SENTENZA N. 303
ANNO 2003
Commenti alla decisione di
I. Antonio Ruggeri, Il
parallelismo “redivivo” e la sussidiarietà legislativa (ma non regolamentare…)
in una storica (e, però, solo in parte soddisfacente) pronunzia (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
II. Andrea Morrone, La
Corte costituzionale riscrive il Titolo V? (per
gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
III. Quirino Camerlengo, Dall’amministrazione
alla legge, seguendo il principio di sussidiarietà. Riflessioni in merito alla
sentenza n. 303 del 2003 della Corte costituzionale (per gentile
concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
IV.
Enrico d’Arpe, La
Consulta censura le norme statali “cedevoli” ponendo in crisi il sistema: un
nuovo aspetto della sentenza 303/2003 (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
V.
Fabio Cintioli, Le
forme dell’intesa e il controllo sulla leale collaborazione dopo la sentenza
303 del 2003 (per gentile
concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
VI.
Sergio Bartole,
Collaborazione e
sussidiarietà nel nuovo
ordine regionale (per
gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
VII.
Antonio d’Atena, L’allocazione
delle funzioni amministrative in una sentenza ortopedica della Corte
costituzionale (per gentile concessione del
Forum di Quaderni costituzionali)
VIII.
Adele Anzon, Flessibilità dell’ordine
delle competenze legislative e collaborazione tra Stato e Regioni (per
gentile concessione del
Forum di Quaderni costituzionali)
IX. Renzo
Dickmann, La Corte costituzionale attua (ed integra)
il Titolo V (per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
X. Anna Moscarini,
Titolo
V e prove di sussidiarietà: la sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale
(per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)
XI.
Lorenza Violini, I
confini della sussidiarietà: potestà legislativa “concorrente”, leale
collaborazione e strict
scrutiny (per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali)
XII. Mariangela Di Paola, Sussidiarietà e
intese nella riforma del Titolo V della Costituzione e nella giurisprudenza
costituzionale: la sentenza della Corte costituzionale 1° ottobre 2003, n. 303 (per gentile concessione della
Rivista telematica Lexitalia.it)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 1, commi da 1 a 12 e 14, della legge 21 dicembre
2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti
produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività
produttive); dell’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto
2002, n. 166, (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti); degli
articoli da 1 a 11, 13 e da 15 a 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n.
190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione
delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse
nazionale); del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni
volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni
strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma
dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443) ed allegati A,
B, C e D dello stesso decreto legislativo n. 198 del 2002; promossi con
ricorsi: della Regione Marche, notificati il 22 febbraio, il 25 ottobre e il 12
novembre 2002, depositati il 28 febbraio, il 31 ottobre e il 18 novembre 2002,
rispettivamente iscritti ai numeri 9, 81 e 86 del registro ricorsi 2002; della
Regione Toscana, notificati il 22 febbraio, il 1° e il 24 ottobre, e l’11
novembre 2002, depositati il 1° marzo, il 9 e il 30 ottobre, e il 16 novembre
2002, rispettivamente iscritti ai numeri 11, 68, 79 e 85 del registro ricorsi
2002; della Regione Umbria, notificati il 22 febbraio e l’11 novembre 2002,
depositati il 4 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri
13 e 89 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Trento,
notificati il 22 febbraio e il 25 ottobre 2002, depositati il 4 marzo e il 5
novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 14 e 83 del registro ricorsi
2002; della Regione Emilia-Romagna, notificati il 23 febbraio e il 12 novembre
2002, depositati il 5 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai
numeri 15 e 88 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Bolzano,
notificato il 25 ottobre 2002, depositato il 31 successivo ed iscritto al n. 80
del registro ricorsi 2002; della Regione Campania, notificato il 12 novembre
2002, depositato il 16 successivo ed iscritto al n. 84 del registro ricorsi
2002; della Regione Basilicata, notificato il 12 novembre 2002, depositato il
19 successivo ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2002; della Regione
Lombardia, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed
iscritto al n. 90 del registro ricorsi 2002; e del Comune di Vercelli,
notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n.
91 del registro ricorsi 2002.
Visti gli atti di costituzione
del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento
dell’Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre, della
Società Wind Telecomunicazioni s.p.a., della Vodafone
Omnitel s.p.a., della Società H3G
s.p.a., della T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile e dei Comuni di Pontecurone,
Monte Porzio Catone, Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle
associazioni consumatori (CODACONS);
udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2003
il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;
uditi gli avvocati Stefano Grassi
per la Regione Marche; Vito Vacchi, Lucia Bora e
Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana; Giandomenico Falcon e Maurizio Pedetta per la
Regione Umbria; Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per
la Provincia autonoma di Trento; Giandomenico Falcon,
Luigi Manzi e Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna; Roland Riz e Sergio Panunzio per la
Provincia autonoma di Bolzano; Beniamino Caravita di Toritto e Massimo Luciani
per la Regione Lombardia; Vincenzo Cocozza per la
Regione Campania; Antonino Cimellaro e Carlo Rienzi
per il Comune di Vercelli; Corrado V. Giuliano per l’Associazione Italia
Nostra-Onlus ed altre; Beniamino Caravita di Toritto
e Vittorio D. Gesmundo per la Società Wind
Telecomunicazioni s.p.a.; Marco Sica e Mario
Libertini per la Vodafone Omnitel s.p.a.; Nicolò
Zanon per la Società H3G s.p.a.;
Giuseppe De Vergottini, Mario Sanino e Carlo
Malinconico per la T.I.M. s.p.a.
- Telecom Italia Mobile; Antonino Cimellaro e Carlo
Rienzi per il Comune di Pontecurone; Antonino Cimellaro
per i Comuni di Monte Porzio Catone e Mantova; Sebastiano Capotorto per il
Comune di Roma; Vito Aurelio Pappalepore per il
Comune di Polignano a Mare; Carlo Rienzi per il CODACONS; e l’avvocato dello
Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con distinti ricorsi,
ritualmente notificati e depositati, le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento hanno sollevato questione di
legittimità costituzionale - in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della
Costituzione e, limitatamente alla Provincia autonoma di Trento, all’articolo
10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione) - dell’art. 1 della legge 21 dicembre
2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti
produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività
produttive), anche detta “legge obiettivo”.
In particolare, le Regioni
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna hanno denunciato i commi da 1 a 12 ed il
comma 14 del menzionato art. 1, mentre la Regione Marche ha impugnato soltanto
i commi da 1 a 5. La Provincia autonoma di Trento ha censurato a sua volta i
commi da 1 a 4 dello stesso art. 1, precisando di non ritenere lese le prerogative
ad essa spettanti in forza dello statuto e delle norme di attuazione, bensì
affermando di voler denunciare l’incostituzionalità della legge n. 443 del 2001
“in quanto essa contraddice l’ulteriore livello di autonomia, spettante alla
Provincia ai sensi dell’art. 117 della Costituzione” e dell’art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, il quale estende alle Regioni ad autonomia
differenziata le previsioni del Titolo V della Parte II della Costituzione “per
le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già
attribuite”.
2. - Quanto alle singole
censure, tutte le ricorrenti denunciano il comma 1 dell’art. 1 della legge n.
443 del 2001, il quale attribuisce al Governo il compito di individuare le
infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e
di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione del
Paese.
Si lamenta anzitutto la
violazione dell’art. 117 Cost., adducendosi al riguardo che il predetto compito non è
ascrivibile ad alcuna delle materie di competenza legislativa esclusiva
statale.
Le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento sostengono, inoltre, che, non
essendo più contemplata dall’art. 117 Cost. la materia dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, non
sarebbe nemmeno possibile far riferimento alla dimensione nazionale
dell’interesse così da escludere la potestà legislativa regionale, atteso che
la scelta del legislatore costituzionale è stata proprio quella di considerare
detta dimensione come rilevante in relazione al riparto solo nell’ambito di
quanto assegnato allo Stato a titolo di potestà legislativa esclusiva o
concorrente.
Le Regioni Marche e Toscana
adducono poi che l’individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte, rientrare
in uno degli ambiti materiali individuati dall’art. 117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti
civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia), ma la disposizione censurata, da un
lato, prevederebbe una disciplina di dettaglio e non
di principio e dunque lesiva dell’autonomia legislativa regionale; dall’altro
escluderebbe le Regioni dal processo “codecisionale”,
che dovrebbe essere garantito in base allo strumento dell’intesa tra Stato e
Regioni medesime.
Tale ultimo profilo di
censura, sia pure in subordine all’assunto per cui nella specie non sarebbe
comunque possibile far riferimento ad alcuna delle materie elencate nel terzo
comma dell’art. 117 Cost., è fatto proprio anche dalle
Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento, secondo
le quali la potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni su tali
opere, chiaramente anche di interesse “nazionale”, richiederebbe che su di esse
vi sia un coinvolgimento di entrambi i livelli di governo.
In definitiva, si ritiene che
la disposizione del comma 1 violi anche il principio di leale collaborazione,
giacché non prevede che l’individuazione delle c.d. grandi opere sia
determinata dalle Regioni, o quanto meno dal Governo d’intesa con le Regioni
interessate.
2.1. - Il comma 1 dell’art. 1
viene altresì specificamente denunciato dalla Regione Marche per contrasto con
gli artt. 118 e 119 Cost. In difetto di una puntuale
indicazione dei presupposti che giustificano, in base a sussidiarietà,
un’allocazione a livello centrale delle funzioni relative alla programmazione,
decisione e realizzazione delle singole opere strategiche oggetto della
disciplina censurata, risulterebbe violato il primo comma dell’art. 118 Cost.
La ricorrente rileva inoltre
che la disposizione censurata non potrebbe giustificarsi neppure come una forma
di intervento previsto dall’art. 119, quinto comma, Cost., ossia quale
attribuzione di risorse aggiuntive e di interventi speciali in favore delle
singole autonomie locali, giacché essa si limita a prevedere una competenza
generale dello Stato sulla determinazione di programmi e interventi da
realizzarsi in futuro e rispetto ai quali dovranno definirsi e ricercarsi le
relative risorse. Così, attribuendo al Governo il compito di reperire tutti i
finanziamenti allo scopo disponibili, la disposizione denunciata verrebbe ad
incidere sull’autonomia finanziaria delle Regioni, costituzionalmente garantita
“in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle
infrastrutture la cui decisione rientra nella competenza regionale”.
3. - Tutte le ricorrenti
impugnano poi il comma 2 dell’art. 1 della “legge obiettivo”, che detta - dalla
lettera a) alla lettera o) - i principî ed i criteri direttivi in base ai quali
il Governo è chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della
legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo
finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti
individuati ai sensi del comma 1”.
In base ad analoghe censure,
che evocano il contrasto con l’art. 117 Cost., si deduce anzitutto che la prevista normativa, in quanto
derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n.
109), violerebbe la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di
appalti e lavori pubblici.
Si sostiene inoltre che, pur
nella ipotesi in cui si intenda riconoscere in materia una potestà legislativa
concorrente, sarebbero egualmente violate le competenze regionali perché il
denunciato comma 2 detta principî non già alle Regioni ma al Governo e ciò
attraverso una disciplina compiuta e di dettaglio, non cedevole rispetto ad una
eventuale futura legislazione regionale.
In particolare le Regioni
Umbria ed Emilia-Romagna, nonché la Provincia autonoma di Trento, affermano che
la disposizione del comma 2 sarebbe ben lungi dal conformarsi al modello
costituzionale, per il quale, anche in relazione alle opere maggiori, la
competenza legislativa ripartita deve riflettersi in una gestione congiunta tra
Stato e Regioni in “tutti i momenti in cui l’amministrazione di tali opere si
scompone, secondo le regole dei principî di sussidiarietà e di leale
cooperazione”.
3.1. - La sola Regione Marche
assume altresì l’esistenza della violazione degli artt. 117, quarto comma, 118
e 119 Cost.,
nella parte in cui il comma 2 prevede criteri direttivi rivolti all’esercizio
di competenze amministrative e al reperimento e all’organizzazione delle
risorse.
3.2. - Le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna, nonché la Provincia autonoma di Trento sollevano inoltre
ulteriori specifiche censure avverso le lettere g) ed n), del comma 2,
lamentandone il contrasto con il “diritto europeo”.
Quanto alla lettera g), nella
parte in cui circoscrive l’obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare
la normativa europea in tema di evidenza pubblica solo “nel caso in cui l’opera
sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici”, si tratterebbe di
previsione che non trova riscontro nella direttiva 93/37 CEE, neppure nel caso
del ricorso all’istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3, § l) o
all’affidamento ad unico soggetto contraente generale. Essendo, infatti, pur
sempre quello dell’appalto di lavori un contratto a titolo oneroso tra un imprenditore
e un’amministrazione aggiudicatrice, la stessa partecipazione diretta al
finanziamento dell’opera o il reperimento dei mezzi finanziari occorrenti, da
parte del contraente generale [comma 2, lettera f)], non rileverebbe ai fini
dell’esenzione dal regime comunitario.
Secondo la Regione ricorrente
l’interesse a siffatta censura si radicherebbe sia nella titolarità di
competenza legislativa concorrente, sia nel fatto che l’emanazione di
disposizioni contrastanti con la normativa europea “renderà non più semplice ma
al contrario più difficoltosa la realizzazione delle opere”, cui la Regione
stessa ha interesse, per il probabile avvio di contestazioni in sede
comunitaria.
Da tale ultimo profilo muove
l’ulteriore censura che investe la lettera n), seconda frase, dello stesso
comma 2, nella parte in cui restringe, per tutti gli “interessi patrimoniali”,
la tutela cautelare al “pagamento di una provvisionale”. Questa disposizione -
che preclude la sospensione del provvedimento impugnato e rende possibile la
prosecuzione della gara fino alla stipulazione del contratto, consolidando gli
effetti di eventuali atti illegittimi compiuti nella procedura di gara si porrebbe in contrasto con la direttiva
89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), riducendo “le possibilità di tutela piena
per i concorrenti che lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia
di appalti” e ciò in quanto anticiperebbe alla fase cautelare quella
limitazione della tutela al risarcimento del danno che l’art. 2, paragrafo 6,
della citata direttiva consente nella fase successiva alla “stipulazione di un
contratto in seguito all’aggiudicazione dell’appalto”.
Una scelta, questa, che -
oltre a risultare incompatibile con l’art. 113 Cost.
- potrebbe determinare “un forte aggravio dei costi, data la necessità di
pagare due volte il profitto d’impresa (una volta a titolo di compenso, la
seconda a titolo di danno)” e tale, in ogni caso, da rendere presumibile una
reazione negativa da parte delle autorità comunitarie e delle imprese
interessate, così da “complicare ulteriormente la vicenda delle opere
interessate”.
4. - E’ poi denunciato, da
tutte le ricorrenti, il comma 3, che abilita il Governo a modificare o
integrare il regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici
n. 109 del 1994, adottato con d.P.R. 21 dicembre
1999, n. 554, ponendosi così in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost.,
secondo il quale lo Stato non avrebbe alcuna potestà regolamentare nella
predetta materia.
5. - Tutte le parti ricorrenti
impugnano inoltre il comma 4, che delega il Governo, limitatamente agli anni
2002 e 2003, ad emanare, nel rispetto dei principî e dei criteri direttivi di
cui al precedente comma 2, uno o più decreti legislativi recanti l’approvazione
definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate
secondo quanto previsto al comma 1.
Le censure mosse dalle
ricorrenti, che si svolgono secondo argomentazioni già sviluppate in
riferimento alla questione concernente il comma 2, evidenziano che le
cosiddette “infrastrutture strategiche” rientrano in parte in materie di
potestà legislativa concorrente, in parte in materie di potestà legislativa
regionale residuale, sicché non sarebbe ammissibile, in riferimento a queste
ultime, l’intervento di alcun “decreto legislativo” per la diretta approvazione
definitiva dell’opera, mancando appunto la potestà legislativa statale
specifica nella materia.
6. - La sola Regione Marche
censura il comma 5, sostenendo che la prevista clausola di salvaguardia in
favore delle autonomie speciali confermerebbe “la violazione, a danno delle
Regioni di diritto comune, delle competenze costituzionalmente garantite dagli
artt. 117, 118 e 119 Cost.”.
7. - Le Regioni Toscana,
Umbria ed Emilia-Romagna denunciano infine i commi da 6 a 12 ed il comma 14
dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, che dettano una disciplina in materia
edilizia.
Nel delineare sinteticamente
il contenuto delle censurate disposizioni, le ricorrenti evidenziano,
segnatamente, che con il comma 6 si indicano alcuni interventi edilizi per i
quali l’interessato può scegliere la realizzazione “in base a semplice denuncia
di inizio di attività” in alternativa a concessione o autorizzazione edilizia;
ad esso si ricollega il comma 12, il quale stabilisce che “le disposizioni di
cui al comma 6 si applicano nelle Regioni a statuto ordinario a decorrere dal
novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presente legge”, e che
le stesse Regioni “con legge, possono individuare quali degli interventi
indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o ad
autorizzazione edilizia”.
Le censure, di analogo tenore,
prospettano la violazione dell’art. 117 Cost., sostenendosi, in linea principale, che l’edilizia rientra
nelle materie a potestà legislativa residuale delle Regioni e dunque non
potrebbe essere oggetto di disciplina statale.
In ogni caso, secondo le
ricorrenti, ove si intendesse ricondurre la materia dell’edilizia a quella del
governo del territorio e, quindi, a materia di legislazione concorrente,
sarebbe egualmente violato l’art. 117 Cost., in quanto le disposizioni denunciate pongono una
disciplina analitica e dettagliata, non limitandosi dunque a dettare i principî
fondamentali.
In particolare, poi, avverso
il comma 12 la Regione Toscana deduce che la norma, rendendo applicabile alle
Regioni quanto disposto dal comma 6, vanificherebbe le leggi regionali che
hanno disciplinato procedure e titoli abilitativi per l’attività edilizia.
Le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna precisano altresì che, seppure il denunciato comma 12 ritarda di
novanta giorni l’applicazione del comma 6 e consente alle leggi regionali di
individuare quali degli interventi indicati dal medesimo comma continuino ad
essere assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia,
tuttavia, da un lato, permarrebbe il carattere operativo e non di principio
della disciplina statale; dall’altro, al legislatore regionale sarebbe lasciata
soltanto la scelta “di fissare se per un certo intervento è necessario o meno
il previo provvedimento, mentre i commi 8, 9 e 10, che pure contengono mere
norme procedurali e di dettaglio, appaiono intangibili da parte del legislatore
regionale”.
Sempre le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna svolgono ulteriori considerazioni sull’incostituzionalità del
comma 14, il quale delega il Governo a modificare il testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all’art. 7
della legge 8 marzo 1999, n. 50, per adeguarlo alle modifiche disposte dalla
legge n. 443.
Ad avviso delle ricorrenti,
sarebbe il concetto stesso di testo unico a violare il riparto costituzionale
delle competenze e ciò non soltanto per le materie “residuali regionali”, nelle
quali non è prevista, in linea di principio, alcuna interferenza della
normativa statale, ma anche per le materie di competenza concorrente; per
queste ultime la diretta disciplina operativa dovrebbe essere essenzialmente
regionale, con il vincolo di conformazione ai principî della legislazione
statale. Non sarebbe, pertanto, possibile emanare un “testo unico” delle
disposizioni relative ad una materia concorrente, giacché un simile testo
conterrebbe norme statali per le quali sarebbe naturale la impossibilità di
applicazione in ambito regionale “se non attraverso il vincolo che i principî
esercitano sulla legislazione regionale, per definizione esclusa dal testo
unico”.
Risulterebbe, poi, paradossale
sostengono ancora le ricorrenti la concezione di un testo unico (come nel caso
dell’edilizia) delle disposizioni statali legislative e regolamentari, atteso
che già nel precedente assetto costituzionale non poteva aversi, nelle materie
di competenza legislativa regionale, una normativa statale regolamentare.
8. - Con memorie di identico
contenuto, si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha concluso per la reiezione dei ricorsi.
Quanto alla dedotta
incostituzionalità dell’art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001, per cui
si lamenta l’omessa previsione legislativa di una intesa tra Stato e Regioni
interessate, la difesa del Presidente del Consiglio osserva, anzitutto, che la
materia dei lavori pubblici non rientra nella potestà legislativa residuale regionale
e ciò in quanto, nel testo riformato dell’art. 117 Cost.,
nel quale non compare il riferimento alla materia dei lavori pubblici di
interesse regionale, si sarebbe adottato il “criterio della strumentalità” di
detta materia (già presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998). In tal
senso, allo Stato sarebbe attribuita la “potestà legislativa di principio” in
tema di appalti che sono riferibili a quelle materie rientranti nella potestà
legislativa concorrente (porti e aeroporti; grandi reti di trasporto e di
navigazione; distribuzione nazionale dell’energia; protezione civile).
Peraltro, argomenta ancora
l’Avvocatura dello Stato, dovrebbe escludersi, in ogni caso, la necessità dello
strumento dell’intesa in ordine all’attività diretta all’individuazione di
un’opera pubblica, giacché essa non richiede esercizio di potestà legislativa,
trattandosi di “esplicazione della funzione amministrativa, come tale
disciplinata dall’art. 118 Cost.”. Sicché, venendo in
rilievo, nella fattispecie, l’individuazione e la realizzazione di opere di
“preminente interesse nazionale”, sarebbe “in re ipsa
che, per assicurarne l’esercizio unitario, siffatte funzioni non possano che
spettare allo Stato”.
Nondimeno, il fatto che la
disposizione censurata preveda, quanto all’attività di individuazione
dell’opera, la compartecipazione delle Regioni, sia in proprio, sia come
componenti della Conferenza unificata, indurrebbe ad escludere che vi sia un
vulnus alle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni stesse.
Altrettanto infondate
sarebbero, ad avviso della difesa erariale, le censure mosse al comma 2
dell’art. 1, posto che l’avere la disposizione dettato principi e criteri
direttivi per la futura attività normativa di delegazione, sì da consentire -
secondo la prospettata doglianza - l’emanazione di una disciplina di dettaglio
e, quindi, invasiva delle competenze regionali, non concreterebbe una lesione
delle prerogative costituzionali delle Regioni, bensì “una mera eventualità”
di lesione. Di dette prerogative la legge n. 443 del 2001 avrebbe, comunque,
tenuto conto, prevedendo (al comma 3) il parere della Conferenza unificata.
In riferimento, poi, alla
censura che investe il comma 3 dell’art. 1 a supporto della quale si
adduce la carenza di potestà regolamentare in capo allo Stato l’Avvocatura ribadisce la natura
concorrente della competenza legislativa nel settore dei lavori pubblici,
potendo così lo Stato, “per il principio di continuità”, dettare una disciplina
di dettaglio, “seppur con carattere di cedevolezza”.
Quanto, inoltre, alle
doglianze mosse avverso i commi 6 e seguenti dello stesso art. 1 - le quali
fanno leva sull’asserita violazione dell’art. 117 Cost.,
per essere la materia dell’edilizia ricompresa nella sfera di competenza
legislativa esclusiva regionale e, in ogni caso, ove ricondotta tale materia al
governo del territorio, per aver le disposizioni denunciate previsto una
disciplina di dettaglio - la difesa erariale ricorda che le norme censurate
riguardano le condizioni per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni
edilizie e i casi in cui a siffatti provvedimenti può sostituirsi,
facoltativamente, la denuncia di inizio attività; riguardano cioè l’attività di
“uso e governo del territorio”, in quanto tale rientrante nella competenza
concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
Ad avviso dell’Avvocatura,
dovrebbe comunque escludersi che in tal caso sia stata adottata una normativa
di dettaglio: la previsione, “a livello di principio”, della “surrogabilità
della concessione edilizia con la denuncia di inizio attività, in presenza di
particolari condizioni obiettive”, supererebbe, infatti, il principio,
contenuto in altra legge statale, per il quale era possibile il ricorso alla
denuncia di inizio attività soltanto in relazione ad interventi edilizi minori.
9. - Le ricorrenti hanno
ribadito le rispettive ragioni con memoria illustrativa depositata in
prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 19 novembre 2002 e poi rinviata
al 25 marzo 2003.
9.1. - Nelle memorie si
puntualizza, tra l’altro, che la disciplina posta dalla legge impugnata è stata
innovata dall’art. 13 della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in
materia di infrastrutture e trasporti), che, in particolare, ha sostituito il
comma 1 dell’art. 1 (concernente le modalità di individuazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici) ed il successivo
comma 2, lettera c) (sulle procedure di approvazione dei relativi progetti).
Tuttavia, ad avviso delle
ricorrenti, le predette norme, così come innovate, conservano i vizi di
incostituzionalità già dedotti nei vari ricorsi proposti avverso la legge n.
443 del 2001.
In particolare, secondo le
Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento, le
ricordate modifiche non inciderebbero sull’interesse al ricorso, non essendo
venuto meno l’impianto fondamentale della legge n. 443 del 2001, basato sulla
attrazione alla competenza statale non solo della programmazione, ma anche
dell’approvazione dei progetti e, in buona parte, della realizzazione delle
opere - sia pubbliche che private - tramite la semplice soggettiva
qualificazione delle stesse come “strategiche” e di “preminente interesse
nazionale”. Sicché, la “norma” censurata sarebbe ancora presente nella
disposizione impugnata e quindi la questione di costituzionalità sollevata non
avrebbe affatto “perso d’attualità, riguardando l’art. 1, comma 1, della legge
n. 443 del 2001, come modificato dalla legge n. 166 del 2002”.
In ogni caso, sostengono
ancora le ricorrenti, l’originaria disposizione è già stata attuata con la
deliberazione 21 dicembre 2001 del Comitato interministeriale per la
programmazione economica (CIPE) [Legge obiettivo: I° Programma delle
infrastrutture strategiche (Delibera n. 121/2001)], “sicché l’interesse al
ricorso permane anche in relazione alla formulazione originaria della
disposizione”.
9.2. - La Regione Toscana,
diversamente dalle altre parti ricorrenti, ha inoltre dichiarato di non voler
più insistere nella denuncia dei commi da 6 a 12 e del comma 14, poiché tale
normativa è stata oggetto di successiva modifica da parte dell’art. 13 della
legge n. 166 del 2002, nel senso del riconoscimento della validità delle leggi
regionali emanate in materia edilizia e della possibilità per le Regioni di
ampliare o ridurre l’ambito applicativo dei titoli abilitativi previsti dal
legislatore nazionale.
10. - Anche il Presidente del
Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nel giudizio promosso dalla
Provincia autonoma di Trento con la quale insiste per il rigetto del ricorso, evidenziando
in particolare che le modifiche apportate dalla legge n. 166 del 2002 alla
legge impugnata sarebbero tali da determinare la carenza di interesse a
ricorrere in relazione a tutte le censure imperniate sul difetto di una previa
intesa Stato-Regioni.
11. - In prossimità
dell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 hanno depositato ulteriori memorie
illustrative le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna nonché la Provincia
autonoma di Trento.
11.1. - Nel ribadire le
argomentazioni svolte nei precedenti scritti la Regione Toscana ritiene altresì
che le disposizioni denunciate non potrebbero trovare giustificazione neppure
in base all’art. 120 Cost. Mancherebbe infatti la
legge che disciplina le procedure atte a garantire l’esercizio del potere
sostitutivo nel rispetto del principio di sussidiarietà e, in ogni caso, tale
esercizio non potrebbe mai essere consentito in base a previsioni astratte di
interventi a fronte di motivati dissensi espressi dalle Regioni nelle materie
di propria competenza. Giammai potrebbe poi ritenersi che il dissenso della
Regione sul progetto preliminare e definitivo di un’opera pubblica rappresenti
fattispecie legittimante l’attivazione del potere sostitutivo, e ciò in quanto
la Regione non sarebbe inadempiente ma esprimerebbe il proprio dissenso
motivato ed offrirebbe soluzioni alternative così da rendere necessaria, alla
luce del principio di leale collaborazione, una soluzione condivisa che tenga
conto delle molteplici competenze regionali incise dalla localizzazione di un’opera.
Nella memoria si contesta poi
che le norme censurate possano giustificarsi in base all’art. 118, primo comma,
Cost.,
giacché l’individuazione e la realizzazione di un’opera pubblica richiedono
comunque l’esercizio di potestà legislativa e questa deve essere esercitata nel
rispetto del riparto delle competenze stabilite nella Costituzione. Sicché,
nelle materie di competenza regionale (concorrente e residuale) spetterebbe
alle Regioni medesime disciplinare, nell’esercizio della propria potestà
amministrativa, il procedimento in questione, attribuendo agli enti locali le
relative funzioni nel rispetto dei criteri di sussidiarietà, adeguatezza e
differenziazione di cui all’art. 118 Cost.
Da ultimo si insiste nella
rinuncia all’impugnazione, per sopravvenuto difetto di interesse, dei commi da
6 a 12 e 14 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, atteso che le modiche
apportate dalla successiva legge n. 166 del 2002 permettono alla Regione di
esercitare le proprie competenze legislative in materia edilizia.
11.2. - Le Regioni Umbria,
Emilia-Romagna e Provincia autonoma di Trento, con memorie di identico
contenuto, ribadiscono le ragioni già sviluppate in precedenza, contestando le
argomentazioni sostenute dalla difesa erariale.
In particolare, si insiste nel
fatto che non sarebbe possibile fare ricorso, al fine di radicare nello Stato
la competenza legislativa a provvedere alla disciplina delle cosiddette grandi
opere, al criterio della strumentalità delle materie coinvolte, né tanto meno
ai principî di sussidiarietà ed adeguatezza, che attengono all’allocazione
delle funzioni amministrative.
Si esclude inoltre che, al
medesimo scopo, possa invocarsi l’interesse nazionale, giacché, come tale, esso
rappresenterebbe un criterio generico che, nel contesto della riforma del
Titolo V, non potrebbe più operare al fine del riparto delle materie, al quale
provvede accuratamente l’art. 117 Cost. in base ad una specifica elencazione: l’interesse nazionale
non costituirebbe dunque titolo autonomo di competenza statale, né giustificherebbe
una disciplina che rimetta alla discrezionalità del Governo la sua definizione.
Da ultimo si riafferma la
sussistenza di un interesse ad una pronuncia nel merito sulla censura che
lamenta l’assenza dell’intesa Stato-Regioni e ciò nonostante la modifica
introdotta in tal senso dalla legge n. 166 del 2002 al denunciato comma 1
dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, giacché la disposizione originaria
aveva già trovato attuazione con la predisposizione del primo programma di
infrastrutture strategiche.
12. - Con ricorso iscritto al
reg. ric. n. 68 del 2002, ritualmente notificato e depositato, la Regione
Toscana ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13,
commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in
materia di infrastrutture e trasporti), denunciandone il contrasto con gli
artt. 117, 118 e 119 Cost.
La Regione osserva
preliminarmente che la disposizione impugnata ha modificato l’art. 1 della
legge 21 dicembre 2001, n. 443, concernente le modalità di individuazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici, e che proprio
quest’ultima disposizione
è stata da essa in precedenza denunciata con ricorso iscritto al
n. 11 del reg. ric. dell’anno 2002. Ad avviso della Regione le modifiche
apportate dall’art. 13 al menzionato art. 1 non sarebbero tali da elidere i
dubbi di incostituzionalità già prospettati, tanto più che lo stesso art. 13
risulterebbe illegittimo e lesivo dell’autonomia regionale costituzionalmente
garantita.
12.1. - Secondo la ricorrente
le disposizioni censurate avrebbero potuto trovare fondamento nella materia
“lavori pubblici di interesse nazionale”, ma la stessa non è prevista tra
quelle elencate dal nuovo art. 117 Cost., che ha
eliminato ogni riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse, affidando
al contrario alla competenza legislativa concorrente materie (quali: porti e
aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia) in cui la predetta dimensione
è implicita nel loro stesso contenuto.
Dovrebbe inoltre escludersi,
ad avviso della Regione, che le stesse disposizioni possano fondarsi sul terzo
comma dell’art. 117 Cost., giacché le c.d. grandi opere non sono necessariamente collegate
a materie ivi elencate, come nel caso, ad esempio, della realizzazione degli
insediamenti produttivi che si riconnette alla materia dell’industria, di
competenza residuale regionale ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost. Analogamente è da dirsi per la disciplina dei lavori
pubblici e privati, trattandosi di materia riservata alla legislazione
regionale, con l’unico limite del rispetto della Costituzione e dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario.
In ogni caso, ove si volesse
ammettere una competenza statale relativamente ad opere strategiche collegate a
materie elencate nel terzo comma dell’art. 117 Cost.,
la stessa non potrebbe che esercitarsi attraverso l’individuazione dei principî
regolatori, mentre la normativa denunciata non si limita a dettare principî
alle Regioni in tema di individuazione e realizzazione delle c.d. grandi opere,
ma al contrario definisce i criteri ai quali il Governo dovrà attenersi
nell’esercizio della delega con una disciplina compiuta, dettagliata e minuziosa,
tale da elidere ogni possibilità di intervento normativo da parte delle Regioni
medesime.
Argomenta ancora la ricorrente
che una tale illegittima appropriazione da parte dello Stato di potestà
legislative regionali non potrebbe giustificarsi in nome dell’interesse
nazionale, che il nuovo Titolo V non contempla più come limite alla potestà
legislativa delle Regioni, così come non prevede un generale potere di
indirizzo e coordinamento. Non sarebbe dunque ammissibile reintrodurre limiti
alla potestà legislativa regionale non espressamente previsti in Costituzione
riferendosi alla rilevanza nazionale di un’opera.
12.2. - Ad avviso della
Regione le disposizioni impugnate violerebbero anche l’art. 118 Cost. A tale riguardo si osserva che, per un verso, l’effettivo
rispetto dei criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza
imporrebbe che ogni scelta legislativa di allocazione delle funzioni debba
essere supportata dall’analisi e dalla verifica dei livelli di governo
maggiormente rispondenti a detti criteri e che, dunque, debbano essere resi
conoscibili i motivi della scelta e quindi dell’esercizio in concreto di tale
potere discrezionale: il che non avviene nel caso in esame. Per altro verso, le
esigenze di esercizio unitario richiamate dall’art. 118 Cost.
non potrebbero costituire un titolo autonomo
legittimante l’intervento del legislatore statale, come invece accade in base
alle denunciate disposizioni. Ciò perché l’art. 118, primo comma, Cost. è norma che fissa i criteri
per l’allocazione delle funzioni, ma non disciplina le fonti deputate ad
allocare le stesse e quindi non rappresenta il presupposto su cui fondare
variazioni e spostamenti rispetto alla titolarità della potestà legislativa,
come stabilita dall’art. 117.
12.3. - Il fatto poi che il
comma 3 del censurato art. 13 abbia introdotto il principio per cui
l’individuazione delle grandi opere avviene d’intesa con le Regioni interessate
e con la Conferenza unificata, anziché sulla base del loro parere (come
originariamente previsto), non costituirebbe, secondo la ricorrente, una
modifica tale da far superare gli evidenziati dubbi di incostituzionalità, in
quanto, da un lato, l’intesa non può rappresentare un meccanismo tramite il
quale lo Stato si appropria di potestà legislative ad esso non riservate e,
dall’altro, non è contemplato alcun meccanismo a garanzia che l’intesa non sia
di fatto recessiva rispetto al potere dello Stato di provvedere ugualmente a
fronte del motivato dissenso regionale. In definitiva l’intesa non garantirebbe
una reale forma di coordinamento paritario, con ciò ledendo il principio di
leale cooperazione che imporrebbe, nella materia in esame, una effettiva
codeterminazione del contenuto dell’atto di individuazione delle grandi opere.
12.4. - La Regione sostiene
altresì che neppure i commi 5 e 6 del denunciato art. 13, che dettano i criteri
ai quali deve attenersi il Governo nell’emanare il decreto legislativo volto a
disciplinare le modalità di approvazione dei progetti preliminari e definitivi
delle opere strategiche, garantirebbero il rispetto delle attribuzioni
regionali. Ciò in quanto il ruolo della Regione nell’approvazione dei progetti
(demandata al CIPE o a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni, sentita
la Conferenza unificata, previo parere delle competenti commissioni
parlamentari) sarebbe soltanto quello di esprimere un parere, mentre
l’approvazione di detti progetti assume particolare rilievo poiché determina la
localizzazione urbanistica dell’opera, la compatibilità ambientale della
medesima e sostituisce ogni permesso ed autorizzazione comunque denominati.
Ad avviso della ricorrente le
disposizioni denunciate inciderebbero quindi sulla materia, di legislazione
concorrente, del governo del territorio, dettando un regime derogatorio per
l’individuazione delle opere e per l’approvazione dei progetti delle stesse che
non lascerebbe spazio alla legislazione regionale; interferirebbero sulla
normativa regionale già vigente che disciplina i procedimenti per
l’approvazione delle opere pubbliche, prevedendo le necessarie verifiche di
natura urbanistica, idrogeologica e di difesa del suolo (laddove essa Regione
ha attribuito tali funzioni amministrative ai Comuni e alle Province); esautorerebbero
la Regione delle proprie attribuzioni in merito alla valutazione di impatto
ambientale delle opere. A tal specifico riguardo la Regione Toscana rileva che
il comma 3 dell’art. 13 prevede che anche le strutture concernenti la nautica
da diporto possono essere inserite nel programma delle infrastrutture
strategiche, ciò comportando che la valutazione di impatto ambientale sulle
stesse debba effettuarsi con la procedura prevista dal successivo comma 5 e
dunque dal Ministro competente, restando così sottratto alle Regioni, con
lesione delle relative attribuzioni in materia di porti e valorizzazione dei
beni ambientali.
12.5. - La ricorrente osserva
poi che le prospettate censure non potrebbero essere superate dal fatto che il
comma 3 del denunciato art. 13 della legge n. 166 del 2002 prevede che il
Governo, nell’emanare il decreto delegato, dovrebbe agire “nel rispetto delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni”, giacché, oltre ad essere
espressione vaga e generica, si tratta di indicazione che non potrebbe comunque
essere rispettata, considerato che sono già i principî posti dalla delega a
vulnerare le attribuzioni delle Regioni.
12.6. - La Regione assume
infine che i commi 1 e 11 dell’art. 13, nel prevedere specifici stanziamenti
per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche individuate dal
CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118 Cost.,
in quanto “fanno riferimento al programma predisposto dal CIPE che […] è
elaborato in spregio alle competenze regionali”, sia con l’art. 119 Cost., incidendo sull’autonomia finanziaria delle Regioni
che la norma costituzionale garantisce in relazione al reperimento delle
risorse per la realizzazione delle infrastrutture la cui decisione rientra
nella competenza regionale.
13. - Si è costituito in
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Quanto alla dedotta violazione
dell’art. 117 Cost., la difesa erariale osserva che
l’omessa previsione della materia dei lavori pubblici regionali nella legge
costituzionale n. 3 del 2001 si giustificherebbe in ragione del perseguimento
del criterio, già presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998, della
strumentalità della materia dei lavori pubblici, per cui allo Stato spetta la
potestà legislativa di principio per la disciplina degli appalti relativi alle
materie ricomprese nella potestà legislativa concorrente.
Con riferimento poi al profilo
di censura che sostiene esservi lesione delle attribuzioni regionali in
considerazione della minuziosità della normativa introdotta, l’Avvocatura
rileva che l’attività di individuazione di un’opera pubblica non richiederebbe
l’esercizio di potestà legislative, ma solo di quelle amministrative, ai sensi
dell’art. 118 Cost.
Quanto poi alla denunciata
violazione proprio dell’art. 118, primo comma, Cost. si osserva che, allorquando è necessario assicurare
l’esercizio unitario di funzioni amministrative, come è in riferimento
all’individuazione e realizzazione di opere di “preminente interesse
nazionale”, la fonte normativa di distribuzione delle funzioni medesime non
potrebbe che essere una legge statale. Legge che, nel caso di specie,
correttamente espliciterebbe i presupposti per l’allocazione delle funzioni al
massimo livello, che sono espressamente indicati in “finalità di riequilibrio
socio-economico fra le aree del territorio nazionale”, in “fini di garanzia
della sicurezza strategica e di contenimento dei costi dell’approvvigionamento
energetico del Paese” e nell’“adeguamento della strategia nazionale a quella
comunitaria delle infrastrutture e della gestione dei servizi pubblici locali
di difesa dell’ambiente”.
La difesa erariale sostiene
inoltre che proprio le doglianze mosse avverso la mancata previsione sia di una
previa intesa per l’individuazione delle opere strategiche, sia
dell’integrazione del CIPE con la presenza dei Presidenti delle Regioni per
l’approvazione dei relativi progetti, hanno indotto il legislatore a modificare
in questo senso la legge n. 443 del 2001, tramite l’art. 13 della legge n. 166
del 2002, e ciò per assicurare “il rispetto delle attribuzioni costituzionali”
delle Regioni.
Quanto infine alle censure
riguardanti i commi 1 e 11 del menzionato art. 13, l’Avvocatura ritiene che gli
artt. 117 e 118 Cost., in ragione delle argomentazioni già spese, non siano
violati nella procedura di individuazione e approvazione dei progetti da parte
del CIPE e che parimenti non possa reputarsi leso l’art. 119 Cost. giacché, trattandosi di progettazione
e realizzazione di opere di preminente interesse nazionale, è allo Stato che
compete autorizzare i limiti di impegno e la destinazione della spesa derivanti
dagli stanziamenti del proprio bilancio.
14. - In prossimità
dell’udienza la Regione Toscana ha depositato una memoria con cui, ribadendo le
argomentazioni già svolte, insiste nelle conclusioni già rassegnate.
15. - Nello stesso giudizio
hanno depositato, fuori termine, congiunto atto di intervento ad adiuvandum l’Associazione Italia Nostra-Onlus,
Legambiente-Onlus, l’Associazione italiana per il
World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus, per sentire
dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della
legge n. 166 del 2002, denunciato dalla Regione Toscana.
16. - La Regione Toscana, le
Province autonome di Bolzano e di Trento, la Regione Marche hanno proposto
questione di legittimità costituzionale in via principale di numerosi articoli
del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, recante “Attuazione della legge
21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli
insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale”, denunciandone il
contrasto con gli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost.,
nonché con gli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19,
21, 22, 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali
concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Più nello
specifico, la Toscana impugna gli artt. 1-11, 13, 15, 16, commi 1, 2, 3, 6, 7;
17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1,
2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli
artt. 1-11, 13, 15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13
e 15.
17. - Il ricorso della
Provincia autonoma di Trento è stato depositato presso la cancelleria della
Corte costituzionale il 5 novembre 2002, cioè il giorno successivo alla
scadenza del termine di dieci giorni previsto dall’art. 32, terzo comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87. Con apposita istanza la Provincia rende noto che il
mancato rispetto del termine non può essere imputato a negligenza, ma alla
impossibilità, conseguente alla mancata disponibilità dell’atto presso
l’Ufficio notifiche, per ragioni che atterrebbero al funzionamento di tale
ufficio e che sono state espressamente riconosciute dal medesimo con
certificato allegato al ricorso depositato. Pur non negando il carattere
perentorio del termine di cui è discorso, la Provincia istante ritiene che ciò
non dovrebbe impedire l’applicazione di ulteriori principî giuridici come
quello dell’errore scusabile, espressamente riconosciuto nel giudizio
amministrativo. Si chiede pertanto di considerare scusabile, e dunque
tempestivo, il deposito effettuato dalla Provincia autonoma di Trento il 5
novembre 2002. In subordine, peraltro, ove la Corte ritenesse che la mancata
menzione dell’errore scusabile negli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo comma,
della legge n. 87 del 1953 sia dalla Corte ritenuta preclusiva
dell’applicazione di tale istituto, l’istante eccepisce l’illegittimità
costituzionale in parte qua di tali disposizioni, per violazione dell’art. 24,
primo comma, Cost. e del
principio di ragionevolezza.
18. - In tutti i ricorsi si
osserva preliminarmente come la disciplina statale non potrebbe trovare
fondamento negli specifici titoli abilitativi delle lettere e), m) e s),
dell’art. 117 Cost., in quanto la disciplina oggetto
di impugnazione non avrebbe nulla a che vedere con la tutela della concorrenza
[lettera e)], dell’ambiente e dell’ecosistema [lettera s)] né tanto meno con la
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale
[lettera m)].
Le ricorrenti pongono inoltre
in risalto come le Regioni sarebbero divenute titolari della competenza
legislativa concorrente in molte delle materie che attengono alla realizzazione
di opere pubbliche, quali “porti e aeroporti civili”, “grandi reti di trasporto
e navigazione”, “trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, “governo
del territorio”. Solo in relazione alle opere pubbliche relative ai predetti
settori materiali lo Stato sarebbe dunque titolare di potestà legislativa, che
dovrebbe peraltro essere esercitata attraverso la predisposizione di una
normativa di principio, non anche attraverso discipline di dettaglio che, come
nella specie, comprimano gli spazi di scelta politica delle Regioni. La materia
degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture strategiche, per di più,
sarebbe interamente affidata alla potestà legislativa residuale delle Regioni,
così da escludere ogni intervento normativo statale.
L’esigenza di tutelare un
interesse nazionale non potrebbe giustificare la deroga al riparto delle
competenze costituzionali che il decreto impugnato avrebbe introdotto, in
quanto l’interesse nazionale non potrebbe più costituire il titolo per
sottrarre oggetti alle materie di competenza regionale. Egualmente, si aggiunge
nel ricorso della Regione Toscana, non varrebbe invocare l’art. 118, primo
comma, e le esigenze di esercizio unitario ivi richiamate, che non potrebbero
costituire un titolo autonomo legittimante l’intervento del legislatore statale
in materie di competenza delle Regioni, giacché l’art. 118 non conterrebbe un
riparto di materie ulteriore e potenzialmente antagonista rispetto a quello
contenuto nell’art. 117 Cost.
Le disposizioni impugnate
sarebbero illegittime pure per contrasto con l’art. 76 Cost., giacché la legge di
delegazione espressamente prevedeva che la delega dovesse essere esercitata
«nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni».
18.1. - Nello specifico, sono
oggetto di impugnazione:
a) - l’art. 1, comma 1, che
regola la progettazione, l’approvazione e realizzazione delle infrastrutture
strategiche e degli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale,
individuati da un apposito programma approvato dal CIPE (art. 1 legge n. 443
del 2001). Le opere sono differenziate in categorie. Quelle per le quali
l’interesse regionale è concorrente con il preminente interesse nazionale sono
individuate con intese quadro fra Governo e singole Regioni e per esse è
previsto che le Regioni medesime partecipino, con le modalità stabilite nelle
intese, alle attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio,
«in accordo alle normative vigenti ed alle eventuali leggi regionali allo scopo
emanate».
La Provincia autonoma di
Bolzano ritiene che tale disposizione sarebbe rivolta a salvaguardare
unicamente le competenze ad essa riconosciute dallo statuto speciale e dalle
norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e maggiori competenze che
le spetterebbero ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost.
Risulterebbe inoltre violato l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992,
il quale impone il sollecito adeguamento (sei mesi) della legislazione
provinciale ai principî della legislazione statale, tenendo ferma «l’immediata
applicabilità nel territorio regionale (…) degli atti legislativi dello Stato
nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma è attribuita
delega di funzioni statali»;
b) - l’art. 1, comma 5, il
quale dispone che le Regioni, le Province, i Comuni, le Città metropolitane
applicano, per le proprie attività contrattuali ed organizzative relative alla
realizzazione delle infrastrutture e diverse dall’approvazione dei progetti
(comma 2) e dalla aggiudicazione delle infrastrutture (comma 3), «le norme del
presente decreto legislativo fino alla entrata in vigore di una diversa norma
regionale, (…) per tutte le materie di legislazione concorrente». Le Regioni
Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento ne denunciano il contrasto
con l’art. 117 Cost., poiché in materie di competenza regionale concorrente
sarebbe posta una normativa cedevole di dettaglio, il che, dopo la riforma del
Titolo V della Parte II della Costituzione, non sarebbe più consentito;
c) - l’art. 1, comma 7,
lettera e), che, nel definire opere per le quali l’interesse regionale concorre
con il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (…) non aventi
carattere interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle
intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle
Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere
interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più
Regioni o Stato, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o
internazionale», sarebbe incostituzionale in primo luogo per eccesso di delega,
giacché la legge n. 443 del 2001 non avrebbe autorizzato il Governo a porre un
regime derogatorio anche per le opere di interesse regionale (ricorso della
Regione Toscana). Inoltre, si argomenta in tutti i ricorsi, la disposizione in
oggetto, nell’escludere la concorrenza dell’interesse regionale con il
preminente interesse nazionale in relazione ad opere aventi carattere
interregionale o internazionale, sarebbe lesiva delle competenze attribuite
alle Regioni dagli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, primo comma, Cost. Del pari illegittima sarebbe la subordinazione
all’intesa statale dell’individuazione delle opere per le quali esista un
concorrente interesse regionale. La medesima disposizione contrasterebbe
inoltre con gli artt. 19, 20 e 21 delle norme di attuazione dello statuto del
Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. 22 marzo 1974,
n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto
Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), giacché escluderebbe la
necessità di un’intesa per le infrastrutture e i collegamenti interregionali e
internazionali;
d) - l’art. 2, comma 1, il
quale stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
«promuove le attività tecniche ed amministrative occorrenti ai fini della
sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e degli
insediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione delle Regioni e
delle Province autonome interessate con oneri a proprio carico, le attività di
supporto necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione
delle infrastrutture». Secondo la prospettazione delle Province autonome di
Trento e di Bolzano sarebbero riservati al Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti i compiti tecnici e amministrativi che l’art. 16 dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige attribuisce alle Province autonome, con
violazione anche dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992,
il quale prevede che «nelle materie di competenza propria della Regione o delle
Province autonome la legge non può attribuire agli organi statali funzioni
amministrative (…) diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto
speciale e le norme di attuazione»;
e) - l’art. 2, commi 2, 3, 4,
5 e 7, il quale, nel riservare al Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti l’attività di progettazione, direzione ed esecuzione delle
infrastrutture ed il potere di assegnare le risorse integrative necessarie alle
attività progettuali, anziché assegnare i fondi direttamente alle Province
autonome di Trento e Bolzano, violerebbe l’art. 16 dello statuto speciale per
il Trentino-Alto Adige e l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 266 del
1992, secondo cui «fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e
dalle relative norme di attuazione, nelle materie di competenza propria della
Provincia, le amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti
dipendenti dallo Stato non possono disporre spese né concedere, direttamente o
indirettamente, finanziamenti o contributi per attività nell’ambito del
territorio regionale o provinciale»;
f) - l’art. 2, comma 5, il
quale, nel prevedere che per la nomina di commissari straordinari destinati a
seguire l’andamento delle opere aventi carattere interregionale o
internazionale debbano essere sentiti i Presidenti delle Regioni interessate,
si porrebbe in contrasto, ad avviso di tutte le ricorrenti, con gli artt. 117 e
118 Cost. e con il principio
di leale collaborazione, in quanto su tale oggetto dovrebbe essere prevista la
forma più intensa di collaborazione dell’intesa. I commi 5 e 7 sarebbero
inoltre incostituzionali anche perché attribuirebbero allo Stato compiti decisionali
che in base all’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992 sarebbero di
competenza della Provincia autonoma di Bolzano;
g) - l’art. 2, comma 7, che
attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministri competenti, nonché,
per le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatari regionali, i
Presidenti delle Regioni,
il potere di abilitare i commissari straordinari ad adottare, con poteri
derogatori della normativa vigente e con le modalità di cui all’art. 13 del
decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposizioni urgenti per favorire
l’occupazione), i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari alla
sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione dei soggetti
competenti. Le Regioni Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento
lamentano la lesione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto la
previsione impugnata si applica anche alle opere regionali e potrebbe pertanto
riguardare provvedimenti che spetterebbe alla Regione e alle Province adottare
nell’esercizio delle proprie competenze normative e amministrative. Secondo la
Regione Toscana difetterebbero inoltre i presupposti ai quali l’art. 120 Cost. subordina il legittimo
esercizio dei poteri sostitutivi statali. Infine, si sostiene nel ricorso della
Provincia autonoma di Bolzano, risulterebbe violato anche l’art. 4 del decreto
legislativo n. 266 del 1992, giacché allo Stato sarebbero stati attribuiti
compiti decisionali spettanti alla Provincia;
h) - l’art. 3, il quale
disciplina la procedura di approvazione del progetto preliminare delle
infrastrutture, le procedure di valutazione d’impatto ambientale (VIA) e
localizzazione, secondo tutte le ricorrenti sarebbe illegittimo nella sua
interezza, in quanto disciplinerebbe la procedura di approvazione del progetto
preliminare con regolazione di minuto dettaglio, mentre, in relazione ad
oggetti ricadenti nella competenza regionale in materia di governo del
territorio, la legislazione statale avrebbe dovuto limitarsi alla
predisposizione dei principî fondamentali. Il medesimo art. 3, nella parte in
cui affida al CIPE l’approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture
coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell’intesa sulla localizzazione
dell’opera, ma prevedendo pure che il medesimo progetto non sia sottoposto a
conferenza di servizi, ad avviso della Regione Toscana violerebbe l’art. 76 Cost., poiché l’art. 1, comma 2, lettera d), della legge di
delega n. 443 del 2001 autorizzava solo a modificare la disciplina della
conferenza dei servizi e non a sopprimerla del tutto.
Del pari incostituzionali
sarebbero, secondo tutte le ricorrenti, i commi 6 e 9 dell’art. 3, i quali, nel
prevedere che lo Stato possa procedere comunque all’approvazione del progetto
preliminare relativo alle infrastrutture di carattere interregionale e
internazionale superando il motivato dissenso delle Regioni, violerebbero gli
artt. 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118,
commi primo e secondo, Cost. Le Regioni, si osserva
nei ricorsi, sarebbero infatti relegate in posizione di destinatarie passive di
provvedimenti assunti a livello statale in materie che sono riconducibili alla
potestà legislativa concorrente. Per le ragioni appena esposte sarebbero
incostituzionali anche gli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che alla procedura
dell’art. 3, comma 6, fanno espresso rinvio;
i) - l’art. 4, comma 5, nella
parte in cui prevede che l’approvazione del progetto definitivo sia adottata
«con il voto favorevole della maggioranza dei componenti del CIPE», sarebbe, ad
avviso della Regione Toscana, costituzionalmente illegittimo per contrasto con
l’art. 76 Cost., e specificamente con l’art. 1, comma
3-bis, della legge di delega, il quale prevede quale
momento indefettibile del procedimento di approvazione del progetto definitivo
il parere obbligatorio della Conferenza unificata;
j) - le norme contenute negli
artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che introducono rilevanti modifiche in materia
di appalti e di concessioni dei lavori pubblici, secondo le Regioni Toscana e
Marche sarebbero illegittime in quanto incidenti su materie ascrivibili alla
competenza legislativa residuale delle Regioni, inerendo alla materia dei
lavori pubblici e degli appalti. Non varrebbe neppure, si soggiunge nel ricorso
della Regione Toscana, rilevare che in tale materia siano recepite ed applicate
norme di fonte comunitaria, giacché l’attuazione di norme comunitarie in
materia di competenza regionale spetterebbe comunque alle Regioni;
k) - l’art. 8, nella parte in
cui prevede che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblichi la
lista delle infrastrutture per le quali il soggetto aggiudicatore ritiene di
sollecitare la presentazione di proposte da parte di promotori e, se la
proposta è presentata, stabilisce che il soggetto aggiudicatore, valutata la
stessa come di pubblico interesse, promuova la procedura di VIA e se necessario
la procedura di localizzazione urbanistica, secondo la Regione Toscana sarebbe
illegittimo, oltre che per i profili evidenziati alla lettera j), anche per
l’ulteriore ragione che non chiarirebbe se le infrastrutture inserite nella
lista per sollecitare le proposte dei promotori siano da individuare tra quelle
già ricomprese nel programma di opere strategiche formato d’intesa con le
Regioni, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001,
o se al contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei
promotori anche per opere non facenti parte del programma, e sulle quali
nessuna intesa è stata raggiunta con le Regioni interessate;
l) - l’art. 13, che disciplina
le procedure per la localizzazione, l’approvazione dei progetti, la VIA degli
insediamenti produttivi e delle infrastrutture private strategiche per
l’approvvigionamento energetico, richiamando gli artt. 3 e 4, sarebbe
incostituzionale, secondo la Regione Marche, per le medesime ragioni già
esposte con riguardo alle disposizioni citate; inoltre esso, secondo la
Provincia autonoma di Trento, violerebbe l’art. 4 del decreto legislativo n.
266 del 1992, in quanto, per effetto della semplice individuazione, con atto
statale di carattere amministrativo, del preminente interesse nazionale di alcuni
insediamenti privati, spoglierebbe la Provincia ricorrente dei poteri
amministrativi ad essa spettanti. Il medesimo art. 13, nel comma 5, sarebbe
inoltre lesivo delle competenze costituzionali della Provincia autonoma di
Bolzano per il fatto di prevedere che l’approvazione del CIPE sostituisce le
autorizzazioni, concessioni edilizie e approvazioni in materia di urbanistica e
opere pubbliche che rientrano nelle competenza della Provincia medesima;
m) - l’art. 15, il quale attribuisce al Governo la potestà regolamentare di integrazione di tutti i regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del 1994, e, nel comma 2, autorizza i regolamenti emanati in esercizio della potestà di cui al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia, si porrebbe in contrasto, ad avviso della Regione Toscana, con l’art. 1, comma 3, della legge di delega n. 443 del 2001, che delegava il Governo ad integrare e modificare solo il regolamento n. 554 del 1999. Tutte le ricorrenti lamentano inoltre che l’attribuzione al Governo di potestà regolamentare in materia di appalti e di opere pubbliche, materia che non sarebbe qualificabile come di potestà esclusiva statale, contravverrebbe al rigido riparto di competenza posto nell’art. 117, sesto comma, Cost. La potestà di dettare norme regolamentari in materie diverse da quelle di legislazione esclusiva non potrebbe essere riconosciuta neppure alla condizione che i regolamenti statali siano cedevoli rispetto a quelli regionali, poiché l’articolo impugnato avrebbe espressamente escluso la propria cedevolezza per la parte della disciplina da esso recata non riconducibile a materie di competenza esclusiva statale. Il medesimo articolo è impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano nel comma 4, ove si statuisce l’applicabilità nei confronti delle Regioni e delle Province autonome della disciplina regolamentare adottata dallo Stato con il d.P.R. 23 dicembre 1999, n. 554, in radicale contrasto con quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 482 del 1995;
n) - l’art. 16, commi 1, 2, 3,
6 e 7, il quale, anticipando la disciplina procedimentale oggetto di
impugnazione ai progetti già in corso, incorrerebbe, secondo la Regione
Toscana, nei medesimi vizi già illustrati in riferimento alle singole fasi del
procedimento;
o) - gli artt. 17, 18, 19 e
20, per la parte in cui dettano una disciplina della procedura di VIA di opere
e infrastrutture che deroga alla disciplina regionale e provinciale, sono
denunciati dalle Regioni Marche e Toscana, le quali ritengono lese le proprie
competenze a disciplinare gli strumenti attuativi della tutela dell’ambiente
dettati dal legislatore comunitario;
p) - l’art. 19, comma 2, che
demanda la valutazione di impatto ambientale a una commissione speciale
costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio, sarebbe illegittimo, a giudizio
delle Regioni Marche e Toscana, per la mancata previsione di una partecipazione
delle Regioni, che sarebbero in tal modo estromesse dalla funzione di
attuazione del valore costituzionale «ambiente»;
q) - gli artt. 1, commi 1 e 7;
2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; e 15, nel
prevedere procedimenti di approvazione che comportano l’automatica variazione
degli strumenti urbanistici, determinano l’accertamento della compatibilità
ambientale e sostituiscono ogni altra autorizzazione, approvazione e parere,
disattenderebbero, secondo la Provincia autonoma di Bolzano, le norme di
attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1994, che subordinano l’adozione di
alcune delle opere previste dal decreto impugnato alla previa intesa con la
Provincia.
19. - Si è costituito in tutti
i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano
dichiarati infondati. La difesa erariale sostiene innanzitutto che la materia
dei lavori pubblici, non richiamata nel nuovo testo dell’art. 117 Cost.,
non potrebbe essere ascritta alla potestà residuale della Regione, ma che, al
contrario, lo Stato conserverebbe la potestà legislativa di principio per la
disciplina degli appalti riferibili alle materie comprese nella potestà
legislativa concorrente. Ciò senza considerare che anche nel nuovo Titolo V
l’interesse nazionale potrebbe legittimare il superamento della ripartizione
per materie posta nel medesimo art. 117.
Inoltre, prosegue l’Avvocatura,
la legge n. 166 del 2002, recependo le istanze regionali, avrebbe previsto che
l’individuazione delle opere avvenga d’intesa fra lo Stato e le Regioni, sicché
il decreto impugnato si dovrebbe considerare rispettoso delle attribuzioni
regionali. La partecipazione effettiva delle Regioni alla fase di approvazione,
come prevede l’art. 2, comma 1, del decreto impugnato, priverebbe di fondamento
la censura relativa al potere sostitutivo conferito al Governo nell’ipotesi di
dissenso della Regione interessata, tanto più che la fattispecie sarebbe
perfettamente conforme allo schema di esercizio del potere sostitutivo
delineato nell’art. 120, secondo comma, Cost.,
venendo in questione opere che, per la loro indubitabile rilevanza strategica,
sarebbero in grado di incidere sull’unità economica del Paese.
Quanto alla ammissibilità di
una normativa statale di dettaglio, ovviamente cedevole, in materia di potestà
concorrente, la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri osserva che
ciò risponderebbe «ad una esigenza imprescindibile, in applicazione del
principio di continuità, quando non vi sia alcuna altra norma applicabile alla
fattispecie». Neppure dovrebbe dirsi leso l’art. 118 Cost., poiché la nuova
formulazione di tale articolo attribuisce le funzioni amministrative sulla base
del principio di sussidiarietà, precisando che tali funzioni devono essere
attribuite allo Stato quando occorra assicurarne l’esercizio unitario, ciò che,
secondo l’Avvocatura, accadrebbe nel caso di specie, dovendosi realizzare opere
di “preminente interesse nazionale”.
Con riguardo alle censure che
investono la previsione della nomina governativa di un commissario
straordinario che vigili sull’andamento delle opere e l’attribuzione ad esso
del potere di adottare i provvedimenti necessari alla tempestiva esecuzione
dell’opera, la difesa erariale replica osservando: che la procedura ha luogo
solo per le opere di interesse internazionale o interregionale; che comunque è
previsto che siano sentiti i Presidenti delle Regioni coinvolte; che infine i
poteri sostitutivi del commissario non potranno oltrepassare le competenze
dell’ente conferente, non potendo lo Stato conferire poteri maggiori di quelli
di cui esso stesso gode.
In merito alla mancata
previsione della partecipazione regionale alla procedura di valutazione di
impatto ambientale dell’opera si rileva che la VIA attiene alla tutela
dell’ambiente, materia attribuita alla competenza esclusiva dello Stato.
20. - In prossimità
dell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 tutte le parti hanno depositato
ulteriori memorie difensive. La Regione Toscana e la Provincia autonoma di
Bolzano contestano l’esistenza di un criterio di strumentalità della materia
dei lavori pubblici, dal quale discenderebbe la conseguenza che lo Stato
sarebbe abilitato a dettare i principî per la disciplina degli appalti
riferibili alle materie soggette alla potestà legislativa concorrente. Di
strumentalità, si argomenta nel ricorso toscano, si potrebbe parlare solo se
nell’art. 117 Cost. fosse
stata inserita tra le materie riservate allo Stato quella dei “lavori pubblici
di interesse nazionale”, ciò che non è avvenuto. Anche ad accedere alla tesi
della strumentalità, peraltro, non verrebbero meno le ragioni di illegittimità
costituzionale delle norme denunciate. In tale ottica, osservano la Regione
Toscana e la Provincia autonoma di Bolzano, dovrebbe comunque essere ritenuta
di competenza statale la sola disciplina delle opere pubbliche comprese nelle
materie di competenza legislativa esclusiva statale, ad esempio le opere
concernenti la difesa o l’ordine pubblico, non anche tutte le altre opere che i
decreti impugnati invece menzionano e regolamentano con normativa di minuto
dettaglio. Allo Stato, prosegue la Provincia autonoma di Bolzano, spetterebbe
solo la determinazione dei principî fondamentali della disciplina dei lavori
che riguardino le infrastrutture sulle quali è riconosciuta una potestà
legislativa concorrente e quindi, proprio applicando il criterio della
strumentalità, non si giustificherebbe la disciplina statale delle procedure
per la realizzazione di infrastrutture riconducibili a materie attribuite alla
competenza esclusiva o concorrente della Provincia.
Del pari infondata, secondo
tutte le ricorrenti, sarebbe la tesi statale secondo la quale l’interesse
nazionale rappresenterebbe ancora un limite alla potestà legislativa regionale
che consentirebbe di superare la ripartizione posta nell’art. 117 Cost.,
giacché in tal modo sarebbe inammissibilmente reintrodotto in Costituzione un
limite che non è più espressamente previsto. La tutela degli interessi unitari
potrebbe ormai essere realizzata solo attraverso poteri e istituti
espressamente previsti in Costituzione. Si aggiunge nella memoria della
Provincia autonoma di Trento che, se le Regioni non potessero intervenire là
dove sono in gioco interessi nazionali, non si giustificherebbero nemmeno i
poteri sostitutivi disciplinati nell’art. 120, secondo comma, Cost. Inoltre, osserva la Provincia, già dall’art. 13 del
decreto-legge n. 67 del 1997, risultava che opere “di rilevante interesse
nazionale” potevano non di meno essere di competenza regionale, mentre il
decreto legislativo n. 112 del 1998 avrebbe attribuito allo Stato la competenza
su “grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con legge
statale” sul presupposto che non fosse giustificabile una disciplina che, come
quella impugnata, rimettesse la definizione di tale interesse alla
discrezionalità del Governo.
Neppure si potrebbe affermare,
soggiunge la Regione Toscana, che la normativa impugnata sarebbe rispettosa
dell’autonomia regionale poiché è stato in essa previsto che l’individuazione
delle opere sia effettuata d’intesa fra Stato e Regioni e l’approvazione dei
progetti avvenga attraverso l’intesa. Gli accordi e le intese non possono
infatti vincolare il legislatore statale o regionale, visto che l’ordine
costituzionale delle competenze legislative è indisponibile. Il richiamo che la
difesa erariale fa all’art. 120 Cost., si prosegue nella memoria della Toscana, non sarebbe pertinente,
perché tale disposizione richiede la definizione, con legge, delle procedure
atte a garantire che il potere sostitutivo sia esercitato nel rispetto del
principio di sussidiarietà e di leale collaborazione, e tale legge non è stata
ancora emanata, con conseguente impossibilità di applicare il medesimo art.
120. Inoltre l’intervento sostitutivo in discorso sarebbe attivato in assenza
di un inadempimento regionale, e per effetto della sola manifestazione del
dissenso da parte della Regione (memoria della Regione Toscana), e non sarebbe
giustificabile con l’esigenza di garantire l’unità economica del Paese (memoria
della Provincia autonoma di Bolzano), sicché l’avere legittimato un intervento
sostitutivo in assenza di ogni inadempimento regionale sarebbe ragione di
illegittimità del decreto legislativo per violazione del principio di leale
collaborazione, richiamato dallo stesso art. 120, secondo comma, Cost.
Quanto alla asserita
legittimità delle norme di dettaglio “cedevoli”, le ricorrenti ricordano la sentenza n. 282 del
2002 di questa Corte, dalla quale sarebbe chiaramente
desumibile che la competenza statale nelle materie di potestà concorrente è
«limitata alla determinazione dei principî fondamentali della materia», sicché
non sarebbero più ammissibili normative suppletive statali.
L’Avvocatura, si osserva nella
memoria della Provincia autonoma di Bolzano, invoca la legge n. 166 del 2002,
che, a suo dire, avrebbe recepito le istanze regionali in materia, ma il
richiamo sarebbe inconferente, poiché la legge in questione è precedente
rispetto al decreto impugnato, così da non poter spiegare alcuna influenza
sulla questione all’esame della Corte. Nella medesima memoria e in quella della
Provincia di Trento si ribadisce che la soluzione procedimentale contemplata
nell’art. 3, comma 6, per superare il dissenso della Provincia sarebbe
illegittima, per la mancata previsione di un’intesa, e respinge sul punto le
diverse considerazioni dell’Avvocatura, che invocherebbe in modo errato l’art.
1, comma 2, del decreto impugnato. Parimenti incostituzionale sarebbe la nomina
del commissario straordinario. Il rilievo che la procedura censurata
riguarderebbe soltanto le opere di interesse internazionale o interregionale,
oltre a non trovare fondamento nella lettera della norma impugnata (così nella
memoria della Provincia autonoma di Trento) non varrebbe comunque a farne
venire meno l’illegittimità, posto che per i collegamenti di tale natura gli
artt. 19, 20 e 21 del d.P.R. n. 381 del 1974
imporrebbero il raggiungimento di un’intesa, non essendo sufficiente la mera
audizione dei Presidenti delle Regioni interessate (memorie delle Province
autonome di Trento e Bolzano).
In riferimento alla denunciata
lesione dell’art. 118 Cost., secondo la Provincia autonoma di Bolzano, non sarebbe
possibile invocare la sussistenza di esigenze unitarie relativamente alle
funzioni amministrative, giacché la Costituzione, «lasciando alle Regioni la
competenza a dettare la disciplina della materia, ha ritenuto che non
sussistesse un’esigenza di assoluta uniformità tra Regione e Regione nemmeno
quanto a disciplina legislativa». Comunque, alla Provincia di Bolzano, in base
all’art. 16 dello statuto di autonomia, non potrebbero essere sottratte le
funzioni amministrative nelle materie che rientrano nella sua competenza
legislativa, non essendo applicabile alla medesima l’art. 118 Cost.,
quando ciò determini un regime di minor garanzia rispetto a quello assicurato
dallo statuto. Inoltre, si legge nella memoria della Provincia autonoma di
Trento, l’art. 118 sancirebbe il principio del parallelismo non quanto alla
spettanza delle funzioni amministrative, ma in ordine al potere di allocare le
funzioni, sicché lo Stato non avrebbe avuto il potere di allocare le funzioni
amministrative relative a opere pubbliche, salvo quelle rientranti in materie
di potestà legislativa esclusiva statale.
21. - Ha anche depositato
ulteriori memorie, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura
generale dello Stato. La difesa erariale muove dalla constatazione che non si
possano enfatizzare gli aspetti innovativi della riforma del Titolo V e al
contempo continuare ad utilizzare schemi concettuali propri del precedente
assetto costituzionale, occorrendo al contrario «ampliare l’orizzonte
all’esperienza degli Stati federali». In simile prospettiva sarebbe innegabile
la rilevanza costituzionale dell’interesse nazionale, che legittima, negli
Stati Uniti con la formula degli implied powers, in Germania con quella della Sachzusammenhang
(connessione delle materie) e con la Natur der Sache (natura della cosa),
l’intervento della Federazione nelle materie di competenza degli Stati membri.
Proprio in considerazione della natura delle opere da realizzare in base al
decreto impugnato, che pur avendo rilevanza regionale, convergerebbero
funzionalmente nel programma di modernizzazione del Paese, sarebbe evidente
come la competenza debba spettare allo Stato. I soggetti privati non sarebbero
infatti invogliati a investire risorse se la localizzazione e progettazione
delle opere venisse rimessa a discipline e soggetti diversi e la stessa
procedura per l’individuazione del contraente, che incide sulle condizioni
economiche dell’operazione, dipendesse dalle scelte legislative e
amministrative di ogni Regione. Per ragioni analoghe sarebbero legittimi anche
i meccanismi di superamento del dissenso regionale e gli interventi sostitutivi
da parte dei commissari straordinari, i quali sarebbero diretti non solo a
garantire l’interesse pubblico statale alla realizzazione dell’opera, ma anche
a diminuire il “rischio amministrativo” dell’operazione finanziata con capitali
privati. Alla luce di tali considerazioni l’Avvocatura sostiene che le
attribuzioni costituzionali delle Regioni riceverebbero adeguata considerazione
nella partecipazione alle sedi deliberative statali.
Tornando al tema della
configurabilità del limite dell’interesse nazionale, l’Avvocatura ricorda come
nel dibattito dottrinario siano state numerose le voci che hanno radicato tale
limite nell’art. 5 Cost., e, con specifico riguardo alla materia dei lavori
pubblici, osserva come essa presenti aspetti che non possono prescindere da
un’impostazione unitaria. Il regime degli appalti, ad esempio, presupporrebbe
la concorrenza delle imprese, materia che risulta assegnata alla competenza
esclusiva dello Stato, e sempre alla tutela della concorrenza dovrebbe essere
ricondotta tutta la disciplina che riguarda i meccanismi di aggiudicazione e di
qualificazione delle imprese con riferimento alla materia delle opere
pubbliche, che pure è di competenza regionale. Proprio in considerazione dei
profili delle materie di potestà concorrente che possono incidere su interessi
tutelati a livello unitario, e ricadenti nell’ambito delle materie di
competenza esclusiva statale, sarebbe giustificato il ricorso a una gestione
uniforme e ispirata a esigenze di sicurezza e di efficienza a livello nazionale
di opere infrastrutturali essenziali allo sviluppo del Paese.
22. - Le Regioni Campania,
Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia hanno proposto
questione di legittimità costituzionale in via principale, in riferimento agli
artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 174 del trattato istitutivo della
Comunità europea, dell’intero decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198,
recante “Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture
di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del
Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443”, e
in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.
Nei ricorsi regionali si
osserva in via preliminare che la legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava
l’adozione di una normativa specifica per le sole infrastrutture di telecomunicazione
puntualmente individuate anno per anno, mentre nel caso di specie non vi
sarebbe stata tale individuazione, ma esclusivamente una «sintesi del piano
degli interventi nel comparto delle comunicazioni». Inoltre, si osserva nei
ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, la delega sarebbe stata
conferita per la realizzazione di “grandi opere”, mentre tralicci, pali,
antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che il decreto legislativo n.
198 disciplina, costituirebbero solo una molteplicità di piccole opere, del
tutto estranee all’oggetto della delega. Infine, si aggiunge nei ricorsi delle
Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, lungi dall’uniformarsi ai principî
e criteri direttivi della delega, il decreto impugnato, nell’art. 1, porrebbe i
principî che informano le disposizioni successive, con ciò confermando la
violazione della delega.
Si invoca la violazione dei
limiti della delega, nello specifico:
a) - per l’art. 3, in quanto
la delega stabiliva che le infrastrutture strategiche dovessero essere
individuate d’intesa con la Regione, mentre di tale intesa non vi sarebbe
traccia (ricorso della Regione Toscana);
b) - per l’art. 3, comma 1,
sull’assunto che non era stato conferito al Governo alcun potere di derogare
alle norme della legge 22 febbraio del 2001, n. 36 (ricorso delle Regioni
Marche e Lombardia);
c) - per l’art. 3, comma 2,
che dispone la deroga, sotto il profilo urbanistico, “ad ogni altra
disposizione di legge o di regolamento”, là dove l’art. 1, comma 2, della legge
n. 443 del 2001 prevedeva solo una deroga «agli articoli 2, da 7 a 16, 19, 20,
21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis, 37-ter
e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109»,
nonché alle ulteriori disposizioni della medesima legge che non fossero
necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie (ricorsi delle
Regioni Marche e Lombardia);
d) - per l’art. 4, comma 1,
poiché in tale disposizione mancherebbe ogni riferimento a infrastrutture che
siano state dichiarate “strategiche” ai sensi della legge n. 443 del 2001, così
da potere essere riferita alle infrastrutture radioelettriche tout court (tutti
i ricorsi);
e) - per l’art. 11, che
avrebbe illegittimamente innovato al d.P.R. 29 marzo
1973, n. 156 (ricorso della Regione Marche);
f) - per l’art. 12, commi 1 e
2, il quale, disponendo l’efficacia delle nuova disciplina anche alle
installazioni di infrastrutture già assentite dalle amministrazioni, farebbe
assumere al decreto impugnato, in assenza di una specifica previsione di
infrastrutture di telecomunicazioni strategiche nel programma approvato dal
CIPE nel 2001, una efficacia retroattiva (ricorsi delle Regioni Toscana e
Marche);
g) - per l’art. 12, comma 4,
che avrebbe eliminato le procedure di “valutazione di impatto ambientale”, là
dove la delega contemplava solo la loro riforma (ricorso della Regione Marche).
Inoltre la medesima delega stabiliva che le infrastrutture strategiche
sarebbero state individuate d’intesa con la Regione, ma di tale intesa non vi
sarebbe traccia nell’art. 3 del decreto legislativo impugnato (ricorso della
Regione Toscana).
In merito alla denunciata
lesione dell’art. 117 Cost., nei ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche,
Basilicata e Lombardia si sostiene che il decreto legislativo n. 198
disciplinerebbe oggetti riconducibili alle materie “ordinamento della
comunicazione”, “governo del territorio” e “tutela della salute”, di potestà
concorrente, con disposizioni di minuto dettaglio. Nei ricorsi delle Regioni
Emilia-Romagna e Umbria, dopo aver notato come sia lo stesso legislatore a
escludere di agire nell’esercizio della potestà esclusiva quando asserisce,
all’art. 1, di dettare i “principî fondamentali” nella materia considerata, si
afferma che nella materia oggetto del decreto legislativo n. 198 spetterebbe alle
Regioni una potestà legislativa piena, salvi gli aspetti relativi alla tutela
dell’ambiente, della salute e quelli collegati al governo del territorio, ossia
alla localizzazione delle opere.
Risulterebbe inoltre
indefinito, secondo la ricorrente Regione Marche, lo stesso criterio di
individuazione delle infrastrutture di telecomunicazione che dovrebbero
rientrare nell’ambito della disciplina derogatoria prevista dal legislatore
delegante. Il provvedimento del CIPE al quale, ai sensi dell’art. 1, comma 1,
della legge di delega, era affidata l’individuazione delle opere, infatti,
avrebbe semplicemente indicato i flussi di investimento, non anche le opere da
realizzare. Da ciò la conclusione che le infrastrutture di telecomunicazioni si
atterrebbero, per una parte, alla materia di potestà concorrente “ordinamento
della comunicazione”, per l’altra, a materie come l’urbanistica e l’edilizia,
l’industria e il commercio, che sarebbero ascrivibili alla potestà legislativa
residuale delle Regioni e che non potrebbero essere svuotate del loro contenuto
semplicemente invocando il carattere di “interesse nazionale” delle opere da
realizzare.
Nello specifico, i ricorsi
regionali censurano le seguenti disposizioni del decreto legislativo n. 198 del
2002:
a) - l’art. 1, che imporrebbe,
con normazione di dettaglio, una procedura derogatoria e unificata a livello
nazionale per opere che rientrerebbero anche nella competenza regionale, per la
connessione dell’oggetto della disciplina con materie di competenza regionale
sia concorrente, sia residuale (ricorsi delle Regioni Campania, Marche,
Basilicata e Lombardia);
b) - l’art. 3, per la parte in
cui afferma che le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche
sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle
procedure definite nel decreto, in deroga alle disposizioni dell’art. 8, comma
1, lettera c), della legge n. 36 del 2001, che aveva previsto la competenza
legislativa regionale nella definizione delle modalità per il rilascio delle
autorizzazioni all’installazione degli impianti; i commi 2 e 3 del medesimo
articolo sono inoltre impugnati in quanto stabiliscono che le infrastrutture di
comunicazione possono essere realizzate in ogni parte del territorio comunale
anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di
legge o di regolamento, con la precisazione che la disciplina delle opere di
urbanizzazione primaria è applicabile alle opere civili e in genere ai lavori e
alle reti indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazione. La deroga alle previsioni urbanistiche ed edilizie locali
determinerebbe lesione delle competenze regionali in materia di ordinamento
della comunicazione, governo del territorio, urbanistica ed edilizia e renderebbe
vana ogni pianificazione territoriale, anche a livello comunale (ricorsi delle
Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia);
inoltre la medesima disposizione, liberalizzando, sotto il profilo urbanistico,
il diritto di installazione degli impianti di telecomunicazione,
sacrificherebbe in modo eccessivo interessi costituzionali come quello alla
tutela del paesaggio e all’ordinato sviluppo urbanistico del territorio,
determinando una violazione del limite della utilità sociale che l’art. 41 Cost. pone alla iniziativa
economica privata (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria);
c) - l’art. 4, il quale
prevede che l’autorizzazione alla installazione sia rilasciata previo
accertamento della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i
valori di attenzione e gli obiettivi di qualità stabiliti, con riferimento ai
campi elettromagnetici, uniformemente a livello nazionale. Così disponendo, il
legislatore statale avrebbe vanificato la legislazione regionale già adottata
in materia sulla base dell’art. 3, comma 1, lettera d), della legge n. 36 del
2001 (ricorsi Toscana, Emilia-Romagna e Umbria) e impedito alle Regioni di
porre, a tutela di interessi sanitari e ambientali delle rispettive
popolazioni, misure di garanzia ulteriori rispetto a quelle che il legislatore
nazionale abbia fissato su tutto il territorio nazionale (ricorso della Regione
Lombardia);
d) - gli artt. 5 e 6, nel
disciplinare i procedimenti di autorizzazione relativi alle infrastrutture di telecomunicazione
per impianti radioelettrici, detterebbero regole di estremo dettaglio in
materia di competenza regionale concorrente; inoltre le disposizioni in
oggetto, unitamente all’art. 7, comma 7, autorizzando l’installazione degli
impianti in qualunque posizione, senza imporre distanze minime dalle
abitazioni, recherebbero un eccessivo e ingiustificato pregiudizio alla tutela
dell’ambiente e della salute e violerebbero in particolare il principio di
precauzione di cui all’art. 174, comma 2, del trattato istitutivo della CE, non
essendo consentito, in tale materia, affidarsi alla “autodisciplina” dei
privati come si è fatto con la previsione di denunce di inizio attività e
meccanismi di silenzio-assenso (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia);
e) - gli artt. 7, 8, 9 e 10,
che pongono una disciplina di favore per le opere civili, gli scavi e le
occupazioni di suolo pubblico strumentali alla realizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazione, favorirebbero alcuni operatori nel settore
delle telecomunicazioni senza che le Regioni, pur titolari della potestà
legislativa in materia di ordinamento della comunicazione, abbiano in alcun
modo potuto interloquire sulla individuazione di tali soggetti e sulla
necessità di ammetterli a tale regime speciale e derogatorio (tutte le
ricorrenti);
f) - l’art. 12, il quale, nel
dettare le disposizioni finali, attribuisce valore di autorizzazione e di
dichiarazione di inizio attività anche ai titoli già rilasciati per
l’installazione delle infrastrutture e alle istanze già presentate, alla data
di entrata in vigore della nuova normativa, per gli impianti con tecnologia
UMTS o con potenza di antenna eguale o inferiore a 20 Watt. La disposizione in
oggetto, per un verso, anticiperebbe l’applicazione della nuova normativa anche
a infrastrutture che non sono state ancora individuate con il programma delle
opere strategiche, contraddicendo così l’art. 1 della legge di delega n. 443
del 2001, per l’altro estenderebbe retroattivamente la disciplina derogatoria
già denunciata come lesiva delle competenze regionali. Pure incostituzionale
sarebbe, secondo la Regione Marche, l’abrogazione dell’art. 2-bis
della legge 1° luglio 1997, n. 189, per effetto della quale risulterebbe
esclusa la competenza della Regione a prevedere, nell’esercizio delle proprie
attribuzioni legislative, l’applicazione di procedure di valutazione di impatto
ambientale anche in relazione ad oggetti non specificamente individuati dalle
direttive comunitarie.
Ulteriori censure, diverse da
quelle che denunciano la violazione del quadro costituzionale delle competenze
legislative, investono:
a) - gli artt. 3, comma 2; 5;
7; 9; 12, commi 3 e 4; nonché gli allegati A, B, C e D. Le norme e gli allegati
in discorso attribuirebbero al Governo un potestà normativa diretta alla
modificazione o integrazione dei regolamenti di esecuzione e attuazione della
legislazione finora vigenti in materie di potestà concorrente, in tal modo
violando l’art. 117, sesto comma, Cost., il quale riconosce allo Stato la potestà regolamentare
solo nelle materie di legislazione esclusiva statale (ricorso della Regione
Marche);
b) - gli articoli e allegati
citati nel punto precedente (ricorso della Regione Marche), nonché gli artt. da
4 a 9 (ricorso della Regione Toscana), che, nel disciplinare dettagliatamente
il procedimento per il rilascio dei titoli abilitativi per l’installazione
delle infrastrutture di telecomunicazioni e per le opere connesse, si
porrebbero in contrasto con l’art. 118 Cost., il
quale affiderebbe alle Regioni la competenza a distribuire le funzioni nelle
materie in cui è ad esse riconosciuta potestà legislativa concorrente o
residuale. Nel caso di specie sarebbe lesiva delle attribuzioni regionali
l’allocazione a livello centrale delle funzioni amministrative relative alla
specifica localizzazione sul territorio e alla concreta realizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazione;
c) - gli artt. 5, commi 3, 4,
5, 6, e 7; 6, comma 1; 7, commi 2, 3, 4, 5, 6, e 7; 8, comma 3; 9, commi 1, 2,
e 3; 12, comma 4 (ricorso della Regione Marche), che, disponendo una serie di
semplificazioni procedurali dei processi decisionali per la realizzazione delle
infrastrutture di telecomunicazioni impedirebbero alle Regioni di concorrere
all’attuazione del valore costituzionale della tutela ambientale;
d) - in particolare gli artt.
7, comma 5; e 9, comma 3, sono impugnati nel ricorso della Regione Basilicata
per la parte in cui prevedono che nell’ipotesi di contrasto fra le
amministrazioni interessate nella procedura di installazione di infrastrutture
di comunicazione la decisione sia rimessa al Presidente del Consiglio dei
ministri, con ciò sacrificando, secondo la prospettazione regionale, le
attribuzioni riconosciute in materia alla Regione e contraddicendo la legge n.
241 del 1990, che affida la decisione finale al Consiglio dei ministri solo
quando l’amministrazione dissenziente o procedente sia un’amministrazione
statale e non anche nelle altre ipotesi, nelle quali la potestà decisionale
sarebbe conferita ai competenti organi esecutivi degli enti territoriali;
e) - l’art. 9, commi 5 e 10,
per la parte in cui impone agli enti locali forme di programmazione in tempi
predefiniti dal legislatore statale e limita, per gli operatori, gli oneri
connessi alle attività di installazione, scavo e occupazione di suolo pubblico,
violerebbe il principio dell’autonomia finanziaria, il quale postulerebbe che
tutte le funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse da quelle
ordinarie siano finanziate
attraverso la diretta
attribuzione di risorse ai loro bilanci, senza vincoli sulle modalità di spesa,
e comunque precluderebbe allo Stato di limitare l’autonomia regionale nella
selezione degli strumenti da impiegare per realizzare le grandi opere di
interesse nazionale (ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche,
Emilia-Romagna e Umbria);
f) - gli artt. 5, comma 6; 7,
comma 4; 9, comma 2, che estendono la regola della maggioranza all’adozione
dell’atto finale in Conferenza dei servizi, con ciò determinando, secondo la ricorrente
Regione Campania, la totale pretermissione della volontà della Regione in
materie di propria competenza;
g) - l’intero decreto
legislativo, poiché, nel disporre, nel complesso delle sue disposizioni e
segnatamente nell’art. 13, un trattamento differenziato per le Regioni
ordinarie rispetto alle Regioni ad autonomia speciale, violerebbe il principio
di parità di trattamento fra le autonomie regionali e il principio di
ragionevolezza, posto che tale diversità
di trattamento sarebbe ormai ingiustificata, alla luce della revisione del
Titolo V della Parte II della Costituzione e specificamente della clausola di
estensione di cui all’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (ricorsi
delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia).
23. - Si è costituito il
Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura
generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano rigettati.
Secondo la difesa erariale non
sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 76 Cost.,
giacché la legge di delega specificamente riguardava le “infrastrutture
pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente
interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del
Paese”, la cui individuazione concreta era rimessa a un programma approvato dal
CIPE che, nell’allegato 5, elencherebbe le infrastrutture di telecomunicazioni
per la realizzazione dei servizi UMTS, banda larga e digitale terrestre. La
piena conformità alla delega del decreto legislativo impugnato sarebbe comprovata
anche dal fatto che con esso si sarebbero razionalizzate le procedure autorizzatorie per l’installazione degli impianti di
telecomunicazioni, come richiedeva l’art. 1, comma 2, lettera b), della delega.
Il decreto non inciderebbe neppure, prosegue l’Avvocatura, sulla disciplina
relativa ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici contenuta nella
legge n. 36 del 2001, ma al contrario imporrebbe il rispetto dei limiti
attualmente fissati nel decreto ministeriale 3 settembre 1997, n. 381.
In ordine alla denunciata
lesione della competenza legislativa concorrente delle Regioni, la difesa
statale sostiene che la materia cui inerisce il decreto legislativo sia
esclusivamente quella della tutela dell’ambiente e non già quella del governo
del territorio e contesta il rilievo secondo il quale non sarebbe consentito
nel caso in esame stabilire una normativa uniforme a livello nazionale, poiché
alcune Regioni avrebbero già esercitato la loro potestà legislativa in tema di
localizzazione degli impianti di telecomunicazioni, rammentando come le leggi
regionali emanate in questa materia siano state tutte impugnate dal
Governo proprio sotto il profilo della
violazione della competenza esclusiva statale in materia di ambiente.
L’ulteriore interesse sottostante la disciplina oggetto di impugnazione
consisterebbe nella tutela della concorrenza nel settore delle
telecomunicazioni, che sarebbe certo favorita dalla previsione di procedure autorizzatorie uniformi su tutto il territorio nazionale.
Quanto alla dedotta violazione
dell’art. 118 Cost., l’Avvocatura contesta l’assunto
dei ricorrenti, secondo il quale l’esigenza di esercizio unitario delle
funzioni amministrative non potrebbe costituire un titolo autonomo legittimante
l’intervento del legislatore statale, osservando come sia ancora controversa,
in dottrina, l’applicabilità alla legislazione concorrente regionale dei
principî di sussidiarietà e di adeguatezza e proseguendo che il limite
dell’interesse nazionale, pur non più menzionato in Costituzione, potrebbe
comunque essere considerato contenuto implicito del principio di unità e
indivisibilità della Nazione.
24. - Nei giudizi instaurati
con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana e Marche hanno spiegato
intervento le società H3G s.p.a.,
T.I.M. s.p.a. – Telecom
Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone
Omnitel s.p.a.), Wind Telecomunicazioni s.p.a.; in quelli introdotti con i ricorsi delle Regioni
Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia tutte le società menzionate,
tranne H3G s.p.a. Tutti gli
intervenienti hanno chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate
improponibili, inammissibili e comunque infondate.
25. - Avverso gli artt. 1, 3,
4, 5, 6, 7, 9 e 12 e gli allegati A, B, C, D del decreto legislativo n. 198 del
2002 ha proposto ricorso, «per sollevare questione di legittimità
costituzionale e conflitto di attribuzione», anche il Comune di Vercelli. Il
ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad impugnare discenderebbe dal
fatto che la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione avrebbe
attribuito direttamente ai Comuni potestà amministrative e normative che
dovrebbero poter essere difese nel giudizio di legittimità costituzionale in
via di azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione.
25.1. - Nel giudizio promosso
dal Comune di Vercelli si è costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale
preliminarmente ha eccepito il difetto di legittimazione al ricorso da parte
del Comune, chiedendo che il ricorso sia dichiarato improponibile e
inammissibile.
Ha spiegato intervento, con
atto pervenuto fuori termine, T.I.M. s.p.a. Telecom Italia Mobile.
26. - In prossimità
dell’udienza pubblica del 25 marzo tutte le parti, nonché gli intervenienti,
hanno depositato ulteriori memorie difensive.
26.1. - In via preliminare le
Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia
contestano che la disciplina impugnata riguardi infrastrutture inserite nel
programma di individuazione delle opere strategiche approvato dal CIPE il 21
dicembre 2001. Si afferma in proposito che, in base all’allegato 5 richiamato
dalla difesa erariale, il legislatore avrebbe proceduto solo sulla base di una
«sintesi del piano degli interventi nel comparto delle telecomunicazioni»,
rinviando a una futura delibera del CIPE l’individuazione delle opere ritenute
strategiche, ciò che peraltro la legge di delega non avrebbe consentito. La
disciplina impugnata troverebbe dunque applicazione nei confronti di opere che
non sarebbero state indicate come strategiche e si sarebbero perciò sottratte
alla previa intesa con le Regioni. Tale conclusione, secondo la Regione
Toscana, sarebbe confermata dall’art. 12 del decreto, che attribuisce efficacia
retroattiva alle norme impugnata.
Nelle memorie si contesta
anzitutto che il decreto legislativo in esame, come sostenuto dall’Avvocatura,
si attenga alle materie della tutela della concorrenza (memorie delle Regioni
Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia) o a quella della
tutela dell’ambiente e della salute (memorie delle Regioni Campania, Toscana,
Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia), rilevandosi in tale
ultimo caso come la relazione al decreto fornisca una indicazione palesemente contraria.
Del resto, si osserva nelle memorie difensive di Toscana, Emilia-Romagna,
Umbria e Lombardia, la giurisprudenza costituzionale più recente sarebbe chiara
nell’affermare che in materia di tutela dell’ambiente spetterebbe allo Stato
solo il potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio
nazionale, non anche di escludere l’intervento regionale negli ambiti di
propria competenza, come sarebbe quello dei lavori pubblici, materia non più
contemplata negli elenchi dell’art. 117, commi secondo e terzo, Cost. La stessa tutela della concorrenza, si aggiunge nella
memoria delle Marche, non potrebbe giustificare la previsione di un
procedimento derogatorio delle procedure ordinarie, giacché nessuna violazione
della par condicio degli imprenditori interessati al settore potrebbe derivare
dal rispetto di tali procedure.
Nella memoria della Regione
Toscana si pone in risalto come la disciplina del procedimento di installazione
degli impianti non costituisca di per sé una materia e si sostiene che
spetterebbe all’ente competente legiferare nella materia cui inerisce il
procedimento. Nelle materie di potestà concorrente, come quelle coinvolte dalle
disposizioni impugnate, il legislatore statale avrebbe dovuto dettare i
principî cui il legislatore regionale avrebbe dovuto attenersi nella disciplina
legislativa di quel procedimento, conformemente, del resto, a quanto era stato
già fatto con la legge n. 36 del 2001.
Del pari da respingere, si
sostiene nella memoria dell’Emilia-Romagna, sarebbe la prospettazione della
difesa erariale secondo la quale tutte le attività che coinvolgono interessi
sovraregionali, in forza dei principî di sussidiarietà e di adeguatezza,
esigerebbero una disciplina unitaria a livello statale. Si afferma al riguardo
che il decreto legislativo n. 198 del 2002 non coinvolgerebbe interessi
sovraregionali, disciplinando l’installazione di vari singoli impianti di
comunicazione e che comunque i principî di sussidiarietà e adeguatezza
riguardano l’allocazione delle funzioni amministrative da parte dei legislatori
competenti, mentre l’allocazione delle funzioni legislative è direttamente
posta nell’art. 117 Cost.
Ad avviso della Regione
Lombardia, nell’impianto del decreto legislativo impugnato assumerebbe una
particolare rilevanza l’art. 3, comma 2, che sancirebbe l’automatica prevalenza
dell’interesse statale alla installazione delle infrastrutture su tutti gli
interessi alla cui tutela sono preposte le autonomie territoriali, potendo essa
derogare anche agli strumenti urbanistici. La difformità di tale automatismo
rispetto all’ordine costituzionale delle competenze sarebbe stata già
riconosciuta dalla Corte costituzionale in altre consimili occasioni (si
citano, ad esempio, le sentenze n. 524 del
2002 e n. 206 del 2001),
nelle quali la modifica dello strumento urbanistico senza il consenso della
Regione sarebbe stata ritenuta lesiva delle competenze regionali in materia
urbanistica.
Riguardo agli interventi degli
operatori di telecomunicazione Tim, Wind, Vodafone Omnitel e H3G, le Regioni Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Lombardia
ne eccepiscono preliminarmente la inammissibilità e contestano puntualmente le
argomentazioni da questi spese avverso i ricorsi regionali.
26.2. - L ’Avvocatura generale
dello Stato insiste per il rigetto del ricorso.
Tutti i ricorsi, secondo la
difesa statale, prenderebbero le mosse da una errata impostazione concettuale:
la totale svalutazione della nozione di “rete”, che assumerebbe un decisivo
rilievo, tanto sotto il profilo tecnico quanto nei risvolti giuridici, per
quanto attiene alle infrastrutture di telecomunicazione. La natura delle opere
in oggetto renderebbe del tutto priva di senso la visione parcellizzata e
atomistica dell’impianto di telecomunicazione che appare sottesa alle censure
di costituzionalità. Dalla struttura fenomenica dell’oggetto della disciplina
discenderebbe dunque la assoluta necessità di fissare, su base nazionale,
limiti e criteri omogenei, uniformi e non discriminanti, in assenza dei quali
una “rete” non sarebbe neppure configurabile. Non potrebbero comunque essere
compromessi, «in assenza di obiettive ragionevoli giustificazioni e di
essenziali interessi meritevoli di tutela dall’ordinamento», la completezza e
la funzionalità delle reti e l’efficiente espletamento del servizio universale,
che peraltro costituiscono oggetto di obblighi comunitari.
Quanto alla denunciata
violazione della competenza legislativa concorrente delle Regioni si osserva
che la materia cui inerisce il decreto legislativo n. 198 deve considerarsi quella
della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva statale: il
principale interesse al quale è preordinata la disciplina impugnata sarebbe
infatti quello del rispetto dei limiti alle emissioni elettromagnetiche. Pur
volendo accedere alla ricostruzione dell’ambiente come materia trasversale, non
potrebbe negarsi, ad avviso della difesa erariale, che il legislatore nazionale
possa fissare principî e criteri uniformi, per l’intero territorio, proprio ad
evitare distorsioni e impedimenti che metterebbero a rischio la stessa
esistenza della rete unitaria. Del resto la possibilità per lo Stato di
legiferare anche in materie di potestà legislativa concorrente o addirittura
esclusiva, quando vi sia la necessità di garantire livelli minimi e uniformi di
tutela sull’intero territorio nazionale, sarebbe stata riconosciuta dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 536 del
2002. Nella fattispecie all’esame della Corte un limite alla
legislazione regionale sarebbe desumibile dall’art. 120, comma 1, Cost., il quale mira ad escludere che le Regioni possano
adottare «provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione
delle persone e delle cose tra le Regioni»: l’efficacia di funzionamento della
rete potrebbe essere compromessa da normative regionali che frappongano
ostacoli alla sua configurazione funzionale e alla circolazione degli apparati
di telefonia mobile. La normativa statale impugnata sarebbe poi preordinata ad
attuare il principio costituzionale della tutela della concorrenza, riservata
alla competenza esclusiva statale. Se non fossero definite procedure certe e
uniformi sull’intero territorio nazionale, prosegue la difesa statale, non solo
si violerebbe la disciplina comunitaria, ma si verrebbe a determinare una
anomala distorsione del mercato sia a livello internazionale, sia all’interno.
Sarebbe da respingere anche la
censura fondata sull’asserita lesione dell’art. 118 Cost., essendo possibile
sostenere, in applicazione del principio di sussidiarietà, che le potestà
regionali debbano conformarsi agli interessi della comunità regionale, mentre
tutte le attività che coinvolgono interessi sovraregionali esigono una
disciplina unitaria a livello statale, anche nelle materie di competenza
concorrente.
L’Avvocatura si diffonde infine
sulle conseguenze di carattere economico che deriverebbero dall’accoglimento
dei ricorsi e rammenta come l’esigenza di una armonizzazione nell’adozione di
procedure per l’installazione degli impianti di telecomunicazione sia stata
espressa anche nella cosiddetta direttiva “quadro”, 2002/21/CE, in via di
recepimento.
26.3. - Nelle memorie
depositate dalle società TIM s.p.a. - Telecom Italia
Mobile, H3G s.p.a., Wind
Telecomunicazioni s.p.a. e Vodafone Omnitel N.V., si argomenta anzitutto sulla ammissibilità degli
interventi proposti e si sostiene che esse sono titolari di un interesse,
rilevante, autonomo e particolarmente qualificato, anche in virtù della
delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, ad ottenere l’accertamento della
legittimità delle norme impugnate, poiché, qualora i ricorsi fossero accolti,
vi sarebbe una diretta e irrimediabile lesione della propria libertà di
iniziativa economica. Inoltre, la società TIM assume che negare la possibilità
di intervenire a difesa dei propri interessi concreterebbe una lesione del
diritto di difesa che l’art. 24 Cost. assicura come inviolabile e ciò in quanto, nell’ipotesi di
accoglimento dei ricorsi, la decisione della Corte risulterebbe incontestabile
in altre sedi giudiziarie. La medesima società chiede in ogni caso che sia
preso in considerazione il contributo informativo che è in grado di offrire a
causa della sua specifica competenza di esercente un servizio di rilevanza
pubblicistica.
Nel merito tutti gli atti di
intervento si diffondono nell’argomentare le ragioni della ritenuta legittimità
del decreto legislativo n. 198 del 2002.
27. - Sono intervenuti, con
atti pervenuti fuori termine, il Comune di Roma nel giudizio promosso con il
ricorso della Regione Umbria; i Comuni di Monte Porzio Catone, Pontecurone e
Mantova nei giudizi promossi con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana,
Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia e del Comune di Vercelli;
il Comune di Polignano a Mare e il Coordinamento delle associazioni consumatori
(CODACONS) nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Lombardia.
28. - All’udienza pubblica del
25 marzo 2003, in sede di discussione, le parti ricorrenti, nonché gli
intervenienti, hanno illustrato le rispettive ragioni e ribadito le conclusioni
già rassegnate negli atti depositati.
Considerato in diritto
1. - Le Regioni Marche,
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn. 9, 11, 13-15 del 2002) denunciano la legge 21 dicembre
2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti
produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività
produttive), cosiddetta “legge obiettivo”, il cui unico articolo è impugnato in
più commi e, segnatamente, nei commi da 1 a 12 e nel comma 14, censurati per
asserito contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.
La Regione Toscana (reg. ric.
n. 68 del 2002) impugna, per contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost.,
anche l’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166
(Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che reca alcune
modifiche alla legge n. 443 del 2001.
La Regione Toscana, la
Provincia autonoma di Bolzano, la Regione Marche e la Provincia autonoma di
Trento (reg. ric. nn. 79-81 e 83 del 2002) denunciano
altresì numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190
(Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle
infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse
nazionale), in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost.,
nonché allo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato
con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del
testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige).
Infine, le Regioni Campania,
Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia ed il Comune di
Vercelli (reg. ric. nn. 84-91 del 2002) impugnano sia
l’intero testo del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni
volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni
strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’art.
1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), sia, specificamente,
numerosi articoli del medesimo decreto legislativo, lamentando la violazione
degli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché dell’art. 174 del trattato istitutivo della
Comunità europea.
1.1. - La stretta connessione
per oggetto e per titolo delle norme denunciate, tutte contenute nella legge di
delega n. 443 del 2001 e nei decreti legislativi n. 190 e n. 198 del 2002 che
se ne proclamano attuativi, nonché la sostanziale analogia delle censure
prospettate dalle ricorrenti, rendono opportuna la trattazione congiunta dei
ricorsi, che vanno quindi decisi con un’unica sentenza.
2. - Prima di affrontare nel
merito le censure proposte dalle ricorrenti è opportuno soffermarsi sul
contenuto della legge n. 443 del 2001. Si tratta di una disciplina che definisce
il procedimento da seguire per l’individuazione, la localizzazione e la
realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti
produttivi strategici di preminente interesse nazionale da realizzare per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Il procedimento si articola secondo
queste cadenze: il compito di individuare le suddette opere, da assolversi “nel
rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni”, è conferito al
Governo (comma 1). Nella sua originaria versione la disposizione stabiliva che
l’individuazione avvenisse, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a mezzo di un programma
“formulato su proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate,
ovvero su proposta delle Regioni, sentiti i Ministri competenti”. Il programma
doveva tener conto del piano generale dei trasporti e doveva essere inserito
nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), con indicazione
degli stanziamenti necessari per la realizzazione delle opere. Nell’individuare
le infrastrutture e gli insediamenti strategici il Governo era tenuto a
procedere “secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del
territorio nazionale” e ad indicare nel disegno di legge finanziaria “le
risorse necessarie, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e
privati allo scopo disponibili”. L’originario comma 1 prevedeva, infine, che
“in sede di prima applicazione della presente legge il programma è approvato dal
Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) entro il 31
dicembre 2001”.
Il comma 1 dell’art. 1 della
legge n. 443 del 2001 è stato modificato dall’art. 13, comma 3, della legge 1°
agosto 2002, n. 166, che ha mantenuto in capo al Governo l’individuazione delle
infrastrutture e degli insediamenti strategici e di preminente interesse
nazionale, ma ha elevato il livello di coinvolgimento delle Regioni e delle
Province autonome, introducendo espressamente un’intesa: in base all’art. 1, comma
1, attualmente vigente, l’individuazione delle opere si definisce a mezzo di un
programma che è predisposto dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti
“d’intesa con i Ministri competenti e le Regioni o Province autonome
interessate”. Tale programma deve essere inserito sempre nel DPEF ma previo
parere del CIPE e “previa intesa della Conferenza unificata”, e gli interventi
in esso previsti “sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di
programma e negli accordi di programma quadro nei comparti idrici ed ambientali
[…] e sono compresi in un’intesa generale quadro avente validità pluriennale
tra il Governo e ogni singola Regione o Provincia autonoma, al fine del
congiunto coordinamento e realizzazione delle opere”. Anche nella sua attuale
versione la norma ribadisce tuttavia che “in sede di prima applicazione della
presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001”.
Regolata la fase di
individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici
e di preminente interesse nazionale, la legge n. 443 del 2001, al comma 2,
conferisce al Governo la delega ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in
vigore della legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro
normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli
insediamenti individuati ai sensi del comma 1”, dettando, alle lettere da a) ad
o) del medesimo comma 2, i principî e i criteri direttivi per l’esercizio del
potere legislativo delegato. Questi ultimi investono molteplici aspetti di
carattere procedimentale: sono fissati i moduli procedurali per addivenire
all’approvazione dei progetti, preliminari e definitivi, delle opere [lettere
b) e c)], dovendo risultare, quelli preliminari, “comprensivi di quanto necessario
per la localizzazione dell’opera d’intesa con la Regione o la Provincia
autonoma competente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i
Comuni interessati” [lettera b)]; sono individuati i modelli di finanziamento
[tecnica di finanza di progetto: lettera a)], di affidamento [contraente
generale o concessionario: in particolare lettere e) ed f)] e di aggiudicazione
[lettere g) e h)], ed è predisposta la relativa disciplina, anche in deroga
alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, ma nella prescritta osservanza della
normativa comunitaria.
L’assetto procedimentale così
sinteticamente descritto che trova ulteriore svolgimento in numerose altre disposizioni della legge
n. 443 del 2001, tra le quali quelle sulla disciplina edilizia (commi da 6 a 12
e comma 14), anch’esse impugnate si completa con il comma 3-bis,
introdotto dal comma 6 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, il quale
prevede una procedura di approvazione dei progetti definitivi “alternativa” a
quella stabilita dal precedente comma 2, demandata ad un decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri previa deliberazione del CIPE integrato dai
Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate, sentita la Conferenza
unificata e previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
2.1. - Questa Corte non è
chiamata, nella odierna sede, a giudicare se le singole opere inserite nel
programma meritino di essere considerate strategiche, se sia corretta la loro
definizione come interventi di preminente interesse nazionale o se con tali
qualificazioni siano lese competenze legislative delle Regioni. Simili
interrogativi potranno eventualmente porsi nel caso di impugnazione della
deliberazione approvativa del programma, che non ha natura legislativa. In
questa sede si tratta solo di accertare se il complesso iter procedimentale
prefigurato dal legislatore statale sia ex se invasivo delle attribuzioni
regionali; si deve cioè appurare se il legislatore nazionale abbia titolo per
assumere e regolare l’esercizio di funzioni amministrative su materie in
relazione alle quali esso non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo
una potestà concorrente.
Il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze
legislative in base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle
competenze statali; con un rovesciamento completo della previgente tecnica del
riparto sono ora affidate alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le
funzioni legislative residuali.
In questo quadro, limitare
l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli
in potestà esclusiva o alla determinazione dei principî nelle materie di
potestà concorrente, come postulano le ricorrenti, significherebbe bensì
circondare le competenze legislative delle Regioni di garanzie ferree, ma
vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti
costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituzionale giustificano, a
determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze
[basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’ordinamento
costituzionale tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clausola di supremazia nel sistema
federale statunitense (Supremacy Clause)].
Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere
più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate,
attribuzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l’ampia
articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più
svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principî giuridici, trovano
sostegno nella proclamazione di unità e indivisibilità della Repubblica. Un
elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si riferisce esplicitamente alle funzioni amministrative,
ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno
rigida, come si chiarirà subito appresso, la stessa distribuzione delle
competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative,
generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di
governo diverso per assicurarne l’esercizio unitario, sulla base dei principî
di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E’ del resto coerente con la
matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa
agisca come subsidium quando un livello di governo
sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata
un’attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l’istanza di
esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione
amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza
conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di
legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano
organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le
singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare
funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la
legge statale possa attendere a un compito siffatto.
2.2. - Una volta stabilito
che, nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtù
dell’art. 118, primo comma, la legge può attribuire allo Stato funzioni
amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fondanti dello Stato
di diritto, essa è anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di
renderne l’esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale, resta
da chiarire che i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convivono con il
normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono
giustificarne una deroga solo se la valutazione dell’interesse pubblico
sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata,
non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto
di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione
interessata. Che dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, primo comma, sia
desumibile anche il principio dell’intesa consegue alla peculiare funzione
attribuita alla sussidiarietà, che si discosta in parte da quella già
conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 15 marzo
1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni
amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già operante
nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine
prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo
della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla
primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione
della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti,
attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di
operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di
attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di
quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie.
Ecco dunque dove si fonda una
concezione procedimentale e consensuale della sussidiarietà e dell’adeguatezza.
Si comprende infatti come tali principî non possano operare quali mere formule
verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della
legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò
equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione. E si comprende
anche come essi non possano assumere la funzione che aveva un tempo l’interesse
nazionale, la cui sola allegazione non è ora sufficiente a giustificare
l’esercizio da parte dello Stato di una funzione di cui non sia titolare in
base all’art. 117 Cost. Nel nuovo Titolo V
l’equazione elementare interesse nazionale = competenza statale, che nella
prassi legislativa previgente sorreggeva l’erosione delle funzioni
amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, è divenuta
priva di ogni valore deontico, giacché l’interesse nazionale non costituisce
più un limite, né di legittimità, né di merito, alla competenza legislativa
regionale.
Ciò impone di annettere ai
principî di sussidiarietà e adeguatezza una valenza squisitamente
procedimentale, poiché l’esigenza di esercizio unitario che consente di
attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può
aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di
una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le
attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono essere condotte in base al principio di lealtà.
2.3. - La disciplina contenuta
nella legge n. 443 del 2001, come quella recata dal decreto legislativo n. 190
del 2002, investe solo materie di potestà statale esclusiva o concorrente ed è
quindi estranea alla materia del contendere la questione se i principî di
sussidiarietà e adeguatezza permettano di attrarre allo Stato anche competenze
legislative residuali delle Regioni. Ed è opportuno chiarire fin d’ora, anche
per rendere più agevole il successivo argomentare della presente sentenza, che
la mancata inclusione dei “lavori pubblici” nella elencazione dell’art. 117 Cost.,
diversamente da quanto sostenuto in numerosi ricorsi, non implica che essi
siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni. Al contrario, si
tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia,
ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto
possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello
Stato ovvero a potestà legislative concorrenti.
3. - Alla stregua dei
paradigmi individuati nei paragrafi che precedono, devono essere saggiate le
censure che si appuntano sulla legge n. 443 del 2001, nella sua versione
originaria ed in quella modificata dalla legge n. 166 del 2002.
3.1. - Per primo deve essere
esaminato il ricorso della Provincia autonoma di Trento, nel quale vengono
censurati i commi da 1 a 4 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 sul
parametro dell’art. 117 Cost. Il ricorso è proposto
sulla premessa che le competenze provinciali fondate sullo statuto speciale non
siano scalfite; sarebbero invece lese le attribuzioni spettanti alla Provincia
ai sensi dell’art. 117 Cost., in virtù della clausola
di favore contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3, secondo la quale alle Regioni speciali e alle Province autonome, fino
all’adeguamento dei rispettivi statuti, si applica la disciplina del nuovo
titolo V nella parte in cui assicura forme di autonomia più ampie rispetto a
quelle previste dagli statuti stessi. In particolare, il comma 5 del denunciato
art. 1, nel fare salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle
Province autonome, di cui agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione,
lascerebbe indenni le attribuzioni di cui al d.P.R.
22 marzo 1974, n. 381, per il quale, per gli interventi concernenti le
autostrade (art. 19), la viabilità, le linee ferroviarie e gli aerodromi (art.
20), lo Stato deve ottenere la previa intesa della Provincia. Del pari la
posizione della Provincia risulterebbe garantita dal decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 266 e segnatamente dall’art. 4, che le riserva “la gestione
amministrativa di ogni opera che lo statuto non assegni alla competenza statale”.
La Provincia, ponendo a base
del proprio ricorso la violazione di competenze più ampie rispetto a quelle
statutarie, che assume derivanti dall’art. 117 Cost., aveva l’onere di
individuarle nel raffronto con le competenze statutarie, che, per sua stessa ammissione,
sono fatte salve dalla legge oggetto di impugnazione. Ai fini di una corretta
instaurazione del giudizio di legittimità costituzionale la ricorrente non
poteva quindi limitarsi al mero richiamo all’art. 117 Cost.
Il ricorso è pertanto
inammissibile.
3.2. - In via preliminare va dichiarato
inammissibile il congiunto intervento ad adiuvandum dell’Associazione Italia Nostra-Onlus, di Legambiente-Onlus,
dell’Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus, nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione
Toscana avverso la legge n. 166 del 2002. Va qui ribadito l’orientamento
consolidato di questa Corte secondo il quale nei giudizi di legittimità
costituzionale in via di azione non è ammessa la presenza di soggetti diversi dalla
parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è
oggetto di contestazione (cfr., da ultimo, sentenze n. 49 del
2003, n. 533
e n. 510 del 2002,
n. 382 del 1999).
4. - Le Regioni Marche,
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano il comma 1 nella sua prima
formulazione, lamentando anzitutto la violazione dell’art. 117 Cost.,
perché la relativa disciplina non sarebbe ascrivibile ad alcuna delle materie
di competenza legislativa esclusiva statale; e del resto, argomentano le ricorrenti,
non essendo più contemplata dall’art. 117 Cost. la materia dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, non
sarebbe possibile far riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse al
fine di escludere la potestà legislativa regionale o provinciale.
Le predette ricorrenti
sostengono poi che l’individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte,
rientrare in uno degli ambiti materiali individuati dall’art. 117, terzo comma,
Cost. (quali porti e
aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), ma la disposizione
censurata, da un lato, detterebbe una disciplina di dettaglio e non di
principio e quindi sarebbe comunque lesiva dell’autonomia legislativa
regionale; dall’altro, escluderebbe le Regioni dal processo “codecisionale”, che dovrebbe essere garantito attraverso lo
strumento dell’intesa.
La Regione Marche denuncia
inoltre il medesimo comma 1 per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. sul rilievo che non
sarebbero stati rispettati i principî di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza e che sarebbe stata lesa l’autonomia finanziaria regionale con
l’attribuzione al Governo del compito di reperire tutti i finanziamenti.
La Regione Toscana, con
distinto e successivo ricorso, impugna il comma 1 anche nella formulazione
modificata dall’art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002, ribadendo che la
disposizione violerebbe l’art. 117 Cost., in quanto non troverebbe fondamento nella competenza
legislativa statale esclusiva o concorrente; e in ogni caso, in quanto
detterebbe una disciplina compiuta, dettagliata e minuziosa che precluderebbe
alla Regione ogni possibilità di scelta. La ricorrente deduce altresì la
violazione dell’art. 118, primo comma, Cost., assumendo che, da un lato, non sarebbero stati rispettati
i criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza; dall’altro, le
esigenze di esercizio unitario di cui parla l’art. 118 Cost.
non autorizzerebbero una deroga al riparto della
potestà legislativa posto dall’art. 117 Cost. Infine,
sempre ad avviso della Regione Toscana, l’introduzione di un’intesa con le
Regioni interessate e con la Conferenza unificata ai fini dell’individuazione
delle grandi opere non consentirebbe di eliminare i prospettati dubbi di incostituzionalità,
giacché l’intesa non garantirebbe una reale forma di coordinamento paritario,
in assenza di meccanismi atti ad impedire che essa sia recessiva dinanzi al
preminente potere dello Stato, che potrebbe procedere anche a fronte del
motivato dissenso regionale.
4.1. - Vanno scrutinate nel
merito le censure che le Regioni sollevano avverso il comma 1 dell’art. 1 della
legge n. 443 del 2001, anche quelle che ne investono l’originaria versione, dovendosi escludere che le
sopravvenute modifiche recate dall’art. 13, comma 3, della legge n. 166 del
2002 abbiano determinato sul punto una cessazione della materie del contendere.
Ciò in quanto proprio in base alla disposizione originaria è stato approvato il
programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi da parte del
CIPE (con delibera n. 121 del 21 dicembre 2001) ed è a tale programma che fa
riferimento anche il comma 1 nel testo novellato dall’art. 13 della legge n.
166 del 2002, come può desumersi chiaramente dal fatto che la norma, riprendendo
in parte la disposizione anteriore, stabilisce che “in sede di prima
applicazione della presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il 31
dicembre 2001”.
Tutte le censure sono
infondate e per dar conto di ciò è bene esaminare preliminarmente
l’impugnazione proposta dalla sola Regione Toscana avverso il comma 1, nel
testo sostituito dalla legge 1° agosto 2002, n. 166.
Quando si intendano attrarre
allo Stato funzioni amministrative in sussidiarietà, di regola il titolo del
legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita perché la
sussidiarietà deroga al normale riparto delle competenze stabilito nell’art.
117 Cost. Tuttavia, nel caso presente, l’assenza di
un richiamo espresso all’art. 118, primo comma, non fa sorgere alcun dubbio circa
l’oggettivo significato costituzionale dell’operazione compiuta dal
legislatore: non di lesione di competenza delle Regioni si tratta, ma di
applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza, che soli possono
consentire quella attrazione di cui si è detto. Predisporre un programma di
infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi è attività che
non mette capo ad attribuzioni legislative esclusive dello Stato, ma che può
coinvolgere anche potestà legislative concorrenti (governo del territorio,
porti e aeroporti, grandi reti di trasporto, distribuzione nazionale
dell’energia, etc.). Per giudicare se una legge statale che occupi questo
spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece
applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza diviene elemento
valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e le Regioni
interessate, alla quale sia subordinata l’operatività della disciplina. Nella
specie l’intesa è prevista e ad essa è da ritenersi che il legislatore abbia
voluto subordinare l’efficacia stessa della regolamentazione delle
infrastrutture e degli insediamenti contenuta nel programma di cui
all’impugnato comma 1 dell’art. 1. Nel congegno sottostante all’art. 118,
l’attrazione allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge non è
giustificabile solo invocando l’interesse a un esercizio centralizzato di esse,
ma è necessario un procedimento attraverso il quale l’istanza unitaria venga
saggiata nella sua reale consistenza e quindi commisurata all’esigenza di
coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone
la posizione costituzionale. Ben può darsi, infatti, che nell’articolarsi del
procedimento, al riscontro concreto delle caratteristiche oggettive dell’opera
e dell’organizzazione di persone e mezzi che essa richiede per essere
realizzata, la pretesa statale di attrarre in sussidiarietà le funzioni
amministrative ad essa relative risulti vanificata, perché l’interesse
sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere interamente
soddisfatto dalla Regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato al canone di
leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo alleghi, ma
argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacità di svolgere
in tutto o in parte la funzione.
L’esigenza costituzionale che
la sussidiarietà non operi come aprioristica modificazione delle competenze
regionali in astratto, ma come metodo per l’allocazione di funzioni a livello
più adeguato, risulta dunque appagata dalla disposizione impugnata nella sua
attuale formulazione.
Chiarito che la Costituzione
impone, a salvaguardia delle competenze regionali, che una intesa vi sia, va
altresì soggiunto che non è rilevante se essa preceda l’individuazione delle
infrastrutture ovvero sia successiva ad una unilaterale attività del Governo.
Se dunque tale attività sia stata già posta in essere, essa non vincola la
Regione fin quando l’intesa non venga raggiunta.
In questo senso sono quindi da
respingere anche le censure che le ricorrenti indirizzano contro il comma 1
dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, nella versione anteriore alla modifica
recata dalla legge n. 166 del 2002, per il fatto che in essa era previsto che
le Regioni fossero solo sentite singolarmente ed in Conferenza unificata e non
veniva invece esplicitamente sancito il principio dell’intesa.
L’interpretazione coerente con il sistema dei rapporti Stato-Regioni affermato
nel nuovo Titolo V impone infatti di negare efficacia vincolante a quel programma
su cui le Regioni interessate non abbiano raggiunto un’intesa per la parte che
le riguarda, come nel caso della deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n.
121.
5. - Tutte le Regioni
ricorrenti impugnano il comma 2 dell’art. 1, che detta - dalla lettera a) alla
lettera o) - i principî ed i criteri direttivi in base ai quali il Governo è
chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti
legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione
delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1”.
Con analoghe censure, che
evocano il contrasto con l’art. 117 Cost., e, per la Regione Marche, anche gli artt. 118 e 119 Cost., si deduce anzitutto che la prevista normativa
derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994 violerebbe
la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di appalti e lavori
pubblici.
Si sostiene inoltre che le
competenze regionali sarebbero ugualmente violate anche se si ricadesse
nell’ambito della potestà legislativa concorrente, perché il denunciato comma 2
detterebbe una disciplina compiuta e di dettaglio, non cedevole rispetto ad una
eventuale futura legislazione regionale.
Le censure sono genericamente
formulate e quindi inammissibili. Per comprenderlo è sufficiente la
ricognizione del contenuto delle disposizioni denunciate.
Il comma 2 dell’art. 1 della
legge n. 443 del 2001 ha ad oggetto la delega ad emanare uno o più decreti
legislativi volti a definire il quadro normativo finalizzato alla celere
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi individuati
ai sensi del comma 1. Nell’esercizio della delega il Governo, autorizzato a
riformare le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e
l’autorizzazione integrata ambientale, nel rispetto dell’art. 2 della direttiva
85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, e ad introdurre un regime
speciale anche derogatorio di numerose disposizioni della legge 11 febbraio
1994, n. 109, che non siano necessaria ed immediata applicazione delle
direttive comunitarie, è tenuto a rispettare i principî e criteri direttivi
fissati nelle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2.
Come già detto in precedenza,
l’indirizzo imposto al legislatore delegato investe una molteplicità di aspetti
a carattere procedimentale e muove dal modello di finanziamento delle opere,
con il concorso del capitale privato, attraverso la disciplina della tecnica di
finanza di progetto [lettera a)] per finanziare e realizzare le infrastrutture
e gli insediamenti di cui al comma 1.
La delega autorizza poi il
Governo a definire i moduli procedurali sostitutivi di quelli previsti per il
rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori
di ogni specie, avuto riguardo anche alla durata delle procedure per
l’approvazione dei progetti preliminari, “comprensivi di quanto necessario per
la localizzazione dell’opera d’intesa con la Regione o la Provincia autonoma
competente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i Comuni
interessati, e, ove prevista, della VIA”, nonché a prefigurare le procedure
necessarie per la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza
e per l’approvazione del progetto definitivo, con previsione di termini
perentori per la risoluzione delle interferenze con servizi pubblici e privati
e di responsabilità patrimoniali in caso di mancata tempestiva risoluzione
[lettera b)].
Viene quindi impartita al
Governo la direttiva di attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle
Regioni interessate, il compito di valutare le proposte dei promotori, di
approvare il progetto preliminare e quello definitivo, di vigilare
sull’esecuzione dei progetti approvati, adottando i provvedimenti concessori ed
autorizzatori necessari, comprensivi della
localizzazione dell’opera e, ove prevista, della VIA istruita dal competente
Ministero. Si prescrive inoltre che vengano affidati al Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti compiti di istruttoria e di formulazione di
proposte e quello di assicurare il supporto necessario per l’attività del CIPE,
eventualmente tramite un’apposita struttura tecnica di advisor
e di commissari straordinari [lettera c)].
La delega prosegue
autorizzando la modificazione della disciplina in materia di conferenza di servizi
e dettando i criteri ispiratori per il suo funzionamento [lettera d)].
Vengono quindi individuati i
modelli di affidamento e di aggiudicazione concernenti la realizzazione delle
opere di cui al comma 1, e prefigurata la cornice della rispettiva disciplina,
anche in deroga alla legge n. 109 del 1994, ma si impone al Governo il rispetto
della normativa comunitaria.
Si prevede inoltre che il
legislatore delegato affidi la realizzazione delle infrastrutture strategiche
ad un unico soggetto contraente generale o concessionario [lettera e)] e si
dettano i criteri che devono presiedere alla disciplina dell’affidamento a
contraente generale, con riferimento all’art. 1 della direttiva 93/37/CEE
[lettera f)].
Quanto poi al soggetto
aggiudicatore, si stabilisce l’obbligo, nel caso in cui l’opera sia realizzata
prevalentemente con fondi pubblici, di rispettare la normativa europea in tema
di evidenza pubblica e di scelta dei fornitori di beni o servizi, “ma con
soggezione ad un regime derogatorio rispetto alla citata legge n. 109 del 1994
per tutti gli aspetti di essa non aventi necessaria rilevanza comunitaria”
[lettera g)]. Al tempo stesso si autorizza, nel rispetto della normativa
comunitaria ed al fine di favorire il contenimento dei tempi e la massima
flessibilità degli strumenti giuridici, l’introduzione di specifiche deroghe
alla vigente disciplina in materia di aggiudicazione di lavori pubblici e di
realizzazione degli stessi, indicando i criteri per regolamentare l’attività
del contraente generale e la costituzione di società di progetto [lettera h)].
La delega investe ancora i
profili concernenti l’individuazione di misure adeguate per valutare il
regolare assolvimento degli obblighi assunti dal contraente generale [lettera
i)], la previsione, nel caso di concessione di opera pubblica unita a gestione
della stessa, di appositi meccanismi di corresponsione del prezzo al
concessionario, nonché di fissazione della durata della concessione medesima
[lettera l)], con il rispetto dei relativi piani finanziari [lettera m)].
La delega detta criteri anche
in ordine alle forme di tutela risarcitoria susseguente alla stipula dei
contratti di progettazione, appalto, concessione o affidamento a contraente
generale, prescrivendo che debba essere esclusa la reintegrazione in forma
specifica e ristretta la tutela cautelare, per tutti gli interessi
patrimoniali, “al pagamento di una provvisionale” [lettera n)]. Infine si
stabilisce che il Governo debba prevedere, per le procedure di collaudo delle
opere, “termini perentori che consentano, ove richiesto da specifiche esigenze
tecniche, il ricorso anche a strutture tecniche esterne di supporto alle
commissioni di collaudo” [lettera o)].
Si è dunque in presenza di una
disciplina particolarmente complessa che insiste su una pluralità di materie,
tra loro intrecciate, ascrivibili non solo alla potestà legislativa concorrente
ma anche a quella esclusiva dello Stato (ad esempio la tutela dell’ambiente e
dell’ecosistema). In un quadro normativo siffatto, le censure mosse dalle
ricorrenti non raggiungono il livello di specificità che si richiede ai fini di
uno scrutinio di merito (in tal senso v. sentenza n. 384 del
1999), poiché nei motivi di ricorso non vi è neppure una
sintetica esposizione delle ragioni per cui le disposizioni contenute nel comma
2 denunciato, singolarmente considerate, determinino una lesione delle
attribuzioni regionali.
6. - Sono invece
sufficientemente circostanziate le questioni che le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna
sollevano sulle lettere g) ed n), del comma 2, sostenendone il contrasto con il
“diritto europeo”. In particolare la lettera g), nella parte in cui circoscrive
l’obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la normativa europea in tema
di evidenza pubblica solo “nel caso in cui l’opera sia realizzata
prevalentemente con fondi pubblici”, violerebbe la direttiva 93/37/CEE, alla
quale non sarebbe conforme neppure nel caso del ricorso all’istituto della
concessione di lavori pubblici (art. 3 § l) o all’affidamento ad unico soggetto
contraente generale.
La questione deve essere
scrutinata nel merito, nel senso della non fondatezza, a prescindere dal
problema più generale, che investe ora l’interpretazione dell’art. 117, primo
comma, Cost., se ed entro quali limiti l’ipotesi di contrasto di una
norma interna con l’ordinamento comunitario sia idonea a radicare la competenza
del giudice delle leggi.
Nei giudizi di impugnazione
deve essere tenuto fermo l’orientamento già espresso da questa Corte (sentenze n. 85 del
1999, n. 94
del 1995 e n.
384 del 1994)), secondo il quale il valore costituzionale
della certezza e della chiarezza normativa deve fare aggio su ogni altra
considerazione soprattutto quando una esplicita clausola legislativa di
salvaguardia del diritto comunitario renda, come nella specie, manifestamente
insussistente il denunciato contrasto.
La lettera g) dell’art. 2,
infatti, contiene una delega al Governo perché siano adottate procedure di
aggiudicazione anche derogatorie rispetto alla legge n. 109 del 1994 quando non
si tratti di opere realizzate prevalentemente con fondi pubblici, ma non
autorizza il Governo a violare il diritto comunitario: al contrario si prevede
che la deroga non debba riguardare gli aspetti aventi necessaria rilevanza
comunitaria. Anche la disciplina dell’aggiudicazione in appalto di opere
realizzate con prevalenti fondi privati dovrà quindi rispettare il diritto
comunitario, qualunque ne sia il contenuto.
6.1. - La lettera n), seconda
frase, a sua volta, nella parte in cui restringe, per tutti gli “interessi
patrimoniali”, la tutela cautelare al “pagamento di una provvisionale”,
disattenderebbe la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), giacché
ridurrebbe “le possibilità di tutela piena per i concorrenti che lamentino
violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti”.
Anche in questo caso si può
prescindere dal problema appena richiamato dei rapporti tra il diritto
comunitario e il diritto interno e dei limiti entro i quali di questi rapporti
possa conoscere la Corte costituzionale. La questione è infatti inammissibile
per difetto di interesse sotto un duplice profilo: in primo luogo, essa evoca
un contrasto col diritto comunitario senza però dedurre l’esistenza di una
lesione delle attribuzioni regionali; inoltre la disposizione denunciata
investe la tutela giurisdizionale di terzi e non riguarda quindi materie di
competenza legislativa delle Regioni.
6.2. - La Regione Toscana
denuncia infine la lettera c) del medesimo comma 2, come sostituito dall’art.
13, comma 5, della legge n. 166 del 2002, deducendo il contrasto con gli artt.
117 e 118 Cost. Essa non garantirebbe il rispetto
delle attribuzioni delle Regioni, relegate ad un ruolo meramente consultivo
nell’approvazione dei progetti, demandata al CIPE, integrato dai Presidenti
delle Regioni interessate. Inoltre la ricorrente, premesso che il comma 3
dell’art. 13, nel sostituire il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443, dispone
che anche le strutture concernenti la nautica da diporto possono essere inserite
nel programma delle infrastrutture strategiche, rileva che la previsione
secondo cui la valutazione di impatto ambientale sulle stesse debba essere
effettuata dal Ministro competente e non dalle Regioni violerebbe le
attribuzioni di queste ultime in materia di porti e valorizzazione dei beni
ambientali.
La questione non è fondata.
Contrariamente a quanto
dedotto dalla ricorrente, la disposizione impugnata, nell’attribuire al CIPE,
integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate,
il compito di approvare i progetti preliminari e definitivi delle opere
individuate nel programma di cui al comma 1, non circoscrive affatto il ruolo
delle Regioni (o delle Province autonome) a quello meramente consultivo,
giacché queste, attraverso i propri rappresentanti, sono a pieno titolo
componenti dell’organo e partecipano direttamente alla formazione della sua
volontà deliberativa, potendo quindi far valere efficacemente il proprio punto
di vista. Occorre inoltre considerare che l’approvazione dei progetti deve
essere comprensiva anche della localizzazione dell’opera, sulla quale, come già
per la relativa individuazione, ai sensi del comma 1 dell’art. 1, è prevista
l’intesa con la Regione o la Provincia autonoma interessata [lettera b) del medesimo
comma 2].
Né infine può dirsi che la
disposizione denunciata, come sostenuto dalla ricorrente, affidi al Ministro
competente l’effettuazione della valutazione di impatto ambientale sulle opere
inserite nel programma, considerato che dalla piana lettura della norma risulta
che una siffatta valutazione è affidata al CIPE in composizione allargata ai
rappresentanti regionali e provinciali, mentre al Ministro è lasciata
unicamente la relativa fase istruttoria.
7. - E’ fondata la questione
di legittimità costituzionale – sollevata da tutte le ricorrenti – che investe
l’art. 1, comma 3, della legge n. 443, nella parte in cui autorizza il Governo
a integrare e modificare il regolamento di cui al d.P.R.
21 dicembre 1999, n. 554, per renderlo conforme a quest’ultima legge e ai
decreti legislativi di cui al comma 2.
Che ai regolamenti governativi
adottati in delegificazione fosse inibito disciplinare materie di competenza
regionale era già stato affermato da questa Corte avendo riguardo al quadro
costituzionale anteriore all’entrata in vigore della riforma del Titolo V della
Parte II della Costituzione. Nelle sentenze n. 333
e n. 482 del 1995
e nella più recente sentenza n. 302 del 2003 l’argomento su cui è incentrata la ratio decidendi
è che lo strumento della delegificazione non può operare in presenza di fonti
tra le quali non vi siano rapporti di gerarchia, ma di separazione di
competenze. Solo la diretta incompatibilità delle norme regionali con
sopravvenuti principî o norme fondamentali della legge statale può infatti
determinare l’abrogazione delle prime. La ragione giustificativa di tale
orientamento si è, se possibile, rafforzata con la nuova formulazione dell’art.
117, sesto comma, Cost., secondo il quale la potestà regolamentare è dello Stato,
salva delega alle Regioni, nelle materie di legislazione esclusiva, mentre in
ogni altra materia è delle Regioni. In un riparto così rigidamente strutturato,
alla fonte secondaria statale è inibita in radice la possibilità di vincolare
l’esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su disposizioni
regionali preesistenti (sentenza n. 22 del
2003); e neppure i principî di sussidiarietà e adeguatezza
possono conferire ai regolamenti statali una capacità che è estranea al loro
valore, quella cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario.
Quei principî, lo si è già rilevato, non privano di contenuto precettivo l’art.
117 Cost.,
pur se, alle condizioni e nei casi sopra evidenziati, introducono in esso
elementi di dinamicità intesi ad attenuare la rigidità nel riparto di funzioni
legislative ivi delineato. Non può quindi essere loro riconosciuta l’attitudine
a vanificare la collocazione sistematica delle fonti conferendo primarietà ad
atti che possiedono lo statuto giuridico di fonti secondarie e a degradare le
fonti regionali a fonti subordinate ai regolamenti statali o comunque a questi
condizionate. Se quindi, come già chiarito, alla legge statale è consentita
l’organizzazione e la disciplina delle funzioni amministrative assunte in sussidiarietà,
va precisato che la legge stessa non può spogliarsi della funzione regolativa
affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminando i principi che
orientino l’esercizio della potestà regolamentare, circoscrivendone la
discrezionalità.
8. - E’ fondata pure la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3-bis,
della legge n. 443 del 2001, introdotto dall’art. 13, comma 6, della legge n.
166 del 2002, proposta dalla Regione Toscana lamentando la violazione degli
artt. 117 e 118 Cost., per il fatto che alle Regioni sarebbe stato riservato un
ruolo meramente consultivo nella fase di approvazione dei progetti definitivi
delle opere individuate nel programma governativo.
La disposizione denunciata
consente che tale approvazione, in alternativa alle procedure di cui al comma
2, avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Per questa
procedura alternativa è previsto che il decreto del Presidente del Consiglio
sia adottato previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle
Regioni o delle Province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata
e previo parere delle competenti commissioni parlamentari.
Dalla degradazione della
posizione del CIPE da organo di amministrazione attiva (nel procedimento
ordinario) ad organo che svolge funzioni preparatorie (nel procedimento
“alternativo”) discende che la partecipazione in esso delle Regioni interessate
non costituisce più una garanzia sufficiente, tanto più se si considera che non
è previsto, nel procedimento alternativo, alcun ruolo delle Regioni interessate
nella fase preordinata al superamento del loro eventuale dissenso.
9. - Tutte le Regioni
impugnano il comma 4 dell’art. 1, in riferimento all’art. 117 e, limitatamente
al ricorso della Regione Marche, anche agli artt. 118 e 119 Cost.
La disposizione contiene una
delega al Governo ad emanare, nel rispetto dei principî e dei criteri direttivi
di cui al comma 2, previo parere favorevole del CIPE, integrato dai Presidenti
delle Regioni interessate, sentite la Conferenza unificata di cui all’art. 8
del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e le competenti commissioni
parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti l’approvazione definitiva
di specifici progetti di infrastrutture strategiche individuate secondo quanto
previsto al comma 1.
Le impugnazioni delle
ricorrenti sono svolte molto succintamente e si limitano ad operare un mero
rinvio agli argomenti sviluppati in relazione a disposizioni di diverso
contenuto senza ulteriori precisazioni, se non quella che si verserebbe in
materia di potestà legislativa residuale sulla quale lo Stato sarebbe
radicalmente privo di competenza. Anche il denunciato comma 4 dell’art. 1, come
le precedenti disposizioni, riguarda però materie di competenza concorrente o
esclusiva dello Stato e non investe potestà residuali. Né tra queste ultime,
per le ragioni già esposte, possono ritenersi compresi i lavori pubblici. Le
impugnazioni vanno pertanto rigettate.
10. - Il motivo di ricorso
proposto dalla Regione Marche contro l’art. 1, comma 5, della legge n. 443 del
2001, a mente del quale, ai fini della presente legge, “sono fatte salve le
competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome”, non ha
una sua autonoma consistenza ma deve essere interpretato come argomento teso a
corroborare le censure svolte negli altri motivi di ricorso, sulle quali si è
appena deciso.
11. - Le Regioni Toscana,
Umbria ed Emilia-Romagna denunciano i commi da 6 a 12 e il comma 14 dell’art.
1, che disciplinano, nel loro complesso, il regime degli interventi edilizi con
disposizioni il cui contenuto conviene subito illustrare.
Il comma 6 prevede che, per
determinati interventi, in alternativa a concessioni ed autorizzazioni
edilizie, l’interessato possa avvalersi della denuncia di inizio attività
(DIA). L’alternativa riguarda in
particolare: a) gli interventi edilizi minori, di cui all’art. 4, comma 7, del
decreto-legge n. 398 del 1993 (convertito nella legge n. 493 del 1993); b) le
ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la
stessa volumetria e sagoma; c) gli interventi ora sottoposti a concessione, se
sono specificamente disciplinati da piani attuativi che contengano precise
disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui
sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal consiglio comunale in sede
di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; d) i
sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta
esecuzione di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli indicati alla
lettera c), ma recanti analoghe previsioni di dettaglio. Rimane ferma la
disciplina previgente quanto all’obbligo di versare il contributo commisurato
agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione (comma 7).
Il comma 8 stabilisce che la
tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale per la realizzazione degli
interventi di cui al comma 6 sia subordinata al preventivo rilascio del parere
o dell’autorizzazione richiesti dalle disposizioni di legge vigenti e in
particolare dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.
Il comma 9 e il comma 10
contengono la disciplina relativa al caso in cui le opere da realizzare
riguardino immobili soggetti a un vincolo la cui tutela competa, anche in via
di delega, all’amministrazione comunale (comma 9) ovvero soggetti a un vincolo
la cui tutela spetti ad amministrazioni diverse da quella comunale (comma 10).
Nel primo caso è previsto che il termine per la presentazione della denuncia di
inizio attività, di cui all’art. 4, comma 11, del decreto-legge 5 ottobre 1993,
n. 398, decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Nel secondo caso si
prevede che, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia
allegato alla denuncia, il competente ufficio comunale convoca una conferenza
di servizi ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge 7
agosto 1990, n. 241, e il termine di venti giorni per la presentazione della
denuncia di inizio dell’attività decorre dall’esito della conferenza. Tanto nel
caso in cui l’atto dell’autorità comunale preposta alla tutela del vincolo non
sia favorevole, quanto nel caso di esito non favorevole della conferenza, la
denuncia di inizio attività è priva di effetti.
Il comma 11, a sua volta,
abroga il comma 8 dell’art. 4 del decreto-legge n. 398 del 1993, il quale
prevedeva la possibilità di procedere ad attività edilizie minori sulla base di
denuncia inizio attività a condizione che gli immobili non fossero assoggettati
alle disposizioni di cui alla legge n. 1089 del 1939, alla legge n. 1497 del
1939, alla legge n. 394 del 1991, ovvero a disposizioni immediatamente
operative dei piani aventi la valenza di cui all’art. 1-bis
del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, o
dalla legge n. 183 del 1989, o che non fossero comunque assoggettati dagli
strumenti urbanistici a discipline espressamente volte alla tutela delle loro
caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico
artistiche, storico architettoniche e storico testimoniali.
In base al comma 12 le
disposizioni di cui al comma 6 “si applicano nelle Regioni a statuto ordinario
a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della
presente legge” e “le Regioni a statuto ordinario, con legge, possono
individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a
concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia”. Con il comma 14 viene
delegato il Governo ad emanare, entro il 30 giugno 2003, un decreto legislativo
volto a introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia, di cui all’art. 7 della legge n. 50 del
1999, e successive modificazioni, le modifiche strettamente necessarie per
adeguarlo alle disposizioni di cui ai commi da 6 a 13 (quest’ultima
disposizione, non denunciata, fa salva la potestà legislativa esclusiva delle
Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano).
E’ importante rilevare che il
comma 12 è stato modificato dall’art. 13, comma 7, della legge n. 166 del 2002,
il quale ha aggiunto alla versione originaria le seguenti disposizioni: “salvo
che le leggi regionali pubblicate prima della data di entrata in vigore della
presente legge siano già conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e
d) del medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e
differenti presupposti urbanistici. Le Regioni a statuto ordinario possono
ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui al periodo
precedente”.
Tutte le disposizioni il cui
contenuto si è ora esposto hanno portata generale e prescindono dalla
disciplina procedimentale concernente le infrastrutture e gli insediamenti
produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, della quale non
costituiscono ulteriore svolgimento.
Contro di esse si orientano le
censure delle ricorrenti, le quali assumono che lo Stato avrebbe violato la
competenza residuale delle Regioni in materia edilizia e, subordinatamente,
avrebbe leso, con una disciplina di dettaglio, la competenza regionale
concorrente in materia di governo del territorio.
Nelle memorie presentate in prossimità
dell’udienza, la Regione Toscana, in considerazione della sopravvenuta modifica
del comma 12, ha espressamente dichiarato di rinunciare ai motivi di ricorso
concernenti i commi da 6 a 12 ed il comma 14. Insistono invece nelle censure le
Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, sicché questa Corte deve pronunciarsi su di
esse.
11.1. - E’ innanzitutto da
escludersi che la materia regolata dalle disposizioni censurate sia oggi da
ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto
comma, Cost. La materia dei titoli abilitativi ad
edificare appartiene storicamente all’urbanistica che, in base all’art. 117 Cost.,
nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola
“urbanistica” non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza a
ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell’elenco del terzo
comma: essa fa parte del
“governo del territorio”. Se si considera che altre materie o
funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti
di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma
dell’art. 117 Cost. e non
rientrano quindi nel “governo del territorio”, appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su
questa materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli
connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a
poco più di un guscio vuoto.
11.2. - Chiarito che si versa
in materia di competenza concorrente, resta da chiedersi se nelle disposizioni
denunciate vi siano aspetti eccedenti la formulazione di un principio di
legislazione. Un accurato esame della disciplina poc’anzi richiamata conduce a
una risposta negativa. Non vi è nulla in essa che non sia riconducibile ad una
enunciazione di principio e che possa essere qualificato normativa di
dettaglio.
Giova premettere che i
principî della legislazione statale in materia di titoli abilitativi per gli
interventi edilizi non sono rimasti, nel tempo, immutati, ma hanno subito
sensibili evoluzioni.
Dal generale e indifferenziato
onere della concessione edilizia (legge n. 10 del 1977) si è passati
all’autorizzazione per gli interventi di manutenzione straordinaria e fra
questi al silenzio-assenso quando non siano coinvolti edifici soggetti a
disciplina vincolistica (legge n. 457 del 1978). Il silenzio-assenso è stato
successivamente ampliato ed esteso e fatto oggetto di specifiche previsioni
procedurali (legge n. 94 del 1982, che ha convertito il decreto-legge n. 9 del
1982). Alle Regioni è stato poi attribuito (legge n. 47 del 1985) il potere di
semplificare le procedure ed accelerare l’esame delle domande di concessione e
di autorizzazione edilizia e di consentire, per le sole opere interne agli
edifici, l’asseverazione del rispetto delle norme di sicurezza e delle norme
igienico-sanitarie vigenti, secondo un modello che, in qualche modo, anticipa
l’istituto della denuncia di inizio attività. Ed ancora (decreto-legge n. 398
del 1993, convertito nella legge n. 493 del 1993) sono state nuovamente
regolate le procedure per il rilascio della concessione edilizia, eliminando il
silenzio-assenso e prevedendo in sua vece la nomina di un commissario regionale
ad acta con il compito di adottare il provvedimento nei casi di inerzia del
Comune. Si è giunti quindi alla disciplina sostanziale e procedurale della
denuncia di inizio attività (DIA) per taluni enumerati interventi edilizi,
imponendo alle Regioni l’obbligo di adeguare la propria legislazione ai nuovi
principî (legge n. 662 del 1996).
E’ dunque lungo questa
direttrice, in cui lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi
come appartenente alla potestà di dettare i principî della materia, che si
muovono le disposizioni impugnate. Le fattispecie nelle quali, in alternativa
alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si può procedere alla realizzazione
delle opere con denuncia di inizio attività a scelta dell’interessato integrano
il proprium del nuovo principio dell’urbanistica: si
tratta infatti, come agevolmente si evince dal comma 6, di interventi edilizi
di non rilevante entità o, comunque, di attività che si conformano a
dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici. In definitiva, le norme
impugnate perseguono il fine, che costituisce un principio dell’urbanistica,
che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non
risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a
semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni
sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione.
Né può dirsi che le
modificazioni introdotte nell’ultimo periodo del comma 12 dell’art. 1, e cioè
l’attribuzione alle Regioni del potere di ampliare o ridurre le categorie di
opere per le quali è prevista in principio la dichiarazione di inizio attività,
abbiano comportato, nella disciplina contenuta nel comma 6, un mutamento di
natura e l’abbiano trasformata in normativa di dettaglio. Vi è solo una maggiore
flessibilità del principio della legislazione statale quanto alle categorie di
opere a cui la denuncia di inizio attività può applicarsi. Resta come principio
la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi
ed espressi (la concessione o l’autorizzazione, ed oggi, nel nuovo testo unico
n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale è la DIA,
considerata procedura di semplificazione che non può mancare, libero il
legislatore regionale di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo.
La materia del contendere in
relazione ai commi 6 e 12 non è dunque cessata, come invece vorrebbe
l’Avvocatura generale dello Stato, ma le censure che le Regioni Umbria ed
Emilia-Romagna hanno tenute ferme nei confronti di queste disposizioni non
possono essere accolte, giacché, anche dopo le sopravvenute modificazioni del
comma 12, le disposizioni impugnate si limitano a porre principî e non
costituiscono norme di dettaglio.
11.3. - Del pari va respinta
la censura relativa al comma 7, il quale, senza avere il contenuto di norma di
dettaglio, si limita a reiterare l’obbligo dell’interessato di versare gli
oneri di urbanizzazione commisurati al costo di costruzione anche quando il
titolo abilitativo consista nella denuncia di inizio attività. L’onerosità del
titolo abilitativo riguarda infatti un principio della disciplina un tempo
urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la
rubrica “governo del territorio”.
11.4. - Non sono fondate le
questioni concernenti i commi da 8 a 11 dell’art. 1, per le quali sono svolti
motivi di censura analoghi a quelli appena esaminati.
Seppure, infatti, non si fosse
in presenza di una legislazione statale rientrante nell’art. 117, secondo
comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in
materia di tutela dell’ambiente, ecosistema e beni culturali, le disposizioni censurate non eccederebbero
l’ambito della potestà legislativa statale nelle materie di competenza concorrente,
e in particolare nella materia “governo del territorio”. In effetti esse, lungi
dal porre una disciplina di dettaglio, costituiscono espressione di un
principio della legislazione statale diverso da quello previgente, contenuto
nell’art. 4, comma 8, del decreto-legge n. 398 del 1993 (che viene
espressamente abrogato), secondo il quale può procedersi con denuncia di inizio
attività anche alla realizzazione degli interventi edilizi di cui al comma 6
dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 che riguardino aree o immobili
sottoposti a vincolo. Il legislatore, stabilito tale nuovo principio, ha
coordinato l’istituto della denuncia di inizio attività con le vigenti
disposizioni che pongono vincoli, a tal fine ribadendo la indispensabilità che
l’amministrazione preposta alla loro tutela esprima il proprio parere, la cui
assenza priva di effetti la denuncia di inizio attività. In definitiva le
disposizioni censurate si limitano a far salva la previgente normativa
vincolistica, senza alterare il preesistente quadro delle relative competenze,
anche delegate alle amministrazioni comunali, e senza attrarre allo Stato
ulteriori competenze. Le attribuzioni regionali non sono pertanto lese.
11.5. - Le considerazioni
svolte nei precedenti paragrafi inducono a ritenere priva di fondamento la
censura che le ricorrenti muovono al comma 14, contenente la delega al Governo
ad emanare un decreto legislativo volto ad introdurre nel testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui all’art. 7
della legge 8 marzo 1999, n. 50 le modifiche strettamente necessarie per
adeguarlo alle disposizioni dei commi da 6 a 13. Si sostiene dalle ricorrenti
che la disposizione sia illegittima in quanto sarebbe “il concetto stesso di
testo unico che ripugna al riparto costituzionale delle competenze” e ciò non
soltanto per le materie residuali regionali, ma anche per le materie di
competenza concorrente, nelle quali sulle Regioni grava soltanto il vincolo di
conformarsi ai principî della legislazione statale.
Le disposizioni impugnate – lo
si è appena visto – non sono tuttavia ascrivibili a competenze residuali e
hanno il contenuto di principî che le Regioni possono svolgere con proprie
norme legislative. Inserire quei principî in un testo unico già vigente è
dunque operazione che non lede alcuna attribuzione regionale.
12. - La Regione Toscana ha
impugnato anche i commi 1, 4 e 11 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002.
12.1. - Il comma 4 inserisce,
dopo il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, il “comma 1-bis”, il quale detta le indicazioni che deve contenere il
programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di
preminente interesse nazionale da inserire nel documento di programmazione
economico-finanziaria. La ricorrente assume che la disposizione violerebbe gli
artt. 117 e 118, primo comma, Cost. per le stesse identiche ragioni già poste a fondamento della
censura svolta avverso il comma 3 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, che
ha sostituito il comma 1 della citata legge n. 443.
Il motivo di ricorso è da
respingersi sulla base delle stesse argomentazioni che hanno condotto a
ritenere infondate le censure avverso il menzionato comma 1 dell’art. 1 nella
versione vigente: la doglianza in esame non assume infatti alcuna autonomia
rispetto a quella già scrutinata, con la quale, del resto, è prospettata
congiuntamente.
12.2. - Nei commi 1 e 11
dell’art. 13 della legge n. 166 sono individuati ed autorizzati i limiti di
impegno di spesa quindicennali per la progettazione e realizzazione delle opere
strategiche e di preminente interesse nazionale “individuate in apposito
programma approvato” dal CIPE, prevedendo, tra l’altro, che le risorse
autorizzate “integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo
scopo disponibili”. Il successivo comma 11 dispone i necessari stanziamenti di
bilancio.
In ordine a tali disposizioni
la Regione Toscana sostiene che esse, nel prevedere specifici stanziamenti per
la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche approvate dal CIPE,
contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118 Cost.,
in quanto si riferirebbero al programma predisposto dal CIPE che si assume
elaborato “in spregio alle competenze regionali”; sia con l’art. 119 Cost., perché inciderebbero sull’autonomia finanziaria
delle Regioni garantita dalla Costituzione anche in relazione al reperimento
delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture di competenza
regionale.
La censura va respinta per
considerazioni analoghe a quelle già svolte nel punto 4.1. della
presente pronuncia: in assenza dell’intesa con la Regione interessata i
programmi sono inefficaci. Ne consegue che anche questa disposizione deve
essere interpretata nel senso che i finanziamenti concernenti le infrastrutture
e gli insediamenti produttivi individuati nel programma approvato dal CIPE
potranno essere utilizzati per la realizzazione di quelle sole opere che siano
state individuate mediante intesa tra Stato e Regioni o Province autonome
interessate.
Quanto all’evocato parametro
dell’art. 119 Cost., è sufficiente osservare che si tratta di finanziamenti
statali individuati e stanziati in vista della realizzazione di un programma di
opere che lo Stato assume, nei termini già chiariti, in base ai principî di
sussidiarietà ed adeguatezza anche in considerazione degli oneri finanziari che
esso comporta e non è pensabile che lo Stato possa esimersi dal reperire le
risorse. Non è pertanto apprezzabile alcuna lesione dell’autonomia finanziaria
delle Regioni.
13. - Si tratta ora di
esaminare i ricorsi proposti dalle Regioni Toscana e Marche e dalle Province
autonome di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120
della Costituzione, nonché agli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14,
16, 17, 18, 19, 21, 22 e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e relative norme di attuazione,
avverso numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190,
attuativo della delega contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre
2001, n. 443.
Specificamente la Toscana
impugna gli artt. 1-11; 13; 15 e 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7; 17-20; la Provincia
autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3,
commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli artt. 1-11; 13 e
15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15.
14. - Il ricorso della
Provincia autonoma di Trento è stato depositato presso la cancelleria della
Corte costituzionale oltre il termine previsto dall’art. 32, terzo comma, della
legge 11 marzo 1953, n. 87. La Provincia, con apposita istanza, pur non
disconoscendo il carattere perentorio del termine per il deposito, ritiene che
possa trovare applicazione alla fattispecie la disciplina dell’errore
scusabile, che, per il processo costituzionale, non è espressamente previsto.
Si chiede pertanto di considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposito
effettuato dalla Provincia autonoma il 5 novembre 2002. In subordine, la
Provincia sollecita questa Corte a sollevare dinanzi a se stessa la questione
di legittimità costituzionale degli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo comma,
della legge n. 87 del 1953, nella parte in cui precludono l’applicazione di
tale istituto, per violazione dell’art. 24, primo comma, Cost.
e del principio di ragionevolezza.
Entrambe le richieste non
possono essere accolte. Nei giudizi in via di azione va senz’altro esclusa
l’applicabilità della disciplina dell’errore scusabile, così come è da
escludersi che la Corte possa ritenere non manifestamente infondata una
questione di legittimità proprio su quelle norme legislative che, regolando il
processo costituzionale, sono intese a conferire ad esso il massimo di certezza
e ad assicurare alle parti il corretto svolgimento del giudizio.
Il ricorso della Provincia
autonoma di Trento deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
15. - L’art. 1, comma 1, che
regola la progettazione, l’approvazione e realizzazione delle infrastrutture
strategiche e degli insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale,
individuati dall’apposito programma, è impugnato dalla Provincia autonoma di
Bolzano. Preliminarmente la ricorrente lamenta che la disposizione sarebbe
rivolta a salvaguardare unicamente le competenze riconosciutele dallo statuto
speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e
maggiori competenze derivanti dagli artt. 117 e 118, applicabili alle Regioni
ad autonomia differenziata in virtù della clausola di estensione contenuta
nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e comunque che
violerebbe l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Tale disposizione
definisce le condizioni dell’adeguamento (sei mesi) della legislazione
provinciale ai principî della legislazione statale, tenendo ferma «l’immediata
applicabilità nel territorio regionale (…) degli atti legislativi dello Stato
nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma è attribuita
delega di funzioni statali».
La pretesa avanzata dalla
Provincia di Bolzano è quella di rimanere indenne dall’obbligo di applicazione
immediata nel proprio territorio della disciplina contenuta nella disposizione
impugnata. Un’applicazione immediata, tuttavia, è esclusa dallo stesso art. 1,
il quale, per un verso, fa salve le competenze delle Province autonome e delle
Regioni a statuto speciale; per altro verso subordina l’applicazione della
disciplina a una previa intesa, alla quale la stessa Provincia autonoma,
proprio perché titolare di competenze statutarie che le sono fatte salve, può
sottrarsi. In questi termini la censura è infondata.
Anche competenze ulteriori
rispetto a quelle statutariamente previste, che possano derivare alla Provincia
di Bolzano dalla clausola contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale n.
3 del 2001, soggiacciono ai medesimi limiti propri delle funzioni corrispondenti
delle Regioni ordinarie; e se per queste è l’intesa, quale limite immanente
all’operare del principio di sussidiarietà, ad assicurare la salvaguardia delle
relative attribuzioni, un identico modulo collaborativo deve agire anche nei
confronti della Provincia di Bolzano.
Per le stesse ragioni va
respinta la censura svolta dalla Provincia di Bolzano, sempre in riferimento al
parametro dell’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, nei confronti dell’art.
13, comma 5, il quale stabilisce che l’approvazione del CIPE, adottata a
maggioranza dei componenti con l’intesa dei presidenti delle Regioni,
sostituisce, anche a fini urbanistici ed edilizi, ogni altra autorizzazione,
approvazione, parere e nulla osta comunque denominato, costituisce
dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere e
consente la realizzazione e l’esercizio delle infrastrutture strategiche per
l’approvvigionamento energetico e di tutte le attività previste nel progetto
approvato.
16. - Le Regioni Marche e
Toscana impugnano l’art. 1, comma 5, secondo il quale le Regioni, le province,
i comuni, le città metropolitane applicano, per le proprie attività
contrattuali ed organizzative relative alla realizzazione delle infrastrutture
e diverse dall’approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle
infrastrutture (comma 3), le norme del presente decreto legislativo «fino alla
entrata in vigore di una diversa norma regionale, (…) per tutte le materie di
legislazione concorrente». Si denuncia la lesione dell’art. 117 della
Costituzione poiché in materie di competenza concorrente sarebbe posta una
normativa cedevole di dettaglio.
Non può negarsi che
l’inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e
l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad
escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in materie di
legislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell’art. 117 svaluterebbe la portata precettiva
dell’art. 118, comma primo, che consente l’attrazione allo Stato, per
sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative
funzioni legislative, come si è già avuto modo di precisare. La disciplina
statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea
compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non
irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di
funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze
unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività.
Del resto il principio di
cedevolezza affermato dall’impugnato art. 1, comma 5, opera a condizione che
tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome interessate sia stata raggiunta
l’intesa di cui al comma 1, nella quale si siano concordemente qualificate le
opere in cui l’interesse regionale concorre con il preminente interesse
nazionale e si sia stabilito in che termini e secondo quali modalità le Regioni
e le Province autonome partecipano alle attività di progettazione, affidamento
dei lavori e monitoraggio. Si aggiunga che, a ulteriore rafforzamento delle
garanzie poste a favore delle Regioni, l’intesa non può essere in contrasto con
le normative vigenti, anche regionali, o con le eventuali leggi regionali
emanate allo scopo.
17. - L’art. 1, comma 7,
lettera e), definisce opere per le quali l’interesse regionale concorre con il
preminente interesse nazionale «le infrastrutture (…) non aventi carattere
interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle intese
generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle Regioni
o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere
interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più
Regioni o Stati, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o
internazionale». La Regione Toscana lamenta la violazione dell’art. 76 Cost.,
giacché la legge n. 443 del 2001 non autorizzerebbe il Governo a porre un regime
derogatorio anche per le opere di interesse regionale.
In realtà l’art. 1 del decreto
legislativo n. 190 fa riferimento a infrastrutture pubbliche e private e
insediamenti produttivi strategici e «di preminente interesse nazionale» e non
parla mai di opere di interesse regionale, ma solo di opere nelle quali con il
“preminente interesse nazionale”, che permane in posizione di prevalenza,
concorre l’interesse della Regione. Opere di interesse esclusivamente
regionale, in altri termini, non sono oggetto della disciplina impugnata.
Non è pertanto ravvisabile
nella disposizione denunciata alcun eccesso di delega.
17.1. - La stessa Regione
Toscana, la Regione Marche e la Provincia di Bolzano assumono poi che l’art. 1
comma 7, lettera e), violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e
118 Cost., poiché la disposizione escluderebbe la
concorrenza dell’interesse regionale con il preminente interesse nazionale in
relazione ad opere aventi carattere interregionale o internazionale, mentre il
solo fatto della localizzazione di una parte dell’opera sul territorio di una
Regione implicherebbe il coinvolgimento di un interesse regionale e la
conseguente legittimazione della Regione interessata all’esercizio nel proprio
territorio delle competenze legislative, regolamentari e amministrative ad essa
riconosciute dalla Costituzione.
Anche questa censura deve
essere respinta.
Le ricorrenti muovono dalla
erronea premessa che per le opere di interesse interregionale sia esclusa ogni
forma di coinvolgimento delle Regioni interessate. Al contrario deve essere
chiarito che l’intesa generale di cui al primo comma dell’art. 1 del decreto
legislativo ha ad oggetto, fra l’altro, la qualificazione delle opere e dunque
la stessa classificazione della infrastruttura come opera di interesse
interregionale deve ottenere l’assenso regionale.
Chiarito che il decreto
legislativo n. 190 non autorizza una qualificazione unilaterale del livello di
interesse dell’opera e ribadito che anche la classificazione della stessa deve
formare oggetto di un’intesa, non può dirsi scalfita la peculiare garanzia
riconosciuta alla Provincia di Bolzano dalle norme di attuazione dello statuto
speciale per il Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R.
n. 381 del 1974, le quali richiedono appunto un’intesa fra Ministro dei lavori
pubblici e Presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano per «i piani
pluriennali di viabilità e i piani triennali per la gestione e l’incremento
della rete stradale» (art. 19); e stabiliscono che «gli interventi di spettanza
dello Stato in materia di viabilità, linee ferroviarie e aerodromi, anche se
realizzati a mezzo di aziende autonome, sono effettuati previa intesa con la
Provincia interessata» (art. 20).
18. - L’art. 2, comma 1,
stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «promuove le
attività tecniche ed amministrative occorrenti ai fini della sollecita
progettazione ed approvazione delle infrastrutture e degli insediamenti
produttivi ed effettua, con la collaborazione delle Regioni e delle Province
autonome interessate con oneri a proprio carico, le attività di supporto
necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle
infrastrutture».
Secondo la prospettazione
della Provincia autonoma di Bolzano questa disposizione violerebbe l’art. 16
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, il quale pone il principio
del parallelismo tra funzioni legislative e amministrative, nonché l’art. 4,
comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale dispone che «nelle
materie di competenza propria della Regione o delle Province autonome la legge
non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative (…) diverse da
quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le norme di
attuazione, salvi gli interventi richiesti ai sensi dell’art. 22 dello
statuto».
La ricorrente presuppone che
alcune delle materie su cui insistono i compiti tecnici e amministrativi
conferiti al Ministero sarebbero di competenza legislativa (e quindi
amministrativa) provinciale, ma omette di considerare che tra gli oggetti
riconducibili alla propria competenza rientrano solo opere o lavori pubblici di
interesse provinciale, ai quali il decreto legislativo n. 190 non è
applicabile. Quando invece l’opera trascende l’ambito di interesse della Provincia,
allora si è al di fuori delle garanzie statutarie e le eventuali ulteriori
competenze normative che essa intendesse
trarre dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 in relazione alle
infrastrutture di cui al decreto legislativo impugnato non potrebbero sottrarsi
ai limiti che si fanno valere nei confronti delle Regioni ordinarie, ossia,
nella specie, alla possibilità, per lo Stato, di far agire il principio di
sussidiarietà attraendo e regolando funzioni amministrative. Il parallelismo
invocato dalla ricorrente opera, pertanto, unicamente nell’ambito provinciale e
con riferimento alle competenze statutarie, essendo superato dall’applicabilità
del principio di sussidiarietà per le competenze ulteriori.
18.1. - Per i motivi appena
illustrati devono essere respinte anche tutte le censure che la Provincia di
Bolzano prospetta, sempre sul parametro dell’art. 4, comma 1, del decreto
legislativo n. 266 del 1992, con argomentazioni analoghe e che hanno ad oggetto
gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13,
comma 5; e 15, i quali prevedono procedimenti di approvazione che comportano
l’automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano l’accertamento
della compatibilità ambientale e sostituiscono ogni altra autorizzazione,
approvazione e parere.
19. - La Provincia autonoma di
Bolzano impugna l’art. 2, commi 2, 3, 4 e 5, i quali, nel riservare al
Ministero delle infrastrutture e trasporti la promozione dell’attività di
progettazione, direzione ed esecuzione delle infrastrutture e il potere di
assegnare le risorse integrative necessarie alle attività progettuali,
violerebbero l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e
l’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Quest’ultimo, nel terzo
comma, prevede che «fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e
dalle relative norme di attuazione, nelle materie di competenza propria della
Provincia, le amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti
dipendenti dallo Stato non possono disporre spese né concedere, direttamente o
indirettamente, finanziamenti o contributi per attività nell’ambito del
territorio regionale o provinciale”. Tale disposizione, secondo la ricorrente
imporrebbe la diretta assegnazione dei fondi alle Province autonome di Trento e
Bolzano e non ai soggetti aggiudicatori.
Il motivo di ricorso va
respinto per ragioni analoghe a quelle poc’anzi esposte, giacché alle Province
autonome non spetta in materia alcuna competenza statutaria, se non con riguardo
alle opere di interesse provinciale. Non si applicano dunque i parametri che la
ricorrente invoca.
20. - Le Regioni Toscana e
Marche impugnano l’art. 2, comma 5, il quale prevede che per la nomina di
commissari straordinari incaricati di seguire l’andamento delle opere aventi
carattere interregionale o internazionale debbano essere sentiti i Presidenti
delle Regioni interessate. Le ricorrenti lamentano la violazione degli artt.
117 e 118 Cost. e del
principio di leale collaborazione, che, a loro giudizio, imporrebbe il
coinvolgimento della Regione nella forma dell’intesa.
La questione non è fondata.
La disposizione impugnata,
infatti, prevede una forma di vigilanza sull’esercizio di funzioni che, in
quanto assunte per sussidiarietà, sono qualificabili come statali, e non vi è
alcuna prescrizione costituzionale dalla quale possa desumersi che il livello
di collaborazione regionale debba consistere in una vera e propria intesa,
anziché, come è previsto per le opere interregionali e internazionali, nella audizione
dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome in sede di nomina del
commissario straordinario.
21. - Le Regioni Toscana e
Marche impugnano l’art. 2, comma 7, nella parte in cui consente al Presidente
del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e
trasporti, sentiti, per le infrastrutture di competenza dei soggetti
aggiudicatori regionali, i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome,
di abilitare i Commissari straordinari ad adottare, con poteri derogatori della
normativa vigente e con le modalità e i poteri di cui all’art. 13 del
decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni nella legge
23 maggio 1997, n. 135, i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura
necessari alla sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in
sostituzione dei soggetti competenti. Se ne denuncia il contrasto con gli artt.
117, 118 e 120 della Costituzione.
Va innanzitutto premesso che le
infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatori regionali sono quelle
in relazione alle quali, nelle intese previste dal comma 1 dell’art.1 del decreto legislativo n. 190, si è riconosciuto che
l’interesse regionale concorre con un interesse statale preminente ed è proprio
questo riconoscimento a giustificare l’esercizio della funzione amministrativa
da parte dello Stato. Ad evitare che le esigenze unitarie sottostanti alla
realizzazione di tali opere possano restare insoddisfatte a causa dell’inerzia
del soggetto aggiudicatore regionale, allo Stato sono conferiti poteri
sollecitatori che peraltro devono essere esercitati seguendo un percorso
procedimentale che non priva Regioni e Province autonome delle garanzie
connesse alla titolarità di un interesse concorrente con quello statale. E’
infatti previsto che i commissari straordinari agiscano con le modalità e i
poteri di cui al citato art. 13 del decreto-legge n. 67 del 1997, e il comma 4
di tale articolo, che deve essere ritenuto applicabile alla fattispecie,
attribuisce al Presidente della Regione (e, in questo caso, per opere ricadenti
nell’ambito della Provincia autonoma, al Presidente della Provincia) il potere
di sospendere i provvedimenti adottati dal commissario straordinario e anche di
provvedere diversamente, entro 15 giorni dalla loro comunicazione.
In questi termini, la censura
è da respingere.
Non può essere condivisa
neppure la prospettazione della Regione Toscana, secondo la quale alle ipotesi
di inerzia regionale dovrebbe ovviarsi ai sensi dell’art. 120 Cost.,
per la cui applicazione mancherebbero, nella specie, i presupposti. Occorre qui
tenere ben distinte le funzioni amministrative che lo Stato, per ragioni di
sussidiarietà e adeguatezza, può assumere e al tempo stesso organizzare e
regolare con legge, dalle funzioni che spettano alle Regioni e per le quali lo
Stato, non ricorrendo i presupposti per la loro assunzione in sussidiarietà,
eserciti poteri in via sostitutiva. Nel primo caso, quando si applichi il
principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., quelle stesse
esigenze unitarie che giustificano l’attrazione della funzione amministrativa
per sussidiarietà consentono di conservare in capo allo Stato poteri
acceleratori da esercitare nei confronti degli organi della Regione che restino
inerti. In breve, la già avvenuta assunzione di una funzione amministrativa in
via sussidiaria legittima l’intervento sollecitatorio diretto a vincere
l’inerzia regionale. Nella fattispecie di cui all’art. 120 Cost., invece, l’inerzia
della Regione è il presupposto che legittima la sostituzione statale
nell’esercizio di una competenza che è e resta propria dell’ente sostituito.
22. - Le Regioni ricorrenti
censurano nella sua interezza l’art. 3, che disciplina la procedura di
approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture, le procedure di
valutazione di impatto ambientale (VIA) e localizzazione, denunciandone il
contrasto con l’art. 117 Cost., giacché detterebbe una disciplina di minuto dettaglio in
relazione ad oggetti ricadenti nella competenza regionale in materia di governo
del territorio.
La censura è inammissibile, in
quanto formulata in termini generici, senza specificare quali parti della
disposizione censurata eccederebbero la potestà regolativa che pure non si
disconosce allo Stato in materia.
23. - L’art. 3, comma 5, il
quale affida al CIPE l’approvazione del progetto preliminare delle
infrastrutture coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell’intesa sulla
localizzazione dell’opera, ma prevedendo che il medesimo progetto non sia
sottoposto a conferenza di servizi, secondo la Regione Toscana sarebbe in
contrasto con l’art. 76 Cost., poiché non sarebbe
conforme all’art. 1, comma 2, lettera d), della legge n. 443 del 2001, il quale
autorizzava solo a modificare la disciplina della conferenza dei servizi e non
a sopprimerla.
La censura non è fondata.
Il Governo, ai sensi dell’art.
1, comma 2, lettera d), era delegato a riformare le procedure per la
valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione integrata ambientale, nell’osservanza
di un principio-criterio direttivo molto circostanziato e così formulato:
modificazione della disciplina in materia di conferenza di servizi con la
previsione della facoltà, da parte di tutte le amministrazioni competenti a
rilasciare permessi e autorizzazioni comunque denominati, di proporre, in detta
conferenza, nel termine perentorio di novanta giorni, prescrizioni e varianti
migliorative che non modificano la localizzazione e le caratteristiche
essenziali delle opere. Tale criterio, diversamente da quanto assume la
ricorrente, era dettato con riferimento all’approvazione del progetto
definitivo, non già di quello preliminare. Attuativo della lettera d), dunque,
non è l’art. 3, comma 5, bensì l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 190,
relativo all’approvazione del progetto definitivo, che in effetti prevede la
conferenza di servizi e risulta pertanto, sotto il profilo denunciato, conforme
alla delega.
24. - Le Regioni ricorrenti
denunciano i commi 6 e 9 dell’art. 3, i quali, nel prevedere che lo Stato possa
procedere comunque all’approvazione del progetto preliminare relativo alle
infrastrutture di carattere interregionale e internazionale superando il
motivato dissenso delle
Regioni, violerebbero gli artt. 114, commi primo e secondo; 117, commi
terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, Cost.
Le Regioni, si osserva nei ricorsi, sarebbero relegate in posizione di
destinatarie passive di provvedimenti assunti a livello statale in materie che
sono riconducibili alla potestà legislativa concorrente.
La questione non merita
accoglimento.
Le procedure di superamento
del dissenso regionale sono diversificate.
In una prima ipotesi [art. 3,
comma 6, lettera a)] il dissenso può essere manifestato sul progetto
preliminare di un’opera che, in virtù di un’intesa fra lo Stato e la Regione o
Provincia autonoma, è stata qualificata di carattere interregionale o
internazionale. In questo caso il progetto preliminare è sottoposto al
consiglio superiore dei lavori pubblici, alla cui attività istruttoria
partecipano i rappresentanti delle Regioni. A tale fine il consiglio valuta i
motivi del dissenso e la eventuale proposta alternativa che, nel rispetto della
funzionalità dell’opera, la Regione o Provincia autonoma dissenziente avessero
formulato all’atto del dissenso. Il parere del consiglio superiore dei lavori
pubblici è rimesso al CIPE che, in forza dell’art. 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 190, applicabile nella specie, è integrato dai Presidenti delle
Regioni e Province autonome interessate. Se il dissenso regionale perdura anche
in sede CIPE, il progetto è approvato con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentita la
Commissione parlamentare per le questioni regionali. Va in primo luogo rilevato
che non si tratta qui di approvazione del progetto definitivo, ma solo di
quello preliminare, e che le opere coinvolte non sono qualificate di carattere
regionale. Risponde quindi allo statuto del principio di sussidiarietà e
all’istanza unitaria che lo sorregge, che possano essere definite procedure di
superamento del dissenso regionale, le quali dovranno comunque – come avviene
nella specie – informarsi al principio di leale collaborazione, onde offrire
alle Regioni la possibilità di rappresentare il loro punto di vista e di
motivare la loro valutazione negativa sul progetto. Nessuna censura, in
definitiva, può essere rivolta alla disciplina legislativa, salva la
possibilità per la Regione dissenziente di impugnare la determinazione finale
resa con decreto del Presidente della Repubblica ove essa leda il principio di
leale collaborazione, sul quale deve essere modellato l’intero procedimento.
Nella seconda ipotesi [art. 3,
comma 6, lettera b)] il dissenso si manifesta sul progetto preliminare relativo
a infrastrutture strategiche classificate nell’intesa fra Stato e Regione come
di preminente interesse nazionale o ad opere nelle quali il preminente
interesse statale concorre con quello regionale. Il procedimento di superamento
del dissenso delle Regioni è diversamente articolato: si provvede in questi
casi a mezzo di un collegio tecnico costituito d’intesa fra il Ministero e la
Regione interessata a una nuova valutazione del progetto preliminare. Ove
permanga il dissenso, il Ministro delle infrastrutture e trasporti propone al
CIPE, sempre d’intesa con la Regione, la sospensione dell’infrastruttura, in
attesa di una nuova valutazione in sede di aggiornamento del programma oppure
«l’avvio della procedura prevista in caso di dissenso sulle infrastrutture o
insediamenti produttivi di carattere interregionale o internazionale». Il
tenore letterale della disposizione porta a concludere che la necessità
dell’intesa con la Regione si riferisca non solo alla proposta di sospensione
del procedimento, ma anche alla proposta di avvio della procedura di cui alla
lettera a) dell’articolo in esame. Si consentirebbe insomma alla Regione, nel
caso di opere di interesse regionale concorrente con quello statale, di
“bloccare” l’approvazione del progetto ad esse relativo, in attesa di una nuova
valutazione in sede di aggiornamento del programma.
In questi termini, il motivo
di ricorso in esame deve essere rigettato.
24.1. - Per le ragioni appena
esposte anche le censure relative agli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che
alla procedura dell’art. 3, comma 6, fanno espresso rinvio, devono essere
respinte, così come deve essere rigettata la censura rivolta dalle Regioni
Toscana e Marche nei confronti dell’art. 13, che disciplina le procedure per la
localizzazione, l’approvazione dei progetti, la VIA degli insediamenti
produttivi e delle infrastrutture private strategiche per l’approvvigionamento
energetico, richiamando le procedure previste negli artt. 3 e 4 del decreto.
25. - Devono essere dichiarate
inammissibili le censure che le Regioni Toscana e Marche svolgono nei confronti
degli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che, in relazione alle infrastrutture e
agli insediamenti produttivi qualificati come strategici, contengono un
complesso insieme di innovazioni in materia di appalti e di concessioni di
lavori pubblici. Se ne denuncia il contrasto con l’art. 117 Cost.
Ancor prima di esaminare nel
merito la censura, che procede peraltro dalla erronea premessa che i lavori
pubblici costituiscano una materia di esclusiva competenza regionale, si deve
rilevare che essa è formulata in termini così generici da non consentire un
corretto scrutinio di legittimità costituzionale sulle singole disposizioni.
Nella congerie di norme contenute negli articoli impugnati, fatte simultaneamente
e indistintamente oggetto di censura, discernere o selezionare i profili di
competenza statale potenzialmente interferenti con la disciplina regionale non
è onere che possa essere addossato alla Corte, ma attiene al dovere di
allegazione del ricorrente. Vero in ipotesi che sussistano profili di
disciplina inerenti a competenze residuali, è infatti indubitabile la
potenziale interferenza con esse di funzioni e compiti statali riconducibili
alla potestà legislativa esclusiva o concorrente, quali la tutela dell’ambiente
e dell’ecosistema, la tutela della concorrenza, il governo del territorio.
26. - L’art. 4, comma 5, è
impugnato dalla Regione Toscana per la parte in cui prevede che l’approvazione
del progetto definitivo, adottata con il voto favorevole della maggioranza dei
componenti il CIPE, «sostituisce ogni altra autorizzazione, approvazione e
parere comunque denominato e consente la realizzazione e, per gli insediamenti
produttivi strategici, l’esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste
nel progetto approvato». La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 76 della
Costituzione, per il contrasto con l’art. 1, comma 3-bis,
della legge di delega n. 443 del 2001, come modificata dalla legge n. 166 del
2002, il quale porrebbe quale momento indefettibile del procedimento di
approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio della Conferenza
unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.
La censura è infondata.
A prescindere dal rilievo che
l’art. 1, comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001,
introdotto dalla legge n. 166 del 2002, non figura espressamente tra i criteri
e principi direttivi per l’esercizio della delega, e che è stato dichiarato
costituzionalmente illegittimo con la presente pronuncia (v. § 8), deve
osservarsi che l’art. 4, comma 5, costituisce attuazione del criterio di cui
all’art. 1, comma 2, lettera c), della citata legge n. 443 del 2001, come
modificato dall’art. 13, comma 6, della legge n. 166 del 2002, del quale si è
in precedenza escluso il dedotto profilo di lesione delle competenze regionali
(punto 6.2.). Il suindicato criterio prevedeva infatti che venisse affidata al
CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni o Province autonome interessate,
l’approvazione del progetto preliminare e di quello definitivo. E che
l’operatività della disposizione impugnata presupponga che l’approvazione del
progetto definitivo sia effettuata dal CIPE in composizione allargata si ricava
dall’art. 1, comma 2, dello stesso decreto legislativo n. 190, il quale
chiarisce che «l’approvazione dei progetti delle infrastrutture» (quindi del
progetto preliminare come di quello definitivo) «avviene d’intesa tra lo Stato
e le Regioni nell’ambito del CIPE allargato ai presidenti delle regioni e delle
province autonome interessate».
27. - La Regione Toscana ha
impugnato l’art. 8, nella parte in cui prevede che il Ministero delle
infrastrutture e trasporti pubblichi sul proprio sito informatico e, una volta
istituito, sul sito informatico individuato dal Presidente del Consiglio dei
ministri ai sensi dell’art. 24 della legge 24 novembre 2000, n. 340, nonché
nelle Gazzette Ufficiali italiana e comunitaria, la lista delle infrastrutture
per le quali il soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione
di proposte da parte di promotori, precisando, per ciascuna infrastruttura, il
termine (non inferiore a 4 mesi) entro il quale i promotori possono presentare
le proposte e, se la proposta è presentata, stabilisce che il soggetto
aggiudicatore, valutata la stessa come di pubblico interesse, promuova la
procedura di VIA e se necessario la procedura di localizzazione urbanistica.
La ricorrente lo censura per
eccesso di delega, in quanto esso non chiarirebbe se le infrastrutture inserite
nella lista per sollecitare le proposte dei promotori siano da individuare tra
quelle già ricomprese nel programma di opere strategiche formato d’intesa con
le Regioni ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001
o se al contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei
promotori anche per opere non facenti parte del programma, e sulle quali
nessuna intesa è stata raggiunta con le Regioni interessate.
L’interpretazione più piana e
lineare della disposizione censurata è che debba trattarsi delle opere inserite
nel programma di cui al comma 1, e sulle quali si sia raggiunta l’intesa. Non è
quindi fondata la censura di violazione dell’art. 76 Cost.
e neppure sussiste la violazione dell’art. 117, poiché
il principio di sussidiarietà, come si è visto nel paragrafo 2.1, postula che
allo Stato, una volta assunta la funzione amministrativa, competa anche di
regolarla onde renderne l’esercizio raffrontabile a un parametro legale
unitario.
28. - Le Regioni Toscana,
Marche e la Provincia autonoma di Bolzano, propongono questione di legittimità
costituzionale, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost., anche dell’art. 15
del decreto legislativo n. 190.
La questione è fondata.
Il comma 1 di tale articolo
attribuisce al Governo la potestà di integrare tutti i regolamenti emanati in
base alla legge n. 109 del 1994, «assumendo come norme regolatrici il presente
decreto legislativo, la legge di delega e le normative comunitarie in materia
di appalti di lavori» e stabilisce che le norme regolamentari si applichino
alle Regioni solo «limitatamente alle procedure di intesa per l’approvazione
dei progetti e di aggiudicazione delle infrastrutture» e, per quanto non
pertinente a queste procedure, si applichino a titolo suppletivo, «sino alla
entrata in vigore di diversa normativa regionale». Il comma 2 del predetto
articolo autorizza i regolamenti emanati nell’esercizio della potestà di cui al
comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme di
diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia; il comma 3 puntualizza
gli oggetti del regolamento autorizzato; il comma 4 stabilisce che, fino alla
entrata in vigore dei regolamenti integrativi di cui al comma 1, si applica il d.P.R. n. 554 del 1999 in materia di lavori pubblici
adottato dallo Stato ai sensi dell’art. 3 della legge n. 109 del 1994, in
quanto compatibile con le norme della legge di delega e del decreto legislativo
n. 190; e prosegue disponendo che i requisiti di qualificazione sono
individuati e regolati dal bando e dagli atti di gara, nel rispetto delle
previsioni del decreto legislativo n. 158 del 1995.
Dalle argomentazioni che
sostengono il motivo di ricorso si evince che esso investe i primi quattro
commi dell’art. 15, che riguardano appunto i regolamenti governativi
autorizzati; ne è escluso invece il comma 5, che ha un oggetto diverso ed
affatto autonomo, poiché concerne l’attività di monitoraggio tesa a prevenire e
reprimere tentativi di infiltrazione mafiosa. Così accertata la portata delle
censure, esse devono essere accolte, per le ragioni che sono state già esposte
nel precedente paragrafo 7, dove si sono illustrati i motivi della pronuncia di
accoglimento della questione riguardante l’art. 1, comma 3, della legge n. 443
del 2001, di cui l’impugnato art. 15 è attuativo.
29. - Con un’unica, laconica
censura la Regione Toscana impugna, con richiamo agli stessi motivi già svolti,
l’art. 16, il quale contiene una pluralità di norme transitorie, diverse a
seconda dello stadio di realizzazione dell’opera al momento di entrata in vigore
del decreto legislativo n. 190. La regolamentazione è infatti differenziata a
seconda che sia stato approvato il progetto definitivo o esecutivo (comma 1);
abbia avuto luogo la valutazione di impatto ambientale sulla base di norme
vigenti statali o regionali (comma 2); non si sia svolta alcuna attività e si
versi in fase di prima applicazione della disciplina (comma 3); o ancora si
tratti di procedimenti relativi agli insediamenti produttivi e alle
infrastrutture strategiche per l’approvvigionamento energetico in corso (comma
7, che regola anche il regime degli atti già compiuti). Ciascuna di queste
ipotesi è assoggettata a una disciplina particolare e pertanto non è possibile
indirizzare nei loro confronti una censura unitaria fondata su un solo motivo,
per di più argomentato per relationem con riferimento
ai “motivi sopra esposti”, alcuni dei quali, a loro volta, vengono dichiarati
inammissibili per genericità con la presente pronuncia.
La censura è pertanto
inammissibile per la sua genericità.
30. - Le Regioni Marche e
Toscana denunciano, in riferimento all’art. 117 Cost., gli artt. 17, 18, 19
e 20 nella parte in cui dettano una disciplina della procedura di valutazione
di impatto ambientale di opere e infrastrutture che derogherebbe a quella
regionale, cui dovrebbe riconoscersi la competenza a regolare gli strumenti
attuativi della tutela dell’ambiente.
La censura non merita
accoglimento.
Le ricorrenti muovono dalla
premessa che la valutazione di impatto ambientale regolata dalle disposizioni
censurate trovi applicazione anche nei confronti delle opere di esclusivo
interesse regionale, ma così non è, poiché la sfera di applicazione del decreto
legislativo n. 190 è limitata alle opere che, con intesa fra lo Stato e la
Regione, vengono qualificate come di preminente interesse nazionale, con il
quale concorre un interesse regionale.
Per le infrastrutture ed
insediamenti produttivi di preminente interesse nazionale, invece, non vi è
ragione di negare allo Stato l’esercizio della sua competenza, tanto più che la
tutela dell’ambiente e dell’ecosistema forma oggetto di una potestà esclusiva,
ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), che è bensì interferente con
una molteplicità di attribuzioni regionali, come questa Corte ha riconosciuto
nelle sentenze n. 536 e n. 407 del 2002, ma che non può essere ristretta al punto
di conferire alle Regioni, anziché allo Stato, ogni determinazione al riguardo.
Quando sia riconosciuto in
sede di intesa un concorrente interesse regionale, la Regione può esprimere il
suo punto di vista e compiere una sua previa valutazione di impatto ambientale,
ai sensi dell’art. 17, comma 4, ma il provvedimento di compatibilità ambientale
è adottato dal CIPE, il quale, secondo una retta interpretazione, conforme ai
criteri della delega [art. 1, comma 2, lettera c), della legge n. 443 del 2001,
come sostituito dalla legge n. 166 del 2002], deve essere integrato dai
Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate. L’insieme di
queste previsioni appresta garanzie adeguate a tutelare le interferenti
competenze regionali.
31. - Oggetto di censura è
pure l’art. 19, comma 2, il quale demanda la valutazione di impatto ambientale
a una Commissione speciale istituita con decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente. Le Regioni Toscana e
Marche lamentano una lesione degli artt. 9, 32, 117 e 118 Cost.
per la mancata previsione di una partecipazione
regionale in tale Commissione.
Premesso che la disposizione deve
essere interpretata nel senso che la Commissione speciale opera con riferimento
alle sole opere qualificate in sede di intesa come di interesse nazionale,
interregionale o internazionale, essa è invece illegittima nella parte in cui,
per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici per i quali sia
stato riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse regionale, non
prevede che la Commissione speciale VIA sia integrata da componenti designati
dalle Regioni o Province autonome interessate.
32. - Le Regioni Campania,
Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia hanno proposto
questione di legittimità costituzionale in via principale, in riferimento agli
artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 174 del trattato istitutivo della
Comunità europea, dell’intero decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198,
recante “Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture
di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del
Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443”, e
in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.
33. - Avverso il medesimo
decreto legislativo ha proposto ricorso, «per sollevare questione di
legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione», anche il Comune di
Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad impugnare
discenda dal fatto che la revisione del Titolo V della Parte II della
Costituzione ha attribuito direttamente ai Comuni potestà amministrative e
normative che dovrebbero poter essere difese nel giudizio di legittimità
costituzionale in via di azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione.
A prescindere dalla
qualificazione dell’atto e dal problema se con esso il Comune abbia sollevato
una questione di legittimità costituzionale o abbia introdotto un conflitto di
attribuzione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
L’art. 127 Cost.
prevede che «La Regione, quando ritenga che una legge
o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua
sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale
dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione
della legge o dell’atto avente valore di legge». Con formulazione dal tenore
inequivoco, la titolarità del potere di impugnazione di leggi statali è dunque
affidata in via esclusiva alla Regione, né è sufficiente l’argomento
sistematico invocato dal ricorrente per estendere tale potere in via
interpretativa ai diversi enti territoriali.
Analogo discorso deve
ripetersi per il potere di proporre ricorso per conflitto di attribuzione.
Nessun elemento letterale o sistematico consente infatti di superare la
limitazione soggettiva che si ricava dagli art. 134 della Costituzione e 39,
terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e, comunque, sotto il profilo
oggettivo, resta ferma, anche dopo la revisione costituzionale del 2001, la
diversità fra i giudizi in via di azione sulle leggi e i conflitti di
attribuzione fra Stato e Regioni, i quali ultimi non possono riguardare atti
legislativi.
34. - Gli interventi spiegati
dalle società H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. – Telecom Italia
Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind Telecomunicazioni s.p.a.
e quelli proposti, peraltro tardivamente, dai Comuni di Pontecurone, Monte
Porzio Catone, Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle
associazioni consumatori (CODACONS), devono essere dichiarati inammissibili,
per le stesse ragioni esposte nel paragrafo 3.2 della presente sentenza.
35. - L’intero decreto
legislativo n. 198 del 2002 è impugnato in tutti i ricorsi per eccesso di
delega, sul rilievo che la legge n. 443 del 2002, nell’art. 1, comma 1,
autorizzava l’adozione di una normativa specifica per le sole infrastrutture
puntualmente individuate anno per anno, a mezzo di un programma approvato dal
CIPE, mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale individuazione, ma
esclusivamente una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle
comunicazioni». Inoltre, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e
Umbria, la delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di “grandi
opere”, mentre tralicci, pali, antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori,
che il decreto legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una
molteplicità di piccole opere; infine si lamenta nei ricorsi delle Regioni
Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia lungi dall’uniformarsi ai principî e criteri
direttivi della delega, il decreto impugnato, nell’art. 1, porrebbe a sé
medesimo i principî che informano le disposizioni successive.
Secondo la giurisprudenza di
questa Corte, nel giudizio promosso in via principale il vizio di eccesso di
delega può essere addotto solo quando la violazione denunciata sia
potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione
delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o Province autonome ricorrenti
(sentenze n. 353 del
2001, n. 503
del 2000, n.
408 del 1998, n.
87 del 1996). Nella specie non può negarsi che la disciplina
delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche, che si assume in
contrasto con la legge di delega n. 443 del 2001, comprima le attribuzioni
regionali sotto più profili. Il più evidente tra essi emerge dalla lettura
dell’art. 3, comma 2, secondo il quale tali infrastrutture sono compatibili con
qualsiasi destinazione
urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio
comunale anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione
di legge o di regolamento. In questi casi la Regione è legittimata a far valere
le proprie attribuzioni anche allegando il vizio formale di eccesso di delega
del decreto legislativo nel quale tale disciplina è contenuta.
Nella specie l’eccesso di
delega è evidente, a nulla rilevando, in questo giudizio, la sopravvenuta
entrata in vigore del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante il
Codice delle comunicazioni elettroniche, che riguarda in parte la stessa
materia.
L’art. 1, comma 2, della legge
n. 443 del 2001, che figura nel titolo del decreto legislativo impugnato ed è
richiamata nel preambolo, ha conferito al Governo il potere di individuare
infrastrutture pubbliche e private e insediamenti produttivi strategici di
interesse nazionale a mezzo di un programma formulato su proposta dei Ministri
competenti, sentite le Regioni interessate ovvero su proposta delle Regioni
sentiti i Ministri competenti. I criteri della delega, contenuti nell’art. 2,
confermano che i decreti legislativi dovevano essere intesi a definire un
quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e
degli insediamenti individuati a mezzo di un programma.
Di tale programma non vi è
alcuna menzione nel decreto impugnato, il quale al contrario prevede che i
soggetti interessati alla installazione delle infrastrutture sono abilitati ad
agire in assenza di un atto che identifichi previamente, con il concorso
regionale, le opere da realizzare e sulla scorta di un mero piano di
investimenti delle diverse società concessionarie. Ogni considerazione sulla
rilevanza degli interessi sottesi alla disciplina impugnata non può avere
ingresso in questa sede, posto che tale disciplina non corrisponde alla delega
conferita al Governo e non può essere considerata di questa attuativa.
L’illegittimità dell’intero
atto esime questa Corte dal soffermarsi sulle singole disposizioni oggetto di
ulteriori censure, che restano pertanto assorbite.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la illegittimità
costituzionale dell’articolo 1, comma 3, ultimo periodo, della legge 21
dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle
attività produttive);
2) dichiara la illegittimità
costituzionale dell’articolo 1, comma 3-bis, della
medesima legge, introdotto dall’articolo 13, comma 6, della legge 1° agosto
2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti);
3) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4,
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento all’articolo 10
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e agli articoli 117 e 118
della Costituzione, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato
in epigrafe;
4) dichiara non fondate, nei
sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale
dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in
riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione dalla Regione
Marche e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni
Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
5) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge
21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito dall’articolo 13, comma 3, della
legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118
e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in
epigrafe;
6) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettere a),
b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), n) e o), della legge 21 dicembre 2001,
n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della
Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della
Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
7) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera g),
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento all’articolo
117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
8) dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera n),
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento all’articolo
117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna,
con i ricorsi indicati in epigrafe;
9) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera c),
della legge 21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito dall’articolo 13, comma
5, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli
117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in
epigrafe;
10) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 4, della legge
21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e
119 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117
della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
11) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 5, della legge
21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e
119 della Costituzione, dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;
12) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 6, 7, 8, 9, 10,
11, 12 e 14, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento
all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed
Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;
13) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, introdotto
dall’articolo 13, comma 4, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in
riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione
Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
14) dichiara non fondata, nei
sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo
13, commi 1 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento
agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il
ricorso indicato in epigrafe;
15) dichiara la illegittimità
costituzionale dell’articolo 15, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto legislativo 20
agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la
realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e
di interesse nazionale);
16) dichiara la illegittimità
costituzionale dell’articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto
2002, n. 190, nella parte in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti
produttivi strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa,
un concorrente interesse regionale, non prevede che la commissione speciale per
la valutazione di impatto ambientale (VIA) sia integrata da componenti
designati dalle Regioni o Province autonome interessate;
17) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3, 4, 13 e 15 del
decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli
articoli 76, 117, 118 e 120 della Costituzione e agli articoli 8, primo comma,
numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri
8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670,
agli articoli 19, 20 e 21 del d.P.R. 22 marzo 1974,
n. 381 e all’articolo 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla
Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;
18) dichiara non fondata, nei
sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190,
sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, all’articolo
10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e all’articolo 2 del
decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano,
con il ricorso indicato in epigrafe;
19) dichiara non fondata, nei
sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190,
sollevata, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9 , 11,
14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 2 del decreto
legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il
ricorso indicato in epigrafe;
20) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 5, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 117
della Costituzione, dalle Regioni Marche e Toscana, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
21) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 7, lettera e),
del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli
articoli 76, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 della Costituzione, dalla
Regione Toscana, in riferimento agli articoli 117, commi terzo quarto e sesto,
e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, in riferimento agli articoli 8,
primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo
comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto
1972, n. 670, e agli articoli 19 e 20 del d.P.R. 22
marzo 1974, n. 381, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con i ricorsi indicati
in epigrafe;
22) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e
7; 3, commi 4, 5, 6, e 9; e 13, commi 5 e 15, del decreto legislativo 20 agosto
2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117 e 118 della
Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
e agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22,
e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 16
marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso
indicato in epigrafe;
23) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 2, 3, 4 e 5,
sollevate, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14,
16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 4, comma 3,
del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di
Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;
24) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 5, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117
e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
25) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 7, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli
117, 118 e 120 della Costituzione, dalla Regione Toscana, e, in riferimento
agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, con i ricorsi
indicati in epigrafe;
26) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3 del decreto legislativo
20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117 della
Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in
epigrafe;
27) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 5, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 76
della Costituzione, in relazione all’articolo 1, comma 2, lettera d), della
legge 21 dicembre 2001, n. 443, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato
in epigrafe;
28) dichiara non fondate, nei
sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale
dell’articolo 3, commi 6 e 9, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190,
sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo e secondo, 117, commi
terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, della Costituzione, dalle
Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
29) dichiara non fondate, nei
sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 4, comma 5, e 13 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190,
sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo e secondo, 117, commi
terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, della Costituzione, dalle
Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;
30) dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e
11 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento
all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
31) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 5, del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento all’articolo 76
della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
32) dichiara non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8 del decreto legislativo
20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 76 e 117 della
Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
33) dichiara inammissibile la
questione di legittimità costituzionale dell’articolo 16 del decreto
legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 117
e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;
34) dichiara non fondate le
questioni di legittimità costituzionale degli articoli 17, 18, 19, commi 1 e 3,
e 20 del decreto legislativo 19 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento
all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
35) dichiara la illegittimità
costituzionale del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni
volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni
strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma
dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443);
36) dichiara inammissibile il
ricorso proposto dal Comune di Vercelli “per sollevare questione di legittimità
costituzionale e conflitto di attribuzione” avverso il decreto legislativo 4
settembre 2002, n. 198.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in Cancelleria l'1 ottobre 2003.