Sentenza n. 533/2002

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SENTENZA N. 533

ANNO 2002

 

Commento alla decisione di

Carlo Padula

La problematica legittimazione delle Regioni ad agire a tutela della propria posizione di enti "esponenziali”

 

per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                      RUPERTO                  Presidente

- Riccardo                   CHIEPPA                   Giudice

- Gustavo                    ZAGREBELSKY           "

- Valerio                      ONIDA                           "

- Carlo                        MEZZANOTTE              "

- Fernanda                   CONTRI                         "

- Guido                        NEPPI MODONA         "

- Piero Alberto CAPOTOSTI                  "

- Annibale                    MARINI                         "

- Franco                      BILE                               "

- Giovanni Maria          FLICK                            "

- Francesco                 AMIRANTE                   "

- Ugo                          DE SIERVO                   "

- Romano                    VACCARELLA              "

- Paolo                        MADDALENA               "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 6, commi 1 e 2, e 44 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 dicembre 2001, n. 19 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2002 e per il triennio 2002-2004 e norme legislative collegate - legge finanziaria 2002), promossi con ricorsi della Regione Veneto e del Presidente del Consiglio dei ministri notificati il 5 e l'8 marzo 2002, depositati in cancelleria il 14 e il 18 successivi, ed iscritti al n. 25 e n. 28 del registro ricorsi 2002.

    Visti gli atti di costituzione della Provincia autonoma di Bolzano e del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché l'atto di intervento del consorzio dei Comuni della Provincia autonoma di Trento (Bacino imbrifero montano-Bim dell'Adige) e della Federazione nazionale dei consorzi di bacino imbrifero montano-Federbim);

    udito nell'udienza pubblica del 22 ottobre 2002 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

    uditi gli avvocati Romano Morra per la Regione Veneto, Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri, Roland Riz e Sergio Panunzio per la

Provincia autonoma di Bolzano e Giorgio Berti per il consorzio dei Comuni della Provincia autonoma di Trento (Bim dell'Adige) e per la Federbim.

Ritenuto in fatto

    1. — La Regione Veneto, ai sensi dell'articolo 2, secondo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1948, ha impugnato per illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione, l'art. 44 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 dicembre 2001, n. 19 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2002 e per il triennio 2002-2004 e norme legislative collegate - legge finanziaria 2002), il quale prevede che i sovracanoni annui dovuti dai concessionari di derivazioni del bacino imbrifero dell'Adige siano versati alla Provincia contestualmente al pagamento dei canoni demaniali.

    La ricorrente afferma che con il decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, produzione e distribuzione di energia elettrica), il legislatore statale ha delegato alle Province autonome l'esercizio di funzioni in materia di grandi derivazioni a scopo idroelettrico per il rispettivo territorio a decorrere dal 1° gennaio 2000. In particolare il menzionato decreto avrebbe conferito alla Provincia autonoma una potestà legislativa di tipo concorrente in materia di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico. Oggetto della delega, secondo la Regione Veneto, sarebbe tuttavia la sola funzione concessoria relativamente alle grandi derivazioni di acque pubbliche, non già la determinazione delle modalità di riscossione dei canoni, né la misura dei sovracanoni spettanti ai Comuni ed ai loro consorzi ricompresi nel bacino imbrifero montano (Bim). Canoni e sovracanoni, come emergerebbe dalla giurisprudenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche, sarebbero infatti profondamente diversi per natura giuridica e funzione, sicché la legge impugnata, assimilandoli, si sarebbe posta in contrasto con i principî contenuti nel regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici). La disposizione oggetto di censura avrebbe violato il principio della legislazione statale espresso nell'art. 1, quattordicesimo comma, della legge 27 dicembre 1953, n. 959 (Norme modificatrici del t.u. delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici), il quale affida alle organizzazioni consortili - costituite obbligatoriamente quando ne facciano richiesta almeno tre quinti dei Comuni compresi in ciascun bacino imbrifero montano - la gestione di un fondo comune alimentato dai proventi derivanti dai sovracanoni, e stabilisce che il fondo è impiegato esclusivamente a favore del progresso economico e sociale delle popolazioni, nonché per la realizzazione di opere di sistemazione montana che non siano di competenza dello Stato. Si sarebbe con ciò prodotta una lesione della sfera di competenza attribuita alla Regione Veneto in materia di grandi derivazioni di acque pubbliche dagli artt. 117 e 118 Cost. per il tramite della norma legislativa interposta di cui all'art. 89 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59).

    Con un secondo motivo di censura la ricorrente lamenta che la legge provinciale non tenga in adeguata considerazione l'esigenza di tutela dell'unità giuridica ed economica dell'ordinamento, desumibile dagli artt. 5 e 120 Cost., e il principio di sussidiarietà, espressamente riconosciuto nell'art. 118 Cost., e ciò in quanto attribuirebbe alla Provincia una funzione di coordinamento di potestà fra loro concorrenti che dovrebbe spettare allo Stato.

    Risulterebbe inoltre violato il limite della territorialità, per avere la Provincia dettato una disciplina relativa a situazioni e rapporti radicati al di fuori dei confini provinciali: la legge de qua infatti sottrarrebbe i sovracanoni dovuti dai concessionari siti nel territorio provinciale dal fondo comune destinato ad alimentare i consorzi dei Comuni del bacino imbrifero montano dell'Adige e in tal modo priverebbe illegittimamente i consorzi situati in territorio veneto di gran parte delle loro entrate.

    Una ulteriore doglianza si fonda sugli artt. 5 e 119 Cost. La Regione Veneto assume che la norma provinciale censurata, nell'affidare la gestione dei sovracanoni alla Provincia, si porrebbe in contrasto con il principio della autonomia e del decentramento delle funzioni a favore degli enti locali veneti e tale contrasto si estenderebbe anche all'art. 119 Cost., che attribuisce a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni autonomia finanziaria di entrata e di spesa e prevede che esse dispongano di risorse autonome: la legge impugnata produrrebbe infatti una grave compressione dell'autonomia finanziaria dei Comuni interessati, che verrebbero ad essere privati di ingenti risorse. Quanto all'interesse della Regione a denunciare tale violazione, la ricorrente assume che si radichi nel suo porsi quale ente esponenziale degli interessi della popolazione insediata sul suo territorio.

    La norma provinciale denunciata lederebbe infine il principio di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., poiché esproprierebbe i Comuni veneti di una entrata patrimoniale loro attribuita dalla legge con vincolo di destinazione al perseguimento di un pubblico interesse e contrasterebbe direttamente con la ricordata legge n. 959 del 1953, nella parte in cui essa pone il principio di parità fra i consorzi di bacino imbrifero montano ai fini del riparto del sovracanone. Sarebbero infatti unilateralmente modificate le percentuali di assegnazione dei sovracanoni, con irragionevole discriminazione dei Comuni compresi nel bacino imbrifero dell'Adige e non appartenenti alla Provincia autonoma di Bolzano.

    2. — Si è costituito, per la Provincia autonoma di Bolzano, il Presidente della Giunta provinciale, e ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.

    Quanto ai profili di inammissibilità, la Provincia autonoma di Bolzano afferma che la legittimazione ad impugnare sussisterebbe solo quando la ricorrente ritenga lesa o invasa da una legge la propria competenza, non anche quando faccia valere altri vizi di costituzionalità e osserva che la Regione Veneto lamenterebbe solo l'inosservanza, da parte della legge provinciale, di un principio della legislazione statale e la violazione dell'autonomia amministrativa e finanziaria di Comuni e consorzi di Comuni, non già una lesione delle proprie competenze legislative. Il ricorso sarebbe inoltre inammissibile per difetto di indicazione di un parametro costituzionale pertinente: sono infatti richiamati gli artt. 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e non le disposizioni dello statuto speciale che pongono limiti alla competenza legislativa provinciale.

    Nel merito, la resistente nega innanzitutto la premessa dalla quale muove la ricorrente, e cioè che la legge impugnata sia espressione di una potestà legislativa concorrente. La materia della utilizzazione delle acque pubbliche dovrebbe considerarsi rientrante nella competenza legislativa generale riservata alle Regioni ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost.; disposizione, questa, che dovrebbe applicarsi anche alla Provincia autonoma di Bolzano, in forza della clausola di estensione di cui all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), la quale sancisce l'applicabilità delle disposizioni di riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano «per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». La competenza legislativa provinciale avrebbe per oggetto tutte le acque pubbliche appartenenti al demanio provinciale e tutte le derivazioni, comprese le grandi derivazioni a scopo idroelettrico, così da ricomprendere anche la disciplina dei canoni, dei sovracanoni e di tutti gli altri proventi derivanti dalla utilizzazione delle acque pubbliche e dalle relative concessioni di derivazione.

Neppure varrebbe rilevare in contrario, prosegue la difesa provinciale nell'atto di costituzione, che canoni e sovracanoni siano diversi per scopo e natura, così da richiedere un differente trattamento giuridico, poiché l'unico elemento decisivo ai fini del radicamento della competenza legislativa della Provincia sarebbe il fatto che essi costituiscono proventi derivanti dall'utilizzo di acque pubbliche e relativi a concessioni di derivazione le cui opere di presa ricadano nel territorio della Provincia [art. 14, primo comma, del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche)]. Se dunque la competenza legislativa provinciale è di natura esclusiva, argomenta la Provincia, essa non incontra più il limite dei principî della legge statale, ciò che priverebbe di pregio il primo motivo di censura formulato nel ricorso della Regione Veneto.

    Analoga soluzione peraltro si imporrebbe, sempre ad avviso della Provincia autonoma di Bolzano, anche nel caso si ricostruisse la competenza legislativa provinciale in materia come concorrente, poiché, a seguito della nuova formulazione dell'art. 117 Cost., i principî fondamentali riservati alla legislazione dello Stato e vincolanti la legislazione regionale concorrente non potrebbero continuare ad essere desunti in via interpretativa dalle leggi preesistenti, ma dovrebbero essere stabiliti da nuove leggi statali ad hoc e la loro individuazione dovrebbe comunque avvenire «in base a criteri interpretativi assai più rigorosi e selettivi di quanto sia stato nel precedente sistema di riparto delle competenze».

    In merito al secondo motivo del ricorso della Regione Veneto, con il quale la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 5, 117, 118 e 120 Cost., la Provincia autonoma di Bolzano ritiene che esso sia infondato, e anzi addirittura inammissibile, poiché i principî costituzionali invocati riguarderebbero l'esercizio di funzioni amministrative, non già le competenze legislative della Provincia, e pertanto non sarebbero idonei ad essere assunti come parametro in un giudizio di legittimità costituzionale.

    La legge impugnata non violerebbe neppure il limite del territorio, essendo relativa alle sole derivazioni esistenti nel territorio di Bolzano, né inciderebbe negativamente sui consorzi di bacino imbrifero montano della Regione Veneto: la disciplina statale del conferimento non costituirebbe infatti vincolo per la legislazione oggetto di censura, la quale, peraltro, farebbe riferimento solo al versamento dei sovracanoni, non alla destinazione dei relativi proventi.

    Inammissibile sarebbe il motivo di ricorso con il quale si lamenta la compressione, da parte della legge provinciale di cui è questione, della autonomia degli enti locali: seppure si concedesse che i consorzi di bacino imbrifero montano delle Province venete sono danneggiati dalla legge impugnata, la Regione Veneto non avrebbe comunque titolo, anche alla luce della nuova formulazione dell'art. 114 Cost., per assumere la rappresentanza dei loro interessi.

    Quanto infine alla denunciata lesione di un principio di parità tra consorzi Bim in ordine al riparto del sovracanone che sarebbe espresso nella legge n. 959 del 1953, la difesa della Provincia replica che gli eventuali principî desumibili dalla legge anzidetta non costituiscono limite nei confronti della potestà legislativa spettante alla Provincia, e che comunque in essa non sarebbe rinvenibile tale principio di parità tra consorzi.

    3. — E' intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri e ha fatto presente di avere provveduto ad impugnare l'art. 44 della legge provinciale n. 19 del 2001 con autonomo ricorso ed ha chiesto la riunione dei due giudizi.

    4. ¾ Con il ricorso iscritto al reg. ric. n. 28 del 2002, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 6, commi 1 e 2, e 44 della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 19 del 2001.

    4.1. ¾ L'art. 6, comma 1, nel sostituire il comma 1 dell'art. 10 della legge provinciale 14 dicembre 1998, n. 12 (Disposizioni relative agli insegnanti e ispettori per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari e secondarie nonché disposizioni relative allo stato giuridico del personale insegnante), stabilisce, per la parte oggetto di impugnazione, che: «In prima applicazione della presente legge hanno titolo ad essere immessi nei ruoli del personale docente della religione cattolica, i docenti di religione che abbiano svolto servizio di insegnamento di religione per almeno dodici anni anche non continuativi, previo superamento di un concorso per soli titoli. Hanno titolo, altresì, ad essere immessi nei predetti ruoli i docenti di religione che abbiano svolto servizio di insegnamento di religione per  almeno cinque anni o siano in possesso del titolo di studio di 'Magister' o di 'baccalaureat' in teologia e possano dimostrare almeno due anni di insegnamento, previo superamento di un concorso speciale per titoli integrato da un colloquio. A tal fine sono riconosciuti gli anni di servizio prestati con il minimo annuale richiesto dalle norme vigenti al momento della prestazione».

    Tale disposizione, ad avviso del ricorrente, consentendo il riconoscimento integrale degli anni di servizio pregresso, determinerebbe un'automatica equiparazione, a tutti gli effetti, del servizio prestato presso le istituzioni scolastiche parificate a quello svolto nelle scuole statali, in deroga al principio di cui agli artt. 1 e 2 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), che consentirebbe invece la valutazione del servizio effettuato nelle scuole parificate solo nella misura del 50 per cento. La stessa disposizione, inoltre, inciderebbe negativamente sulla mobilità nazionale del personale insegnante e sul sistema scolastico, e violerebbe in tal modo i limiti della competenza concorrente riconosciuta alla Provincia dall'art. 12 (recte: art. 9, numero 2) dello statuto speciale e dalle relative norme di attuazione (d.P.R. 10 febbraio 1983, n. 89); e ciò anche perché l'inserimento dei docenti di religione nel ruolo organico generale degli insegnanti richiederebbe il rispetto delle norme concordatarie.

L'art. 6, comma 2, a sua volta, introduce nella medesima legge n. 12 del 1998 gli artt. 18, 19 e 20. Oggetto di censura da parte del Presidente del Consiglio dei ministri sono l'art. 19 e l'art. 20. Il primo consente al personale docente delle scuole secondarie di primo e secondo grado della Provincia autonoma di Bolzano, in servizio nell'anno scolastico 1998-1999 e 1999-2000, privo del prescritto titolo di studio, ma in possesso del diploma di maturità, che, per carenza di personale in possesso del prescritto titolo di studio, abbia svolto presso le predette scuole servizi di supplenza per almeno 18 anni scolastici, anche non continuativi, validi come anni di servizio interi ai sensi della normativa allora vigente, di essere assunto a tempo indeterminato o determinato, previo superamento di apposito esame di idoneità e di abilitazione riservato. Lo stesso art. 19 dispone altresì che per il personale femminile con prole l'anzianità di servizio necessaria per l'ammissione all'esame di idoneità è ridotta di un anno per ogni figlio nato nel corso dei corrispondenti anni scolastici.

    Ad avviso del ricorrente questa disposizione si porrebbe in contrasto sia con il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, sia con i principî risultanti dalla normativa statale che subordinano l'insegnamento al possesso del prescritto titolo di studio. La medesima disposizione, inoltre, nella parte in cui prevede la riduzione dell'anzianità di servizio per il personale femminile con prole, oltre a considerare requisiti non significativi sul piano della professionalità, si porrebbe in contrasto con norme fondamentali dell'ordinamento, in quanto il periodo obbligatorio di congedo per maternità sarebbe già computato a tutti gli effetti nell'anzianità di servizio, ai sensi dell'art. 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53).

    L'art. 20 della legge n. 12 del 1998, introdotto dall'art. 6, comma 2, della legge n. 19 del 2001, prevede che «coloro che si sono laureati alla Facoltà di Scienze della  formazione sono inclusi, a richiesta, nelle graduatorie permanenti del personale docente previste dalle vigenti disposizioni al solo fine del conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee sino al termine delle attività didattiche per gli anni scolastici 2002/03 e 2003/04».

    Tale disposizione, secondo il ricorrente, contrasterebbe con la normativa statale (art. 2 della legge n. 124 del 1999), la quale prevede che il mero possesso di un diploma di laurea non è mai sufficiente per l'iscrizione nelle graduatorie permanenti, che dà titolo al conferimento di supplenze annuali, occorrendo invece a tal fine ulteriori requisiti.

    4.2. ¾ In relazione all'art. 44, l'Avvocatura dello Stato, oltre a fare proprie le censure proposte dalla Regione Veneto nel ricorso n. 25 del 2002, rileva che i sovracanoni non costituiscono provento per l'utilizzo delle acque demaniali, ma assolvono la diversa funzione di indennizzare i Comuni rivieraschi, al fine di porre rimedio alla alterazione del corso naturale delle acque a valle degli impianti idroelettrici causata dalla regimazione artificiale delle acque. La prestazione, che dovrebbe essere esercitata esclusivamente in forma consortile, non sarebbe pertanto assimilabile ai canoni demaniali, intesi come proventi per l'utilizzo delle acque pubbliche, per i quali soltanto la Provincia si vedrebbe riconosciuta una potestà normativa di tipo concorrente, ai sensi dell'art. 1-bis, comma 16, del d.P.R. 26 marzo 1977, n. 235 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige in materia di energia).

    5. ¾ Si è costituita la Provincia autonoma di Bolzano e ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili o infondate. Riservandosi ulteriori argomentazioni difensive, la difesa della Provincia rileva che la disposizione di cui all'art. 6, comma 1, riguarda solo i docenti di religione che hanno prestato e che presteranno servizio nel territorio provinciale. Essa rientrerebbe quindi nell'ambito delle competenze provinciali e, essendo destinata a consentire al personale considerato di continuare l'attività di docente di religione solo in ambito provinciale, non potrebbe in alcun modo incidere negativamente sulla mobilità nazionale del personale insegnante e sul sistema scolastico. La medesima disposizione, inoltre, non violerebbe i vincoli derivanti dalla normativa concordataria, in quanto l'insegnamento della religione nelle zone di confine è disciplinato da norme specifiche e, in particolare, lo è da sempre per la Provincia autonoma di Bolzano.

    In riferimento, poi, alle censure concernenti l'art. 19 della legge n. 12 del 1998, introdotto dall'art. 6, comma 2, della legge n. 19 del 2001, la difesa osserva che la stessa riguarderebbe solo ed esclusivamente i docenti di religione e non potrebbe pertanto incidere negativamente sulla mobilità nazionale.

    5.1. ¾ Per quanto riguarda le censure concernenti l'art. 44, la Provincia ne eccepisce la inammissibilità non solo per errata indicazione del parametro costituzionale, ma anche per due ulteriori, concorrenti profili. In primo luogo perché la competenza a disciplinare i sovracanoni spettava alla Provincia già in base allo statuto speciale di autonomia e alle relative norme di attuazione: segnatamente al menzionato art. 1-bis, comma 16, del d.P.R. n. 235 del 1977; sicché, osserva la Provincia, anche nella ipotesi di un annullamento della disposizione impugnata, resterebbe comunque in vigore la disposizione che attribuisce alla Provincia la competenza a disciplinare i sovracanoni nell'an e nel quantum, tanto da rendere il ricorso inammissibile per difetto di interesse.

    La questione poi sarebbe inammissibile per mancata definizione e oscurità della censura, non essendo illustrato il motivo per il quale si ritiene incostituzionale una disposizione che si limiterebbe a stabilire una disciplina più garantista di quella previgente, non contestata a suo tempo dal Governo.

    Nel merito la Provincia autonoma di Bolzano ribadisce le argomentazioni svolte nell'atto di costituzione nel giudizio introdotto dal ricorso della Regione Veneto, rassegnando le medesime conclusioni.

    6. — E' intervenuto a sostegno della impugnazione governativa relativa all'art. 44 il consorzio dei Comuni della Provincia autonoma di Trento compresi nel bacino imbrifero montano dell'Adige.

    7. — Tutte le parti costituite hanno svolto ulteriori deduzioni difensive in prossimità della data fissata per l'udienza pubblica.

    7.1. — La Regione Veneto sostiene che la legge impugnata violerebbe il limite generale territoriale, che opera nei confronti della potestà legislativa regionale e provinciale, tanto concorrente quanto esclusiva, ed afferma che la propria legittimazione ad impugnare deriverebbe dalla illegittima invasione della propria competenza che si sarebbe in tal modo determinata.

    7.2. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento alle censure concernenti l'art. 6 della legge n. 19 del 2001, contesta l'assunto difensivo della Provincia autonoma di Bolzano secondo cui le disposizioni censurate riguarderebbero solo i docenti di religione che hanno prestato o che presteranno servizio nel territorio provinciale. Sul punto, l'Avvocatura osserva che una tale limitazione varrebbe per il solo articolo 6, comma 1, il quale sostituisce l'art. 10, comma 1, della legge provinciale n. 12 del 1998, che espressamente la prevede, ma non anche per le altre disposizioni; in ogni caso, l'assunto della Provincia sarebbe irrilevante, giacché l'art. 12, comma 9, del d.P.R. n. 89 del 1983, stabilisce che la normativa provinciale deve svolgersi nell'osservanza degli aspetti fondamentali degli istituti dello stato giuridico vigenti per il personale in servizio nel restante territorio dello Stato, al fine di assicurare la mobilità in ambito nazionale del personale iscritto nei ruoli della Provincia autonoma.

    In relazione all'art. 44 la difesa erariale ribadisce le censure fatte valere nel ricorso e aggiunge che la Provincia non disporrebbe in materia di potestà legislativa esclusiva, in quanto la disciplina dei sovracanoni non atterrebbe alla gestione del demanio idrico, ma a quella del coordinamento della finanza pubblica, dal momento che il sovracanone avrebbe natura di prestazione patrimoniale imposta ai concessionari a favore di terzi (i consorzi di Comuni) estranei al rapporto concessorio.

    7.3. ¾ La Provincia autonoma di Bolzano eccepisce, in primo luogo, l'inammissibilità del ricorso, rilevando che il Presidente del Consiglio dei ministri non ha allegato al ricorso stesso né depositato i testi integrali dei verbali delle riunioni del Consiglio dei ministri del 1° e del 7 marzo 2002, nel corso delle quali è stata decisa l'impugnazione dell'art. 6 e dell'art. 44 della legge provinciale n. 19 del 2001. E ciò, nonostante che nei medesimi verbali si affermi che agli stessi sarebbe stata allegata la relazione del Ministro per gli affari regionali.

    7.3.1. ¾ Con riferimento alle censure concernenti l'art. 6, la Provincia ne eccepisce l'inammissibilità in quanto mancherebbe l'indicazione di un pertinente parametro del giudizio di costituzionalità.

    7.3.2. ¾ Per quanto riguarda in particolare le censure rivolte all'art. 6, comma 1, della legge n. 19 del 2001, il ricorso governativo, ad avviso della Provincia, oltre che originariamente inammissibile, sarebbe anche improcedibile per essere cessata la materia del contendere. L'art. 6, comma 1, della legge provinciale n. 19 del 2001 sostituiva il comma 1 dell'art. 10 della legge provinciale n. 12 del 1998, riproducendone testualmente la formulazione, ed aggiungeva ad esso una ulteriore disposizione concernente la progressione economica del personale docente di religione. I motivi della impugnazione hanno ad oggetto solo il primo periodo del comma 1 dell'art. 6, il quale, però, è stato abrogato dall'art. 38, comma 1, lettera d), della legge provinciale 26 luglio 2002, n. 11. Quest'ultima legge, inoltre, all'art. 19 ha aggiunto alla fine dell'originario comma dell'art. 10 della legge provinciale n. 12 del 1998, un periodo sostitutivo di quello contenuto nell'art. 6, comma 1, della legge n. 19 del 2001. Ad avviso della Provincia sarebbe dunque evidente che, a seguito della intervenuta abrogazione del censurato art. 6, comma 1, e della contestuale aggiunta di un periodo al comma 1 dell'art. 10 della legge provinciale n. 12 del 1998, il legislatore provinciale abbia inteso far rivivere le originarie disposizioni dell'art. 10, comma 1, di quest'ultima legge. E poiché il Governo, così come non aveva impugnato l'art. 10 della legge n. 12 del 1998, non ha impugnato neanche la disposizione abrogratrice di quella sostitutiva dell'originario testo del medesimo articolo 10, in relazione all'art. 6, comma 1, sarebbe cessata la materia del contendere.

    La Provincia contesta peraltro anche la fondatezza del ricorso nel merito. Lo stesso ricorso, infatti, riconosce, pur non individuandone la fonte, che la Provincia ha competenza legislativa concorrente in materia. Ai sensi dell'art. 1, comma 3, del d.P.R. n. 89 del 1983, spetta alla Provincia autonoma una competenza legislativa in materia di «stato giuridico ed economico del personale insegnante, di ruolo e non di ruolo, in particolare per la migliore utilizzazione del personale stesso anche al fine di soddisfare le esigenze di continuità didattica, nonché una più efficace organizzazione della scuola». Si tratta, osserva la Provincia, di una competenza concorrente, ex art. 9, numero 2, dello statuto, che deve essere oggi integrata dalla riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, giacché il nuovo art. 117, al terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente delle Regioni tutta la materia della istruzione, ad eccezione dell'autonomia scolastica e delle norme generali sull'istruzione, e l'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 stabilisce che le nuove disposizioni si applicano anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le parti che prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. In sostanza, non solo l'ambito materiale della competenza provinciale risulterebbe ampliato, ma anche i limiti per essa originariamente previsti sarebbero ormai ridotti al rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali e a quello dei principî fondamentali della materia riservati alla legge dello Stato.

    La Provincia contesta quindi che l'art. 6, comma 1, abbia previsto l'equiparazione fra servizio prestato nelle scuole statali e servizio prestato nelle scuole parificate: la tesi sostenuta dall'Avvocatura dello Stato sarebbe infatti smentita dai bandi di concorso emessi in attuazione della disposizione censurata, nei quali è espressamente previsto che il servizio richiesto debba essere stato svolto in scuole statali o a carattere statale. Inoltre, prosegue la Provincia, sarebbe frutto di una infondata supposizione del ricorrente quella secondo cui la legge impugnata non sarebbe conforme all'art. 35 del d.P.R. n. 89 del 1983, all'art. 9, comma 2, del Concordato e all'intesa di cui al d.P.R. n. 751 del 1985, dal momento che la disciplina legislativa censurata non contrasta con le citate disposizioni e, anzi, nei citati bandi viene prescritto il possesso della idoneità all'insegnamento della religione cattolica attestato dall'Ordinario della diocesi di Bolzano-Bressanone.

    In ogni caso, continua la Provincia, del tutto priva di fondamento sarebbe la censura concernente la violazione della disciplina statale che consentirebbe la valutazione dei servizi prestati nelle scuole parificate solo nella misura del 50 per cento, dal momento che né gli artt. 1 e 2 della legge n. 124 del 1999 né il decreto ministeriale n. 123 del 2000 conterrebbero una disciplina del genere; il decreto ministeriale sarebbe comunque una fonte inidonea a limitare le competenze provinciali, posto che l'art. 117, comma sesto, fa ora divieto alle fonti regolamentari statali di intervenire in materia di competenza regionale.

7.3.3. ¾ Per quanto riguarda le censure concernenti l'art. 19 della legge provinciale n. 12 del 1998, introdotto dall'art. 6, comma 2, della legge n. 19 del 2001, la Provincia, oltre a ribadirne l'inammissibilità, ne contesta la fondatezza, assumendo, tra l'altro, che il principio generale indicato nel ricorso non sarebbe contrastato dalla disposizione censurata, giacché questa garantirebbe in modo sufficiente e ragionevole la preparazione culturale dei docenti di religione, sia richiedendo che essi abbiano già insegnato come supplenti per molti anni, sia mediante la previsione di un apposito esame di idoneità.

    Quanto poi alla dedotta violazione dell'art. 97 Cost., la Provincia osserva che la disposizione impugnata non solo non contrasterebbe con il principio del buon andamento, ma ne costituirebbe attuazione, dal momento che sarebbe rispettata la regola del concorso e sarebbero soddisfatte le esigenze di continuità didattica alle quali la legislazione provinciale deve ispirarsi ai sensi dell'art. 1, comma 3, del d.P.R. n. 89 del 1983. A questo proposito la Provincia ricorda che il personale considerato dalla disposizione censurata ha garantito da anni la funzionalità della scuola in Alto Adige, vista la nota carenza di personale in possesso del prescritto titolo di studio, e lo garantisce anche per il futuro. Il numero di anni di servizio richiesti, poi, indicherebbe di per sé che il personale considerato è già legato, di fatto, da un rapporto di lavoro continuativo e costante con l'amministrazione scolastica e che si tratta di personale in possesso di un'esperienza tale da giustificare l'ammissione all'esame di idoneità sulla base del solo diploma di maturità.

    Con riferimento, in particolare, alla previsione che l'anzianità di servizio venga ridotta, per il personale femminile con prole, di un anno per ogni figlio nato nel corso dei corrispondenti anni scolastici, la Provincia contesta la fondatezza della censura, rilevando che l'invocato art. 22 del decreto legislativo n. 151 del 2001 non conterrebbe affatto un principio fondamentale e che in ogni caso esso non potrebbe essere ritenuto preclusivo dell'apprezzamento della maternità a fini diversi da quelli del computo del trattamento economico e normativo per i dipendenti in servizio. Al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, poi, la disciplina censurata sarebbe in linea con i principî costituzionali di tutela della famiglia e favorirebbe la conservazione del posto di lavoro al personale femminile.

    7.3.4. ¾ In ordine alla questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 20 della legge n. 12 del 1998, introdotto dall'art. 6, comma 2, della legge n. 19 del 2001, concernente i laureati alla Facoltà di Scienze della formazione, la Provincia, oltre a ribadire la inammissibilità del ricorso per le ragioni già esposte, sostiene che la disposizione censurata non contrasterebbe con alcun principio della legislazione statale e in ogni caso costituirebbe ragionevole esercizio della potestà legislativa in materia di stato giuridico ed economico del personale della scuola. Essa, infatti, risponderebbe alla necessità di garantire ai laureati di quella Facoltà un trattamento equo rispetto a coloro che hanno conseguito solo l'abilitazione magistrale e che, invece di iscriversi all'università, hanno prestato subito servizio di insegnamento, maturando così i requisiti per accedere alle sessioni riservate per il riconoscimento dell'idoneità e per essere conseguentemente inclusi nelle graduatorie permanenti per il conferimento di supplenze annuali o temporanee. Al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, sarebbe stato irragionevolmente discriminatorio escludere i laureati in Scienze della formazione dall'iscrizione nelle liste delle supplenze annuali.

    7.3.5. ¾ In relazione alla censura che si appunta sull'art. 44 della legge provinciale n. 19 del 2001, la difesa della Provincia autonoma di Bolzano, oltre a insistere per l'inammissibilità del ricorso statale per insufficiente determinazione del suo oggetto, contesta l'ammissibilità dell'intervento spiegato nel ricorso n. 25.

    Nel merito, la difesa della Provincia autonoma di Bolzano ribadisce che la disciplina dei sovracanoni atterrebbe alla materia della utilizzazione di acque pubbliche, sulla quale la Provincia sarebbe titolare di una potestà esclusiva, non astretta dal limite dei principî fondamentali della legge statale e osserva comunque che la legge impugnata non ha privato i consorzi e i Comuni delle risorse loro spettanti, come sarebbe testimoniato dal fatto che la Provincia avrebbe sempre trasferito al consorzio, o direttamente ai Comuni rivieraschi, i sovracanoni incassati: l'intero loro ammontare o la percentuale concordata con il consorzio mediante un apposito protocollo di intesa.

    8. ¾ Soltanto in prossimità dell'udienza pubblica, la Federazione nazionale dei consorzi di bacino imbrifero montano-Federbim ha depositato tardivo atto di intervento a sostegno del ricorso governativo.

Considerato in diritto

    1. ¾ Con i ricorsi n. 25 e n. 28 del 2002 la Regione Veneto e il Governo della Repubblica hanno impugnato l'articolo 44 della legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 dicembre 2001, n. 19 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2002 e per il triennio 2002-2004 e norme legislative collegate - legge finanziaria 2002), concernente i sovracanoni delle derivazioni di acqua a scopo idroelettrico. Il Governo ha altresì impugnato l'art. 6 della medesima legge, che riguarda, per diversi aspetti, la disciplina dello stato giuridico degli insegnanti nelle scuole della Provincia autonoma di Bolzano. Nonostante la diversità degli oggetti, si rende necessaria una trattazione congiunta, poiché l'impugnazione statale li chiama in causa entrambi con un unico ricorso.

    La Provincia ha proposto diverse eccezioni di inammissibilità, sia con riferimento al ricorso del Governo nel suo complesso, sia con riguardo alle specifiche censure rivolte nel medesimo ricorso agli artt. 6 e 44 della legge n. 19 del 2001, sia infine al ricorso della Regione Veneto che riguarda quest'ultima disposizione. Per prima deve essere esaminata l'eccezione che investe unitariamente, per un profilo formale, l'impugnazione del Presidente del Consiglio dei ministri. Le altre eccezioni verranno esaminate più oltre, in sede di trattazione delle specifiche censure proposte dal Governo e dalla Regione Veneto.

    2. ¾ La Provincia autonoma di Bolzano considera motivo di inammissibilità la mancata allegazione della relazione del Ministro per gli affari regionali al verbale della riunione del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2002 concernente la determinazione di proporre ricorso. Nonostante che l'Avvocatura dello Stato abbia depositato in udienza pubblica l'anzidetta relazione, la difesa della Provincia di Bolzano ha dichiarato di insistere nell'eccezione, che deve dunque essere esaminata.

In base all'art. 55 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige il controllo sulle leggi della Regione o delle Province autonome aveva natura preventiva e, al pari di quello di cui all'art. 127 della Costituzione per le Regioni ad autonomia ordinaria, era strutturato in due fasi: quella del rinvio della delibera legislativa al Consiglio regionale o provinciale e quella, successiva ed eventuale, della proposizione della questione di legittimità costituzionale. Nella giurisprudenza di questa Corte si era consolidato l'orientamento secondo il quale i motivi del ricorso dovevano essere gli stessi che sorreggevano l'atto governativo di rinvio. Questo poteva bensì esternarli succintamente, ma comunque in maniera tale da consentire alla Regione di conoscere le censure mosse dal Governo onde poter assumere le necessarie determinazioni politiche in sede di riesame e di riapprovazione della legge regionale (da ultimo, sentenze n. 135 del 2001

; n. 569 del 2000; n. 194 del 1997; n. 29 del 1996 e n. 384 del 1994). Ma con l'art. 8 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), che ha sostituito integralmente il predetto art. 127, il controllo di legittimità costituzionale delle leggi delle Regioni a statuto ordinario ha mutato natura: da preventivo qual era è divenuto successivo ed ha oggi ad oggetto leggi già promulgate e pubblicate.

    L'art. 10 della citata legge costituzionale n. 3 del 2001 stabilisce che, sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le innovazioni apportate con tale legge al titolo V della parte seconda della Costituzione si applichino alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite. E poiché il mutamento introdotto con la sostituzione dell'art. 127, nel sopprimere un controllo politico sull'esercizio della potestà legislativa delle Regioni, realizza senz'altro una forma di autonomia più ampia di quella riconosciuta alla Regione Trentino-Alto Adige e alle Province autonome dal menzionato art. 55, quest'ultimo deve ritenersi superato, trovando oggi applicazione anche per esse la disciplina posta per le Regioni ad autonomia ordinaria (nello stesso ordine di idee e con analogo percorso argomentativo, per quanto riguarda l'impugnazione delle leggi della Regione Valle d'Aosta, (ordinanza n. 377 del 2002), e implicitamente, per la Regione Friuli-Venezia Giulia, (ordinanza n. 65 del 2002). Del resto, tanto la Provincia autonoma di Bolzano, procedendo alla promulgazione e pubblicazione della legge, quanto lo Stato, proponendo il presente ricorso, hanno dato per presupposto l'intervenuto superamento della disciplina statutaria in tema di controllo delle leggi provinciali.

    Ebbene, la soppressione della fase di rinvio ha fatto venire meno la finalità alla quale era preordinata la previa esternazione, in sede politica, dei motivi della impugnazione. Nell'attuale sistema di controllo il carattere politico della scelta di impugnare resta, ma nei confronti delle Regioni e delle Province autonome si esaurisce nell'onere di indicare le specifiche disposizioni che si ritiene ne eccedano la competenza, potendo essere rimessa all'autonomia tecnica della Avvocatura generale dello Stato anche l'individuazione dei motivi di censura. Né può sostenersi che le Regioni o le Province ne subiscano una limitazione del diritto di difesa, in quanto il thema decidendum è fissato dal ricorso e dai motivi in esso contenuti ed è solo su questi che può svolgersi il contraddittorio. Ora, nel caso di specie, nel verbale della riunione del Consiglio dei ministri, ritualmente depositato, sono chiaramente identificate le disposizioni che il Governo intende impugnare: non è riscontrabile in esso la carenza della quale sola la Provincia si sarebbe potuta dolere. L'eccezione deve essere pertanto respinta.

    3. ¾ Devono essere ora esaminate le censure che il ricorso statale rivolge all'art. 6, comma 1, della legge provinciale n. 19 del 2001, concernente la disciplina dell'immissione in ruolo dei docenti di religione nelle scuole della Provincia autonoma di Bolzano. Anche a questo proposito la difesa della Provincia formula una eccezione di inammissibilità che non può trovare accoglimento. Non assume infatti alcun rilievo ai fini della ritualità del ricorso il fatto che in questo sia erroneamente indicato come parametro alla stregua del quale sottoporre a scrutinio la disciplina dello stato giuridico degli insegnanti, l'art. 12 dello statuto di autonomia, che riguarda le derivazioni idroelettriche. Pur volendo trascurare la considerazione che il medesimo ricorso investe anche l'art. 44 della legge provinciale, attinente proprio al tema delle derivazioni idroelettriche, il che potrebbe spiegare il riferimento all'art. 12, anziché all'art. 9, numero 2, dello statuto speciale, tale erronea indicazione non può aver impedito alla difesa della Provincia di rendersi conto della consistenza della questione di legittimità costituzionale. E' infatti decisiva la constatazione che il ricorso statale indica le norme di attuazione dello statuto speciale in materia di istruzione (d.P.R. n. 89 del 1983), chiaramente riferibili all'art. 9, numero 2, dello statuto, sicché dalla impugnazione governativa sono agevolmente enucleabili sia il parametro costituzionale, sia le norme interposte consistenti nelle predette disposizioni di attuazione e nei principî della legislazione dello Stato con i quali le disposizioni censurate contrasterebbero (artt. 1 e 2 della legge n. 124 del 1999). Riguarda poi il merito e non l'ammissibilità del ricorso la verifica se le norme legislative statali indicate dal Governo contengano effettivamente principî ai quali la legislazione provinciale debba attenersi.

    3.1. ¾ Non è fondata l'altra eccezione della Provincia autonoma secondo la quale, sempre in relazione all'art. 6, comma 1, si sarebbe verificata una situazione di improcedibilità sopravvenuta per cessazione della materia del contendere.

    Tale disposizione sostituisce, riproducendone integralmente il testo, il comma 1 dell'art. 10 della legge provinciale n. 12 del 1998 e introduce un ulteriore periodo, irrilevante nel presente giudizio poiché in relazione ad esso nessuna censura è stata proposta dal Governo. La legge provinciale 26 luglio 2002 n. 11 (Disposizioni in materia di tributi e disposizioni in connessione con l'assestamento del bilancio di previsione della Provincia di Bolzano per l'anno finanziario 2002 e per il triennio 2002-2004), a sua volta, ha abrogato, con l'art. 38, l'impugnato art. 6, comma 1, ed ha aggiunto al testo previgente dell'anzidetto art. 10, comma 1, un periodo che, salvo lievi variazioni, corrisponde a quello immesso ex novo dalla disposizione censurata.

    Si è qui in presenza di una singolare tecnica legislativa, la quale, anziché procedere alla diretta formulazione delle proposizioni normative da immettere nell'ordinamento, si avvale dei prodotti linguistici superati, contenuti cioè in disposizioni abrogate, e a questi reca un'aggiunta, che non avrebbe in sé alcun significato normativo se non si congiungesse alla disposizione abrogata, che viene così ad acquisire nuova vigenza. Quale che sia il legame di tale tecnica con il fenomeno della reviviscenza, cui la difesa della Provincia si richiama, è certamente da escludere che si sia determinata una situazione di improcedibilità sopravvenuta o di cessazione della materia del contendere. E' indubbiamente a questo risultato che mirava la complicata operazione del legislatore provinciale; lo attesta la relazione di accompagnamento al disegno di legge, nella quale, con riguardo a questo specifico punto, si afferma che «in tal modo dovrebbe anche risolversi, per cessazione della materia del contendere, il ricorso per illegittimità costituzionale avviato dal Governo avverso l'articolo abrogato».

    Tuttavia, a parte il rilievo che la Provincia autonoma di Bolzano non ha dimostrato e neppure allegato la non intervenuta attuazione dell'art. 6, comma 1 (il che rende la presente controversia diversa da quelle altre volte risolte nel senso della cessazione della materia del contendere: da ultimo, v. sentenza n. 438 del 2002), il principio di effettività della tutela costituzionale delle parti nei giudizi in via di azione non tollera che, attraverso l'uso distorto della potestà legislativa, uno dei contendenti possa introdurre una proposizione normativa di contenuto identico a quella impugnata e nel contempo sottrarla al già instaurato giudizio di legittimità costituzionale. Si impone pertanto in simili casi il trasferimento della questione alla norma che, sebbene portata da un atto legislativo diverso da quello oggetto di impugnazione, sopravvive nel suo immutato contenuto precettivo.

    4. ¾ Una volta chiarito che lo scrutinio di questa Corte deve avere ad oggetto l'art. 10, comma 1, della legge provinciale n. 12 del 1998, nel merito la questione non è fondata.

  Sia la Provincia autonoma di Bolzano, sia l'Avvocatura generale dello Stato hanno convenuto che l'intera disciplina riguarda materia di competenza legislativa concorrente.

Per quanto riguarda l'art. 10, comma 1, esso, nella parte censurata, testualmente recita: «In prima applicazione della presente legge hanno titolo ad essere immessi nei ruoli del personale docente della religione cattolica, i docenti di religione che abbiano svolto servizio di insegnamento di religione per almeno dodici anni anche non continuativi, previo superamento di un concorso per soli titoli. Hanno titolo, altresì, ad essere immessi nei predetti ruoli i docenti di religione che abbiano svolto servizio di insegnamento di religione per almeno cinque anni o siano in possesso del titolo di studio di 'Magister' o di 'baccalaureat' in teologia e possano dimostrare almeno due anni di insegnamento, previo superamento di un concorso speciale per titoli integrato da un colloquio. A tal fine sono riconosciuti gli anni di servizio prestati con il minimo annuale richiesto dalle norme vigenti al momento della prestazione».

    Il Governo assume che nella legislazione statale vigerebbe il principio per il quale al servizio di insegnamento svolto presso scuole non statali non potrebbe riconoscersi il medesimo punteggio attribuito al servizio svolto nelle scuole statali. Il principio che si assume violato non si rinviene né nelle disposizioni indicate nel ricorso né in alcun'altra fonte statale di rango legislativo. Gli artt. 1 e 2 della legge 3 maggio 1999, n. 124, infatti, disciplinano l'accesso ai ruoli e, rispettivamente, pongono le norme transitorie relative alle graduatorie permanenti del personale docente, ma nulla prevedono in ordine al punteggio che può essere attribuito per il servizio prestato nelle scuole non statali. Una simile indicazione è desumibile dal regolamento ministeriale 27 marzo 2000, n. 123, pure indicato dalla difesa erariale, il quale, nella tabella per la valutazione dei titoli per il personale docente delle scuole di ogni ordine e grado ed il personale educativo (allegato A), stabilisce che per l'insegnamento nelle scuole statali vengono riconosciuti 12 punti per ogni anno e 2 punti per ogni mese o frazione di almeno 16 giorni (fino ad un massimo di punti 12), mentre per il servizio prestato in scuole elementari, in scuole o istituti di istruzione secondaria non statale, pareggiati, parificati, legalmente riconosciuti sono attribuiti 6 punti per ogni anno di insegnamento e un punto per ogni mese o frazione superiore a 16 giorni (con un massimo di 6 punti). Seppure la logica di tale atto è nel senso di un riconoscimento differenziato tra servizio prestato presso le scuole statali e quelle non statali, un regolamento ministeriale non è di per sé idoneo a fondare limiti alla potestà legislativa regionale o provinciale, senza dire che dal decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255 (Disposizioni urgenti per assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2001/2002), convertito, con modificazioni, nella legge 20 agosto 2001, n. 333, si evince un orientamento favorevole ad attribuire al servizio prestato nelle scuole non statali paritarie la medesima valutazione di quello prestato nelle scuole statali.

    4.1. ¾ In relazione alla medesima disposizione non sussiste il denunciato contrasto con la normativa di matrice concordataria. A parte la genericità della censura, essendosi l'Avvocatura limitata a ricordare che la disciplina degli insegnanti di religione deve rispettare le norme derivanti dal Concordato tra lo Stato e la Chiesa cattolica, la disposizione, che riguarda il reclutamento del personale in fase di prima applicazione della legge, deve essere letta nel contesto della disciplina del Titolo I della legge stessa, la quale, all'art. 3, comma 3, per i docenti della religione cattolica pone espressamente ed in via generale il requisito del possesso dell'idoneità attestato dall'Ordinario diocesano. Non vi è alcun elemento della disposizione impugnata che possa indurre a ritenere che con essa la Provincia autonoma abbia inteso sopprimere tale requisito. Nessun contrasto, pertanto, è rinvenibile con la normativa di derivazione concordataria di cui all'art. 9, comma 2, dell'accordo tra la Santa sede e la Repubblica italiana ratificato con la legge 25 marzo 1985, n. 121, né con l'art. 2.5 dell'Intesa tra autorità scolastica italiana e Conferenza episcopale italiana per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, alla quale è stata data esecuzione con d.P.R. 16 dicembre 1985, n. 761. La Provincia ha del resto precisato che i bandi emessi in attuazione dell'art. 10, comma 1, della legge n. 12 del 1998 hanno fatto salva l'osservanza della normativa concordataria, prevedendo che i candidati dovessero essere in possesso della idoneità certificata dall'Ordinario della diocesi di Bolzano-Bressanone.

    4.2. ¾ Infine, secondo la difesa dello Stato, la disposizione in esame inciderebbe «negativamente sulla mobilità nazionale del personale insegnante e sul sistema scolastico». Con questa censura, formulata in termini quanto mai generici, si vuol forse alludere al fatto che nella Provincia autonoma di Bolzano sono stati istituiti i ruoli degli insegnanti della religione cattolica, che a livello nazionale non sono ancora esistenti. Ma non è certo l'eliminazione delle norme transitorie che potrebbe ovviare all'ipotizzato inconveniente.

Rimossa la normativa concernente la prima applicazione della legge, resterebbe infatti la disciplina «a regime», a suo tempo non impugnata dal Governo, che regola con norme dettagliate (artt. 3 e seguenti) l'accesso ai ruoli del personale docente di cui si parla.

    5. ¾ E' fondata, invece, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19 della legge provinciale n. 12 del 1998, introdotto dalla legge provinciale n. 19 del 2001.

    Tale disposizione consente al personale docente delle scuole secondarie di primo e secondo grado della Provincia autonoma di Bolzano, in servizio nell'anno scolastico 1998-1999 e 1999-2000, privo del prescritto titolo di studio, ma in possesso del diploma di maturità, che, per carenza di personale in possesso del prescritto titolo di studio, abbia svolto presso le predette scuole servizi di supplenza per almeno 18 anni scolastici, anche non continuativi, validi come anni di servizio interi ai sensi della normativa allora vigente, di essere assunto a tempo indeterminato o determinato, previo superamento di apposito esame di idoneità e di abilitazione riservato. Lo stesso art. 19 dispone altresì che per il personale femminile con prole l'anzianità di servizio necessaria per l'ammissione all'esame di idoneità è ridotta di un anno per ogni figlio nato nel corso dei corrispondenti anni scolastici.

    Ad avviso del ricorrente, questa disciplina violerebbe sia il principio di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, sia la normativa statale che subordina l'insegnamento al possesso del prescritto titolo di studio, alla quale la Provincia autonoma di Bolzano non potrebbe derogare, mentre, nella parte in cui prevede la riduzione dell'anzianità di servizio per il personale femminile con prole, oltre a considerare requisiti non significativi sul piano della professionalità, si porrebbe in contrasto con norme fondamentali dell'ordinamento, in quanto il periodo obbligatorio di congedo per maternità è già computato a tutti gli effetti nell'anzianità di servizio, ai sensi dell'art. 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.

    Contrariamente a quanto ipotizza la Provincia autonoma di Bolzano nella memoria di costituzione, l'art. 19 (così come l'art. 20, di cui si dirà) della legge provinciale n. 12 del 1998, introdotti, insieme all'art. 18, non censurato dal Governo, dall'art. 6, comma 2, della legge provinciale n. 19 del 2001, si riferisce ai docenti in genere e non ai soli docenti di religione. Diversamente dall'art. 10, comma 1, della legge provinciale n. 12 del 1998, nelle disposizioni di cui si parla non vi è alcun riferimento ai docenti di religione. E' poi decisiva la circostanza che la legge provinciale n. 12 del 1998 consta di due titoli, il primo dedicato agli insegnanti e agli ispettori per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari e secondarie, il secondo relativo alla stato giuridico del personale insegnante. Ed è in questo secondo titolo che sono inseriti gli articoli 19 e 20.

    La disposizione impugnata presuppone che il personale in essa indicato abbia svolto attività di insegnamento senza il prescritto titolo di studio, sia pure a causa della carenza di personale idoneo nella Provincia autonoma di Bolzano. E' quindi lo stesso articolo 19, con il participio aggettivato "prescritto”, a rendere immediatamente evidente il vizio dal quale è affetto: una non consentita deroga ai principî che reggono la materia nell'ordinamento statale. Esattamente l'Avvocatura dello Stato rileva che non è derogabile dalla Provincia autonoma di Bolzano «la regola della necessaria stretta attinenza tra i titoli di studio, che danno accesso agli esami di abilitazione, e le discipline oggetto di insegnamento», regola che costituisce un principio dell'ordinamento scolastico, rispondente «all'esigenza di ragione che vuole che la validità dell'insegnamento – e quindi dell'apprendimento di discenti – sia assicurato mediante un'idonea specifica preparazione culturale dei docenti» (sentenza n. 308 del 1989).

    Restano assorbiti i restanti profili di illegittimità costituzionale dedotti dal Governo, così come la questione, più specifica, concernente il personale femminile con prole.

    6. ¾ Diversa è la posizione dei laureati nella Facoltà di Scienze della formazione, alla quale si riferisce il denunciato art. 20 della legge provinciale n. 12 del 1998, introdotto dall'art. 6, comma 2, della legge n. 19 del 2001. Costoro, infatti, sono in possesso di idoneo titolo di studio che in ambito nazionale li abiliterebbe all'ottenimento di supplenze temporanee. La legge provinciale consente che ad essi siano conferite supplenze non solo temporanee ma anche annuali. E' escluso però che, sulla base dell'iscrizione nelle graduatorie permanenti, gli insegnanti di cui si tratta possano ottenere l'accesso ai ruoli provinciali in difetto di un ulteriore requisito abilitativo che comunque presupponga il superamento di una selezione. L'iscrizione inoltre è consentita per il conferimento di supplenze in due soli anni scolastici e, benché la relazione di accompagnamento al disegno di legge faccia riferimento ai laureati della Facoltà di Scienze della formazione della Libera Università degli studi di Bolzano, tale limitazione non figura nel testo legislativo approvato. Anche i laureati in Facoltà o corsi di laurea di Scienze della formazione presso università che hanno sede in altra parte del territorio nazionale, secondo la norma censurata, hanno titolo per essere inseriti, per quei due anni scolastici, nelle anzidette graduatorie provinciali.

    In conclusione, la temporaneità del beneficio accordato ai predetti laureati, il fatto che esso non sia limitato ai laureati della Università di Bolzano e la considerazione che questi non sono privi di un titolo di studio riconosciuto a livello nazionale, sufficiente comunque anche in ambito statale al conferimento di supplenze temporanee e quindi di per sé idoneo allo svolgimento dell'attività di insegnamento, sono elementi che, nel loro insieme, rendono ragione della non fondatezza della questione sollevata dal Governo.

    7. ¾ Si deve ora passare all'esame delle censure proposte dalla Regione Veneto e dal Governo nei confronti dell'art. 44 della legge provinciale n. 19 del 2001 e delle relative eccezioni di inammissibilità prospettate dalla Provincia autonoma di Bolzano.

    7.1. ¾ Deve preliminarmente dichiararsi inammissibile l'intervento del consorzio dei Comuni della Provincia autonoma di Trento compresi nel bacino imbrifero montano (Bim) dell'Adige. E' orientamento costante nella giurisprudenza di questa Corte, e deve essere qui ribadito, che nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale non è ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui atto è oggetto di contestazione (v. da ultimo, sentenze n. 353 del 2001 ; n. 382 del 1999; n. 35 del 1995; n. 446 del 1994 e n. 172 del 1994).

    7.2. ¾ Con riferimento al ricorso della Regione Veneto si eccepisce che la ricorrente si limiterebbe a denunciare l'inosservanza da parte della legge provinciale di un principio della legislazione statale e la violazione dell'autonomia amministrativa e finanziaria di Comuni e consorzi di Comuni, senza lamentare una lesione delle proprie competenze legislative, quindi senza avere un interesse al ricorso.

    Per escludere la fondatezza dell'eccezione è sufficiente rilevare che l'art. 44, oggetto di impugnazione, dispone che i sovracanoni annui dovuti dai concessionari di derivazioni del bacino imbrifero dell'Adige siano versati alla Provincia autonoma di Bolzano contestualmente al pagamento dei canoni demaniali e che la Regione Veneto si duole che, in tal modo, la Provincia autonoma di Bolzano si approprierebbe di risorse che spetterebbero ai Comuni presenti nel territorio veneto e in relazione a tale effetto deduce la lesione della propria autonomia finanziaria e la violazione del limite territoriale. Non può pertanto negarsi la sussistenza di una legittimazione in concreto della ricorrente e di un suo interesse a una pronuncia di questa Corte sul merito del ricorso.

    7.3. ¾ Sempre ad avviso della Provincia il ricorso della Regione Veneto sarebbe poi inammissibile per difetto di indicazione di un parametro costituzionale pertinente, essendo stati richiamati gli artt. 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e non le disposizioni dello statuto speciale che pongono limiti alla competenza legislativa della Provincia autonoma di Bolzano. Anche questa eccezione deve essere respinta.

    Nelle controversie tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale o Province autonome, le norme di rango costituzionale che definiscono le rispettive attribuzioni formano un sistema coerente ed unitario. Le competenze e l'autonomia che il titolo V della parte seconda della Costituzione garantisce alle prime, considerate dal punto di vista delle seconde operano come limiti di competenza rinvenibili anche nello statuto speciale come l'altra faccia di una stessa medaglia. L'unità sistematica dei parametri fa sì che, in questo tipo di controversie, essi possano essere fungibilmente evocati dall'uno o dall'altro angolo visuale. E' del tutto naturale, quindi, che la Regione Veneto, lamentando una lesione delle proprie attribuzioni, ponga a fondamento del suo ricorso le norme costituzionali che tali attribuzioni le conferiscono.

    7.4. ¾ Anche con riferimento al ricorso statale si lamenta da parte della Provincia autonoma di Bolzano la mancata indicazione di un parametro costituzionale pertinente. L'eccezione non può essere accolta. Nella impugnazione governativa sono infatti indicate le norme di attuazione dello statuto speciale in materia di demanio idrico, di opere idrauliche e di concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico (d.lgs. n. 463 del 1999), il che consente agevolmente di fare riferimento, quale parametro costituzionale, all'art. 9, numero 9, dello statuto, che attribuisce alle Province autonome potestà legislativa concorrente in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, potestà che incontra il limite dei principî fondamentali della legislazione dello Stato, puntualmente indicati nel ricorso governativo.

    7.5. ¾ Sempre in relazione al ricorso dello Stato la Provincia, infine, eccepisce che, pur nella ipotesi di un annullamento della norma censurata, la quale prevede che canoni e sovracanoni siano versati alla Provincia, resterebbe comunque in vigore la disposizione, non impugnata, che attribuirebbe alla medesima Provincia la competenza a determinare le modalità di riscossione e di destinazione dei sovracanoni (art. 1, comma 2-bis, primo periodo, della legge provinciale n. 10 del 1983, come introdotto dall'art. 3 della legge provinciale 29 agosto 2000, n. 13), sicché lo Stato non avrebbe interesse al ricorso. La predetta eccezione muove da una premessa interpretativa che è necessario verificare con giudizio di merito. Il problema è se, alla luce delle norme statutarie e di attuazione che attribuiscono alla Provincia autonoma di Bolzano la competenza concorrente in materia di utilizzazione delle acque nonché in forza dei principî della legislazione statale che fungono da limite a tale competenza, la parola proventi, che già figurava nell'art. 1, comma 2-bis, della legge provinciale n. 10 del 1983, debba essere riferita ai canoni di concessione demaniale e insieme ai sovracanoni, ovvero soltanto ai primi. In questa seconda ipotesi la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata non potrebbe in alcun modo produrre l'effetto, ipotizzato dalla Provincia, di lasciare in vita una disposizione che comunque la abiliti a determinare le modalità di riscossione e di destinazione dei sovracanoni. Di qui la necessità, al fine di saggiare l'interesse del Governo alla impugnazione, di trattare ora il merito della questione.

    8. ¾ La questione è fondata.

    Con la norma impugnata la Provincia autonoma di Bolzano dispone che i sovracanoni relativi a concessioni di derivazione di acque pubbliche per uso idroelettrico siano versati alla Provincia contestualmente al versamento dei canoni demaniali.

    Tutta la difesa della Provincia ruota intorno all'assunto che canoni e sovracanoni sarebbero assimilabili, trattandosi in entrambi i casi di proventi derivanti dalla utilizzazione delle acque pubbliche, materia che, in forza della clausola di estensione di cui all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il cui contenuto è stato già sopra ricordato, sarebbe ormai di potestà esclusiva della Provincia, non essendo compresa negli "elenchi” dei commi secondo e terzo dell'art. 117 Cost., e non incorrerebbe pertanto nel limite dei principî fondamentali della legislazione statale. Ma una simile ricostruzione muove da un errato presupposto interpretativo: la disciplina dei sovracanoni non attiene infatti alla materia della utilizzazione delle acque. L'art. 1 della legge 27 dicembre 1953, n. 959, che ha novellato il testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici del 1933, al comma quattordicesimo dispone che il sovracanone debba essere attribuito a un fondo comune a disposizione del consorzio o dei consorzi compresi nel perimetro del bacino imbrifero (consorzi nella specie costituiti); e stabilisce che il fondo è impiegato esclusivamente a favore del progresso economico e sociale delle popolazioni, nonché per la realizzazione di opere di sistemazione montana che non siano di competenza dello Stato. Emerge chiaro, già da questa indicazione, come il sovracanone si differenzi dal canone demaniale per destinatario (non il titolare della concessione, ma il consorzio di Comuni), finalizzazione (il progresso economico e sociale delle popolazioni, la realizzazione di opere di sistemazione montana), e per la sua stessa natura giuridica. La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato che il sovracanone richiesto ad un concessionario di utenza idrica configura una prestazione patrimoniale (così anche questa Corte con le sentenze n. 257 del 1982 e n. 132 del 1957), non ha carattere indennitario ed è correlato solo all'esistenza attuale e non all'uso effettivo della concessione di derivazione, la quale costituisce così il presupposto materiale di un'imposizione finalizzata ad integrare le risorse degli enti territoriali interessati, nel quadro di un'esigenza di sostegno dell'autonomia locale.

    Poiché sono qualificabili come prestazione patrimoniale imposta a fini solidaristici, non correlata alla utilizzazione dell'acqua pubblica, i sovracanoni costituiscono dunque elementi della finanza comunale e pertanto attengono alla materia della finanza locale. In tale materia, a mente dell'art. 80 dello statuto di autonomia, le Province autonome di Trento e di Bolzano dispongono di una potestà legislativa di tipo concorrente, soggetta al limite dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi statali. E tali limiti non sono venuti meno per effetto della clausola di estensione di cui all'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Le materie nelle quali deve essere attratta la attuale disciplina dei sovracanoni, e cioè la «armonizzazione dei bilanci pubblici» e il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», sono infatti qualificate dall'art. 117, terzo comma, Cost. come materie di potestà concorrente. Pur dopo l'entrata in vigore del nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, dunque, la legislazione provinciale impugnata è da considerare espressione di potestà legislativa ripartita che, come già chiarito, incontra il limite dei principî desumibili dalla legislazione statale, anche da quella già in vigore (v. sentenza n. 282 del 2002). E nella specie il principio che imponeva un limite nei confronti della disposizione censurata, e che è stato violato, è quello, già menzionato, che prevede la destinazione del sovracanone a un fondo comune gestito dai consorzi per finalità di promozione dello sviluppo economico e sociale delle popolazioni interessate e per la realizzazione delle opere che si rendano necessarie per rimediare alla alterazione del corso naturale delle acque causata dalla loro regimazione artificiale (art. 1, quattordicesimo comma, della legge 27 dicembre 1953, n. 959).

    La semplice previsione che i sovracanoni siano riscossi dalla Provincia autonoma di Bolzano e la conseguente loro sottrazione, non importa se solo temporanea, ai consorzi di Comuni del bacino imbrifero montano lede, con il principio della legislazione statale che si è appena ricordato, anche l'autonomia finanziaria dei Comuni e, mediatamente, della stessa Regione Veneto, che vede privato il proprio territorio di risorse delle quali, in base alla legge statale, avrebbe dovuto essere destinataria.

    Resta assorbito ogni ulteriore profilo di censura.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

    riuniti i giudizi,

    1) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 19 della legge provinciale 14 dicembre 1998, n. 12 (Disposizioni relative agli insegnanti e ispettori per l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari e secondarie nonché disposizioni relative allo stato giuridico del personale insegnante), come introdotto dall'articolo 6, comma 2, della legge provinciale 28 dicembre 2001, n. 19 «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione per l'anno finanziario 2002 e per il triennio 2002-2004 e norme legislative collegate (legge finanziaria 2002)»;

    2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 44 della predetta legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 dicembre 2001, n. 19;

    3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 10, comma 1, della citata legge della Provincia autonoma di Bolzano 14 dicembre 1998, n. 12, sollevata, in riferimento all'articolo 9, numero 2, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e alle relative norme di attuazione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe indicato;

    4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 20 della medesima legge della Provincia autonoma di Bolzano 14 dicembre 1998, n. 12, introdotto dall'articolo 6, comma 2, della menzionata legge della Provincia autonoma di Bolzano 28 dicembre 2001, n. 19, sollevata, in riferimento all'art. 9, comma 2 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e in relazione all'articolo 2 della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe indicato.

    Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 dicembre 2002.

    Cesare RUPERTO, Presidente

    Carlo MEZZANOTTE, Redattore

    Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2002.