo».

 

7.– Va aggiunto che un simile indirizzo legislativo rappresenta un coerente sviluppo delle premesse formulate con l’individuazione degli obiettivi che il piano si prefigge, e con l’ulteriore contenuto che esso assume.

 

L’attività di pianificazione è per propria natura devoluta a realizzare una trama unitaria nell’assetto del territorio, ove confluiscono i più vari, e talvolta divergenti, interessi che la legge persegue. Sempre più presente nell’ordinamento, e tipica dell’attività amministrativa, è perciò l’esigenza di raggiungere un punto di sintesi, adottando scelte non frazionate, ma sensibili al contesto di pianificazione al quale vengono a sovrapporsi.

 

L’art. 199, comma 5, del cod. ambiente, stabilendo che «il piano regionale di gestione dei rifiuti è coordinato con gli altri strumenti di pianificazione di competenza regionale previsti dalla normativa vigente» persegue proprio tale scopo. Ad esso la disposizione regionale impugnata viceversa si sottrae, ricorrendo ad un divieto di localizzazione insensibile alla concomitante pianificazione regionale, oltre che frutto di una scelta lontana da ogni concreto apprezzamento in ordine alla conformazione del territorio marchigiano.

 

È invece necessario che il citato piano adatti i criteri di esclusione di certe porzioni di territorio alla effettiva conformazione dello stesso, fuggendo divieti astratti che, anche in quanto formulati senza una visione sinottica della pianificazione, rischiano di tradursi in un forte ostacolo alla (se non persino nella impossibilità di), realizzazione degli impianti, con conseguente illegittimità costituzionale (sentenze n. 154 del 2016 e n. 285 del 2013).

 

Tali profili sono già di per sé sufficienti per concludere nel senso della fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge reg. Marche n. 29 del 2019 in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Non vi è perciò la necessità di soffermarsi sulle ulteriori ragioni di illegittimità denunciate dal ricorrente, con riguardo al medesimo parametro costituzionale.

 

8.– A seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’impugnato art. 2, l’intero testo della legge reg. Marche n. 29 del 2019, esclusivamente riferita al divieto di localizzazione ora dichiarato incostituzionale, è divenuto privo di ogni significato giuridico.

 

Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) va perciò dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale degli artt. 1, 3, 4 e 5 della legge reg. Marche n. 29 del 2019.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Marche 18 settembre 2019, n. 29 (Criteri localizzativi degli impianti di combustione dei rifiuti e del CSS);

 

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, 3, 4 e 5 della legge reg. Marche n. 29 del 2019;

 

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Marche n. 29 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe;

 

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Marche n. 29 del 2019, promossa, in riferimento all’art. 136 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2020.

 

F.to:

 

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

 

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

 

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

 

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2020.