Ordinanza n. 294 del 2008

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ORDINANZA N. 294

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                                            BILE                              Presidente

- Giovanni Maria                                 FLICK                             Giudice      

- Francesco                                        AMIRANTE         “

- Ugo                                                DE SIERVO         “

- Paolo                                              MADDALENA      “

- Alfonso                                           QUARANTA                      “

- Franco                                            GALLO                                       “

- Luigi                                               MAZZELLA         “

- Gaetano                                          SILVESTRI          “

- Sabino                                                          CASSESE                           “

- Maria Rita                                       SAULLE                       “

- Giuseppe                                         TESAURO                     “

- Paolo Maria                           NAPOLITANO      “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 1, lettera b), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), promosso con ordinanza dell’11 dicembre 2006 dal Tribunale di Palermo nel procedimento civile vertente tra Giuseppe Buzzanca e Carmelo Currenti ed altri iscritta al n. 674 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2007.

  Visti l’atto di costituzione di Carmelo Currenti nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

  udito l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza dell’11 dicembre 2006, il Tribunale di Palermo, I sezione civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 1, lettera b), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), in riferimento agli articoli 3, 48, terzo comma, e 51 della Costituzione;

che il rimettente riferisce di essere stato adìto da Buzzanca Giuseppe con ricorso avverso il verbale delle operazioni relative alle elezioni del Presidente della Regione siciliana e dell’Assemblea regionale siciliana del 28 maggio 2006, redatto dall’Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Messina del 12 giugno 2006, con il quale è stata dichiarata la nullità della sua elezione a deputato regionale, con conseguente proclamazione dell’elezione alla stessa carica del candidato Currenti Carmelo;

che la contestata nullità è stata dichiarata, su istanza del candidato primo dei non eletti, per la sussistenza di una delle cause di incandidabilità previste dalla censurata disposizione, atteso che il medesimo ricorrente era stato condannato, in via definitiva, per il reato di peculato d’uso di cui all’articolo 314, secondo comma, del codice penale;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo ha affermato, rigettando l’eccezione sollevata dal resistente, la propria giurisdizione, posto che, per pacifica giurisprudenza, mentre al giudice amministrativo sono devolute le controversie in tema di operazioni elettorali, al giudice ordinario spetta la cognizione delle controversie relative all’ineleggibilità, alle decadenze ed alle incompatibilità;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della presente questione, il rimettente Tribunale sottolinea, innanzitutto, che la disposizione oggetto di censura è stata solo parzialmente abrogata dall’articolo 274, comma 1, lettera p), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che ha espressamente mantenuto in vigore l’articolo 15 nella sua originaria formulazione per i consiglieri regionali;

che, quanto alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, trova applicazione l’articolo 58, comma 1, lettera b), del succitato decreto legislativo n. 267 del 2000, in forza del quale – e a seguito della modifica apportata dall’articolo 7 del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2004, n. 140 – non possono candidarsi coloro che hanno riportato condanna definitiva per il reato di cui all’articolo 314, primo comma, del codice penale;

che, dunque, «allo stato» si registra una differenza nella formulazione letterale delle disposizioni che riguardano le elezioni regionali e, rispettivamente, le elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali, giacché mentre la censurata disposizione contempla tra le cause ostative alla candidatura la condanna definitiva per il delitto previsto dall’articolo 314 del codice penale, senza distinguere tra le ipotesi del primo e del secondo comma, il citato articolo 58 prevede, allo stesso fine, soltanto la condanna definitiva per il delitto previsto dall’articolo 314, primo comma, del codice penale, con esplicita esclusione quindi della fattispecie criminosa meno grave del peculato d’uso, prevista dal secondo comma;

che il rimettente rigetta l’ipotesi di interpretazione costituzionalmente orientata propugnata dal ricorrente, volta a circoscrivere l’ambito di applicazione della censurata disposizione alla sola ipotesi di peculato prevista dall’art. 314, primo comma, del codice penale, posto che l’effetto parziale dell’abrogazione disposta dall’art. 274, comma 1, lettera p), del decreto legislativo n. 267 del 2000 e la permanenza in vigore del previgente articolo 15 della legge n. 55 del 1990 per i consiglieri regionali trovano conferma nel dato letterale e nell’articolo 31 della legge-delega 3 agosto 1999, n. 265 (Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla L. 8 giugno 1990, n. 142), che non aveva conferito al Governo il potere di modificare le norme concernenti l’ineleggibilità e l’incompatibilità alla carica di consigliere regionale;

che, secondo il rimettente, la differenza di disciplina così introdotta confligge con i princìpi espressi dagli articoli 3, 48, terzo comma, e 51 della Costituzione, giacché il medesimo fatto, consistente nell’aver riportato una condanna definitiva per il delitto di peculato d’uso previsto dall’articolo 314, secondo comma, del codice penale, sortisce conseguenze radicalmente divergenti in tema di elettorato passivo con riguardo a cariche politiche tra di loro non dotate di una significativa differenza;

che l’articolo 15 della legge n. 55 del 1990 persegue finalità di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, di tutela della libera determinazione degli organi elettivi, di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni pubbliche, contro i gravi pericoli di inquinamento derivanti dalla criminalità organizzata e dalle sue infiltrazioni, in relazione ad esigenze dell’intera comunità nazionale connesse a «valori costituzionali di rilevanza primaria» (così la sentenza della Corte costituzionale n. 218 del 1993), risultando in tal modo giustificata una disciplina alquanto rigorosa ispirata alla ratio di prevenire e combattere detti pericoli al fine di salvaguardare «interessi fondamentali dello Stato» (sono citate le sentenze n. 25 del 2002; n. 206 del 1999; e n. 184 del 1994);

che, pertanto, il rimettente ritiene irragionevole che la condanna per il medesimo delitto di peculato d’uso venga ritenuta dal legislatore una manifestazione di grave pericolosità sociale esclusivamente in ordine all’assunzione della carica di consigliere regionale, e non anche per l’assunzione della carica di presidente della provincia, di sindaco, di consigliere provinciale o di consigliere comunale, non sussistendo alcuna apprezzabile diversità di responsabilità e di rilievo istituzionale tale da giustificare una differente disciplina;

che, con atto depositato il 20 ottobre 2007, si è costituito nel presente giudizio di legittimità costituzionale Currenti Carmelo, parte del giudizio principale, al fine di sostenere l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza della questione di costituzionalità avente per oggetto l’articolo 15, comma 1, lettera b), della legge n. 55 del 1990;

che in merito alla denunciata disparità di trattamento rispetto al regime previsto per gli amministratori locali, per la parte privata una volta identificato il bene protetto dalla censurata disposizione, risulta «evidente come non si verta affatto in situazioni soggettive identiche trattate diversamente», giacché i deputati regionali, diversamente dai componenti gli organi elettivi degli enti locali, sono investiti di «più pregnanti poteri», sol che si pensi alla titolarità, in capo all’Assemblea regionale siciliana (e di tutti gli altri Consigli regionali), della funzione legislativa;

che, con atto depositato il 30 ottobre 2007, è intervenuto nel presente giudizio di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;

che, in via pregiudiziale, la difesa erariale eccepisce che, successivamente alla rimessione della questione di costituzionalità in oggetto, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 171 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 7 del decreto-legge n. 80 del 2004, per violazione dell’articolo 77 della Costituzione e che, dunque, essendo venuta nel frattempo meno la disposizione invocata quale termine di raffronto, questa Corte dovrebbe disporre la restituzione degli atti al Tribunale rimettente per una rinnovata valutazione in ordine alla persistenza dei requisiti di rilevanza e non manifesta infondatezza;

che, sempre in via preliminare, l’interveniente sostiene la manifesta inammissibilità della questione basata sull’asserita violazione dell’articolo 48 della Costituzione, per difetto assoluto di motivazione e per inconferenza del parametro così invocato;

che, nel merito, l’Avvocatura dello Stato ritiene manifestamente infondate le restanti censure, non sussistendo la lamentata disparità di trattamento, dal momento che il giudice a quo ha messo a raffronto situazioni in realtà non omogenee, in quanto sussiste, al contrario, «una considerevole differenza di responsabilità e rilievo istituzionale» tra le cariche in oggetto, come dimostrato dalla circostanza che i consiglieri regionali, diversamente dagli amministratori locali, sono membri di organi elettivi provvisti di potere legislativo e che essi stessi godono di un particolare status che, ai sensi dell’articolo 122 della Costituzione, risulta preservato dalla guarentigia dell’insindacabilità.

Considerato che il Tribunale di Palermo, sezione I civile, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15, comma 1, lettera b), della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), in riferimento agli articoli 3, 48, terzo comma, e 51 della Costituzione;

che la censura relativa alla prospettata violazione dell’articolo 48, terzo comma, della Costituzione non è sorretta da alcuna argomentazione e che, dunque, essa è manifestamente inammissibile (si vedano, tra le più recenti, le ordinanze n. 223, n. 206 e n. 204 del 2008);

che il giudice a quo, in relazione all’asserita violazione del principio di eguaglianza in materia elettorale (articoli 3 e 51 della Costituzione), ha invocato, quale tertium comparationis, l’articolo 58, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 267 del 2000, come modificato dall’articolo 7, primo comma, lettera a), del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80 (Disposizioni urgenti in materia di enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2004, n. 140;

che, successivamente alla proposizione dell’odierna questione di legittimità costituzionale, questa Corte, con la sentenza n. 171 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione adottata dal rimettente Tribunale quale termine di paragone «per la sua evidente estraneità rispetto alla materia disciplinata dalle altre disposizioni del decreto-legge in cui è inserita», nonché per la evidente «carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza di provvedere»;

che, dunque, a seguito di detta sentenza, si rende necessario disporre la restituzione degli atti al giudice rimettente per un nuovo esame della perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza della questione (si veda l’ordinanza n. 201 del 2001).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Palermo, I sezione civile.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2008.