Sentenza n. 144 del 2020

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SENTENZA N. 144

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 24, 25 e 33 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 24 aprile-3 maggio 2019, depositato in cancelleria il 3 maggio 2019, iscritto al numero 54 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 25, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito il Giudice relatore Luca Antonini ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 9 giugno 2020;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 giugno 2020.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notificazione il 24 aprile 2019 e depositato il 3 maggio 2019 (reg. ric. n. 54 del 2019), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), fra le quali quelle recate dagli artt. 24, 25 e 33.

2.– Il primo motivo di ricorso, promosso in riferimento agli artt. 3 e 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione, ha a oggetto l’art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, che apporta una modifica all’art. 1 della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2015, n. 18 (Norme in materia di gestione del patrimonio faunistico allo stato di naturalità), il quale disciplina gli «interventi di controllo e gestione della fauna selvatica o inselvatichita», consentiti «[n]el territorio della Regione, ivi comprese le aree protette» (comma 1). In particolare, tale articolo prevede che «[n]el caso di abnorme sviluppo di singole specie selvatiche o di specie domestiche inselvatichite, tale da compromettere gli equilibri ecologici o tale da costituire un pericolo per l’uomo o un danno rilevante per le attività agrosilvopastorali, possono essere predisposti piani di cattura o di abbattimento», attività, queste ultime, che «non costituiscono in nessun caso esercizio di attività venatoria» (comma 3).

Prima della modifica disposta dalla disposizione impugnata, il comma 4 del citato art. 1 disponeva, tra l’altro, che «[l]e catture e gli abbattimenti sono attuati sotto la diretta responsabilità e sorveglianza del soggetto gestore dell’area protetta tramite personale dell’ente, o da persone all’uopo espressamente autorizzate dall’ente gestore dell’area protetta di cui all’articolo 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157».

L’impugnato art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 (rubricato «Utilizzo personale per attività di controllo patrimonio faunistico») dopo tali parole ha aggiunto le seguenti: «e all’articolo 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394».

2.1.– Il ricorrente specifica che le previsioni della legge reg. Siciliana n. 18 del 2015 sull’attuazione dei piani di cattura e abbattimento nelle aree protette sono rese applicabili anche a tutto il restante territorio regionale per effetto del comma 9 dello stesso art. 1 della medesima legge regionale, secondo cui «[n]elle aree del territorio della Regione diverse dalle aree protette, le disposizioni di cui alla presente legge sono demandate alle ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio», ossia agli organi decentrati dell’assessorato regionale dell’agricoltura e delle foreste con sede in ciascun capoluogo di Provincia e con competenza territoriale provinciale.

Secondo il ricorrente, attraverso il testuale richiamo all’art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), la disposizione regionale impugnata stabilirebbe la possibilità di utilizzare, per i prelievi e gli abbattimenti faunistici, all’interno di tutto il territorio regionale, i soggetti indicati in quest’ultima disposizione, che prevede, al comma 6, che «[n]ei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali regionali l’attività venatoria è vietata, salvo eventuali prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi necessari per ricomporre squilibri ecologici. Detti prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente».

2.2.– Sulla base della esposta ricostruzione normativa, il ricorrente ravvisa una prima censura in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

In forza di tale previsione – espressione della competenza esclusiva statale nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e integrante uno standard di tutela non derogabile in peius dalle Regioni – in tutto il territorio diverso dalle aree protette i piani di abbattimento per il controllo della fauna selvatica «devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio». In sostanza, consentendo di utilizzare sul territorio regionale diverso dalle aree protette i soggetti previsti dall’art. 22 della legge n. 394 del 1991 e, in particolare, anche i cacciatori, la disposizione impugnata ridurrebbe in peius il livello di tutela della fauna selvatica individuato dall’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992; tale norma, contenente l’elenco tassativo dei soggetti autorizzabili al controllo faunistico, non prenderebbe infatti in considerazione i cacciatori che non siano proprietari o conduttori dei fondi interessati dai piani medesimi.

2.3.– Il ricorrente articola anche una specifica censura nel caso in cui la disposizione regionale impugnata sia interpretata come riferita al testo originario dell’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991, prima della modifica allo stesso apportata dalla legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), il cui art. 2, comma 33, ha inserito nell’ultima parte del secondo periodo il richiamo esplicito ai cacciatori.

Infatti, anche in tale ipotesi sarebbero violati il citato parametro costituzionale e quello interposto, in quanto la disposizione impugnata consentirebbe alle ripartizioni faunistico-venatorie di utilizzare il personale degli enti gestori delle aree naturali protette al di fuori delle aree stesse e, soprattutto, consentirebbe alle ripartizioni medesime di individuare ulteriori categorie di soggetti da autorizzarsi al di fuori di quanto tassativamente previsto dall’art. 19 della legge n. 157 del 1992.

2.4.– Il ricorrente prospetta anche la violazione dell’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza della impugnata disposizione regionale, che si porrebbe anche in contrasto con i «canoni che presiedono alla corretta legiferazione».

Si argomenta, infatti, che nonostante la normativa statale distingua rigorosamente i soggetti abilitati alle attività di controllo nelle aree protette rispetto al resto del territorio, l’art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 detterebbe una disciplina unica per l’intero territorio regionale, in forza del combinato disposto dei commi 4 e 9 dell’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 18 del 2015. Inoltre, la stessa disposizione impugnata non consentirebbe di comprendere se si riferisca al testo originario del richiamato art. 22 della legge n. 394 del 1991 o a quello modificato, né di comprendere, in tale seconda ipotesi, come possa applicarsi il criterio di preferenza per i «cacciatori residenti nel territorio del parco» al rimanente territorio regionale.

3.– Il ricorso illustra poi congiuntamente l’impugnativa degli artt. 24 e 25 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, affidata a motivi comuni a entrambi, in riferimento agli artt. 97, comma primo (recte: secondo) e 117, comma secondo, lettera e), Cost.

La prima disposizione apporta due modifiche all’art. 1 della legge della Regione Siciliana 29 novembre 2005, n. 15 (Disposizioni sul rilascio delle concessioni di beni demaniali e sull’esercizio diretto delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo), il quale disciplina le attività esercitabili sui beni demaniali marittimi.

In particolare, sostituendo il comma 1-ter del citato art. 1, si introduce una disciplina transitoria per il rilascio, mediante procedure di evidenza pubblica, di nuove concessioni demaniali marittime con validità fino al 31 dicembre 2020. Tale disciplina è applicabile fino al completamento della procedura di approvazione regionale dei piani di utilizzo delle aree demaniali marittime adottati dai Comuni, e comunque «nelle more del recepimento delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 675 a 684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145», con le quali il legislatore statale ha previsto una generale revisione della disciplina delle concessioni demaniali marittime; la disposizione regionale precisa anche che, ove risultassero in contrasto con il piano di utilizzo del demanio marittimo successivamente approvato, tali concessioni sono adeguate alle previsioni dello stesso oppure revocate, quando l’adeguamento non sia possibile.

Con una seconda modifica, l’impugnato art. 24, comma 1, introduce al richiamato art. 1 un comma 1-quater, il quale consente, nelle more dell’approvazione dei piani di utilizzo del demanio marittimo e attraverso procedure amministrative semplificate, il rilascio di autorizzazioni di durata breve «per l’occupazione e l’uso di limitate porzioni di aree demaniali marittime e di specchi acquei, comunque non superiori a complessivi metri quadrati mille, e per un periodo massimo di novanta giorni, non prorogabili e non riproponibili nello stesso anno solare, allo scopo di svolgere attività turistico ricreative, commerciali o sportive, anche attraverso la collocazione di manufatti, purché precari e facilmente amovibili».

Per l’attuazione del comma 1-quater, così introdotto, la disposizione impugnata, al comma 2, rinvia a un decreto dell’assessore regionale per il territorio e l’ambiente: a tale fonte è rimessa la disciplina delle modalità di presentazione delle richieste e delle procedure amministrative, prevedendosi che «nel caso di più richieste di concessione provenienti da più soggetti e relative ad una medesima porzione di area demaniale marittima o di specchio acqueo», il rilascio della concessione avvenga attraverso la pubblicazione di bandi pubblici e sentiti i Comuni territorialmente interessati.

Il ricorso riporta quindi il testo dell’art. 25 della legge impugnata, rubricato «Agevolazioni in favore di strutture marina resort e dedicate alla nautica da diporto»: il comma 1, prevede che «[a]i sensi dell’articolo 32 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, le prestazioni delle strutture di marina resort sono assimilate a quelle delle strutture ricettive all’aria aperta» e dispone che, pertanto, le prime sono soggette all’applicazione dell’aliquota IVA agevolata al 10 per cento. Il comma 2, invece, dispone l’esclusione dal calcolo della rendita catastale per le strutture dedicate alla nautica da diporto «che rientrano nella categoria degli imbullonati ai sensi dell’articolo 1, comma 21, della legge 28 dicembre 2015, n. 208» disposizione, questa, che a decorrere dal 1° gennaio 2016 esclude i macchinari, i congegni, le attrezzature e gli altri impianti funzionali allo specifico processo produttivo, dalla stima diretta per la determinazione della rendita catastale di alcuni immobili a destinazione speciale e particolare.

3.1.– Nell’introdurre i motivi del ricorso, che, come detto, risultano comuni per entrambe le disposizioni impugnate, si evidenzia che la legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) delinea, ai commi da 675 a 684 dell’art. 1, un’articolata procedura per la generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime, affidata a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ne fissi i termini e le modalità «[a]l fine di tutelare, valorizzare e promuovere il bene demaniale delle coste italiane, che rappresenta un elemento strategico per il sistema economico, di attrazione turistica e di immagine del Paese, in un’ottica di armonizzazione delle normative europee» (comma 675).

Si ricorda poi che il successivo comma 676 dettaglia i contenuti dell’emanando d.P.C.m., al fine di procedere: «a) alla ricognizione e mappatura del litorale e del demanio costiero-marittimo; b) all’individuazione della reale consistenza dello stato dei luoghi, della tipologia e del numero di concessioni attualmente vigenti nonché delle aree libere e concedibili; c) all’individuazione della tipologia e del numero di imprese concessionarie e sub-concessionarie; d) alla ricognizione degli investimenti effettuati nell’ambito delle concessioni stesse e delle tempistiche di ammortamento connesse, nonché dei canoni attualmente applicati in relazione alle diverse concessioni; e) all’approvazione dei metodi, degli indirizzi generali e dei criteri per la programmazione, pianificazione e gestione integrata degli interventi di difesa delle coste e degli abitati costieri».

Si precisa quindi che ai sensi del successivo comma 677 il d.P.C.m. dovrà contenere «i criteri per strutturare: a) un nuovo modello di gestione delle imprese turistico-ricreative e ricettive che operano sul demanio marittimo secondo schemi e forme di partenariato pubblico-privato, atto a valorizzare la tutela e la più proficua utilizzazione del demanio marittimo, tenendo conto delle singole specificità e caratteristiche territoriali secondo criteri di: sostenibilità ambientale; qualità e professionalizzazione dell’accoglienza e dei servizi; accessibilità; qualità e modernizzazione delle infrastrutture; tutela degli ecosistemi marittimi coinvolti; sicurezza e vigilanza delle spiagge; b) un sistema di rating delle imprese di cui alla lettera a) e della qualità balneare; c) la revisione organica delle norme connesse alle concessioni demaniali marittime, con particolare riferimento alle disposizioni in materia di demanio marittimo di cui al codice della navigazione o a leggi speciali in materia; d) il riordino delle concessioni ad uso residenziale e abitativo, tramite individuazione di criteri di gestione, modalità di rilascio e termini di durata della concessione nel rispetto di quanto previsto dall’art. 37, primo comma, del codice della navigazione e dei princìpi di imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità e tenuto conto, in termini di premialità, dell’idonea conduzione del bene demaniale e della durata della concessione; e) la revisione e l’aggiornamento dei canoni demaniali posti a carico dei concessionari, che tenga conto delle peculiari attività svolte dalle imprese del settore, della tipologia dei beni oggetto di concessione anche con riguardo alle pertinenze, della valenza turistica».

Il ricorso aggiunge anche che entro due anni dall’adozione del citato decreto le amministrazioni competenti per materia, da questo individuate, provvedono alla esecuzione di tutte le attività previste dalle disposizioni prima richiamate; successivamente è previsto l’avvio di una procedura di consultazione pubblica sulle priorità e modalità di azione e intervento per la valorizzazione turistica delle aree insistenti sul demanio marittimo (come previsto dai commi 678 e 679).

Infine, il ricorrente ricorda che la legge n. 145 del 2018, al comma 246 dell’art. 1, consente ai titolari di concessioni demaniali marittime e punti di approdo con finalità turistico ricreative di mantenere installati i manufatti amovibili fino al 31 dicembre 2020, nelle more del riordino della materia.

3.2.– Tanto premesso, il ricorrente richiama l’attenzione sulla circostanza che il d.P.C.m. «è in corso di avanzata definizione» e rileva che le impugnate previsioni regionali, «sovrapponendosi alla predetta disciplina statale emanata in materia, dalla quale con ogni evidenza si discostano sostanzialmente, generano dubbi interpretativi e incertezze riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge applicabili», presentando perciò evidenti profili di illegittimità costituzionale.

A tale riguardo, l’Avvocatura generale sottolinea l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo cui i criteri e le modalità di affidamento delle concessioni sui beni del demanio marittimo rientrano nella competenza esclusiva statale sulla «tutela della concorrenza», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che costituirebbe un limite insuperabile per le «pur concorrenti competenze regionali» (sono richiamate le sentenze n. 1 del 2019 e n. 221 del 2018).

Inoltre, viene evocato l’art. 97, secondo comma, Cost. e il principio di buon andamento dell’amministrazione dallo stesso sancito, censurando le disposizioni regionali per «la sovrapposizione alla disciplina statale emanata in materia e la conseguente incertezza riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge applicabili (statali o regionali)».

4.– Con atto depositato il 10 giugno 2019 si è costituita la Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato ed evidenziando «in via generale» che nell’atto di promovimento non si fa mai cenno alle competenze spettanti alla Regione in virtù dello statuto speciale.

4.1.– Nell’affrontare le censure all’art. 33, la resistente ne rileva anzitutto un profilo di inammissibilità per essere il ricorrente venuto meno all’onere di introdurre questioni sufficientemente precisate e motivate, essendo le stesse formulate in base a più opzioni ermeneutiche, sostanzialmente alternative, tra le quali la Corte dovrebbe scegliere quella fondante il dubbio di costituzionalità da scrutinare.

Nel merito, osserva che la ratio della norma risulterebbe all’evidenza quella di consentire anche ai cacciatori «titolari della specifica licenza di polizia» di contribuire, unitamente al personale istituzionalmente a ciò deputato, al controllo selettivo della fauna nociva. In tal senso, il riferimento alla «residenza» nel territorio del parco – oggettivamente e facilmente riscontrabile – sarebbe finalizzato a creare una condivisa responsabilità nella gestione del territorio.

Inoltre, si rileva che l’esercizio venatorio resterebbe in ogni caso regolato da specifiche norme che delimitano gli spostamenti o altre forme di mobilità dei cacciatori, sottoposti alle regole generali di cui alla legge n. 157 del 1992 e più in generale alle norme di polizia.

Infine, si prospetta una lettura costituzionalmente orientata della modifica introdotta all’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 18 del 2015, nel senso di consentire l’utilizzo dei cacciatori solo nei medesimi termini e limiti previsti dal legislatore statale, ossia esclusivamente nelle aree naturali protette. Del resto, ad escluderne l’estensibilità al rimanente territorio regionale condurrebbe il criterio, evidenziato dallo Stato, della necessaria residenza nel parco.

4.2.– Quanto all’impugnativa degli artt. 24 e 25 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, le relative questioni sarebbero inammissibili perché proposte in maniera assertiva, oltre che generica, immotivata nonché congetturale, laddove si riferiscono a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non ancora emanato.

4.3.– Nel merito, la resistente riafferma la propria competenza legislativa regionale in materia di gestione del pubblico demanio marittimo e rileva che il citato art. 24 non avrebbe inteso introdurre nuove o diverse procedure per il rilascio delle concessioni demaniali marittime, né avrebbe modificato la durata di queste.

A suo avviso, inoltre, sarebbe evidente che le attività destinate a essere indicate dall’emanando d.P.C.m. non potranno riguardare le concessioni demaniali marittime vigenti nel territorio regionale né, pertanto, potranno essere estensibili alla Regione Siciliana gli esiti delle complesse attività che formeranno il contenuto del citato decreto ai sensi dell’art. 1, commi 676 e 677, della legge n. 145 del 2018. Ciò perché le concessioni rilasciate in Sicilia riguarderebbero strutture di dimensioni medio-piccole, di facile rimozione e spesso a carattere stagionale, sì che i relativi investimenti eseguiti dai concessionari sarebbero già ammortizzati o, comunque, ammortizzabili entro il termine di validità delle concessioni.

Si aggiunge, inoltre, che la Regione avrebbe già da tempo e autonomamente avviato alcune delle procedure che l’emanando decreto dovrà prevedere, tra le quali: la ricognizione e la mappatura del litorale e del demanio costiero-marittimo; la individuazione della reale consistenza, della tipologia e del numero delle concessioni vigenti nonché la determinazione e la verifica dei relativi canoni; la revisione delle norme connesse alle concessioni demaniali marittime; la revisione e l’aggiornamento dei criteri di determinazione dei canoni demaniali.

Su tali basi, la resistente esclude che la norma impugnata si sovrapponga a quella statale, atteso che, a suo avviso, le verifiche operate in ambito nazionale non potranno riguardare le concessioni vigenti nella Regione Siciliana.

Si rileva, in particolare, che l’art. 24 non farebbe riferimento a proroghe delle concessioni esistenti e, d’altro canto, prevederebbe in maniera inequivoca procedure di evidenza pubblica per il rilascio delle nuove; sarebbe quindi rispettoso non solo dei principi di trasparenza e di libera concorrenza, ma anche delle prerogative statali di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

Secondo la Regione non si comprenderebbero nemmeno i rilievi riferiti alla «chiara individuazione delle leggi applicabili», «stante il costante rinvio operato dalle stesse norme nazionali alle competenze della Regione»; si richiamano quindi le disposizioni statali concernenti il trasferimento alla stessa del demanio marittimo e in particolare: l’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1961, n. 1825 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di demanio e patrimonio), gli artt. 1 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 1° luglio 1977, n. 684 (Norme di attuazione dello statuto della regione siciliana in materia di demanio marittimo) e l’art. 6, comma 7, della legge 8 luglio 2003, n. 172 (Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico).

Pertanto, l’esercizio delle attribuzioni in materia di demanio marittimo non potrebbe «prescindere dalla potestà di regolamentare le relative procedure amministrative», anche in ragione del diverso assetto istituzionale, «e di fissare i criteri di utilizzo dei beni, sia pure nel rispetto dei principi fondamentali determinati dallo Stato». Nel caso di specie, questi non sarebbero in alcun modo violati, nemmeno con riferimento alla tutela della concorrenza, «stante il chiaro rinvio operato dalla norma in questione» alle procedure di evidenza pubblica.

4.4.– Con riferimento alla impugnativa dell’art. 25 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, la resistente sostiene che sarebbero completamente erronei i parametri evocati, in quanto la disposizione in esame appare estranea alla materia del demanio marittimo trattandosi, invece, di una norma tributaria.

Essa non conterrebbe alcuna disposizione riconducibile a quanto previsto dalla normativa statale menzionata nel ricorso, ossia l’art. 1, commi da 675 a 684, della legge n. 145 del 2018. Pertanto, risolvendosi «nel mero accostamento» dell’art. 25 al precedente art. 24 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, la censura sarebbe inammissibile.

In ogni caso, la resistente chiarisce che con il comma 1 del citato art. 25 il legislatore regionale avrebbe inteso «estendere alla Regione siciliana una disciplina che è già vigente nel territorio nazionale e che per problemi ermeneutici non ha trovato applicazione nella Regione». Infatti, il citato comma 1 farebbe rinvio all’art. 32 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, in legge 11 novembre 2014, n. 164, al fine di recepire l’equiparazione, operata dal legislatore statale, tra marina resort e strutture ricettive all’aria aperta e di applicare agli stessi la cosiddetta IVA turistica, di cui alla Tabella A, parte III, n. 120 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto).

La resistente richiama poi la sentenza di questa Corte n. 21 del 2016, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del citato art. 32 del d.l. n. 133 del 2014, come convertito, nella parte in cui non prevede la previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sui requisiti da rispettare per configurare come strutture ricettive all’aria aperta anche le strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all’interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato. Secondo la resistente, nel periodo successivo alla pubblicazione della citata sentenza l’aliquota IVA applicata dalle Regioni alle strutture marina resort non sarebbe stata uniforme, fino alla emanazione del decreto ministeriale 6 luglio 2016 con cui sono stati individuati i requisiti minimi dei marina resort in presenza dei quali è possibile applicare l’IVA agevolata al 10 per cento alle prestazioni rese ai clienti.

Sulla base di tale ricostruzione, la resistente rileva che, prima ancora che non «condivisibile», il ricorso «non appare comprensibile» laddove afferma che le disposizioni regionali si sovrapporrebbero alla disciplina statale citata dal ricorso, discostandosene in maniera sostanziale e generando dubbi interpretativi e incertezze riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge applicabili.

Anche con riferimento al contenuto del comma 2 dell’art. 25, la resistente esclude ogni possibilità di contrasto «con la legge n. 145 del 2018» richiamata dal ricorso statale. Lo scopo della norma impugnata sarebbe quello di esentare da IMU e TASI le strutture dedicate alla nautica da diporto che rientrano nella «categoria degli imbullonati»; la disposizione regionale si limiterebbe a prendere atto del quadro normativo che ne «disciplina la tassazione», a decorrere dal 1° gennaio 2016, come risultante dall’art. 1, comma 21, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)».

5.– Nella memoria depositata in vista dell’udienza fissata per il 24 marzo 2020, con riferimento alle questioni promosse sull’art. 33, la Regione Siciliana richiama la sentenza di questa Corte n. 215 del 2019 in materia di controllo faunistico mentre, quanto all’impugnato art. 24, ribadisce la non fondatezza delle questioni.

A seguito del rinvio dell’udienza, la resistente ha inviato brevi note ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1, lettera c), segnalando che è stata approvata la legge della Regione Siciliana 14 dicembre 2019, n. 24 (Estensione della validità delle concessioni demaniali marittime) e che il Governo, nonostante iniziali osservazioni che richiamavano le motivazioni del ricorso oggetto del presente giudizio, si è determinato a non impugnarla. Ciò costituirebbe ulteriore conferma della legittimità della disposizione dell’impugnato art. 24.

Segnala, infine, che non è stato ancora emanato il d.P.C.m. al quale il ricorrente pretenderebbe di condizionare la competenza legislativa regionale.

Considerato in diritto

1.– Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale di varie disposizioni della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), fra cui quelle recate dagli artt. 24, 25 e 33, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 97, primo (recte: secondo) comma, 117, secondo comma, lettere e) e s), della Costituzione.

Resta riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con lo stesso ricorso.

2.– L’art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 prevede che i piani di cattura o di abbattimento della fauna selvatica – predisposti nel caso di abnorme sviluppo di singole specie faunistiche, tale da compromettere gli equilibri ecologici o da costituire un pericolo per l’uomo o un danno rilevante per le attività agrosilvopastorali – possono essere attuati anche dai soggetti di cui all’art. 22 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette). In particolare, la disposizione impugnata ha aggiunto il richiamo alla indicata norma statale all’interno dell’art. 1, comma 4, della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2015, n. 18 (Norme in materia di gestione del patrimonio faunistico allo stato di naturalità), il quale prevedeva che «[l]e catture e gli abbattimenti sono attuati sotto la diretta responsabilità e sorveglianza del soggetto gestore dell’area protetta tramite personale dell’ente, o da persone all’uopo espressamente autorizzate dall’ente gestore dell’area protetta di cui all’articolo 19 della legge 11 febbraio 1992, n. 157».

La novellata disciplina, posta dal richiamato comma 4 per le aree protette regionali, si applica invero anche nel restante territorio della Regione Siciliana, in forza del successivo comma 9, il quale demanda le relative attribuzioni alle ripartizioni faunistico-venatorie competenti per territorio, ossia agli organi decentrati dell’assessorato regionale dell’agricoltura e delle foreste con sede in ciascun capoluogo di provincia e con competenza territoriale provinciale.

La censura del ricorrente si appunta sulla estensione dell’elenco dei soggetti che possono attuare i piani di controllo faunistico, proprio nelle aree diverse da quelle protette, in contrasto con quanto dispone l’art. 19, comma 2, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio). Tale previsione, che individua i soggetti abilitati ad attuare i predetti piani nei territori diversi dalle aree protette, costituirebbe lo standard minimo di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, fissato nell’esercizio della relativa competenza esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che le Regioni non potrebbero integrare.

In violazione dei suddetti parametri, la norma regionale impugnata consentirebbe il ricorso ai soggetti menzionati dall’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991 – ossia al personale dipendente dall’organismo di gestione del parco naturale e alle persone da esso autorizzate, «scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco» – per attuare i piani di controllo faunistico nelle aree del territorio regionale diverse da quelle protette, laddove la disposizione statale evocata a parametro interposto non li menzionerebbe.

La denunciata lesione sussisterebbe sia nel caso in cui il richiamo alla disposizione statale venga riferito al testo in vigore del citato art. 22, comma 6, sia nel caso in cui di quest’ultimo debba ritenersi richiamato il testo originario, prima che l’art. 2, comma 33, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 (Nuovi interventi in campo ambientale), vi inserisse – nell’ultima parte del secondo periodo – il riferimento esplicito ai cacciatori. In ambedue le ipotesi, infatti, sarebbero introdotti soggetti ulteriori rispetto a quelli che, in forza dell’evocato art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, potrebbero attuare i piani di controllo faunistico nelle aree diverse da quelle protette.

Una ulteriore censura è prospettata con riferimento all’art. 3 Cost., perché la disciplina regionale sarebbe irragionevolmente unitaria per l’intero territorio siciliano, laddove il legislatore statale avrebbe, invece, distinto i criteri di individuazione dei soggetti attuatori dei piani di controllo faunistico nelle aree protette da quelli applicabili nel restante territorio. Inoltre, la formulazione utilizzata dalla disposizione impugnata violerebbe i canoni che presiedono alla corretta legiferazione, contrastando con lo stesso parametro costituzionale, perché non consentirebbe di comprendere la natura del rinvio operato alla norma statale, né «come possa applicarsi il criterio di "cacciatori residenti nel territorio del parco” al rimanente territorio regionale».

3.– La Regione Siciliana ha evidenziato «in via generale che nel ricorso non si fa mai cenno alle competenze spettanti alla Regione in virtù dello Statuto speciale», pur senza esplicitare una formale eccezione in tal senso.

3.1.– Al riguardo va precisato che il ricorrente fa valere la violazione della competenza esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», riferendola a un ambito di disciplina – quello del controllo faunistico – non riconducibile all’attività venatoria e, quindi, alla competenza legislativa regionale nella materia della caccia; in particolare, la individuazione dei soggetti autorizzati ad attuare i piani di controllo faunistico sarebbe operata dall’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, legge che, secondo il ricorrente, andrebbe qualificata come «norma fondamentale di riforma economico-sociale».

Pertanto, siccome dal contesto del ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri emerge in modo sufficiente che è stata ritenuta esclusa la possibilità di operare il sindacato di legittimità costituzionale sulle questioni in esame in base allo statuto speciale, il medesimo ricorso «non può ritenersi sfornito degli elementi argomentativi minimi richiesti per valutarne positivamente l’ammissibilità» (sentenza n. 109 del 2018).

4.– Sempre in via preliminare, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità che la resistente ha argomentato reputando le questioni promosse nei confronti dell’art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 formulate in base a più opzioni ermeneutiche, sostanzialmente alternative.

Questa Corte, infatti, ha costantemente affermato che nel giudizio in via principale sono ammissibili questioni prospettate in termini dubitativi o alternativi, purché le interpretazioni «non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate, così da far ritenere le questioni del tutto astratte e pretestuose» (ex plurimis, sentenze n. 73 del 2018 e n. 189 del 2016). È questo il caso che si verifica nella specie: la modalità di redazione della norma impugnata, che richiama la disposizione statale di cui all’art. 22 della legge n. 394 del 1991, ma senza dare conto della modifica già intervenuta, consente invero di prospettare, in modo non implausibile, ambedue le interpretazioni formulate dal ricorrente.

5.– In relazione a quanto da ultimo osservato, il dubbio interpretativo prospettato dal ricorrente va, peraltro, sciolto nel senso che il legislatore regionale, richiamando l’art. 22 della legge n. 394 del 1991, ha inteso riferirsi al testo in vigore al momento in cui il rinvio è stato effettuato. A questa conclusione conducono diversi e convergenti argomenti.

In primo luogo, il rinvio al testo originario della norma richiamata va escluso sulla base del principio secondo cui tale effetto «in tanto può aversi in quanto esso sia espressamente voluto dal legislatore o sia desumibile da elementi univoci e concludenti» (sentenza n. 93 del 2019) i quali, nella specie, non emergono.

Anzi, dai lavori preparatori dell’art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, risulta che sia nella relazione dell’emendamento introduttivo dell’articolo, poi approvato, sia nella discussione in aula, il significato del richiamo al citato art. 22 è stato riconnesso al testo in quel momento vigente, idoneo a consentire l’utilizzo dei cacciatori per l’attività di controllo faunistico.

Infine, la stessa Regione resistente, nell’atto di costituzione, conferma che la ratio della norma impugnata è quella di consentire anche «ai cacciatori titolari della specifica licenza di polizia» di contribuire, unitamente al personale istituzionalmente a ciò deputato, al controllo selettivo della fauna nociva.

In conclusione, è con riguardo alla così ricostruita interpretazione della norma regionale che vanno scrutinate le censure mosse dal ricorrente.

6.– Nel merito, le questioni sono fondate.

Come in precedenza puntualizzato, il ricorrente collega le censure agli effetti che la norma impugnata produce nelle aree diverse da quelle protette, in forza del combinato disposto dei commi 4 e 9 dell’art. 1 della legge reg. Siciliana n. 18 del 2015. Il primo, inciso direttamente dall’art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, reca la disciplina dei piani di controllo faunistico nelle aree protette regionali, mentre il secondo rende applicabile la stessa previsione anche sul restante territorio della Regione.

Così precisato il perimetro delle questioni, il nucleo delle censure va dunque ravvisato nella scelta compiuta dal legislatore siciliano, con la norma impugnata, di utilizzare per l’attuazione dei piani di controllo faunistico, in maniera indifferenziata su tutto il territorio regionale, anche i soggetti menzionati nell’art. 22, comma 6, della legge n. 394 del 1991, in aggiunta a quelli indicati dall’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992, il cui impiego è già previsto, sempre sull’intero territorio, dalla disciplina regionale.

A fronte di tale chiaro intento normativo, va rilevato che la norma regionale impugnata contrasta con i parametri costituzionali evocati dal ricorrente laddove pretende di rendere applicabile l’art. 22 della legge n. 394 del 1991 nelle aree del territorio regionale diverse da quelle protette.

Tale disposizione statale, infatti, detta prescrizioni che valgono esclusivamente per l’attuazione dei piani di controllo nelle aree protette regionali: si tratta quindi di normative speciali, la cui estensione, stante la competenza esclusiva statale nella materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema alla quale va ascritta la disciplina impugnata, «non compete certamente alla Regione» (sentenza n. 44 del 2019), cui risulta precluso ampliare in tal modo il novero dei soggetti indicati dall’art. 19, comma 2, della legge n. 157 del 1992 per l’attuazione dei piani di controllo faunistico.

Infatti, la tecnica legislativa impiegata dall’art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 – incentrata sull’inserimento del richiamo espresso all’art. 22 della legge n. 394 del 1991 in una previgente disciplina regionale la cui portata applicativa riguarda l’intero territorio – estendendo l’applicazione di una norma statale oltre l’ambito che ne connota la specialità, determina l’effetto per cui, al di fuori del territorio delle aree protette, alle ripartizioni faunistico-venatorie di cui all’art. 8 della legge della Regione Siciliana 1° settembre 1997, n. 33 (Norme per la protezione, la tutela e l’incremento della fauna selvatica e per la regolamentazione del prelievo venatorio. Disposizioni per il settore agricolo e forestale), quali organi decentrati dell’assessorato regionale dell’agricoltura e delle foreste, risulta demandata anche l’applicazione dello stesso art. 22 della legge n. 394 del 1991.

Ma in tal guisa si produce un’evidente e irragionevole alterazione della ratio che sorregge la specialità delle norme quadro dettate dal citato art. 22 per le aree protette, poiché quest’ultima disposizione prevede che «prelievi ed abbattimenti devono avvenire in conformità al regolamento del parco o, qualora non esista, alle direttive regionali per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’organismo di gestione del parco e devono essere attuati dal personale da esso dipendente o da persone da esso autorizzate scelte con preferenza tra cacciatori residenti nel territorio del parco, previ opportuni corsi di formazione a cura dello stesso Ente».

I concetti evocati dalla disposizione statale (quali la responsabilità e la sorveglianza dell’organismo di gestione del parco, il richiamo al regolamento del parco e la stessa preferenza da accordare ai «cacciatori residenti nel territorio del parco»), sradicati dal loro ambito originale e specifico, divengono infatti sostanzialmente inconciliabili con l’estensione all’intero territorio regionale, con un esito censurabile, come rileva il ricorso statale, anche alla luce del principio di intrinseca razionalità, tanto più che «nel giudizio in via d’azione vanno tenute presenti anche le possibili distorsioni applicative di determinate disposizioni legislative; e ciò ancor di più nei casi in cui su una legge non si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte potenzialità applicative (sentenze n. 449 del 2005, n. 412 del 2004 e n. 228 del 2003)» (sentenza n. 107 del 2017).

In conclusione, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, nella parte in cui si applica anche alle aree del territorio regionale diverse da quelle protette.

7.– Le questioni promosse nei confronti degli artt. 24 e 25 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, benché illustrate congiuntamente dal ricorrente e affidate agli stessi motivi, vanno tuttavia affrontate separatamente, avendo oggetti e contenuti distinti.

7.1.– L’impugnato art. 24 apporta due modifiche all’art. 1 della legge della Regione Siciliana 29 novembre 2005, n. 15 (Disposizioni sul rilascio delle concessioni di beni demaniali e sull’esercizio diretto delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo), il quale disciplina le attività esercitabili sui beni demaniali marittimi.

In particolare, l’art. 24, al comma 1, sostituendo il comma 1-ter del citato art. 1, introduce una disciplina transitoria per il rilascio, mediante procedure di evidenza pubblica, di nuove concessioni demaniali marittime con validità fino al 31 dicembre 2020.

Con una seconda modifica, operata sempre dal comma 1, l’art. 24 impugnato aggiunge al richiamato art. 1 un comma 1-quater, il quale consente, nelle more dell’approvazione dei piani di utilizzo del demanio marittimo adottati dai Comuni e attraverso procedure amministrative semplificate, il rilascio di autorizzazioni di durata breve «per l’occupazione e l’uso di limitate porzioni di aree demaniali marittime e di specchi acquei, comunque non superiori a complessivi metri quadrati mille, e per un periodo massimo di novanta giorni, non prorogabili e non riproponibili nello stesso anno solare, allo scopo di svolgere attività turistico ricreative, commerciali o sportive, anche attraverso la collocazione di manufatti, purché precari e facilmente amovibili». Per l’attuazione del comma 1-quater, così introdotto, la disposizione impugnata, al comma 2, rinvia a un decreto dell’assessore regionale per il territorio e l’ambiente: a tale fonte è rimessa la disciplina delle modalità di presentazione delle richieste e delle procedure amministrative, prevedendosi che «nel caso di più richieste di concessione provenienti da più soggetti e relative ad una medesima porzione di area demaniale marittima o di specchio acqueo», il rilascio della concessione avvenga attraverso la pubblicazione di bandi pubblici e sentiti i Comuni territorialmente interessati.

7.1.1.– Secondo il ricorrente, le previsioni regionali si sovrapporrebbero alla disciplina contenuta nell’art. 1, commi 246 e da 675 a 684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), che ha dato avvio a una generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime, dalla quale «con ogni evidenza si discost[erebbero] sostanzialmente, generan[do] dubbi interpretativi e incertezze riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge applicabili e present[erebbero] significativi profili di incostituzionalità». I criteri e le modalità di affidamento delle concessioni demaniali marittime rientrerebbero, infatti, nella materia di competenza esclusiva statale «tutela della concorrenza», prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.; inoltre, la richiamata sovrapposizione e conseguente incertezza determinerebbero un contrasto con il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, secondo comma, Cost.

7.1.2.– La resistente ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità delle questioni perché proposte in maniera assertiva, oltre che generica, immotivata nonché congetturale, laddove si riferiscono a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non ancora emanato.

L’eccezione è fondata sotto il profilo della genericità e della insufficiente motivazione.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il ricorso in via principale, per superare lo scrutinio di ammissibilità, deve fondarsi su una motivazione adeguata e non meramente assertiva (ex plurimis, sentenze n. 286 del 2019, n. 107 del 2017, n. 315 del 2009, n. 322 del 2008, n. 38 del 2007 e n. 233 del 2006). Tale esigenza di motivazione si pone «in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che non in quelli incidentali» (sentenze n. 236 del 2019, n. 218 del 2015, n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005; nello stesso senso, sentenze n. 261 e n. 81 del 2017).

Va anzitutto rimarcato che il ricorrente lamenta il contrasto con i due evocati parametri costituzionali richiamando soltanto le disposizioni di cui all’art. 1, commi 246 e da 675 a 684, della legge n. 145 del 2018, le quali, tuttavia, non esibiscono un contenuto precettivo immediatamente applicabile e "sovrapponibile” a quello della disposizione impugnata, tale da dimostrarne «con ogni evidenza» l’affermato discostamento.

Infatti, mentre la disciplina dell’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 riguarda il rilascio di nuove concessioni demaniali (secondo le due modalità sopra sintetizzate), le previsioni statali citate oggetto dei commi 246, 682, 683 e 684 attengono, invece, alla durata di concessioni già in essere. Le ulteriori disposizioni statali citate si limitano a disciplinare le articolate fasi della prevista generale revisione del sistema delle concessioni demaniali marittime, senza peraltro dettare norme nelle more applicabili ai criteri e alle modalità di affidamento delle concessioni demaniali marittime.

Il ricorso, al riguardo, per un verso, richiama genericamente la circostanza che il d.P.C.m. ancora non adottato dovrà fissare i termini e le modalità per l’avvio della revisione; per altro verso, non esplicita alcun argomento di censura dal contenuto dei commi 680 e 681 – concernenti, questi sì, i principi e i criteri tecnici ai fini dell’assegnazione delle concessioni sulle aree demaniali marittime, da stabilire ad opera di un successivo d.P.C.m. –, dei quali neppure riporta il testo.

Senza indicare come parametro interposto alcuna ulteriore disposizione normativa statale, il ricorrente quindi si limita ad affermare che la disciplina dei criteri e delle modalità di affidamento delle concessioni demaniali marittime rientra nella materia della tutela della concorrenza, di competenza esclusiva dello Stato, ma ciò rende la censura meramente assertiva, in quanto non espone alcun argomento di merito che specifichi il contrasto ravvisabile con la disposizione regionale impugnata.

Anche la doglianza prospettata in riferimento al principio di buon andamento è generica e priva di adeguata motivazione, risultando quindi parimente inammissibile: i lamentati dubbi interpretativi e le incertezze riguardo alla chiara individuazione delle norme di legge applicabili (statali o regionali) si rivelano nella specie meramente ancillari alla censura precedente.

7.2.– Quanto all’impugnato art. 25, la resistente eccepisce che sarebbero completamente erronei i parametri evocati, data l’estraneità di suddetta disposizione alla materia del demanio marittimo, e che si tratterebbe, invece, di una norma tributaria.

Essa non conterrebbe alcuna previsione riconducibile a quanto previsto dalla normativa statale menzionata nel ricorso, ossia l’art. 1, commi da 675 a 684, della legge n. 145 del 2018. Pertanto, risolvendosi «nel mero accostamento» dell’art. 25 al precedente art. 24 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, la censura sarebbe inammissibile.

7.2.1.– L’eccezione è fondata.

Come sopra precisato (punto 3. del Ritenuto in fatto) il ricorso illustra l’impugnativa dell’art. 25 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 congiuntamente a quella dell’articolo precedente e per entrambi prospetta la violazione degli artt. 97, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera e), Cost., richiamando le disposizioni dell’art. 1, commi 246 e da 675 a 684, della legge n. 145 del 2018.

Tuttavia, l’ambito materiale al quale ricondurre la norma in esame è chiaramente quello tributario, come emerge sia dalla rubrica del citato art. 25, «Agevolazioni in favore di strutture marina resort e dedicate alla nautica da diporto», sia dal contenuto dello stesso. Questo, infatti, disciplina l’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto applicabile alle «prestazioni delle strutture di marina resort» (comma 1) e i criteri per la determinazione della rendita catastale per talune «strutture dedicate alla nautica da diporto» (comma 2).

Il ricorrente, quindi, non chiarisce minimamente perché la disciplina posta dalla disposizione impugnata, che non rivela immediate interferenze con l’ambito della «tutela della concorrenza» – l’unica materia, tra quelle elencate dalla stessa lettera e) del secondo comma dell’art. 117 Cost., fatta valere espressamente dal ricorso statale –, vi dovrebbe invece essere ricondotta.

Per come evocati, il parametro e le norme indicate come interposte risultano dunque del tutto inconferenti e, mancando ogni motivazione circa la loro riferibilità alle norme regionali impugnate, la questione risulta radicalmente inammissibile (sentenza n. 198 del 2019).

Parimente inammissibile risulta la questione promossa con riferimento al principio di buon andamento, essendo la censura strettamente dipendente dall’asserita violazione del riparto di competenze legislative.

Da ultimo, va rilevato che l’esito di inammissibilità della questione posta sull’art. 25 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019 impedisce di prendere in considerazione il sopravvenuto art. 6 della legge della Regione Siciliana 7 giugno 2019, n. 8 (Norme per lo sviluppo del turismo nautico. Disciplina dei marina resort. Norme in materia di elezioni degli organi degli enti di area vasta) che, successivamente al deposito del ricorso, ha sostanzialmente riprodotto il contenuto del suddetto art. 25.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 33 della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2019, n. 1 (Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale), nella parte in cui si applica anche alle aree del territorio regionale diverse da quelle protette;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 25 della legge reg. Siciliana n. 1 del 2019, promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento agli artt. 97, secondo comma, e 117, secondo comma, lettera e), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2020.