SENTENZA N.
20
ANNO 2012
Commenti alla decisione di
I. Quirino Camerlengo, Legge
o atto amministrativo? La Corte costituzionale e il calendario venatorio,
per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali
II. Claudio Chiola, La
legge – provvedimento sul calendario venatorio, per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
-
-
- Luigi MAZZELLA ”
-
-
-
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio
di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e 5, comma
1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39 (Norme per la definizione del calendario venatorio
regionale per la stagione venatoria 2010/2011), promosso dal Presidente del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11-14 ottobre 2010, depositato
in cancelleria il 19 ottobre 2010 ed iscritto al n. 110 del registro ricorsi
2010.
Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;
udito nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2011 il Giudice
relatore Giorgio Lattanzi;
uditi l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l’avvocato Federico Tedeschini per
Ritenuto in fatto
1.− Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con
ricorso notificato l’11 ottobre 2010 (reg. ric. n. 110 del 2010), ha promosso
questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi 2 e 3, e
5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39 (Norme per
la definizione del calendario venatorio regionale per la stagione venatoria
2010/2011), in riferimento all’art. 117, primo e secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Le norme impugnate, intervenendo a
regolamentare il calendario venatorio e taluni profili dell’attività di caccia
nelle zone a protezione speciale, lederebbero la competenza esclusiva dello
Stato in materia di tutela dell’ambiente, confliggendo altresì con il diritto
dell’Unione europea.
1.1.− La prima censura riguarda la
disciplina del calendario venatorio contenuta negli artt. 1 e 2 della legge
impugnata, che secondo il ricorrente sarebbero in contrasto con l’art. 18,
commi 2 e 4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), espressivo della
competenza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
L’art. 18, comma 2, stabilisce, infatti,
che le Regioni possono modificare il calendario venatorio, con riferimento
all’elenco delle specie cacciabili e al periodo in cui è consentita la caccia,
indicati dal precedente comma 1, per mezzo di un procedimento che contempla
l’acquisizione del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica (nelle
cui competenze oggi è subentrato
l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale - ISPRA).
L’art. 18, comma 4, stabilisce, poi,
che, sulla base del suindicato parere, le Regioni pubblicano, entro il 15
giugno di ogni anno, «il calendario regionale ed il regolamento relativi
all’intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito dai commi 1, 2 e
3».
Il ricorrente ritiene che dalle indicate
disposizioni statali si evinca che il procedimento deve concludersi con
l’adozione di un provvedimento amministrativo e non, come è avvenuto nel caso
di specie, con una legge.
Questa conclusione sarebbe avvalorata
dalle seguenti considerazioni.
L’endiadi utilizzata dal legislatore
all’art. 18, comma 4, secondo cui le Regioni hanno l’obbligo di pubblicare «il
calendario regionale ed il regolamento relativi all’intera annata venatoria»,
dovrebbe intendersi come riferita a un unico atto di natura regolamentare,
contenente le specifiche norme applicabili nel territorio regionale durante il
periodo venatorio preso in considerazione.
Il carattere temporaneo (annuale) del
provvedimento indicato dall’art. 18 si concilierebbe con l’adozione solo di un
atto amministrativo e non anche di una legge.
Il previsto obbligo di acquisizione del
parere dell’ISPRA avrebbe senso solo se la Regione, dopo averlo valutato, se ne
potesse discostare con una congrua motivazione e, dunque, adottando un
provvedimento amministrativo. Diversamente il parere si tradurrebbe in un
inutile, e non previsto, controllo preventivo di legittimità della legge
regionale. Il parere, nel caso di specie, è stato negativo.
Infine il ricorrente osserva che «il
ricorso allo strumento legislativo serve anche a precludere ai cittadini e alle
loro organizzazioni rappresentative la possibilità di tutelare i propri
interessi legittimi dinanzi al competente giudice amministrativo».
1.2.− La seconda censura riguarda
l’art. 2, commi 10 e 12, e l’art. 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo
n. 39 del 2010, nella parte in cui prevedono l’acquisizione del parere
dell’Osservatorio faunistico regionale (OFR), ovvero – ove questo non sia
ancora costituito – dell’ISPRA, al fine di ridurre la caccia a determinate
specie per periodi determinati, di anticipare sino alla prima domenica di
settembre l’apertura della caccia ad alcune specie nella forma
dell’appostamento fisso e temporaneo e di disciplinare per alcuni periodi
l’esercizio della caccia alla fauna migratoria.
Tali diposizioni si porrebbero in
contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle prescrizioni contenute nell’art. 18,
commi 2 e 6, della legge n. 157 del 1992, i quali prevedono che la modifica dei
termini entro i quali è possibile cacciare determinate specie e la fauna
selvatica migratoria può avvenire, in ragione delle diverse realtà
territoriali, previa acquisizione obbligatoria del parere dell’Istituto
nazionale per la fauna selvatica (oggi ISPRA).
Diversamente, le norme regionali
impugnate sottopongono le indicate modifiche all’acquisizione di un parere da
parte dell’OFR, che è un ente della Regione.
1.3.− Una terza censura investe
l’art. 3, commi 2 e 3, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010.
Il ricorrente ritiene che tali norme
siano in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione alle prescrizioni poste nel decreto
ministeriale 17 ottobre 2007 (Criteri minimi uniformi per la definizione di
misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione, ZSC, e a
Zone di protezione speciale, ZPS), che contiene i criteri minimi uniformi che
le Regioni hanno l’obbligo di rispettare nel disciplinare l’attività venatoria
nelle Zone speciali di conservazione (ZSC) e nelle Zone di protezione speciale
(ZPS).
In particolare, l’art. 3, comma 2,
consente l’attività venatoria nella Zona di protezione speciale Monti Simbruini e nella Zona di protezione speciale denominata
«ZPS ex Parco», nel mese di gennaio di ciascun anno, per ciascuna delle specie
indicate nell’art. 2, commi 3, 4, 5, 6 e 7, e per due giornate alla settimana,
fatta eccezione della caccia agli ungulati, e, secondo il ricorrente,
l’esercizio dell’attività venatoria sarebbe
consentito anche nelle modalità di «appostamento ed in forma vagante con
l’ausilio del cane», in violazione della normativa statale.
Questa modalità infatti è prevista
dall’art. 1, comma 2, della legge impugnata, ma non anche dall’art. 5, comma 1,
lettera a), del d.m.
17 ottobre 2007, che consente l’attività venatoria nelle indicate zone protette
nel mese di gennaio, se esercitata nelle forme dell’«appostamento fisso e
temporaneo e in forma vagante», senza però prevedere l’ausilio del cane.
Il Presidente del Consiglio dei ministri
impugna anche il comma 3 del medesimo art. 3, nella parte in cui non menziona,
tra i divieti disposti all’interno delle ZPS, quello della «preapertura»
dell’attività venatoria; divieto espressamente previsto dall’art. 5, comma 1,
lettera b), del d.m.
17 ottobre 2007.
La possibilità di effettuare la suddetta
preapertura troverebbe conferma, a parere del ricorrente, nel fatto che sempre
l’art. 3, comma 4, della legge regionale n. 39 del 2010 consente l’attività
venatoria nei Siti di interesse comunitario (SIC) e nelle ZPS «nei periodi
indicati nell’art. 2, per ciascuna specie ivi indicata», e che, a sua volta,
l’art. 2, comma 12, prevede la procedura per anticipare l’apertura della caccia
alla prima domenica di settembre.
2.− Si è costituita in giudizio
2.1.− Quanto alla censura relativa
alla presunta violazione dell’art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157 del
1992, e del principio in esso fissato secondo il quale, a parere del
ricorrente, i calendari venatori devono essere adottati con un atto
amministrativo e non con legge, la difesa regionale osserva che dalle indicate
norme statali non si ricava alcuna indicazione circa la fonte che le Regioni
devono utilizzare per individuare il periodo e le specie cacciabili, avendo,
peraltro, numerose Regioni già provveduto in tal senso con specifiche
leggi-provvedimento.
Privo di pregio sarebbe anche
l’argomento secondo il quale la necessità di adottare in simili casi atti amministrativi
troverebbe giustificazione nella natura temporanea dei calendari in questione,
avendo la giurisprudenza costituzionale affermato che non è preclusa al
legislatore regionale la possibilità di attrarre alla propria competenza
oggetti o materie normalmente affidati all’autorità amministrativa, non
sussistendo un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e concreto.
La censura proposta dal ricorrente
sarebbe, peraltro, generica in quanto relativa esclusivamente alla fonte
dell’atto impugnato, senza che nel ricorso risultino indicati quali specifici
aspetti della disciplina regionale in esame sarebbero in contrasto con l’art.
18 della legge n. 157 del 1992.
2.2.− Secondo
Invero, le norme regionali impugnate
esulerebbero dal campo di applicazione dell’art. 18 indicato perché,
diversamente da quanto previsto dalla norma statale, non ammettono alcun
ampliamento del periodo in cui è consentita l’attività venatoria.
Per effetto dell’art. 2, commi 10 e 12,
e dell’art. 5, comma 1, infatti, al fine di ridurre la caccia a determinate
specie per periodi determinati, sarebbero stati alzati i livelli di tutela
della fauna selvatica previsti dal legislatore nazionale, sulla base di un
parere dell’OFR o, ove non costituito, dell’ISPRA, parere che, a differenza di
quanto stabilito dalla normativa statale, sarebbe vincolante.
2.3.− Quanto al contrasto tra
l’art. 3, comma 2, della legge regionale n. 39 del 2010, e l’art. 5, lettera a), del d.m.
17 ottobre 2007 – afferente al divieto di esercizio dell’attività venatoria nel
mese di gennaio per tutte le ZPS –
Quanto alla questione concernente l’art.
3, comma 3, relativa alla mancata previsione del divieto di preapertura
dell’attività venatoria e, dunque, al conseguente contrasto con l’art. 5, comma
1, lettera b), del d.m. sopra indicato, la Regione osserva che questa
disposizione demanda l’apposizione dei divieti in essa contenuti (tra i quali
rientra quello della preapertura) «all’atto di cui all’art. 3, comma 1, del
presente decreto», con la conseguenza che sarebbe tale specifico atto regionale
a dover contenere i divieti previsti dall’art. 5.
Conclude la Regione affermando che la
mancata previsione nella norma censurata del divieto in esame non vale a
escluderne il rispetto.
3.− Il Presidente del Consiglio
dei ministri ha depositato memoria con la quale sostanzialmente ripropone le
ragioni poste a fondamento del proprio ricorso.
Quanto alla censura riferita all’illegittima
utilizzazione di un atto legislativo per approvare il calendario venatorio, la
difesa dello Stato osserva che quest’ultimo ha natura strettamente
amministrativa, di talché esso deve essere adottato con un provvedimento di
uguale natura, desumendosi ciò anche dal procedimento previsto a tal fine
dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992 e, in particolare, dal necessario
parere che deve essere richiesto all’ISPRA.
Quanto alla prevista sostituzione del
suindicato parere con quello attribuito ad un ente regionale, l’Avvocatura
rileva che esso è previsto non solo per le ipotesi di riduzione del periodo
venatorio, ma anche per le diverse ipotesi di cui all’art. 2, comma 12, e
all’art. 5, comma 1, della legge regionale impugnata (anticipazione dell’apertura
della caccia ed esercizio della caccia alla fauna migratoria), assumendo sul
punto rilievo l’ulteriore circostanza che la corrispondente norma statale
(art.18, commi 2 e 6, della legge n. 157 del 1992) prevede il parere dell’ISPRA
per qualsiasi provvedimento di modifica del calendario venatorio.
Anche la censura relativa al contrasto
tra l’art. 5, comma 1, lettera a),
del d.m. 17 ottobre 2007, e l’art. 3, comma 2, della
legge regionale n. 39 del 2010 sarebbe, a parere della difesa dello Stato,
fondata in quanto l’indicato art. 5, diversamente da quanto sostenuto dalla
Regione resistente, sarebbe ancora in vigore, poiché la norma abrogativa
sarebbe stata annullata dal Tar del Lazio con la sentenza 25 maggio 2009, n.
5239, passata in giudicato.
Infine, la censura afferente all’art. 3,
comma 3, della legge regionale n. 39 del 2010, sarebbe fondata per i motivi già
indicati nel ricorso.
3.1.− Anche
4.− In prossimità dell’udienza
pubblica,
La Regione ha insistito perché il
ricorso sia dichiarato «inammissibile, improcedibile e comunque infondato»,
osservando che non sarebbe più assistito da interesse, posto che l’efficacia
temporale delle norme impugnate è esaurita con la chiusura della stagione di
caccia.
Nel merito la Regione ha ribadito la
legittimità dell’impiego di leggi- provvedimento regionali e ha aggiunto che
nel caso di specie la legge impugnata ha garantito l’osservanza di «tutti i
passaggi procedurali» richiesti dalla normativa statale, e in particolare di
quello relativo all’acquisizione del parere dell’ISPRA. Né, ai sensi dell’art.
3, comma 2, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti
amministrativi), l’adozione di un atto amministrativo generale, in luogo della
legge, avrebbe imposto un obbligo di motivazione.
In ogni caso si dovrebbe escludere la
compromissione delle esigenze di tutela ambientale, posto che, rispetto agli
standard nazionali, le norme impugnate soddisferebbero maggiormente tali
esigenze.
A sua volta lo Stato ha depositato una
seconda memoria, con cui ha nuovamente sostenuto la fondatezza delle questioni
proposte.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, commi
2 e 3, e 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39
(Norme per la definizione del calendario venatorio regionale per la stagione
venatoria 2010/2011), in relazione all’art. 117, primo e secondo comma, lettera
s), della Costituzione.
La legge impugnata contiene plurime
disposizioni concernenti l’esercizio della caccia sul territorio regionale,
relative, ma non esclusivamente, alla stagione venatoria 2010-2011: tra queste,
lo Stato ha censurato integralmente gli artt. 1 e 2, con cui è stato approvato
il calendario venatorio annuale; l’art. 3, commi 2 e 3, con cui si sono
adottate norme aventi ad oggetto l’attività venatoria nelle zone di protezione
speciale, prescrivendone il calendario (comma 2), e specificando in linea
generale le attività che vi sono vietate (comma 3); l’art. 5, comma 1, relativo
all’esercizio della caccia alla fauna migratoria.
Il ricorrente ritiene in primo luogo che
tali disposizioni ledano la propria competenza esclusiva in materia di tutela
dell’ambiente e dell’ecosistema, prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., di cui sarebbe
espressione, in particolar modo, l’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157
(Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio); in secondo luogo, che esse contrastino con la normativa dell’Unione
europea e siano perciò in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
2.−
L’eccezione non ha fondamento: questa
Corte ha costantemente affermato che la cessazione della materia del contendere
nei ricorsi in via principale può conseguire alla mancata produzione di effetti
delle disposizioni impugnate, e non certo al caso opposto, in cui esse hanno
invece trovato applicazione, consolidando in tal modo la lesione denunciata. In
particolare, tale principio ha già avuto modo di essere formulato in una
vicenda del tutto analoga alla presente (sentenza n. 405 del
2008).
3.− Le questioni poste con
riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. sono inammissibili, posto che il
ricorrente non le ha corredate di motivazione, né ha indicato la normativa
dell’Unione che sarebbe stata violata dal legislatore regionale.
4.– Quanto all’altro parametro invocato
dal ricorrente deve considerarsi, con riferimento agli artt. 1 e 2 della legge
impugnata, che tali disposizioni censurate approvano in via legislativa il
calendario venatorio per la stagione 2010-2011, indicando sia le date e gli
orari entro cui la caccia è consentita (art. 1), sia le specie cacciabili, con
riferimento, per ciascuna di esse, al peculiare arco temporale aperto
all’attività venatoria (art. 2).
Il ricorrente contesta non già il
contenuto di tali norme, ma la fonte con cui esse sono state introdotte
nell’ordinamento: a parere dell’Avvocatura, non sarebbe permesso al legislatore
regionale sostituirsi all’amministrazione della Regione nel compimento di
un’attività di regolamentazione che l’art. 18, commi 2 e 4, della legge n. 157
del 1992 riserverebbe alla sfera amministrativa.
In particolare, l’art. 18, comma 4,
della legge appena citata stabilisce che «le regioni, sentito l’Istituto
nazionale per la fauna selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno,
il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria,
nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l’indicazione del
numero massimo di capi da abbattere in ciascuna giornata di attività
venatoria».
Secondo il ricorrente, verrebbe in tal
modo esplicitato, nell’ambito di una sfera di competenza dello Stato, che il
calendario venatorio debba essere contenuto in un atto avente natura
amministrativa, anziché legislativa.
5.− La questione è fondata.
5.1.− Questa Corte ha avuto
occasione più volte di giudicare norme di legge regionali, analoghe a quelle
oggi impugnate, con cui è stato approvato il calendario venatorio.
Si tratta di tipiche
leggi-provvedimento, in quanto le disposizioni che esse contengono sono prive
di astrattezza e generalità, e sono destinate ad esaurire i propri effetti
contingenti con lo spirare della stagione di caccia. Esse, piuttosto che a
comporre interessi in conflitto secondo apprezzamenti propri della
discrezionalità legislativa, tendono a tradurre in regole dell’agire concreto,
e per il caso di specie, un complesso di
valutazioni, basate su elementi di carattere squisitamente tecnico-scientifico:
ciò, al fine di introdurre, in relazione alle situazioni ambientali delle
diverse realtà territoriali (art. 18, comma 2, della legge n. 157 del 1992), un
elemento circoscritto di flessibilità all’interno dell’altrimenti rigido quadro
normativo nazionale.
L’intervento regionale viene infatti
consentito espressamente dalla legge dello Stato proprio allo scopo di modulare
l’impatto delle previsioni generali recate dalla normativa statale, in tema di
calendario venatorio e specie cacciabili, sulle specifiche condizioni dell’habitat locale, alla cui verifica ben si
presta un’amministrazione radicata sul territorio. In questa prospettiva,
l’art. 18 della legge n. 157 del 1992, se da un lato predetermina gli esemplari
abbattibili, specie per specie e nei periodi indicati, dall’altro lato permette
alla Regione l’introduzione di limitate deroghe ispirate a una simile finalità,
e chiaramente motivate con riguardo a profili di natura scientifica: ne è conferma
la previsione del parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca
ambientale (ISPRA), richiesto dall’art. 18, comma 2, e dall’art. 18, comma 4,
con specifico riferimento all’approvazione del calendario venatorio.
In questo contesto si è diffuso a
livello regionale il fenomeno di attrarre alla forma della legge il
provvedimento richiesto dalla normativa dello Stato, ma è solo con l’odierno
ricorso che per la prima volta la legittimità costituzionale di una simile scelta
viene presa in esame da questa Corte.
In linea generale, la Corte ha ritenuto,
anche con riguardo alla sfera di competenza delle Regioni, che «nessuna
disposizione costituzionale (…) comporta una riserva agli organi amministrativi
o “esecutivi” degli atti a contenuto particolare e concreto» (ex plurimis, sentenza n. 143 del
1989; in precedenza, sentenza n. 20 del
1956), benché abbia precisato che le leggi-provvedimento debbono soggiacere
«ad un rigoroso scrutinio di legittimità costituzionale per il pericolo di
disparità di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e
derogatorio» (ex plurimis,
sentenza n. 202
del 1997).
Nel vigore della revisione della Parte
II del Titolo V della Costituzione, si è aggiunto che legittimamente la legge
dello Stato, nell’esercizio di una competenza che le è riservata in via
esclusiva, può vietare che la funzione amministrativa regionale venga
esercitata in via legislativa (sentenze n. 44 del 2010,
n. 271 e n. 250 del 2008;
ordinanza n. 405
del 2008).
In tale area riservata di competenza, per
quanto la funzione amministrativa debba essere allocata al livello di governo
reputato idoneo ai sensi dell’art. 118 Cost., il compito sia di individuare
questo livello, sia di disciplinare forma e contenuto della funzione, non può
che spettare al legislatore statale (sentenza n. 43 del
2004).
Nel caso di specie, è pacifico che la
selezione, sia delle specie cacciabili, sia dei periodi aperti all’attività
venatoria, implichi l’incisione di profili propri della tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema, che fanno capo alla competenza esclusiva dello Stato (ex plurimis,
sentenze n. 191
del 2011, n.
226 del 2003 e n. 536 del 2002):
il legislatore nazionale ha perciò titolo per imporre alle Regioni di
provvedere nella forma dell’atto amministrativo, anziché in quella della legge.
Va ora aggiunto che, osservando gli
ordinari criteri ermeneutici, spetta all’interprete, e a questa Corte in primo
luogo, stabilire se una siffatta restrizione, giustificata alla luce della
natura degli interessi in gioco, possa essere desunta dall’impianto logico
della normativa statale, anche in difetto di una disposizione che la preveda
univocamente.
5.2.− Ciò premesso, la questione
si risolve decidendo se l’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nella
parte in cui prevede che sia approvato dalla Regione «il calendario regionale e
il regolamento relativi all’intera annata venatoria», intenda con ciò
prescriverne la forma di atto amministrativo, come suggerisce l’espressione
letterale cui il legislatore statale ha voluto ricorrere.
La risposta a un simile quesito deve
essere affermativa.
In via generale, si è già osservato che
il passaggio dal provvedere in via amministrativa alla forma di legge è più
consono alle ipotesi in cui la funzione amministrativa impatta su assetti della
vita associata, per i quali viene avvertita una particolare esigenza di
protezione di interessi primari «a fini di maggior tutela e garanzia dei
diritti» (sentenza
n. 143 del 1989); viceversa, nei casi in cui la legislazione statale, nelle
materie di competenza esclusiva, conformi l’attività amministrativa
all’osservanza di criteri tecnico-scientifici, lo slittamento della fattispecie
verso una fonte primaria regionale fa emergere un sospetto di illegittimità.
La scelta che si provveda con atto
amministrativo non solo è l’unica coerente in tale ordine di idee con il
peculiare contenuto che nel caso di specie l’atto andrà ad assumere, e si
inserisce dunque armonicamente nel tessuto della legge n. 157 del 1992, ma si
riconnette altresì ad un regime di flessibilità certamente più marcato che
nell’ipotesi in cui il contenuto del provvedimento sia cristallizzato nella
forma della legge.
Ove si tratti di proteggere la fauna, un
tale assetto è infatti il solo idoneo a prevenire i danni che potrebbero
conseguire a un repentino ed imprevedibile mutamento delle circostanze di fatto
in base alle quali il calendario venatorio è stato approvato: è sufficiente, a
tale proposito, porre mente all’art. 19, comma 1, della legge n. 157 del 1992,
che prevede il ricorso da parte della Regione a divieti imposti da
«sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per
malattie o per altre calamità». È chiaro che quando, come nel caso in
questione, vi è ragionevole motivo di supporre che l’attività amministrativa
non si esaurisca in un unico atto, ma possa e debba tornare a svilupparsi con
necessaria celerità per esigenze sopravvenute, le forme e i tempi del
procedimento legislativo possono costituire un aggravio, persino tale in casi
estremi da vanificare gli obiettivi di pronta regolazione dei casi di urgenza
(con riferimento alla legge impugnata, ad esempio, basti rilevare che l’art. 1,
comma 10, consente all’amministrazione regionale soltanto di “ridurre” la
caccia nei casi considerati, e non di vietarla, come invece è prescritto, in
via alternativa alla riduzione, dal citato art. 19 della legge statale).
L’intervento in questione forma poi
oggetto di un obbligo da parte della Repubblica nei confronti dell’Unione, la
cui direttiva 30 novembre 2009, n. 2009/147/CE (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio concernente la conservazione degli uccelli selvatici),
si prefigge di tutelare la fauna, assoggettando, tra l’altro, il regime
derogatorio rispetto alle previsioni generali a stringenti requisiti (art. 9),
e questa Corte, a tal proposito, ha già avuto modo di affermare che le deroghe
non possono venire introdotte dalla Regione con legge-provvedimento, poiché verrebbe
vanificato il potere di annullamento assegnato dall’art. 19-bis della legge n. 157 del 1992 al
Presidente del Consiglio dei ministri (sentenza n. 250 del
2008).
Bisogna ora precisare che non è solo lo
speciale regime derogatorio, ma l’intero corpo provvedimentale
su cui esso opera, quanto al calendario venatorio, che non tollera di venire
irrigidito nella forma della legge, tenuto anche conto che tra regole ordinarie
e deroghe eccezionali deve in linea di massima sussistere un’identità formale,
che permetta alle seconde di agire sulle prime, fermo il potere di annullamento
preservato in capo allo Stato.
Vi sono infatti casi, indicati dall’art.
9, comma 1, lettera a), della
direttiva n. 2009/147/CE, attuato dall’art. 19-bis della legge n. 157 del
In tali casi, la deroga necessita di
venire introdotta con efficacia immediata, sicché angusto, e potenzialmente
insufficiente, è lo spazio temporale aperto al legislatore regionale per
rimuovere eventuali ostacoli in tal senso provenienti dalla
legge-provvedimento.
Infine, è ben noto che il passaggio
dall’atto amministrativo alla legge implica un mutamento del regime di tutela
giurisdizionale, tutela che dal giudice comune passa alla giustizia
costituzionale.
Non che questa Corte sia sprovvista dei
mezzi per sospendere l’esecuzione di una legge ritualmente impugnata in via
principale (art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87); tuttavia, ciò si
verifica a condizione che il Governo abbia promosso la relativa questione di
legittimità costituzionale. Si è già sottolineato (sentenza n. 271 del
2008) che il legislatore statale può preferire lo strumento del ricorso
giurisdizionale innanzi al giudice comune, e ciò in ragione sia della
disponibilità del ricorso in capo alle parti private legittimate, sia dei tempi
con cui il giudice può assicurare una pronta risposta di giustizia, sia della
latitudine dei poteri cautelari di cui esso dispone, sia dell’ampiezza del
contraddittorio che si può realizzare con i soggetti aventi titolo per
intervenire, estranei invece, in linea di principio, al giudizio costituzionale
sul riparto delle competenze legislative.
Inoltre, ove parte del giudizio sia
l’amministrazione, il giudice comune ben può inserire le proprie misure
cautelari nel flusso dell’attività di quest’ultima, prescrivendo che essa sia
prontamente riesercitata secondo i criteri che di volta in volta vengono
somministrati, affinché, in luogo del vuoto di normazione, che conseguirebbe
alla mera sospensione della legge-provvedimento, si realizzi celermente una
determinazione del calendario della caccia, compatibile con i tempi imposti
dall’incalzare delle stagioni, e avente natura definitiva.
Non a caso l’art. 18, comma 4, della
legge n. 157 del 1992 esige che il calendario venatorio sia pubblicato entro il
15 giugno di ogni anno: in tal modo, si suppone che, esperiti eventuali ricorsi
giurisdizionali comuni, esso sia adeguatamente e legittimamente disponibile per
l’inizio della caccia, ovvero per settembre inoltrato.
Una simile tempistica è pienamente
compatibile con l’attività regionale, solo se la Regione adotta atti che non
solamente siano immediatamente aggredibili innanzi al giudice comune, ma che
possano direttamente da quest’ultimo essere conformati in via cautelare alle
esigenze del caso concreto, entro un termine estremamente contenuto.
Né si traggono argomenti contrari, come
vorrebbe la difesa regionale, dal decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri 21 marzo 1997 (Modificazione dell’elenco delle specie cacciabili di
cui all’art. 18, comma 1, della L. 11 febbraio 1992, n. 157), nella parte in
cui esso prevede che le Regioni vi si adeguino con i «rispettivi atti
legislativi e amministrativi»: a parte il fatto che si tratta di norma
secondaria, inidonea ad alterare le scelte del legislatore, resta da dire che
il rinvio così disposto ha il solo scopo di richiamare la fonte regionale che
risulta competente sulla base del quadro legislativo vigente.
5.3.− Alla luce di tutti questi
argomenti, appare evidente che il legislatore statale, prescrivendo la
pubblicazione del calendario venatorio e contestualmente del “regolamento”
sull’attività venatoria e imponendo l’acquisizione obbligatoria del parere
dell’ISPRA, e dunque esplicitando la natura tecnica del provvedere, abbia
inteso realizzare un procedimento amministrativo, al termine del quale la
Regione è tenuta a provvedere nella forma che naturalmente ne consegue, con
divieto di impiegare, invece, la legge-provvedimento.
Pertanto, gli artt. 1 e 2 della legge
impugnata debbono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, con
assorbimento dell’autonoma censura di illegittimità costituzionale sviluppata
in riferimento all’art. 2, commi 10 e 12, per avere tali disposizioni previsto
l’acquisizione del parere di un ente regionale, anziché dell’ISPRA.
6.− L’art. 5, comma 1, della legge
impugnata è censurato a propria volta per avere introdotto, in tema di caccia
alla fauna migratoria, il parere di un ente regionale, ovvero dell’Osservatorio
faunistico regionale, in luogo di quello dell’ISPRA richiesto dalla normativa
nazionale, in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
È tuttavia incontroverso che
l’Osservatorio, la cui istituzione è prevista dall’art. 5 della legge della
Regione Abruzzo 28 gennaio 2004, n. 10 (Normativa organica per l’esercizio
dell’attività venatoria, la protezione della fauna selvatica omeoterma e la
tutela dell’ambiente), non sia ancora entrato in attività, con l’effetto che la
norma impugnata non ha potuto trovare applicazione, né potrà averne in futuro,
giacché essa ha un’efficacia limitata alla stagione venatoria ormai conclusa.
Pertanto, non residua alcun interesse
all’esame della censura, rispetto alla
quale va dichiarata la cessazione della materia del contendere (ex plurimis,
ordinanza n. 126 del 2010).
7.− L’art. 3, comma 2, della legge
impugnata limita a due giornate alla settimana la caccia nelle zone di
protezione speciale indicate dal precedente comma 1, e il ricorrente ritiene
che tale disposizione debba leggersi unitamente all’art. 1, comma 2, della
medesima legge, secondo cui l’attività venatoria si esercita anche «con
l’ausilio del cane». Viceversa, l’art. 5, comma 1, lettera a), del decreto ministeriale 17 ottobre 2007 (Criteri minimi
uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali
di Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale, ZPS), nel regolare il
corrispondente divieto che le Regioni sono tenute ad introdurre nelle zone di
protezione speciale, non menziona espressamente la facoltà di usare il segugio,
e con ciò, secondo il ricorrente, la esclude.
Come ha rilevato la Regione, la norma
statale sopra richiamata, che il ricorrente ritiene ispirata a finalità di
tutela dell’ambiente, di competenza dello Stato, è stata soppressa dall’art. 1
del decreto ministeriale 22 gennaio 2009 (Modifica del decreto 17 ottobre 2007,
concernente i criteri minimi uniformi per la definizione di misure di
conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione, ZSC, e Zone di
Protezione Speciale, ZPS), ma questa disposizione, meramente abrogatrice, è stata a propria volta annullata dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sentenza definitiva n. 5239
del 2009, con cui si è ritenuto illegittimo il vuoto di tutela che ne sarebbe
derivato.
Non vi è dubbio, pertanto, che allo stato
l’art. 5, comma 1, lettera a), del d.m. 17 ottobre 2007 sia in vigore.
Ciò premesso, il perno del ragionamento
del ricorrente si fonda sulle capacità integratrici, rispetto alla norma
impugnata, dell’art. 1, comma 2, il quale ultimo, tuttavia, è stato dichiarato
incostituzionale per le ragioni sopra esposte.
A seguito di tale pronuncia, il testo
dell’art. 3, comma 2, impugnato non è più suscettibile di essere integrato con
la previsione concernente l’impiego del cane da caccia nelle zone di protezione
speciale, e viene interamente a coincidere con la disposizione evocata dal
ricorrente: è così venuto meno l’interesse dello Stato a coltivare la censura.
Deve conseguentemente dichiararsi
cessata la materia del contendere, limitatamente a questa questione.
8.− L’art. 3, comma 3, della legge
impugnata indica le attività venatorie vietate all’interno delle zone di
protezione speciale. Tra di esse non è menzionato il divieto di effettuare la
«preapertura dell’attività venatoria, con l’eccezione della caccia di selezione
agli ungulati», che l’art. 5, comma 1, lettera b), del d.m. 17 ottobre 2007 impone alle
Regioni di recepire con l’atto che adotta le misure di conservazione per le
ZPS, di cui all’art. 3, comma 1, del medesimo decreto ministeriale. Incorrendo in
tale omissione, la Regione avrebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
La questione non è fondata.
In attesa che le Regioni provvedano ad
assumere l’atto previsto con riferimento alle zone di protezione speciale, è da
ritenere che i divieti stabiliti dal d.m. 17 ottobre
2007 siano immediatamente efficaci, e vadano a integrare le previsioni
regionali che ne siano parzialmente prive. Il silenzio del legislatore
regionale non equivale, pertanto, ad escludere il divieto, che opera in forza di
quanto stabilito dalla normativa dello Stato.
Per
questi motivi
1)
dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 della legge
della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 39 (Norme per la definizione del
calendario venatorio regionale per la stagione venatoria 2010/2011);
2)
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 3, commi 2 e 3, e 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n. 39
del 2010, promosse, in riferimento all’art. 117, primo comma, della
Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato
in epigrafe;
3)
dichiara cessata la materia del contendere sulla questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 5, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n.
39 del 2010, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara
cessata la materia del contendere sulla questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 3, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010,
promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe;
5)
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione Abruzzo n. 39 del 2010,
promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Presidente
del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio
2012.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Redattore
Depositata in