Sentenza n. 184 del 1994

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SENTENZA N. 184

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma quarto septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale) introdotto dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 14 luglio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sul ricorso proposto da Dallavalle Franco Maria contro la U.S.L. n. 70 di Alessandria, iscritta al n. 759 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1993;

 

2) ordinanza emessa il 16 giugno 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sul ricorso proposto da Donadio Franco contro la U.S.L. Torino III ed altro, iscritta al n. 760 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.53, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di costituzione di Donadio Franco nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 26 aprile 1994 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

uditi l'avv. Gustavo Romanelli per Donadio Franco e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza emessa il 16 giugno 1993 il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, primo comma e 97, primo comma, della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma quarto septies della legge 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n.16, nella parte in cui prevede l'"immediata sospensione" del personale, pubblico dipendente, che abbia riportato sentenza di condanna per i delitti indicati nelle lettere a), b), c), d) di cui al precedente primo comma, ovvero nei cui confronti sussistano le condizioni di cui alle lettere e) ed f) dello stesso primo comma.

 

Il tribunale remittente premette che il giudizio a quo - nel quale è stata sollevata la predetta questione - ha per oggetto il ricorso avverso la deliberazione con la quale l'amministratore straordinario della Unità sanitaria locale di Torino III ha disposto la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio, ex art. 15 succitato e successive modificazioni, del ricorrente F. Donadio, primario chirurgo presso l'Ospedale Martini di Torino, per essere stato lo stesso condannato dalla corte di appello di Torino, con conforme decisione alla sentenza di primo grado, per il reato di cui agli artt. 479 (falso in atto pubblico), 81 e 110 c.p., alla pena di otto mesi e dieci giorni di reclusione, con interdizione temporanea dai pubblici uffici per il periodo minimo previsto dalla legge.

 

Ciò posto, il giudice a quo ritiene che la questione sollevata sia rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3, primo comma e 97, primo comma, della Costituzione anche alla luce dei recenti sviluppi della giurisprudenza costituzionale. Più in particolare, si osserva che la legge n. 16 del 1992, inscrivendosi, come già rilevato dalla surrichiamata giurisprudenza costituzionale, nel filone della c.d. legislazione antimafia, ha modificato profondamente il testo previgente dell'art. 15 contenuto nella legge n. 55 del 1990, estendendo le norme concernenti limiti all'accesso ed alla permanenza nei pubblici uffici - già previsti per i titolari di cariche elettive o di nomina pubblica - al personale dipendente delle pubbliche amministrazioni.

 

Senonchè la estensione dell'ambito di operatività della norma censurata, ovvero dell'istituto della sospensione obbligatoria, ai dipendenti della P.A. violerebbe l'art.3, primo comma, della Costituzione in quanto predisporrebbe lo stesso trattamento per situazioni profondamente differenziate e pertanto non assimilabili.

 

Un ulteriore autonomo profilo di violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione sarebbe dato dalla circostanza che l'istituto della sospensione obbligatoria, prevista dalla norma impugnata, opererebbe solo con riguardo ai dipendenti degli enti locali, mentre per i dipendenti delle amministrazioni statali, anche se inseriti in uffici periferici, continuerebbe ad applicarsi, salva l'ipotesi di provvedimento restrittivo della libertà personale, la sospensione cautelare facoltativa in base agli artt. 91 e 92 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Ne risulterebbe una ingiustificata disparità di trattamento con conseguente violazione dell'art. 3, comma primo, della Costituzione.

 

Infine, l'istituto della sospensione cautelare obbligatoria come previsto dalla norma censurata violerebbe l'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto, precluderebbe - da un lato - qualsiasi valutazione in ordine alla pericolosità della persistenza in servizio del dipendente, e - dall'altro e correlativamente - potrebbe generare nei confronti dell'amministrazione un notevole pregiudizio.

 

In ogni caso verrebbe ad essere sottratta all'ente la possibilità di valutare discrezionalmente l'opportunità, nell'interesse pubblico, della sospensione del dipendente.

 

Tutto ciò apparirebbe ancora meno giustificabile, considerata la illegittimità costituzionale della destituzione di diritto di cui - secondo il giudice a quo - la sospensione obbligatoria avrebbe" di fatto rappresentato la premessa".

 

2. Si è costituito nel giudizio dinanzi a questa Corte F. Donadio - ricorrente nel giudizio a quo - il quale si richiama sostanzialmente ai profili di incostituzionalità ed alle argomentazioni svolte nell'ordinanza di rimessione.

 

Aggiunge che i fatti contestatigli in sede penale non avrebbero alcuna attinenza con l'attività di primario attualmente esercitata presso la divisione dell'ospedale Martini di Torino, concernendo per contro la qualità di direttore sanitario della Unità sanitaria locale di Rivoli rivestita in epoca pregressa e precisamente prima del febbraio 1988.

 

Inoltre, l'equiparazione dei dipendenti pubblici ai pubblici amministratori sarebbe fonte di gravissimi pregiudizi anche e soprattutto di carattere professionale, e ciò a maggior ragione trattandosi, come nel caso di specie, di un chirurgo, al quale venga inibita per lunghissimo tempo l'attività operatoria nella struttura pubblica - che assorbirebbe la quasi totalità dell'attività operatoria svolta in Italia - con conseguente irreversibile perdita di manualità ed ulteriori danni professionali.

 

3. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

In particolare, l'Avvocatura deduce l'insussistenza della prospettata violazione dell'art. 3 Cost., avuto riguardo alla ratio della l. n. 16 del 1992 la quale, come posto in luce dagli atti parlamentari, sarebbe preordinata a fronteggiare la grave situazione di emergenza nazionale costituita dalle infiltrazioni di stampo mafioso nella pubblica amministrazione.

 

La suddetta ratio spiegherebbe agevolmente la dilatazione dell'ambito di operatività della sospensione obbligatoria disciplinata dalla norma censurata, attesochè il pericolo delle infiltrazioni della delinquenza organizzata non verrebbe meno ed anzi coinvolgerebbe in pari modo anche i funzionari delle pubbliche amministrazioni.

 

Quanto al secondo profilo di violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, prospettato nella ordinanza di rimessione, la questione sarebbe stata già risolta con sentenza n. 197 del 1993 nel senso della applicabilità dell'istituto della sospensione obbligatoria anche ai dipendenti delle amministrazioni statali.

 

Infine, in ordine alla violazione dell'art. 97 della Costituzione, ritiene l'Avvocatura che le argomentazioni svolte al riguardo dal giudice a quo poggino su una premessa destituita di fondamento, e cioé che la succitata sospensione sia connotabile come sanzione disciplinare; mentre essa ha natura cautelare.

 

4. Con altra ordinanza emessa in data 14 luglio 1993, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ripropone la medesima questione di costituzionalità nel corso di un giudizio avente per oggetto l'annullamento della deliberazione con la quale l'amministratore straordinario della U.s.l. n. 70 di Alessandria aveva disposto la sospensione cautelare obbligatoria dal servizio ex art. 15, comma primo, lett.b), e art. 4 septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificati dalla l. n. 16 del 1992 del ricorrente F. M. Dalla valle, aiuto medico di ruolo dell'Ospedale di Alessandria, per essere stato lo stesso condannato per il reato di cui agli artt. 314 e 81, secondo comma, c.p. dal tribunale di Torino con sentenza 23 marzo 1992, non definitiva.

 

L'ordinanza ripropone negli stessi termini e con le stesse argomentazioni i motivi già riferiti.

 

5. É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha concluso per la infondatezza delle questioni sollevate, svolgendo argomentazioni identiche a quelle già riferite al punto 3.

 

Considerato in diritto

 

1. Va disposta la riunione dei giudizi per l'identità delle norme impugnate e delle censure svolte nelle ordinanze indicate in epigrafe.

 

2. É sottoposta alla Corte la questione se l'art. 15, comma quarto septies, della legge 19 marzo 1990, n. 55, introdotto dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16, violi gli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione nella parte in cui prevede la sospensione obbligatoria del personale dipendente delle pubbliche amministrazioni, nei confronti del quale sia stata emessa sentenza di condanna per taluno dei reati indicati nelle lettere a), b) e c) di cui al primo comma, ovvero nei cui confronti sussistano le condizioni di cui alle lettere e) ed f) dello stesso primo comma.

 

3. Le censure non sono fondate.

 

Non quella relativa alla violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, che lamenta l'eguale trattamento, quanto al regime di sospensione cautelare, previsto per soggetti che rivestono cariche elettive in enti pubblici territoriali ed assimilati e soggetti che sono pubblici dipendenti, in quanto pone sullo stesso piano titolari di uffici pubblici elettivi, legati all'ente da rapporto di servizio onorario, e soggetti che sono, invece, legati alla P.A. da rapporto d'impiego.

 

L'eguale trattamento di categorie del tutto differenziate costituirebbe violazione del principio di uguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione.

 

Osserva la Corte che la ratio, desumibile anche dai lavori preparatori, della l. n. 16 del 1992, consiste nell'esigenza di rafforzare la disciplina già posta dalla l. n. 55 del 1990, estendendone talune qualificanti previsioni - inizialmente riferite ai soggetti legati alla P.A. da rapporto di servizio onorario, elettivo o non - a pubblici dipendenti legati alla stessa da rapporto di servizio professionale, che possono talora versare in condizione di potenziale maggiore pericolosità e, quindi, essere fonte di possibili maggiori danni.

 

La diversità delle posizioni e delle funzioni non comporta, infatti, necessaria diversità della disciplina intesa alla salvaguardia di interessi fondamentali dello Stato.

 

Il trattamento omogeneo delle due categorie è stato, dunque, determinato dalla legge razionalmente, perchè identici sono finalità e mezzi di tutela rispetto alla pericolosità eventuale di comportamenti decisionali ed operativi (cfr. sentt. n. 402 e 407 del 1992) potenzialmente pregiudizievoli per la P.A..

 

4. Parimenti infondato è l'altro profilo di violazione dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, correlato alla circostanza che la sospensione cautelare obbligatoria riguarderebbe solo i dipendenti degli enti locali e non anche i dipendenti delle amministrazioni statali, nei cui confronti continuerebbe ad operare soltanto la sospensione cautelare facoltativa prevista dagli artt. 91 e 92 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.

 

Rileva la Corte che il comma quarto septies dell'art. 15 della l. n. 55 del 1990 si riferisce al "personale dipendente delle amministrazioni pubbliche ". Questa espressione è comprensiva dei dipendenti locali e centrali delle amministrazioni statali nonchè dei dipendenti degli enti locali.

 

Tale conclusione è resa evidente dal riferimento, contenuto nella norma in esame, agli enti "indicati" nel comma primo dello stesso art. 15.

 

Essendo tali enti tutti di carattere locale, l'anzidetto riferimento chiarisce che il predetto comma quarto septies, quando menziona il personale dipendente delle amministrazioni pubbliche (senza alcuna delimitazione), è comprensivo dei soggetti appartenenti sia alle strutture dello Stato che a quelle degli enti locali (cfr. sentt. nn. 197 del 1993 e 407 del 1992 cit.).

 

5. Non fondato è, infine, il dedotto contrasto della normativa impugnata con l'art 97, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo che in base ad essa verrebbe impedita alla P.A. la valutazione della convenienza in ordine all'allontanamento del dipendente, allontanamento che talora potrebbe determinare un pregiudizio per l'amministrazione; da qui l'esigenza di non sottrarre il provvedimento di sospensione cautelare al vaglio delle peculiarità dei singoli casi, preclusa proprio dall'obbligatorietà della sospensione.

 

Osserva la Corte che la sospensione ex art. 15, comma quarto septies, della l. n. 55 del 1990, non si configura come sanzione disciplinare, ma consiste in un provvedimento cautelare di carattere speciale ed obbligatorio che si colloca, per le fattispecie cui si riferisce, accanto a figure generali, come la sospensione cautelare, prevista per gli impiegati civili dello Stato dall'art. 91 del t.u. 1° gennaio 1957, n. 3.

 

La fase di quiescenza della posizione soggettiva del pubblico dipendente, aperta dal provvedimento di sospensione ex comma quarto septies cit., è connessa ad una specifica normativa di particolare incisività, diretta a tutelare interessi essenziali della P.A.. In quanto collegata con un giudizio penale, per la inerente sua natura cautelare essa ha carattere temporaneo e può essere oggetto di revoca amministrativa (cfr. art. 9, comma secondo, l. n. 19 del 1990), salvo, in ogni caso, il diritto di difesa dell'interessato.

 

Circa il riferimento che l'ordinanza di remissione fa, sottolineandone le diversità di trattamento, alla destituzione ed alla dichiarata incostituzionalità del suo automatismo (cfr. sent. n. 197 del 1993 cit.), è da rilevare che tale trattamento è conseguenza proprio della diversità delle situazioni e, in particolare, del carattere direttamente sanzionatorio della destituzione.

 

Per queste considerazioni non appare violato l'art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto il principio di buona amministrazione in esso sancito va coordinato con gli altri valori costituzionalmente garantiti e, in concreto, con quelli della tutela dell'ordine pubblico, ai quali si ispira la disciplina censurata.

 

Le denunce di incostituzionalità sollevate dalle ordinanze in epigrafe sono, quindi, infondate.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 15, comma quarto septies, della l. 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), introdotto dall'art.1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le Regioni e gli enti locali), in riferimento agli artt.3, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 16/05/1994.