Sentenza n. 353/2001

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SENTENZA N.353

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                       Presidente

- Fernando                    SANTOSUOSSO             Giudice

- Massimo                     VARI                                     "

- Riccardo                     CHIEPPA                              "

- Gustavo                      ZAGREBELSKY                 "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                         NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                      "

- Giovanni Maria          FLICK                                               "

ha pronunciato la seguente                  

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino Alto-Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica), promosso con ricorso della Regione Veneto, notificato il 10 gennaio 2000, depositato in cancelleria il 14 successivo ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2000.

Visti, l'atto di costituzione della Provincia di Trento e del Presidente del Consiglio dei ministri, nonchè l'atto di intervento della Provincia di Bolzano;

udito nell'udienza pubblica del 10 luglio 2001 il giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi gli avvocati Alfredo Bianchini per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon per la Provincia di Trento, Sergio Panunzio per la Provincia di Bolzano e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- La Regione Veneto, con ricorso notificato il 5 gennaio 2000, ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica), denunciandone il contrasto con gli artt. 3, 10 (recte: art. 11), 76, 115, 116, 117 e 123 della Costituzione.

La norma impugnata reca modificazioni all’art. 5 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica e di opere pubbliche). In particolare, il comma 1, lettera d), dell’art. 2 del decreto legislativo impugnato, nel modificare il comma 3 dell’art. 5 del citato d.P.R. n. 381 del 1974, pone una equipollenza tra piano generale per l’utilizzazione delle acque pubbliche e piano di bacino di rilievo nazionale.

Quest’ultimo, secondo l’assunto della Regione ricorrente, é inteso (art. 1, comma 3, della legge 18 maggio 1989, n. 183, recante "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo") come entità territoriale fisico-ambientale unitaria, che costituisce un ambito di studio, di programmazione e di intervento, prescindendo dai confini amministrativi regionali, provinciali o comunali.

Vi é, infatti, un’Autorità di bacino, che é un soggetto dotato di personalità giuridica pubblica e di organizzazione propria, cui sono attribuite, ai sensi dei commi 2 e seguenti dell’art. 12 della legge n. 183 del 1989, funzioni di pianificazione e di programmazione.

Il piano generale per l’utilizzazione delle acque pubbliche, stabilito d'intesa tra i rappresentanti dello Stato e della Provincia in seno ad un apposito comitato, di cui viene contestata l’equivalenza con il piano di bacino, é menzionato nell’art. 14 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale del Trentino-Alto Adige).

L'inammissibilità della pretesa equivalenza - secondo la Regione ricorrente - appare evidente già ad una prima analisi, condotta in base alla gerarchia delle fonti.

Orbene, avverte la ricorrente, i decreti legislativi attuativi degli statuti speciali prevedono il trasferimento effettivo di funzioni dallo Stato alle Regioni, integrando, qualora necessario, anche la norma statutaria; tuttavia, l’ambito di azione resta limitato alla sfera di efficacia statutaria. In sostanza, essi mirano a soddisfare esigenze amministrative locali.

Un tale assetto della materia, attribuendo al piano generale per l’utilizzazione delle acque pubbliche di una provincia valore di piano di bacino di rilievo nazionale ed introducendo disposizioni che non hanno natura accessoria e funzionale rispetto allo statuto speciale, ma prescrizioni di carattere generale, operanti oltre il limite istituzionale e funzionale della fonte, a giudizio della Regione Veneto, violerebbe l’art. 76 della Costituzione.

2.- Con il secondo motivo il presunto contrasto della norma impugnata viene rilevato, sotto altro profilo, con l’art. 76 insieme agli artt. 3, 115, 116, 117 e 123 della Costituzione, per violazione dei principi generali concernenti l’autonomia statutaria, legislativa ed amministrativa della Regione Veneto.

Ed invero, assume la ricorrente, la nuova disciplina introdotta con il decreto legislativo n. 463 del 1999 scardinerebbe l’assetto organico-funzionale, posto a garanzia dell’autonomia regionale e della paritaria partecipazione locale, secondo i criteri previsti dalla legge n. 183 del 1989, giacchè i soggetti individuati dalla nuova normativa, in capo ai quali sono attribuite le funzioni di coordinamento e di integrazione dell’attività di pianificazione, sono solo il Ministro dei lavori pubblici ed il Presidente della Provincia interessata, stravolgendo, così, il preesistente sistema normativo, che rispondeva ad una ratio di paritetica partecipazione di amministrazioni statali e locali, finalizzata ad una forma di cooperazione fra Stato, Regioni e Province autonome.

3.- Con un ulteriore motivo, la Regione deduce il contrasto dell’art. 2, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 con l’art. 10 (recte: art. 11), della Costituzione, per violazione dei principi comunitari in relazione al decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernenti il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato da nitrati provenienti da fonti agricole).

Assume, in proposito, la Regione che l’equiparazione tra piano generale per l’utilizzazione delle acque pubbliche e piano di bacino di rilievo nazionale impedirebbe l’elaborazione e l’adozione di una corretta ed effettiva pianificazione, in base ai principi comunitari ed, in particolare, in base ai criteri stabiliti dal d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152.

4.- Si é costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, riservandosi di illustrare le sue difese in successive memorie.

5.- Nel giudizio innanzi alla Corte si é costituita la Provincia autonoma di Trento, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, comunque, sia rigettato nel merito.

6.- E' intervenuta la Provincia autonoma di Bolzano, la quale, premesso che il ricorso non é stato notificato alla Provincia stessa, ma che, tuttavia, sussiste un interesse rilevante, attuale e concreto alla decisione della questione proposta, sottolinea, in particolare, l'infondatezza, nonchè la inammissibilità del primo motivo di ricorso, giacchè l'art. 76 della Costituzione invocato non può costituire parametro in un giudizio avente ad oggetto un decreto legislativo delegato contenente norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, nè la violazione di tale parametro può essere invocata in un giudizio di costituzionalità in via principale, in quanto la violazione di per sè non comporta la lesione di una competenza regionale.

7.- Sottolinea, inoltre, la Provincia autonoma di Bolzano, che la disciplina normativa contestata é stata emanata in attuazione degli artt. da 9 a 14 dello statuto speciale di autonomia ed, in particolare, dell'art. 14, comma 3. Tale ultimo articolo prevede che l'utilizzazione delle acque pubbliche da parte dello Stato e della Provincia abbia luogo in base ad un piano generale, con la conseguenza che appare legittima la previsione, per il solo territorio delle Province autonome di Bolzano e di Trento, che il piano per l'utilizzazione delle acque pubbliche valga anche quale piano di bacino di rilievo nazionale.

Una ulteriore inammissibilità é ravvisata, sempre in relazione all'art. 76 della Costituzione, nella asserita genericità ed indeterminatezza delle competenze regionali ritenute violate dalla norma impugnata.

Lo stesso rilievo é formulato in relazione alle altre norme costituzionali invocate (artt. 115, 116 e 123 della Costituzione).

Sottolinea ancora, la Provincia interveniente, che l'equiparazione tra il piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche ed il piano di bacino di rilievo nazionale - espressamente circoscritta al territorio delle Province autonome di Trento e di Bolzano - e la particolare procedura prevista per il coordinamento sovraprovinciale sono elementi idonei affinchè non vengano lese le attribuzioni e le competenze delle altre Regioni nè le attribuzioni, conferite dalla legge n. 183 del 1989, agli organi dell'Autorità di bacino, in particolare ai Comitati istituzionali.

Viene eccepita la inammissibilità anche del terzo motivo di ricorso, sul rilievo che il decreto legislativo n. 152 del 1999 non può costituire il parametro del giudizio di costituzionalità della norma impugnata; inoltre, risulterebbe improprio il riferimento all'art. 10 (recte: art. 11) della Costituzione, con conseguente mancanza della indicazione di una norma costituzionale di raffronto.

Nel merito la Provincia deduce la infondatezza del ricorso, giacchè l'attuazione dei principi fondamentali di cui al decreto legislativo n. 152 del 1999 non verrebbe compromessa dalla equiparazione effettuata dalla norma impugnata tra il piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche ed il piano di bacino di rilievo nazionale.

8.- Nell'imminenza della data fissata per la pubblica udienza, la Regione Veneto ha depositato una memoria, sottolineando la fondatezza dei motivi di ricorso.

In particolare pone in evidenza come le disposizioni impugnate non siano circoscritte all'attuazione dello statuto della Regione Trentino-Alto Adige, ma abbiano una efficacia ultraregionale ed incidano in un ambito ordinamentale relativo all'intero territorio nazionale, finalizzato alla difesa ed alla conservazione dinamica del suolo.

Ribadisce, infine, che nella gestione delle acque l'impugnata normativa non offre un'adeguata garanzia in ordine all'aspetto quantitativo (sotto il profilo del mantenimento del deflusso minimo vitale dei corsi d'acqua e della sicurezza nei confronti dei fenomeni di piena) ed in ordine all'aspetto della qualità dei corsi d'acqua, in quanto impedirebbe un'efficace azione nell'ambito del bacino idrografico unitariamente considerato.

9.- Anche la difesa della Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria, con cui sottolinea la sua posizione di controinteressato nel giudizio di legittimità e, quindi, il suo diritto di costituirsi quale parte nel giudizio stesso.

In subordine, chiede che la sua partecipazione al giudizio sia ammessa a titolo di intervento adesivo ad opponendum, al fine di sostenere le ragioni dello Stato in forza di un proprio interesse.

Nel merito, chiede che il ricorso sia respinto, in quanto l'equipollenza tra il piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche ed il piano di bacino posta dalla normativa impugnata non vale per il territorio della Regione Veneto, ma, come dice espressamente la norma, il piano di bacino nazionale vale per il "rispettivo territorio", in altre parole per il territorio di ciascuna Provincia (Trento e Bolzano).

Neppure implica una abolizione dell'Autorità di bacino che interessa la Regione Veneto, le cui funzioni rimangono immutate. La nuova norma prevede, invece, procedure di coordinamento e di raccordo tra tale strumento di programmazione, limitato alle Province autonome, ed il rimanente territorio del bacino.

Conclude, infine, per la inammissibilità nonchè per la infondatezza degli altri motivi di ricorso.

10.- La Provincia autonoma di Bolzano ha presentato una memoria, con la quale ha ribadito le conclusioni già rassegnate, insistendo, altresì, per le inammissibilità eccepite nella memoria di intervento.

In particolare, nella memoria si richiama il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), che avrebbe dato alla materia un nuovo assetto. Ed, infatti, con tale decreto é stato effettuato un imponente conferimento di funzioni alle Regioni ed agli enti locali. In particolare, l'art. 89, comma 1, ha fatto slittare a livello regionale tutto il complesso degli usi plurimi delle acque e l'art. 92, comma 2, dello stesso decreto legislativo, ha esplicitamente previsto un riordino degli organismi e delle strutture operanti nel settore della difesa del suolo. Ha effettuato, cioé, un ripensamento del ruolo degli organismi operanti nel settore e, quindi, anche del Comitato istituzionale dell'Autorità del bacino.

La norma prevede, tra l'altro, un articolato meccanismo di collaborazione, diretto a fronteggiare i problemi che potrebbero sorgere dalla compresenza, all'interno di un medesimo bacino idrografico di rilievo nazionale, di interessi e competenze che fanno capo ad enti diversi.

11.- La difesa dello Stato ha depositato il 3 luglio 2001 (fuori termine) ulteriore documentazione, rispetto alla quale le altre parti hanno dichiarato in udienza di non opporsi all'acquisizione.

Considerato in diritto

1.- La questione di legittimità costituzionale sottoposta in via principale dalla Regione Veneto all'esame della Corte riguarda l'art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica).

La questione é proposta sotto il profilo che la norma denunciata, nel porre una equipollenza tra il piano generale per l'utilizzazione delle acque pubbliche - previsto dall’art. 14 dello statuto speciale (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 recante "Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale del Trentino-Alto Adige") e stabilito d’intesa tra i rappresentanti dello Stato e della Provincia autonoma - e il piano di bacino di rilievo nazionale, violerebbe:

- l'art. 76, della Costituzione, in quanto introdurrebbe disposizioni che non hanno natura accessoria e funzionale rispetto allo statuto speciale, con distorsioni inammissibili;

- gli artt. 76, sotto un ulteriore profilo, e 3, 115, 116, 117 e 123 della Costituzione, per violazione dei principi generali concernenti l'autonomia statutaria, legislativa ed amministrativa della Regione Veneto.

- l’art. 10, da intendersi art. 11, della Costituzione (v. sentenza n. 85 del 1999) con richiamo al d. lgs. 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernenti il trattamento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezione delle acque dall’inquinamento provocato da nitrati provenienti da fonti agricole).

2.- Preliminarmente deve essere chiarito che ambedue le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno pieno titolo a stare in giudizio, indipendentemente dalla notifica del ricorso (effettuato solo nei riguardi della Provincia di Trento), in quanto la questione di legittimità costituzionale (proposta in via di azione) ha per oggetto una norma di attuazione dello statuto speciale riguardante specificatamente attribuzioni costituzionalmente garantite alle stesse Province autonome (v. sentenza n. 178 del 1996 e ordinanza n. 277 del 1997) e coinvolgente il regime delle acque e la partecipazione al bacino idrografico di rilievo nazionale dell’Adige (Veneto, Trentino-Alto Adige), che interessa anche il territorio della Provincia di Bolzano e non solo quello di Trento con il bacino del Brenta-Bacchiglione (v. art. 14, comma 1, della legge 18 maggio 1989, n. 183 e sentenza n. 85 del 1990). In realtà nei giudizi di legittimità costituzionale in via di azione contro norme di attuazione dello statuto speciale del Trentino-Alto Adige, che coinvolgano interessi giuridicamente rilevanti della Provincia autonoma e la sfera di sua competenza (nella specie acque pubbliche e profili connessi), le Province autonome non possono essere considerate estranee. Esse sono legittimate a stare in giudizio avanti alla Corte, tenuto conto della speciale procedura paritetica prevista dall’art. 107 dello statuto speciale (v. ordinanza n. 277 del 1997).

Nè può farsi questione della mancanza di notifica del ricorso ad una Provincia, in quanto la stessa Provincia si é costituita ed ha svolto le proprie difese, senza alcuna contestazione delle altre parti, per cui risulta superfluo ogni profilo di integrazione del contraddittorio, soprattutto tenuto conto del carattere dei procedimenti, della natura delle funzioni affidate alla Corte costituzionale nel sistema delle garanzie costituzionali e delle differenze esistenti rispetto ai processi aventi ad oggetto conflitti intersubbiettivi di interessi (v. sentenza n. 13 del 1960).

3.- Quanto alle eccezioni di inammissibilità deve essere ritenuta la fondatezza delle eccezioni proposte relativamente ai profili attinenti alla violazione degli artt. 76, 11 e 123 della Costituzione.

Innanzitutto per l’art. 76 della Costituzione vi é una estraneità all’ambito tipico ed esclusivo del sindacato costituzionale di una norma di legge statale promosso con ricorso diretto della Regione (o Provincia), quando non vi sia un coinvolgimento di principi o criteri di delega volti a salvaguardare le competenze regionali (o provinciali) (sentenze n. 87 del 1996; n. 272 del 1988).

Per di più le norme di attuazione dello statuto speciale non possono essere inquadrate nell’istituto della delega legislativa, di modo che "il richiamo alla disciplina dell’art. 76 della Costituzione non appare appropriato", essendo sicuramente al di fuori della delega legislativa, in quanto norme statutarie, di rango costituzionale, attribuiscono poteri legislativi al Governo, che li esercita nel contesto di particolari procedure caratterizzate dalla partecipazione della Regione (e Provincia) a statuto speciale (sentenza n. 160 del 1985).

Anche l’art. 11 della Costituzione non può essere invocato, neppure sotto il profilo di un contrasto con il d. lgs. n. 152 del 1999 e con i principi comunitari, in quanto é del tutto generico ed inconsistente un collegamento tra la norma impugnata e gli obblighi comunitari.

D’altro canto la contestazione della Regione Veneto, in questa sede, può riguardare solo la tutela delle sue attribuzioni costituzionalmente garantite, ed é pertanto ammissibile solo nei limiti in cui si incentra sulla mancata partecipazione paritaria della stessa Regione.

Invece gli anzidetti profili non trovano alcuno specifico collegamento nella esposizione del terzo motivo di ricorso basato sulla violazione dell’art. 11 della Costituzione, e che come tale é inammissibile.

Egualmente generico é il richiamo nei motivi del ricorso all’art. 123 della Costituzione, che riguarda il contenuto e la formazione dello statuto, profili del tutto estranei alla norma in contestazione e alle specificazioni sviluppate nel ricorso.

4.- Passando all’esame dei residui motivi deve, preliminarmente, essere rilevato che le norme di attuazione dello statuto speciale si basano su un potere attribuito dalla norma costituzionale in via permanente e stabile (sentenza n. 212 del 1984; v. anche sentenza n. 160 del 1985), la cui competenza ha "carattere riservato e separato rispetto a quella esercitabile dalle ordinarie leggi della Repubblica" (sentenza n. 213 del 1998; n. 137 del 1998; n. 85 del 1990; n. 160 del 1985; n. 212 del 1984; n. 237 del 1983; e n. 180 del 1980) e pertanto prevalgono, nell’ambito della loro competenza, sulle stesse leggi ordinarie, con possibilità, quindi, di derogarvi, negli anzidetti limiti (sentenza n. 213 del 1998; n. 212 del 1984; n. 151 del 1972).

Le norme di attuazione dello statuto regionale ad autonomia speciale sono destinate a contenere, tra l’altro, non solo disposizioni di vera e propria esecuzione o integrative secundum legem, non essendo escluso un "contenuto praeter legem nel senso di integrare le norme statutarie, anche aggiungendo ad esse qualche cosa che le medesime non contenevano", con il "limite della corrispondenza alle norme e alla finalità di attuazione dello Statuto, nel contesto del principio di autonomia regionale" (sentenza n. 212 del 1984; n. 20 del 1956). E’ insito nelle norme di attuazione il compito di assicurare un collegamento e di coordinare l’organizzazione degli uffici, delle attività e delle funzioni trasferite alla Regione e di quelle rimaste allo Stato, in modo che vi sia una armonizzazione dei contenuti e degli obiettivi particolari delle autonomie speciali con l’organizzazione dello Stato nell’unità dell’ordinamento giuridico (sentenze n. 213 del 1998; n. 212 del 1984; n. 136 del 1969; n. 30 del 1968).

Di conseguenza non si può disconoscere che le disposizioni impugnate assolvano agli anzidetti compiti di coordinamento (v. sentenze n. 263 del 1997; n. 412 del 1994), per quanto riguarda i poteri e l’intervento del Ministro (all'epoca della legge, Ministro dei lavori pubblici) nella sua qualità di presidente del comitato istituzionale dell’Autorità di bacino; pertanto, non può contestarsi che esse possano rientrare tra le norme di attuazione dello statuto speciale. Sotto tale aspetto deve escludersi il fondamento dei motivi di ricorso, che investono le disposizioni nel loro complesso, relativi alla esorbitanza dalle competenze delle norme stesse. Tuttavia ciò non sottrae le norme denunciate alla verifica di legittimità costituzionale sotto gli ulteriori profili, appresso enunciati, contenuti nel ricorso.

5.- Le esigenze di tutela del principio di autonomia regionale e delle relative norme costituzionali che lo garantiscono, legittimano la promozione dell'azione di legittimità costituzionale davanti alla Corte contro le norme di attuazione dello statuto speciale da parte della Regione (o Provincia) cui si riferiscono le norme, che si ritenga lesa nella sfera di competenza ad essa costituzionalmente assegnata (v., tra le altre, sentenza n. 2 del 1960). Allo stesso modo una qualsiasi Regione é legittimata a promuovere in via principale la stessa azione di legittimità costituzionale, qualora ritenga che le norme di attuazione dello statuto speciale di altra Regione ledano la propria sfera di competenza costituzionalmente garantita.

Entro questi limiti deve essere esaminata la questione proposta, dovendosi escludere dal presente giudizio gli altri profili che attengono al merito delle soluzioni adottate - nella discrezionalità del potere legislativo esercitato, in quanto non coinvolgenti posizioni costituzionalmente tutelate della ricorrente Regione - in ordine al piano generale (per ciascuna Provincia autonoma di Trento e di Bolzano) per l’utilizzazione delle acque pubbliche e al suo valore di piano di bacino, limitatamente, si noti, al rispettivo territorio provinciale e ai poteri del Ministro nei soli rapporti tra Stato e Province autonome per assicurare il coordinamento attraverso un'intesa.

6.- La questione é fondata, per quanto riguarda la terza proposizione normativa contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera d) del d.lgs. n. 463 del 1999, che prevede: "Ai fini della definizione della predetta intesa il Ministero dei lavori pubblici, sentiti i comitati istituzionali delle autorità di bacino di rilievo nazionale interessati, assicura, attraverso opportuni strumenti di raccordo, la compatibilizzazione degli interessi comuni a più regioni e province autonome il cui territorio ricade in bacini idrografici di rilievo nazionale".

E’ evidente l’irragionevole ed ingiustificato trattamento deteriore (e come tale lesivo dei principi dell'autonomia regionale) riservato all’altra Regione, il cui territorio ricade in bacini idrografici di rilievo nazionale (nella specie Regione Veneto: bacini Adige e Brenta-Bacchiglione), con un metodo assai debole di partecipazione della Regione stessa, in quanto si prevede solo che vengano "sentiti i comitati istituzionali interessati", ai quali partecipano i rappresentanti delle Regioni, il cui territorio é maggiormente interessato.

La illegittima lesione della autonomia della Regione Veneto e della correlata necessaria paritaria partecipazione di essa risulta evidente dalla esistenza di interessi comuni a più Regioni e Province (ribadita espressamente dalla norma impugnata e confermata dai principi che si possono trarre dalla legge n. 183 del 1989), oltre che dalla non modificata unitarietà del bacino "di rilievo nazionale".

Le predette considerazioni non portano ad escludere la possibilità di subpiani territoriali o di pianificazioni territorialmente più ristrette, talora, più adeguate alle esigenze ed ai rischi del territorio. Ma le esigenze di coordinamento e di integrazione, indispensabili in base ad apprezzamento dello stesso legislatore, devono essere realizzate, nella unitarietà della pianificazione del bacino di rilievo nazionale, a livello di organo centrale o pluriregionale, con uno degli ipotizzabili sistemi, che assicuri effettiva parità di intervento di tutte le Regioni e Province autonome interessate, in un giusto procedimento di partecipazione equilibrata dei medesimi soggetti, titolari di interessi giuridicamente rilevanti sul piano costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica), limitatamente al periodo: "Ai fini della definizione della predetta intesa il Ministero dei lavori pubblici, sentiti i comitati istituzionali delle autorità di bacino di rilievo nazionale interessati, assicura, attraverso opportuni strumenti di raccordo, la compatibilizzazione degli interessi comuni a più regioni e province autonome il cui territorio ricade in bacini idrografici di rilievo nazionale";

dichiara inammissibili le altre censure relative alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463, sollevate, in riferimento agli artt. 11, 76 e 123 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Veneto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2001.