Ordinanza n. 139 del 2016

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ORDINANZA N. 139

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                            Presidente

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                    Giudice

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

- Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 16 settembre 2015, relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal sen. Roberto Calderoli nei confronti dell’on. Cécile Kyenge Kashetu, promosso dal Tribunale ordinario di Bergamo, con ricorso depositato in cancelleria il 29 gennaio 2016 ed iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2016, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 18 maggio 2016 il Giudice relatore Franco Modugno.

Ritenuto che, con ordinanza depositata il 29 gennaio 2016, il Tribunale ordinario di Bergamo ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spettava al Senato della Repubblica di affermare, con deliberazione del 16 settembre 2015 (Doc. IV-ter, n. 4), che le dichiarazioni rese dal sen. Roberto Calderoli nei confronti dell’on. Cécile Kyenge Kashetu, all’epoca dei fatti Ministro per l’integrazione, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, come tali insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e di annullare conseguentemente la predetta deliberazione del Senato della Repubblica;

che il ricorrente premette di essere investito del procedimento penale nei confronti del sen. Roberto Calderoli, imputato del reato previsto e punito dagli artt. 595, terzo comma, del codice penale, e 3 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122 (Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa), convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, perché, «alla presenza di una vasta platea di circa 1.500 spettatori durante un comizio tenutosi alla festa indetta dalla Lega Nord» il 13 luglio 2013 presso Treviglio, offendeva l’onore e il decoro del Ministro per l’integrazione pro tempore, assimilando l’on. Kyenge a un orango;

che, secondo il ricorrente, vi sarebbe l’aggravante di aver recato offesa mediante comizio, quale particolare mezzo di pubblicità, e di aver commesso il fatto per finalità di discriminazione razziale;

che le frasi utilizzate dal sen. Calderoli, analiticamente riportate nell’atto introduttivo del giudizio, sono state poi ampiamente diffuse da organi di stampa a tiratura nazionale;

che, con votazioni per parti separate, il Senato della Repubblica, nella seduta del 16 settembre 2015, esprimeva voto favorevole alla relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari sull’insindacabilità del fatto ai sensi dell’art. 3 del d.l. n. 122 del 1993, e voto contrario sull’insindacabilità del fatto ai sensi dell’art. 595, terzo comma, cod. pen.;

che, secondo il Tribunale ricorrente, compito delle Camere, ai sensi degli artt. 68, primo comma, Cost. e 4 della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), sarebbe esclusivamente quello di valutare la sussistenza o meno del nesso tra opinioni espresse dal parlamentare ed esercizio delle relative funzioni, mentre sarebbe riservata alla giurisdizione la «qualificazione giuridica del fatto»;

che il Senato della Repubblica, «ritenendo la sindacabilità del reato-base e l’insindacabilità della circostanza aggravante», avrebbe quindi invaso un «settore riservato alla giurisdizione»;

che, in ogni caso, le dichiarazioni oggetto del procedimento penale non sarebbero coperte dalla guarentigia di cui all’art. 68, primo comma, Cost. – come, invece, ritenuto dal Senato della Repubblica – non potendosi individuare uno specifico «nesso funzionale» tra le dichiarazioni rese extra moenia e l’attività parlamentare, ravvisabile solo quando sussista una «sostanziale identità di contenuto» tra l’atto parlamentare e detta manifestazione di pensiero;

che, in particolare, le dichiarazioni extra moenia oggetto del presente conflitto non potrebbero ritenersi funzionalmente collegate ai due atti di sindacato ispettivo richiamati nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (atto n. 4-00166 del 14 maggio 2013 e atto n. 4-00324 del 6 giugno 2013), nei quali si contestava la definizione operata dall’on. Kyenge della clandestinità come «non reato», qualificandola piuttosto come «un’istigazione a delinquere in nome della rivendicazione di un diritto inesistente»;

che «l’assimilazione di una signora di colore ad un orango» da un lato giustificherebbe in astratto la contestazione della natura razzista dell’insulto e dall’altro ne escluderebbe ogni possibile collegamento con qualsiasi attività parlamentare;

che le dichiarazioni in discussione non potrebbero ritenersi neppure vagamente attinenti ad un contesto politico, dovendo in ogni caso la cognizione in merito alla loro effettiva idoneità a integrare o meno il delitto in contestazione essere riservata, anche in forza di precetti costituzionali (artt. 27, 101 e 102 della Costituzione), all’autorità giudiziaria ordinaria;

che, infine, sussisterebbero sia i presupposti soggettivi del conflitto – essendo il Tribunale competente a decidere sull’asserita illiceità delle condotte oggetto di contestazione in sede penale – sia i presupposti oggettivi, lamentando il ricorrente la lesione della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita, in conseguenza della deliberazione del Senato della Repubblica.

Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), a delibare, senza contraddittorio, in ordine all’ammissibilità del conflitto di attribuzione, sotto il profilo della ricorrenza della «materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza» e della sussistenza dei requisiti soggettivo ed oggettivo, restando impregiudicata ogni ulteriore questione, anche in punto di ammissibilità;

che, a tale fine, non rileva la forma dell’ordinanza rivestita dall’atto introduttivo, bensì la sua rispondenza ai contenuti richiesti dall’art. 37 della legge n. 87 del 1953 e dall’art. 24, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (ex plurimis: sentenza n. 315 del 2006; ordinanze n. 91 del 2016, n. 271 e 161 del 2014, n. 296 e 151 del 2013);

che, sotto il profilo del requisito soggettivo, va riconosciuta la legittimazione del Tribunale ordinario di Bergamo a promuovere conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell’esercizio delle funzioni attribuitegli;

che, allo stesso modo, deve essere riconosciuta la legittimazione del Senato della Repubblica ad essere parte del presente conflitto, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria volontà in ordine all’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che, per quanto attiene al profilo oggettivo, il ricorrente lamenta l’invasione della propria sfera di competenza, in quanto il Senato della Repubblica avrebbe proceduto ad una qualificazione giuridica del fatto, «ritenendo la sindacabilità del reato-base e l’insindacabilità della circostanza aggravante»;

che, sempre con riguardo al profilo oggettivo, il ricorrente lamenta, altresì, la lesione della propria sfera di attribuzione, costituzionalmente garantita, in conseguenza di un esercizio ritenuto illegittimo, per inesistenza dei relativi presupposti, del potere spettante al Senato della Repubblica di dichiarare l’insindacabilità delle opinioni espresse da un membro di quel ramo del Parlamento ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.;

che, dunque, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte (da ultimo, ordinanze n. 91 del 2016, n. 286, 161, 150 e 53 del 2014).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, proposto dal Tribunale ordinario di Bergamo nei confronti del Senato della Repubblica, con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dispone:

a) che la cancelleria di questa Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al predetto giudice, che ha proposto il conflitto di attribuzione;

b) che il ricorso e la presente ordinanza siano notificati, a cura del ricorrente, al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 maggio 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Franco MODUGNO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10 giugno 2016.