Ordinanza n. 121 del 2011

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ORDINANZA N. 121

ANNO 2011

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Ugo                         DE SIERVO                                                    Presidente

- Paolo                       MADDALENA                                                 Giudice

- Alfio                        FINOCCHIARO                                                    ”

- Alfonso                    QUARANTA                                                         ”

- Franco                     GALLO                                                                  ”

- Luigi                        MAZZELLA                                                           ”

- Gaetano                   SILVESTRI                                                            ”

- Sabino                     CASSESE                                                              ”

- Giuseppe                 TESAURO                                                             ”

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                     ”

- Giuseppe                 FRIGO                                                                   ”

- Alessandro               CRISCUOLO                                                        ”

- Paolo                       GROSSI                                                                 ”

- Giorgio                    LATTANZI                                                            ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto in relazione all’art. 3 della legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione) e alla deliberazione del Senato della Repubblica del 20 ottobre 2010 con la quale è stato approvato il disegno di legge n. 1880-A, recante: «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali», promosso da Giuseppe Benvenga con ricorso depositato in cancelleria il 14 luglio 2010 ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2010, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2011 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

Ritenuto che, con ricorso depositato in data 14 luglio 2010, l’avvocato Giuseppe Benvenga «nella qualità di cittadino che adempie ai doveri costituzionali di fedeltà e difesa della Repubblica e della Costituzione», ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati;

che il ricorrente impugna la delibera del 20 gennaio 2010, con la quale il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge n. 1880-A, recante: «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali»;

che con il ricorso viene, altresì, impugnato l’art. 3 della legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione);

che il ricorrente ritiene che per effetto dei suddetti atti il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati hanno, in violazione degli artt. 1, 138 e 139 della Costituzione, travalicato le loro attribuzioni costituzionalmente garantite e invaso quelle riservate al potere giudiziario;

che, quanto alla legittimazione soggettiva, il ricorrente afferma di agire innanzi alla Corte in quanto «investito direttamente dalla Costituzione (artt. 52 e 54) della funzione pubblica di rango costituzionale consistente nella (eccezionale) difesa del nucleo fondamentale ed intangibile, protetto dagli artt. 1 e 139 della Costituzione, della forma repubblicana e democratica dello Stato»;

che, in particolare, il ricorrente ritiene che «ciascun cittadino (…) costituisce un potere dello Stato esterno all’apparato statale ed è, quindi, attivamente legittimato al conflitto di attribuzione» nei casi in cui, come quello in esame, vi è l’inerzia degli organi costituzionali dello Stato formalmente legittimati a sollevare il suddetto conflitto;

che, quanto al profilo oggettivo, il ricorrente ritiene che per effetto dell’art. 3 della legge n. 85 del 2006, il Parlamento ha modificato l’art. 283 del codice penale riducendone la portata applicativa e, di conseguenza, ha inciso sulla garanzia penale che quest’ultimo assicurava agli artt. 1 e 139 Cost.;

che, infatti, prima della suddetta modifica l’art. 283 cod. pen., come introdotto dall’art. 2 della legge 11 novembre 1947, n. 1317 (Modificazioni al Codice penale per la parte riguardante i delitti contro le istituzioni costituzionali dello Stato), puniva ogni condotta, anche nella forma del tentativo e indipendentemente dal suo carattere violento, volta a mutare con mezzi non consentiti la Costituzione dello Stato, di talché assumevano rilevanza penale anche le iniziative di quei parlamentari che, con la presentazione di disegni di legge, si proponevano la modifica del nucleo fondamentale della Costituzione;

che dall’esclusione di tali condotte dalla fattispecie prevista dall’art. 283 cod. pen. deriverebbe, quale ulteriore conseguenza, l’impossibilità di sottoporre tale norma allo scrutinio della Corte per mezzo del giudizio incidentale di costituzionalità, in quanto nessun parlamentare potrebbe essere chiamato a rispondere della sua violazione, risultando, quindi, il presente ricorso l’unico mezzo per ripristinare la tutela da essa prevista;

che il ricorrente sostiene, poi, che l’art. 3 della legge n. 85 del 2006, si pone in contrasto anche con l’art. 138 Cost., poiché esso nel modificare l’art. 283 cod. pen. non ha tenuto conto che tale ultima disposizione è stata introdotta dalla legge n. 1317 del 1947 da parte della Assemblea Costituente e, dunque, da una legge di rango costituzionale, di talché l’indicata norma penale non è suscettibile di modifica da parte del legislatore ordinario;

che, quanto all’impugnato disegno di legge n. 1880-A, il ricorrente ritiene che esso costituisca un atto idoneo a mutare il nucleo essenziale della forma repubblicana e democratica dello Stato, in quanto espone ad un serio pericolo di soppressione il principio della divisione dei poteri che di quel nucleo è elemento fondamentale;

che, in particolare, il ricorrente, dopo aver rilevato che la presentazione dell’indicato disegno di legge sarebbe l’effetto della attenuata tutela sopra indicata, afferma che esso limiterebbe l’esercizio della giurisdizione penale e contabile, in quanto sancisce la fine dei relativi processi senza che risultino estinti per prescrizione, rispettivamente, il reato o il diritto di credito dello Stato oggetto di accertamento da parte del giudice;

che, infatti, l’atto censurato nel non tener conto dell’autonomia esistente tra il principio di ragionevole durata del processo e della prescrizione, assegna al processo penale e a quello contabile in primo grado dei termini brevi di durata, rispettivamente di tre anni e due anni e, dunque, inferiori a quelli previsti per la prescrizione del reato, che per l’ipotesi minima di delitto è di sei anni estendibili di un ulteriore anno e mezzo, e a quelli previsti per la prescrizione del diritto di credito dello Stato, derivante da risarcimento danno, per la quale occorrono cinque anni;

che, quindi, l’impugnato disegno di legge riduce il potere del giudice di accertare i fatti oggetto del processo e ciò nonostante che rispetto ad essi vi sia ancora l’esigenza di verificarne l’eventuale sussistenza;

che il ricorrente, infine, osserva che la natura di disegno di legge non renderebbe il ricorso inammissibile sulla constatazione che tale atto non ha in sé alcuna forza lesiva dei principi costituzionali sopra indicati, in quanto atto puramente prodromico del più lungo procedimento legislativo, e ciò in quanto il divieto assoluto di revisione della Costituzione non consentirebbe, neppure, di essere messo in pericolo, risultando ciò confermato dalla originaria formulazione dell’art. 283 cod. pen. modellato sulla tipologia di un reato di pericolo.

Considerato che, ai sensi dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), questa Corte è chiamata, in via preliminare, a decidere con ordinanza in camera di consiglio, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile sotto il profilo dell'esistenza della materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, valutando, in particolare, se sussistano i requisiti oggettivi e soggettivi di un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato;

che, sotto il profilo soggettivo, il conflitto è palesemente inammissibile poiché è proposto da un singolo cittadino, il quale afferma di agire innanzi alla Corte, in quanto «investito direttamente dalla Costituzione (artt. 52 e 54) della funzione pubblica di rango costituzionale consistente nella (eccezionale) difesa del nucleo fondamentale ed intangibile, protetto dagli artt. 1 e 139 della Costituzione, della forma repubblicana e democratica dello Stato»;

che, invero, questa Corte ha sempre affermato che «in nessun caso [...] il singolo cittadino può [...] ritenersi investito di una funzione costituzionalmente rilevante tale da legittimarlo a sollevare conflitto di attribuzioni ai sensi degli artt. 134 Cost. e 37 legge n. 87 del 1953» (ordinanze n. 85 del 2009; n. 284 e n. 189 del 2008);

che anche il requisito oggettivo risulta insussistente, giacché, il ricorso è diretto, da un lato, non a sollevare un conflitto di attribuzione, quanto piuttosto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione), attraverso una sorta di ricorso diretto a questa Corte (ordinanze n. 367 e n. 284 del 2008) e, dall’altro, è rivolto verso un disegno di legge e, quindi, nei confronti di un atto preordinato esclusivamente ad avviare il procedimento legislativo e, dunque, palesemente inidoneo a produrre l’effetto lesivo lamentato dal ricorrente (ordinanze n. 120 del 2009, n. 172 del 1997, n. 45 e n. 44 del 1983).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dall’avvocato Giuseppe Benvenga, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente e Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.