SENTENZA N.228
ANNO
2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI
MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
-
Ugo DE
SIERVO "
-
Romano VACCARELLA "
- Alfio FINOCCHIARO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1,
lettera e) ed f), dell’art. 4, dell’art. 5, commi 1, 2, 3-ter, 4, 4-bis, 4-ter, 5 e 6, e dell’art. 7, nonché
dell’intero decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo
delle strutture preposte alle attività di protezione civile) convertito, con
modificazioni, in legge 9 novembre 2001, n. 401, promossi con ricorsi delle
Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria e delle Province di Trento e di
Bolzano notificati il 5, il 10 ottobre 2001 e il 9 gennaio 2002, depositati in
cancelleria il 12, il 18 ottobre 2001 e il 16 e il 21 gennaio 2002, iscritti ai
numeri 39, 40 e 41 del registro ricorsi 2001 ed ai numeri 1 e 2 del registro
ricorsi 2002.
Visti gli
atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 aprile 2003 il Giudice relatore
Franco Bile;
uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per la
Regione Toscana, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi
per le Regioni Emilia-Romagna, Umbria e per la Provincia di Trento, Roland Riz e Sergio Panunzio per la
Provincia di Bolzano e l’avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1. – Con ricorso notificato il 5
ottobre 2001 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 12
ottobre, la Regione Toscana ha impugnato in via principale, nei confronti del
Presidente del Consiglio dei ministri, l’intero decreto-legge 7 settembre 2001,
n. 343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle
strutture preposte alle attività di protezione civile), con cui il Governo ha
soppresso l’Agenzia di protezione civile, già disciplinata dal capo IV del
titolo V del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma
dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11
della L. 15 marzo 1997, n. 59) ed ha attribuito le relative funzioni al
Presidente del Consiglio dei ministri.
La Regione ricorrente – premessa la
ricognizione della normativa in materia di protezione civile che nel tempo
aveva portato infine all’istituzione dell’Agenzia di protezione civile con il
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del
Governo, a norma dell’articolo 11 della L. 15 marzo
1997, n. 59) – deduce anzitutto la violazione degli articoli 5, 117 e 118 della
Costituzione, sotto il profilo della lesione del principio della leale
cooperazione tra Stato e Regioni, per il venir meno della sede istituzionale
del raccordo e della concertazione.
Sottolineato
che la protezione civile non è materia riservata allo Stato, ma consiste in un
complesso di compiti ed attività coinvolgenti l’intero arco di azione delle
amministrazioni statali, regionali e degli enti locali presenti sul territorio
(implicanti l’esigenza di coordinamento per assicurare l’agire armonico e
razionale dei numerosi organismi interessati), la ricorrente assume che,
proprio in considerazione di tale "trasversalità”, la scelta organizzativa del
decreto legislativo n. 300 del 1999 di ricondurre in capo all’Agenzia tutte le
competenze, garantiva il rispetto del ruolo e delle attribuzioni regionali,
tenuto conto della sua caratterizzazione di struttura con attività di carattere
tecnico-operativo di interesse nazionale, operante anche al servizio delle
amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e locali.
Proprio in considerazione di queste
funzioni, la ricorrente rileva che il legislatore aveva garantito che nel
comitato direttivo della stessa Agenzia fosse assicurata anche la presenza di
un rappresentante delle autonomie (art. 82, comma 3) e (come evidenziato
dall’art. 83) aveva posto ad operare presso l’Agenzia
sia la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi
rischi sia il Comitato operativo della protezione civile, nonché aveva
assicurato la presenza di due esperti designati dalla Conferenza permanente
Stato-Regioni nella Commissione, chiamata a svolgere attività consultiva
tecnico-scientifica e propositiva per la prevenzione delle situazioni di
rischio. In tal modo la soppressa Agenzia si presentava come lo strumento
idoneo a garantire in materia il rispetto della leale cooperazione tra lo Stato
e le Regioni.
Ulteriore
lesione degli evocati parametri viene ravvisata dalla Regione nel fatto che la
soppressione della predetta Agenzia sarebbe stata disposta unilateralmente dal
Governo con decreto-legge, senza alcuna consultazione sul punto con le Regioni.
L’impugnato testo normativo avrebbe dovuto, invece, essere sottoposto
al parere preventivo della conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell’art. 2,
commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed
ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni,
delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città
ed autonome locali), che ha generalizzato la partecipazione consultiva
obbligatoria della Conferenza Stato-Regioni sull’attività e sull’iniziativa
normativa del Governo nelle materie regionali. E ad ogni modo – ove anche si
fosse verificata una situazione di urgenza – la sua ricorrenza avrebbe dovuto essere dichiarata dal Presidente del Consiglio
dei ministri e, quindi, ai sensi dell’art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 281 del
1997, si sarebbe dovuto procedere ad una consultazione successiva (nei fatti
omessa).
La Regione lamenta ancora la violazione dell’art. 76 della Costituzione, con conseguente lesione delle
attribuzioni regionali di cui agli articoli 117 e 118 Cost., in quanto il
decreto-legge in oggetto difetterebbe completamente dei presupposti di
necessità ed urgenza, i quali – così come dichiarati nella premessa – sarebbero
vaghi ed inconsistenti, sia in quanto quell’esigenza era garantita già dalla
struttura esistente, sia perché, in ragione dell’epoca del decreto-legge vi
sarebbe stato il tempo per approvare una legge con la procedura ordinaria prima
dell’inverno.
1.2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto del ricorso, in particolare
sostenendo: a) l’insussistenza della violazione del principio di leale
collaborazione ovvero di attribuzioni od interessi della Regione, poiché il
decreto-legge impugnato ha abrogato una disciplina che non aveva ancora
prodotto effetti (in quanto l’Agenzia non aveva cominciato a funzionare); b)
che il decreto-legge impugnato non avrebbe fatto altro che riportare i poteri
organizzativi e di coordinamento facenti capo al Presidente del Consiglio dei
ministri (come affermato da questa Corte
nella sentenza
n. 418 del 1992) sullo stesso piano della responsabilità corrispondente,
eliminando una situazione che avrebbe potuto far sorgere dubbi di legittimità
costituzionale; c) che il rispetto dell’esigenza di leale collaborazione
andrebbe valutata nell’ambito del procedimento attraverso il quale lo Stato e
la Regione esercitano le attribuzioni rispettive, mentre non porrebbe vincoli
ai poteri di organizzazione di cui ciascuno dei soggetti è titolare; d) che,
dunque, il principio di leale collaborazione non sarebbe leso, in quanto,
operando esso in sede di esercizio e non di organizzazione, le Regioni
avrebbero solo l’interesse ad essere coinvolte quando lo Stato esercita i suoi
poteri di coordinamento attraverso l’organo che ha ritenuto opportuno
investire, mentre non avrebbero nessun interesse costituzionalmente garantito a
che il loro coinvolgimento sia realizzato mantenendo operanti figure
organizzative statali, destinate all’esercizio di attribuzioni anche esse
statali; e) che la ricorrente non sarebbe legittimata ad evocare l’art. 76 Cost.,
non essendovi alcun suo interesse da tutelare (e comunque, l’Avvocatura
sottolinea che il decreto-legge è stato portato all’esame della Conferenza
unificata, che nella seduta dell’11 ottobre
2.1. – Con due ricorsi, entrambi notificati il 10 ottobre 2001 e depositati nella
cancelleria di questa Corte il successivo 18 ottobre, le
Regioni Emilia-Romagna ed Umbria, con identiche motivazioni, hanno
impugnato in via principale il decreto-legge n. 343 del 2001, nella parte in
cui sopprime l’Agenzia di protezione civile, trasferendone le funzioni agli
apparati governativi, nonché nella parte in cui tiene ferme le attribuzioni di
cui al decreto legislativo 12 marzo 1948, n. 804 (Norme di attuazione per il
ripristino del Corpo forestale dello Stato) – con riferimento in particolare
alle disposizioni dell’art. 1, comma 1, lettera e) e lettera f) e degli
artt. 4, 5 e 7 – per violazione degli artt. 5, 95, 117 e 118 della Costituzione,
del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, dell’art. 2, commi 4
e 5, del d.lgs. n. 281 del 1997 e dell’art. 77 della Costituzione.
Premessa, con considerazioni analoghe a quelle formulate dalla Regione Toscana, la "trasversalità” della materia protezione civile nell’ambito delle competenze di cui all’art. 117 Cost., le ricorrenti sottolineano che, con l’istituzione dell’Agenzia di protezione civile, si erano intesi perseguire gli obiettivi della unificazione della gestione di funzioni svolte da diversi apparati statali, nonché dell’assicurazione dell’autonomia tecnica della gestione di tali funzioni rispetto agli apparati ministeriali e del coinvolgimento delle Regioni, attraverso un modello condiviso di amministrazione "centrale”, ma non esclusivamente statale, imperniato su uno strumento tecnico costituente al tempo stesso una sede di cooperazione tra le diverse istituzioni territoriali protagoniste del sistema di protezione civile. Il decreto-legge impugnato avrebbe, invece, sconvolto tale assetto, riattribuendo agli apparati puramente statali le funzioni già assegnate all’Agenzia, così travolgendo il carattere "comune” dello strumento organizzativo e i meccanismi di collaborazione tra Stato e Regioni.
Sulla base di
tali premesse, le Regioni ricorrenti lamentano la violazione: a) degli artt. 5,
117 e 118 Cost., del principio di leale collaborazione e dell’art. 2, commi 4 e
5, del d.lgs. n. 281 del 1997, stante l’emanazione del decreto-legge senza loro
preventiva consultazione in sede di Conferenza Stato-Regioni, e senza neppure
la dichiarazione delle specifiche ragioni di urgenza giustificative di tale
omissione; b) degli artt. 5, 95, 117 e 118 Cost. e del principio di leale
collaborazione, in ragione della soppressione degli strumenti di partecipazione
regionale alle funzioni centrali previsti dal d.lgs. n. 300 del 1999, non
sostituiti da altri equivalenti.
Più specificamente, poi, l’art. 5 del decreto-legge impugnato sarebbe illegittimo – in
riferimento agli artt. 95, 117 e 118 Cost. – anche là dove attribuisce al solo
Presidente del Consiglio dei ministri poteri di coordinamento in materia di
protezione civile (già facenti capo all’Agenzia), così sottraendo una funzione
di indirizzo (anche) delle Regioni alla sede costituzionalmente necessaria,
cioè al Consiglio dei ministri. Illegittimo sarebbe anche il successivo art.
Infine, secondo le ricorrenti, l’intero
decreto-legge impugnato sarebbe illegittimo per violazione degli artt. 77, 117 e 118 Cost., per essere stato assunto al di fuori
dei necessari presupposti giustificativi costituzionali.
2.2. – Anche in tali giudizi si è costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi,
sulla base di considerazioni sostanzialmente identiche a quelle svolte rispetto
alla impugnazione proposta dalla Regione Toscana.
3.1. – Con ricorso notificato il 9
gennaio 2002 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 16
gennaio, la Provincia autonoma di Trento ha impugnato in via principale, nei
confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 5,
commi 1, 2, e 5 e, «in via cautelativa e ipotetica», anche i commi 3-ter, 4, 4-bis, e 4-ter dello stesso
art. 5 del decreto-legge n. 343 del 2001, come risultanti dalla legge 9
novembre 2001, n. 401 (Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, recante disposizioni urgenti per assicurare
il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione
civile), per violazione: a) dell’art. 8, numeri 5), 13), 17), 24), e dell’art.
9, numero 9, nonché dell’art. 16 e dell’art. 52 del decreto del Presidente
della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle
leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige); b) del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381
(Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige
in materia di urbanistica ed opere pubbliche), nonché degli articoli 2, 3 e 4
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per il trentino-Alto Adige concernente il rapporto tra atti
legislativi e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di
indirizzo e coordinamento); c) dell’art. 117 della Costituzione, in connessione
con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche del
titolo V della parte seconda della Costituzione).
Afferma la Provincia ricorrente di
avere competenza legislativa statutariamente garantita in materia di protezione
civile, che è "trasversale” rispetto a diverse materie (quali l’agricoltura e
foreste, la beneficenza pubblica nel suo attuale significato di protezione
sociale, la viabilità, gli acquedotti e i lavori pubblici di interesse
regionale, l’urbanistica e la tutela del territorio), nelle quali essa ha
competenza legislativa (ex art. 8, nn. 5), 13), 17) e 24), nonché 9, n. 9 dello statuto).
Detta competenza avrebbe carattere più ampio di quella riconosciuta alle
Regioni a statuto ordinario nel nuovo testo dell’art. 117 Cost., trovando tale
particolare autonomia fondamento anche direttamente nella disposizione di cui
all’art. 52, comma 2, dello statuto speciale, ai sensi
del quale spetta al Presidente della Giunta provinciale di adottare "i
provvedimenti contingibili ed urgenti in materia di
sicurezza e di igiene pubblica nell’interesse delle popolazioni di due o più
comuni”, nonché – con un’applicazione ante
litteram del principio di sussidiarietà – negli artt. 33 e seguenti delle
relative norme d’attuazione (non modificabili dalla successiva legislazione
ordinaria) di cui al d.P.R. n. 381 del 1974.
Ciò premesso, dopo aver richiamato il contenuto dell’art. 5 del decreto-legge impugnato, che definisce le "Competenze
del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di protezione civile”, la
Provincia autonoma sostiene che le censure mosse ai commi 3-ter, 4, 4-bis e 4-ter – che non
disciplinano poteri diversi da quelli già spettanti all’Agenzia di protezione
civile – avrebbero carattere dichiaratamente cautelativo, ove si ritenga che la
clausola di salvaguardia delle competenze ed attribuzioni delle Province a
statuto speciale, di cui al comma 6 del medesimo art. 5, debba essere intesa in
senso restrittivo, come riferita ai soli poteri "residuali” dell’Agenzia di
protezione civile, trasferiti ai sensi del comma 6, e non anche a quelli già ad
essa spettanti ma ora "ridisciplinati” ai commi sopra
indicati.
Viceversa, rispetto alle altre norme
impugnate – ossia ai commi 1, 2 e 5 dell’art. 5, che
introducono nell’ordinamento poteri che non hanno un preciso corrispondente in
quelli già attribuiti all’Agenzia di protezione civile – non apparirebbe
riferibile la clausola di salvaguardia di cui all’art. 5, comma 6. Ne
conseguirebbe l’illegittimità costituzionale di tali norme, nella parte in cui
i poteri statali da esse previsti interferiscono con i poteri e i compiti
propri della Provincia di Trento; e ciò salvo che si ritenesse che le norme
statali in questione debbano pur sempre intendersi nel quadro, e non in
violazione, delle regole che riguardano i rapporti tra lo Stato e le Province
autonome, sia nella specifica materia (con riferimento alle norme di attuazione
di cui al d.P.R. n. 381 del 1974), sia in via
generale (con riferimento agli artt. 2, 3 e 4 del
d.lgs. n. 266 del 1992).
Quanto ai motivi di illegittimità
concernenti i poteri non corrispondenti a quelli già propri dell’Agenzia di
protezione civile, nel merito la Provincia autonoma sostiene che: a) l’art. 5,
comma 1, attribuendo al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di
determinare le politiche di protezione civile ed individuandolo come autorità
che "detiene i poteri di ordinanza” in materia di protezione civile,
provocherebbe una sovrapposizione con l’attività normativa di essa ricorrente;
b) che l’art. 5, comma 2, avrebbe un contenuto che non si adeguerebbe, nella
disciplina dei rapporti tra lo Stato e le Province autonome, alle regole
statutarie, giacché gli atti da esso previsti, essendo atti di indirizzo,
richiederebbero, ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. n.
266 del 1992 e dei principi generali costituzionali, la deliberazione
collegiale del Governo e dovrebbero produrre solo un vincolo di risultato; c)
il comma 5 dell’art. 5 - in quanto implicante una posizione di "sovraordinazione” del capo del Dipartimento della
protezione civile rispetto alla Provincia autonoma ed ai suoi compiti e poteri
(anche di governo e di indirizzo degli enti ed istituzioni di ambito
provinciale a subprovinciale) - sarebbe anch’esso al
di fuori della disciplina statutaria dei rapporti tra lo Stato e la Provincia
autonoma (ed in contrasto con l’art. 16 dello statuto e gli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 266 del 1992), salvo che le indicazioni cui fa
riferimento si intendessero esclusivamente come finalizzate a mettere a
disposizione dei competenti organi provinciali elementi informativi o mezzi
altrimenti non disponibili, in tal caso assumendo il valore di manifestazione
dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
Con riferimento alle rimanenti norme
impugnate, osserva in particolare la ricorrente che: a) il comma 3-ter risulterebbe
lesivo dell’autonomia provinciale (per violazione dell’autonomia amministrativa
provinciale, quale definita dall’art. 16 dello statuto e dagli artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 266 del 1992, nonché, per la specifica materia,
dagli artt. 33, 34 e 35 del d.P.R. n. 381 del 1974),
stante la previsione della direzione unitaria e del coordinamento delle
attività di emergenza da parte del Comitato operativo della protezione civile,
che per giunta avrebbe il compito, pure illegittimo, di stabilire gli
interventi di tutte le amministrazioni e enti interessati al soccorso; b) il
comma 4 sarebbe illegittimo, nella parte in cui prevede che sia lo Stato a
promuovere "l’esecuzione di periodiche esercitazioni” e a svolgere "attività di
informazione alle popolazioni interessate”, nonché "l’attività
tecnico-operativa, volta ad assicurare i primi interventi”, giacché questi
compiti spettano invece alla Provincia e la loro attrazione in capo allo Stato
direttamente viola il divieto di svolgimento di attività amministrativa locale
di cui all’art. 44 del d.P.R. n. 266 del 1992, oltre
che il riparto stabilito dalle già citate disposizioni di attuazione in materia
di protezione civile agli artt. 33, 34 e 35 del d.P.R.
n. 381 del 1974; c) altrettanto illegittimo sarebbe il comma 4-bis, in relazione alla definizione in
sede locale degli interventi e della struttura organizzativa necessari per
fronteggiare gli eventi calamitosi; d) e così anche il comma 4-ter, in quanto l’attività di indirizzo
verrebbe svolta senza osservare le regole dell’art. 3 del d.P.R.
n. 266 del
3.2. – Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, assumendo in primo
luogo l’inammissibilità dei motivi di ricorso relativi all’art.
5, commi 3-ter, 4, 4-bis e 4-ter, del decreto-legge n. 343 del 2001, come modificati dalla legge
di conversione n. 401 del
Nel merito, l’Avvocatura afferma che non avrebbe fondamento il dubbio che la Provincia si è posta sull’ampiezza della clausola di riserva, di cui all’art. 5, comma 6, del decreto-legge impugnato. Comunque, le argomentazioni in ordine all’inammissibilità ed all’infondatezza del ricorso varrebbero pure per le censure relative alle altre norme impugnate, atteso che anche in relazione ad esse lo stesso ricorso enuncia che verrebbero meno, se si ritenesse che, nonostante il modo in cui è espressa la clausola di riserva, dette norme debbano sempre intendersi come rispettose dell’autonomia provinciale. In ogni caso, poiché la Provincia può dolersi solo di quelle illegittimità che ledono le sue attribuzioni, nella specie il ricorso sarebbe anche inammissibile, in quanto le norme impugnate non le toccherebbero. Né, in riferimento ai poteri di ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri, potrebbero sorgere dubbi di costituzionalità quanto alla promozione ed al coordinamento delle attività, cui le Province autonome non potranno sottrarsi, se non a rischio di non essere in grado di esercitare utilmente le proprie attribuzioni. Il fatto che nel comma 2 della norma sia richiesta l’intesa con le Regioni e gli enti locali, significherebbe che sono fatte salve sia le attribuzioni di ciascuno sia i procedimenti corrispondenti. Inoltre, la competenza, attribuita dal comma 5, al capo del Dipartimento, per le indicazioni necessarie al raggiungimento delle finalità di coordinamento operativo, concernendo una attività di informazione, di ausilio per i destinatari, non pregiudicherebbe le attribuzioni provinciali, a meno che la Provincia non assuma di essere sottratta ad ogni dovere di coordinamento sul suo territorio.
4.1. – Con ricorso notificato il 9
gennaio 2002 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 21
gennaio, la Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato, nei confronti del
Presidente del Consiglio dei ministri, l’art. 5, commi
1, 2, 3-ter, 4, 4-bis, 4-ter, 5 e 6 del decreto-legge n. 343 del 2001, convertito con
modificazioni dalla legge n. 401 del 2001, per violazione dell'art. 8, comma 1,
numeri 5), 13), 17), e 24), dell'art. 9, comma 1, numero 9), dell'art. 16 e
dell’art. 52, comma 2, dello statuto speciale per il Trentino Alto-Adige (d.P.R. n. 670 del
1972), e delle relative norme d’attuazione (in particolare degli artt. 33, 34,
e 35 del d.P.R. n. 381 del 1974, nonché degli artt.
2, 3 e 4 d.lgs. n. 266 del 1992), e per violazione degli artt. 117 e 118 e dei
principi del titolo V della parte seconda della Costituzione, come modificati
dalla legge costituzionale n. 3 del
Premesse argomentazioni analoghe a quelle della Provincia autonoma di Trento circa la titolarità di competenze legislative ed amministrative in materia di protezione civile, sulla base di diverse norme statutarie e delle norme di attuazione, la ricorrente assume anzitutto che il primo comma dell’art. 5 (primo periodo) si porrebbe in contrasto con i parametri evocati, posto che, per tutte le situazioni di danno o di pericolo attribuisce al Presidente del Consiglio poteri di intervento diretto (determinazione di politiche di protezione e poteri d’ordinanza in materia di protezione civile) che sono invece di competenza provinciale, nonché poteri di indirizzo e coordinamento nei confronti anche della Provincia ricorrente, i quali si debbono ormai ritenere incompatibili - per quanto riguarda in particolare modo il potere di indirizzo - con i nuovi principi costituzionali introdotti dalla riforma del titolo V e dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, o comunque, sia con il principio di legalità "sostanziale”, sia con la speciale disciplina del potere statale di indirizzo e coordinamento di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 266 del 1992. Né tali aspetti di incostituzionalità potrebbero essere eliminati dalla previsione dell’istituzione del già ricordato "Comitato paritetico”, atteso che la sua composizione ed il suo funzionamento sono rimessi alla piena discrezionalità del Governo, rinviando la legge alla disciplina che verrà stabilita dallo stesso Presidente del Consiglio.
Per le medesime ragioni, anche il
secondo comma dell’art. 5 sarebbe incostituzionale,
giacché la relativa attribuzione di poteri al Presidente del Consiglio dei
Ministri ed il loro contenuto eccederebbero quanto consentito dall’art. 2,
comma 2, del d.lgs. n.
Ragioni analoghe di illegittimità costituzionale varrebbero per il comma 3-ter dell’art. 5, nella parte in cui concentra in un apparato centrale dello Stato, il "Comitato operativo della protezione civile”, presieduto dal capo del Dipartimento della protezione civile, la "direzione unitaria ed il coordinamento delle attività di emergenza, stabilendo gli interventi di tutte le amministrazioni e gli enti interessati al soccorso”, così prevedendo non solo un potere di indirizzo e coordinamento – che comunque sarebbe già di per sé lesivo dalle attribuzioni provinciali – ma un potere di "ordinare” a tutte le amministrazioni "interessate al soccorso” gli interventi di loro competenza.
Il comma 4 dell’art. 5 sarebbe incostituzionale, innanzi tutto, in quanto – stabilendo che per lo svolgimento di tutte tali attività il Presidente del Consiglio si avvale del Dipartimento della protezione civile – centralizzerebbe ancora di più l’esercizio delle attività in questione, nel segno di un forte accentramento delle strutture e delle funzioni relative alla protezione civile e di una corrispondente compressione degli spazi e delle garanzie di autonomia delle regioni e delle province autonome, valorizzate invece dalla soppressa Agenzia.
Il comma 4-bis sarebbe incostituzionale perché – attribuendo al Dipartimento della protezione civile il compito di definire "in sede locale e sulla base dei piani d’emergenza, gli interventi e la struttura organizzativa necessari per fronteggiare gli eventi calamitosi” – affiderebbe interventi di competenza della provincia all’apparato centrale dello Stato, a nulla rilevando la previsione dell’intesa, poiché nella materia in questione, le sole forme di coordinamento e le procedure "cooperative” costituzionalmente consentite sono quelle particolari espressamente previste dalle norme statutarie e d’attuazione. E identiche ragioni varrebbero a sostenere l’illegittimità dell’art. 5, comma 4-ter.
Con riferimento al comma 5 dell’art. 5 (strettamente legato al comma 1), l’affidamento al capo del Dipartimento della protezione civile del potere di rivolgere (sulla base delle direttive del Presidente del Consiglio) a tutte le amministrazioni, ivi compresa la Provincia ricorrente, le "indicazioni necessarie al raggiungimento delle finalità di cui al primo comma” si concreterebbe nella previsione di interventi diretti ed operativi svolti da un apparato centrale dello Stato in luogo della Provincia competente.
Infine, il comma 6 dell’art. 5 sarebbe anch’esso incostituzionale, nella
parte in cui sembrerebbe far salve le competenze ed attribuzioni della
Provincia ricorrente soltanto in relazione ai compiti già attribuiti alla
soppressa Agenzia di protezione civile e passati (in forza dello stesso comma
6) al Dipartimento della protezione civile. Peraltro, la ricorrente sottolinea che la dichiarazione di incostituzionalità del
comma
4.2. – Anche in questo giudizio si
è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, depositando memoria
dell’Avvocatura generale dello Stato, nella quale in
via preliminare sostiene la inammissibilità e l’infondatezza del ricorso, con
argomenti e conclusioni analoghe a quelli svolti a proposito dell’impugnazione
proposta dalla Provincia autonoma di Trento. In particolare, l’Avvocatura
sostiene la singolarità dell’impugnazione del comma 6
dell’art.
5. – Nell’imminenza dell’udienza hanno presentato memorie tutte le Regioni e le Province autonome ricorrenti, che hanno replicato alle difese svolte dell’Avvocatura generale dello Stato, insistendo ciascuna nelle conclusioni rassegnate, fatta eccezione per la Regione Toscana, che – rilevato il recepimento, in sede di conversione del decreto-legge impugnato, delle doglianze mosse nel ricorso – chiede che questa Corte prenda atto del suo sopravvenuto difetto di interesse alla pronuncia.
Nei ricorsi proposti dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria, ha depositato memorie anche l’Avvocatura generale dello Stato, che ha sostanzialmente ribadito le considerazioni circa l’infondatezza delle censure mosse dalle ricorrenti alla impugnata normativa.
Considerato
in diritto
1.1. – La Regione Toscana impugna in
via principale l’intero decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343 (Disposizioni
urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle
attività di protezione civile), con cui il Governo ha soppresso l’Agenzia di
protezione civile, già istituita e disciplinata dal capo IV del titolo V del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma
dell’organizzazione del Governo, a norma dell’art. 11
della legge 15 marzo 1997, n. 59).
Secondo la ricorrente, il decreto-legge
impugnato violerebbe gli artt. 5, 117 e 118 della
Costituzione, sotto il profilo della lesione del principio della leale collaborazione
fra Stato e Regioni: a) in quanto la
soppressione dell’Agenzia ha fatto venir meno una sede istituzionale di
raccordo e concertazione in materia di protezione civile; b) in quanto tale soppressione è stata disposta dal Governo senza
la preventiva sottoposizione del testo del decreto-legge al parere della
Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell’art. 2, terzo e quarto comma, del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione
ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti
tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni,
delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città
ed autonomie locali), pur non ricorrendo una situazione d’urgenza (che comunque
avrebbe dovuto essere dichiarata dal Presidente del Consiglio, e avrebbe
imposto una consultazione successiva).
La
normativa impugnata contrasterebbe inoltre con l’art. 76
della Costituzione, per la lesione delle attribuzioni regionali causata dal
contenuto di un decreto-legge emanato in difetto dei presupposti di necessità e
urgenza.
1.2. – Le Regioni Emilia-Romagna e
Umbria impugnano a loro volta (con due ricorsi di identico
contenuto) gli artt. 1, comma 1, lettere e)
e f), 4 e 5 del decreto-legge n. 343
del 2001, nella parte in cui sopprimono l’Agenzia di protezione civile e
ne trasferiscono le funzioni ad apparati
governativi.
Secondo le ricorrenti, le norme
censurate violerebbero gli artt. 5, 95, 117 e 118
della Costituzione, sotto il profilo della lesione del principio di leale
collaborazione fra Stato e Regioni, nonché l’art. 2, commi 4 e 5, del decreto
legislativo n. 281 del 1997 e l’art. 77 della Costituzione, in quanto il decreto-legge, concernente una materia di competenza
anche regionale, è stato emanato senza la previa necessaria consultazione della
Conferenza Stato-Regioni (e senza indicazione di specifiche ragioni di urgenza
giustificatrici della mancata consultazione preventiva).
Gli stessi parametri costituzionali e
il principio di leale collaborazione sarebbero inoltre violati sotto l’ulteriore profilo che gli strumenti di collaborazione
previsti dalla precedente normativa non sono stati sostituiti da altri
equivalenti.
Il solo art. 5
del decreto-legge n. 343 del 2001 è poi impugnato – per violazione degli artt.
95, 117 e 118 della Costituzione – in quanto attribuisce esclusivamente al
Presidente del Consiglio dei ministri i poteri di coordinamento in materia di
protezione civile già svolti (in
base all’art. 81, comma 1, lettera a),
del decreto legislativo n. 300 del 1999) dall’Agenzia, con la definizione di
indirizzi approvati dal Consiglio dei ministri; e così sottrae una funzione di
indirizzo (anche) delle Regioni alla sede, costituzionalmente necessaria, del
Consiglio dei ministri, in violazione dei limiti costituzionali relativi alle
funzioni statali di indirizzo delle attività regionali.
L’art. 7 del
decreto-legge n. 343 del 2001 - in base al quale "nelle materie oggetto del
presente decreto restano ferme le attribuzioni di cui al decreto legislativo 12
marzo 1948, n.
Infine, le ricorrenti impugnano
l’intero decreto-legge n. 343 del 2001, per violazione degli artt. 77, 117 e 118 della Costituzione, in quanto provvedimento
assunto senza i necessari presupposti giustificativi costituzionali, non
essendo valide le ragioni addotte nel preambolo dell’atto a fondamento
dell’urgenza.
1.3. – La Provincia autonoma di Trento
impugna, in via principale, varie norme della legge 9 novembre 2001, n. 401
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 settembre 2001,
n. 343, recante disposizioni urgenti per assicurare il
coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione
civile).
Secondo la ricorrente, i commi 1, 2, e 5 dell’art. 5 del decreto-legge n. 343 del 2001,
come convertito, con modificazioni, nella legge n. 401 del 2001, si porrebbero
in contrasto con gli artt. 8, n. 5), n. 13), n. 17) e n. 24), 9, n. 9), 16 e 52
del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione
del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige); con il decreto del Presidente della Repubblica 22
marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione
Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche); con gli
artt. 2, 3 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernente il
rapporto tra atti legislativi e leggi regionali e provinciali, nonché la
potestà statale di indirizzo e coordinamento); con l’art. 117 della
Costituzione, in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
La ricorrente così specifica le proprie
censure: 1) l’art. 5,
comma 1 – attribuendo al Presidente
del Consiglio dei ministri il compito di determinare le politiche di protezione
civile e conferendogli "i poteri di ordinanza” in materia di protezione civile
– determina la sovrapposizione di tali compiti e poteri all’attività normativa
della Provincia, sia di carattere generale che relativa al settore della
protezione civile, al di là dei casi e senza l’osservanza dei modi di cui
all’art. 3 del citato decreto legislativo n. 266 del 1992; 2) l’art. 5, comma 2, prevede atti di indirizzo senza
deliberazione collegiale del Governo e senza il limite della produzione di meri
vincoli di risultato; 3) l’art. 5,
comma 5, implica una posizione di "sovraordinazione”
del capo del Dipartimento della protezione civile rispetto alla Provincia.
La ricorrente precisa peraltro che
l’impugnazione è proposta nei confronti delle norme intese nella loro
formulazione letterale, pur essendo esse suscettibili anche di una interpretazione adeguatrice.
Inoltre, la ricorrente impugna l’art. 5, commi 3-ter, 4,
4-bis, e 4-ter, del decreto-legge n. 343 del 2001, come risultanti dalla legge
di conversione n. 401 del 2001, espressamente precisando che l’impugnazione è
proposta «in via cautelativa ed ipotetica»,
qualora si dovesse ritenere che l’espressa previsione delle funzioni di cui
ai citati commi dell’art. 5 costituisca attribuzione allo Stato di funzioni non
comprese nella formula di salvaguardia delle attribuzioni provinciali, di cui
al comma 6 del medesimo articolo; ed al riguardo deduce la violazione degli stessi parametri già evocati.
1.4. – La Provincia autonoma di Bolzano
impugna anch’essa, in via principale, diverse norme della legge n. 401 del
2001, deducendo la violazione dell’art. 8, comma 1, n.
5), n. 13), n. 17), e n. 24), dell’art. 9, comma 1, n. 9), dell’art. 16 e
dell’art. 52, comma 2, del d.P.R. n. 670 del 1972;
degli artt. 33, 34, e 35 del decreto del Presidente della Repubblica n. 381 del
1974, degli artt. 2, 3 e 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992; degli artt.
117 e 118 e dei «principi del titolo V della parte seconda della Costituzione,
come modificati dalla legge costituzionale n. 3 del
Le doglianze riguardano in particolare:
1) l’art. 5, comma 1, nella parte in cui,
per tutte le situazioni di danno o pericolo, attribuisce al Presidente del
Consiglio poteri di intervento diretto (determinazione di politiche di
protezione e poteri d’ordinanza) che sono invece di competenza provinciale,
nonché poteri di indirizzo e coordinamento nei confronti anche della Provincia,
ormai incompatibili con i nuovi principi costituzionali introdotti dalla
riforma del titolo V e dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, o
comunque con il principio di legalità "sostanziale” e con l’art. 3 del decreto
legislativo n. 266 del 1992; 2) l’art. 5, comma 2, nella parte in cui
attribuisce al Presidente del Consiglio il potere di predisporre "gli indirizzi
operativi dei programmi di previsione e prevenzione dei rischi, nonché i
programmi nazionali di soccorso ed i piani per l’attuazione delle conseguenti
misure di emergenza”, così eccedendo rispetto a quanto consentito dall’art. 2,
comma 2, del decreto legislativo n. 266 del 1992; 3) l’art. 5, comma 3-ter,
nella parte in cui concentra in un apparato centrale dello Stato (il "Comitato
operativo della protezione civile”, presieduto dal capo del Dipartimento della
protezione civile) la "direzione unitaria ed il coordinamento delle attività di
emergenza, stabilendo gli interventi di tutte le amministrazioni e gli enti
interessati al soccorso”, così prevedendo non solo un potere di indirizzo e
coordinamento – già di per sé lesivo dalle attribuzioni provinciali per le
ragioni illustrate – ma il potere di "ordinare” a tutte le amministrazioni
"interessate al soccorso” (e quindi anche alla ricorrente) gli interventi di
loro competenza; 4) l’art. 5, comma
4, nella parte in cui stabilisce che il Presidente del Consiglio si avvale del
Dipartimento della protezione civile, così centralizzando ulteriormente
l’esercizio delle attività in questione e comprimendo gli spazi e le garanzie
di autonomia di Regioni e Province autonome, valorizzate invece dalla soppressa
Agenzia; 5) l’art. 5, commi 4-bis e
4-ter, in quanto attribuisce al
Dipartimento compiti spettanti alla Provincia; 6) l’art. 5, comma
2. – Le questioni sollevate in via
principale dalle Regioni e Province autonome ricorrenti investono – con
riferimento a profili d’asserita incostituzionalità in gran
parte coincidenti – la medesima disciplina, riguardante la soppressione
dell’Agenzia di protezione civile ed il trasferimento delle relative funzioni
ad apparati governativi; pertanto i giudizi possono essere riuniti e decisi
congiuntamente.
3. – I ricorsi proposti dalle Regioni
Toscana, Emilia-Romagna ed Umbria (con atti notificati
rispettivamente il 5 ed il 10 ottobre 2001) sono inammissibili.
3.1. – Essi propongono questioni di
legittimità costituzionale dell’intero testo o di singole disposizioni del
decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, per violazione di parametri contenuti
nel titolo V della seconda parte della Costituzione, evocati ratione temporis nel
testo anteriore alla riforma di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3. Il relativo giudizio, secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte (sentenze
n. 37 e n.
28 del 2003; n.
524, n. 422
e n. 376 del
2002), dovrebbe quindi essere compiuto – in assenza di nuove impugnazioni –
alla stregua dei parametri all’epoca vigenti, non rilevando il sopravvenuto
mutamento del quadro costituzionale.
Peraltro, il decreto-legge impugnato è stato convertito in legge (dalla legge
9 novembre 2001, n. 401) in data successiva alla menzionata riforma del
titolo V.
La vicenda normativa sottoposta
all’odierno scrutinio di costituzionalità presenta quindi la peculiarità di un decreto-legge emesso (ed
impugnato) nel contesto del previgente sistema costituzionale di ripartizione
delle attribuzioni tra Stato e Regioni, cui si è sostituita una legge di
conversione promulgata sotto il vigore del sistema riformato.
Inoltre, la legge di conversione ha apportato al testo originario rilevanti modificazioni
determinate, tra l’altro, dall’accoglimento di specifiche proposte emendative
avanzate dai rappresentanti di enti locali, Regioni e Province autonome in sede
di Conferenza unificata, la quale ha conseguentemente
espresso parere favorevole sul disegno di conversione (seduta dell’11 ottobre
2001).
In
particolare, è stato completamente riscritto proprio l’art. 5
del decreto-legge, oggetto di gran parte delle censure concernenti
l’attribuzione al Presidente del Consiglio dei poteri di coordinamento prima
svolti dalla soppressa Agenzia, che avrebbe determinato, secondo le ricorrenti,
l’eliminazione degli strumenti di collaborazione previsti dalla normativa
previgente e la conseguente sottrazione alle Regioni della funzione di
indirizzo (anche) ad esse spettante.
All’originario
testo del comma 1 dell’art. 5 è stata infatti aggiunta
l’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di un Comitato
paritetico Stato-Regioni-enti locali, nel quale la
Conferenza unificata di cui al decreto legislativo n. 281 del 1997 designa i
propri rappresentanti. Sono stati poi introdotti i commi 3-bis, 3-ter e 4-bis, che hanno disciplinato la
composizione degli organi consultivi e operativi di cui si avvale il Presidente
del Consiglio (Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei
grandi rischi, Comitato operativo della protezione civile, Dipartimento della
protezione civile), prevedendo espressamente la presenza di esperti designati
dalle Regioni e le modalità di partecipazione diretta
di Regioni ed enti locali alla loro attività.
Il
nuovo contesto normativo è evidentemente diverso da
quello che ha dato origine alle impugnazioni, e tiene ampiamente conto delle
critiche mosse dalle Regioni ricorrenti alla mancanza di strumenti
collaborativi (tanto che la Regione Toscana ha concluso chiedendo a questa
Corte di prendere atto del suo sopravvenuto difetto di interesse al ricorso).
3.2.
– A tali considerazioni va aggiunto che anche la sopravvenuta modifica
costituzionale preclude di per sé che la questione posta sulle norme del
decreto-legge, in riferimento ai parametri
costituzionali allora vigenti, possa essere trasferita alle norme della legge
di conversione, in riferimento a parametri nuovi.
Sotto
quest’ultimo profilo infatti essa sarebbe
<<questione diversa>> rispetto a quella originariamente sollevata,
e avrebbe quindi dovuto essere proposta, nei modi e nei termini di cui al nuovo
art. 127 della Costituzione, nei confronti della legge di conversione. La
conclusione vale anche per le norme che (come l’art. 7
del decreto) fossero, in sede di conversione, rimaste sostanzialmente immutate.
Pertanto
in questa sede la Corte dovrebbe esaminare le sole questioni concernenti
le norme del decreto-legge, in riferimento ai vecchi parametri.
Ma non risulta, né è allegato, che esse,
prima dell’entrata in vigore della legge di conversione che le ha modificate,
abbiano trovato applicazione. Deve quindi escludersi che si sia prodotto alcun
concreto effetto lesivo in danno delle Regioni ricorrenti (sentenza n. 510 del
2002). Ne consegue la sopravvenuta carenza di
interesse delle medesime Regioni a coltivare i ricorsi, e l’inammissibilità
delle questioni con essi sollevate.
3.3. – Non occorre pertanto soffermarsi sui profili concernenti
l’ammissibilità dell’impugnazione in via principale di un intero testo
normativo e la concreta sussistenza dei requisiti della necessità e urgenza per
l’attività di decretazione da parte del Governo.
4.1. – Il ricorso
della Provincia autonoma di Trento riguarda vari commi dell’art. 5 del decreto-legge n. 343 del 2001, come convertito con
modificazioni dalla legge n. 401 del 2001, censurati in riferimento tra l’altro
(oltre che alle norme statutarie e di attuazione dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige) anche all’art. 117 della Costituzione, letto in
connessione con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Esso è
proposto al dichiarato scopo di ottenere «in
via cautelativa ed ipotetica» un’interpretazione adeguatrice delle norme impugnate, che le mantenga nel
quadro delle relazioni tra lo Stato e le
Province autonome, definite dallo statuto e dalle norme di attuazione.
Secondo la Provincia, tale interpretazione
potrebbe essere svolta in due modi: o estendendo la portata della clausola di salvaguardia delle competenze delle Province autonome,
contenuta nel comma 6 dell’art. 5, al di là dell’ambito di operatività
risultante dalla sua formulazione letterale, che sembrerebbe limitato ai soli
compiti trasferiti dall’Agenzia al Dipartimento; ovvero considerando che i
poteri governativi previsti dalle norme impugnate devono essere esercitati nel
rispetto delle regole relative ai rapporti Stato-Provincia.
4.2.
– L’eccezione
di inammissibilità, sollevata dalla Avvocatura
generale dello Stato, in ragione della dichiarata natura interpretativa della
questione, è infondata.
Questa
Corte ha ripetutamente affermato che - a differenza di quanto accade per il
giudizio in via incidentale - il giudizio in via principale (soggetto a termini di decadenza, in
quanto processo di parti, svolto a garanzia di posizioni soggettive dell’ente
ricorrente) può concernere questioni sollevate sulla base
di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili. Il principio vale
soprattutto nei casi in cui su una legge non si siano ancora formate prassi
interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte
potenzialità applicative, e le interpretazioni addotte dal ricorrente non siano
implausibili e irragionevolmente scollegate dalle
disposizioni impugnate così da far ritenere le questioni del tutto astratte o
pretestuose (sentenze
n. 412 del 2001, n. 244 del 1997
e n. 242 del
1989).
4.3.
– Nel merito la questione non è fondata, nei termini di seguito precisati.
La clausola di salvaguardia in esame dispone
che <<Ferme restando le attribuzioni
rispettivamente stabilite dagli articoli 107 e 108 del decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 112, e le competenze e attribuzioni delle regioni a statuto
speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, i compiti attribuiti
dal decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, all'Agenzia di protezione
civile sono assegnati al Dipartimento della protezione civile>>. La
formale collocazione della clausola nel contesto del
secondo periodo del comma 6 dell’art. 5, relativo al passaggio al Dipartimento
dei compiti già attribuiti all’Agenzia, potrebbe far apparire non
manifestamente implausibile l’interpretazione
restrittiva temuta dalla ricorrente.
Tuttavia,
non esistono elementi da cui possa desumersi che la clausola non operi anche rispetto agli altri
commi del medesimo art. 5, e quindi anche ai compiti
attribuiti dalla normativa impugnata ad organi ed uffici statali diversi dal
Dipartimento, ovvero ai compiti del Dipartimento non provenienti dall’Agenzia.
Pertanto, in difetto di indici
contrari, l’esplicita affermazione della salvezza delle competenze
provinciali si risolve - indipendentemente dalla lettera della norma e dalla
sua collocazione - nell’implicita conferma della sfera di attribuzioni delle Province autonome, fondata sullo statuto
speciale e sulle relative norme di attuazione. Ed è significativo
che la stessa Avvocatura generale dello Stato interpreti la normativa in
questione nel senso che le competenze degli organi statali suscettibili di
interferire con attribuzioni di Regioni speciali o Province autonome dovrebbero
comunque essere esercitate «nel rispetto delle norme che in proposito operano
nei confronti di ciascuno degli Enti interessati».
5. – Le considerazioni che precedono – oltre a
rendere superfluo l’esame del merito delle censure mosse dalla Provincia di
Trento sulle singole norme impugnate – sono determinanti
anche ai fini della decisione dell’impugnazione proposta dalla Provincia
autonoma di Bolzano.
Questa riguarda, tra gli
altri, proprio il comma 6 dell’art. 5, censurato nella
parte in cui sembrerebbe far salve le competenze della Provincia soltanto in
relazione ai compiti trasferiti dalla soppressa Agenzia al Dipartimento, ma non
anche in relazione ai compiti del Dipartimento non provenienti dall’Agenzia.
Pertanto la Provincia di
Bolzano mira anch’essa, come quella di Trento, ad
ottenere l’estensione della portata della ricordata clausola di salvezza. Ne
consegue che la questione – come quella sollevata dalla Provincia di Trento –
deve essere dichiarata non fondata, nei sensi prima precisati.
Tale questione è pregiudiziale rispetto alle altre, come ammette
la medesima ricorrente, secondo la quale la
dichiarazione di incostituzionalità del sesto comma nella parte in esame renderebbe
non necessaria la dichiarazione di incostituzionalità dei precedenti commi
anch’essi impugnati. Ed è evidente come, in tale prospettiva, all’ipotizzata
decisione di incostituzionalità (basata
sull’impossibilità di interpretare la norma nel senso auspicato dalla
ricorrente) equivalga una pronuncia di non fondatezza che accolga proprio
quella interpretazione.
Pertanto, le ragioni che
hanno determinato la decisione di non fondatezza della questione comportano che
anche le altre questioni sollevate dalla Provincia di Bolzano debbano ritenersi
non fondate.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale del decreto-legge 7 settembre 2001, n.
343 (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle
strutture preposte alle attività di protezione civile), sollevata, in
riferimento agli artt. 5, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione
Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lettere e) ed
f), 4, 5 e 7, e dell’intero decreto-legge n. 343 del 2001, sollevate, in
riferimento agli artt. 5, 77, 95, 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni
Emilia-Romagna ed Umbria, con i ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, commi 1, 2, 3-ter, 4, 4-bis, 4-ter e 5, del
decreto-legge n. 343 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge 9
novembre 2001, n. 401 (Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, recante disposizioni urgenti per
assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di
protezione civile), sollevate – in riferimento agli artt. 8, n. 5), n. 13), n.
17) e n. 24), 9, n. 9), 16 e 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31
agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige); al decreto del
Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica
ed opere pubbliche); agli artt. 2, 3 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992,
n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
concernente il rapporto tra atti legislativi e leggi regionali e provinciali,
nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); nonché all’art. 117
della Costituzione, in connessione
con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – dalla
Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, commi 1, 2, 3-ter, 4, 4-bis, 4-ter, 5 e 6 del
decreto-legge n. 343 del 2001, convertito con modificazioni dalla legge n. 401
del 2001, sollevate – in riferimento agli artt. 8, comma 1, n. 5), n. 13), n.
17), e n. 24), 9, comma 1, n. 9), 16 e 52, comma 2, del d.P.R.
n. 670 del 1972; agli 33, 34, e 35 del d.P.R. n. 381
del 1974; agli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992; d) agli artt. 117 e
118 «principi del titolo V della parte seconda della Costituzione, come
modificati dalla legge costituzionale n. 3 del
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno
2003.
Riccardo
CHIEPPA, Presidente
Franco
BILE, Redattore
Depositata
in Cancelleria il 4 luglio 2003.