Sentenza n. 257 del 1982
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SENTENZA N. 257

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Avv. Oronzo REALE        

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 53 del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (Testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici), come sostituito dall'art. 1 della legge 4 dicembre 1956, n. 1377 e modif. dall'art. 1, terzo comma della legge 21 dicembre 1961, n. 1501 (Adeguamento dei canoni demaniali e dei sovracanoni dovuti agli Enti locali ai sensi della legge 21 gennaio 1949, n. 8) promosso con ordinanza emessa l'1 aprile 1976 dalla Corte di cassazione - Sez. unite civili, sul ricorso proposto dall'ENEL contro il Ministero delle Finanze ed altri, iscritta al n. 666 del registro ordinanze 1976 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 340 del 22 dicembre 1976.

Visti l'atto di costituzione dell'ENEL e del Ministro delle finanze;

udito nell'udienza pubblica del 10 novembre 1982 il Giudice relatore Antonio La Pergola;

uditi l'avv. Giancarlo Mazzullo, per l'ENEL, e l'avvocato dello Stato Giovanni Albisinni, per il Ministro delle Finanze.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con ordinanza emessa il 1 aprile 1976 hanno sollevato, su ricorso proposto dall'ENEL contro il Ministero delle finanze e altri, questione di legittimità costituzionale dell'art. 53 R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, come sostituito dall'art. 1 legge 4 dicembre 1956, n. 1377, e modificato dall'art. 1, terzo comma, legge 21 dicembre 1961, n. 1501, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 23 Cost.

Il Tribunale Superiore delle acque pubbliche con sentenza 22 aprile 1972, n. 44, respingeva l'istanza di annullamento del decreto 19 maggio 1967, n. 51731, del Ministro delle Finanze, che imponeva all'ENEL sia il pagamento relativo alla derivazione di acqua, per produrre energia, concessa con il decreto interministeriale 1 luglio 1960, sia il sovracanone, in favore dei comuni di Verzo e Crevola d'Ossola, nonché dell'Amministrazione provinciale di Novara, in base all'art. 53 del R.D. il dicembre 1933, n. 1775.

L'ENEL ha ricorso contro tale pronuncia; un controricorso é stato proposto dal Ministero delle Finanze. Avanti la Corte di Cassazione l'ENEL aveva sostenuto di non dover corrispondere il sovracanone, eccependo fra l'altro l'incostituzionalità del citato art. 53, per presunto contrasto con l'art. 23 Cost.; il giudice a quo ha ritenuto tale eccezione rilevante, poiché la norma censurata é il presupposto del potere impositivo esercitato dal convenuto ministero, e peraltro non manifestamente infondata, anche in relazione all'art. 3 Cost. Il sovracanone in questione - si afferma nell'ordinanza di rinvio - ha carattere di prestazione patrimoniale imposta, e infatti costituisce l'oggetto di un'obbligazione pecuniaria, che può essere addossata autoritativamente al concessionario dall'Amministrazione in aggiunta al canone fissato all'atto della concessione; il concessionario può dunque sottrarsi all'assolvimento dell'onere pecuniario solo se rinunzia alla derivazione. Peraltro, la norma impugnata non determinerebbe con la necessaria adeguatezza le condizioni che legittimano l'applicazione del sovracanone, né i criteri idonei a regolarla, laddove l'esercizio del potere impositivo non é obbligatorio e si giustificherebbe esclusivamente in vista di altre, specifiche circostanze. Si afferma inoltre che la previsione della misura massima fissata dalla legge non offre ancora alcun appiglio per determinare l'effettiva misura del canone. Si osserva, infine, che le condizioni economiche degli enti locali beneficiari e il danno da essi subito sono ritenute sì rilevanti, ma in concorso con altri indefiniti eventi, e in ogni caso non sono presi in considerazione con riguardo al momento deliberativo dell'imposizione.

Ai vizi summenzionati hanno tentato di ovviare - prosegue il giudice a quo - sia l'Amministrazione, con circolare della direzione del demanio, emanata nel 1959, sia la giurisprudenza, ordinaria ed amministrativa. Detti interventi però, in quanto effettuati su un piano diverso da quello legislativo, rafforzerebbero i dubbi di costituzionalità prospettati a questa Corte con riferimento all'art. 23 Cost.: e precisamente al precetto, ivi stabilito, che la legge non soltanto preveda la prestazione imposta, ma ne confermi presupposti e limiti. Secondo la Corte di Cassazione sussisterebbe, peraltro, il pericolo che, in base alla normativa censurata, situazioni analoghe siano ingiustificatamente soggette a diversa disciplina.

Si costituisce nel presente giudizio l'ENEL.

Nella relativa memoria la difesa riporta le argomentazioni dedotte davanti alla Corte di Cassazione. Si ricorda che l'ENEL aveva ricorso al Tribunale S.A. contro il decreto ministeriale 19 maggio 1967 per violazione e falsa applicazione della legge 4 dicembre 1956, n. 1377, e altresì per insufficiente motivazione e travisamento dei fatti, nonché per violazione dell'art. 1 legge 1377/56 e 37 T.U. 1775/33. Innanzi a detto Collegio la difesa dell'ENEL aveva prospettato la questione di costituzionalità ora promossa dalla Corte di Cassazione. Ma il Tribunale ne aveva ritenuto la manifesta infondatezza, respingendo i rimanenti motivi del ricorso, sull'assunto che l'assolvimento dell'onere pecuniario fosse subordinato alla sola e discrezionale determinazione dell'autorità, e non anche dell'effettiva utilizzazione delle acque da parte del concessionario. Con ciò si sarebbe escluso che il sovracanone in questione rivesta alcun carattere di indennizzo.

Nel ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la difesa dell'ENEL ha invece sostenuto l'opposta tesi, che viene avanzata anche in questa sede. Il maggior contributo a carico dei concessionari di grandi derivazioni per la produzione di forza motrice si giustifica - viene infatti dedotto - per via dell'esigenza che i comuni rivieraschi e le rispettive province godano almeno parzialmente dei beni ricavati da risorse attinte dal loro territorio, e siano così compensati dei danni dipendenti dall'installazione degli impianti elettrici. Dal che si deduce, continua la difesa dell'ENEL, la natura risarcitoria del sovracanone, del resto sancita nel testo originario dell'art. 53 del T.U. del 1933 e confermata dalle previsioni della legge 4 dicembre 1956, n. 1377, la quale non ha alterato l'intimo fondamento della disposizione censurata.

La difesa dell'ENEL osserva poi che é stato chiesto al T.S.A. di statuire se i concessionari delle grandi derivazioni debbano versare il sovracanone, anche quando gli impianti occorrenti per l'utilizzazione delle acque non siano stati ancora realizzati, né dunque vi sia necessità di alcun ristoro dei danni subiti dagli enti rivieraschi. L'adito Collegio ha affermato che la prestazione é dovuta solo che il Ministero abbia accertato l'esistenza della concessione e i termini di decorrenza e scadenza del canone principale. Ma tale affermazione, secondo la difesa dell'ENEL, rende ancora più seri i dubbi di costituzionalità sopra prospettati: se infatti il sovracanone non ha natura di indennizzo, la norma che lo prevede vulnererebbe le statuizioni indicate come parametri di legittimità nel presente giudizio, sempre per la considerazione che la discrezionalità dell'organo esecutivo, al quale compete di statuire detto onere pecuniario, non é stata sufficientemente delimitata.

2. - Interviene nel presente giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio, per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, la quale deduce l'infondatezza della questione.

Premette l'Avvocatura che in un primo tempo la giurisprudenza aveva affermato il carattere risarcitorio del sovracanone in questione; successivamente però si é venuto affermando il principio che tale prestazione abbia lo scopo di venire incontro ai bisogni degli enti locali. Il fine indennitario non potrebbe però del tutto essere escluso, se si tiene conto del disposto del secondo comma dell'art. 1 della legge n. 1377 del 1956, che configura comunque idonee limitazioni del potere discrezionale del Ministro per le Finanze.

Il legislatore avrebbe pertanto pienamente osservato i criteri fissati dalla Corte in relazione all'art. 23 Cost. Le medesime argomentazioni bastano secondo l'Avvocatura a dimostrare l'infondatezza della questione che ha riguardo alla presunta violazione dell'art. 3 Cost.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con l'ordinanza in epigrafe la Corte di Cassazione a Sezioni Unite censura in questa sede, in riferimento agli artt. 3 e 23 Cost., l'art. 53 R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, come modificato dall'art. 1 terzo comma, legge 4 dicembre 1956, n. 1377 e dalla successiva disposizione (art. 1, terzo comma, della legge 21 dicembre 1961, n. 1501). La testé citata norma di legge dispone che il Ministero per le finanze può stabilire, sentito il Consiglio Superiore dei Lavori pubblici - a carico del concessionario di una grande derivazione d'acqua, e a favore dei comuni rivieraschi, nonché delle rispettive province - un ulteriore canone fino a L. 436 per ogni Kwtt nominale concesso (cfr. art. 1, secondo comma, della citata legge n. 1377 del 1956), poi elevato a L.800 (ai sensi dell'art. 1, terzo comma, della citata legge n. 1501 del 1961). Decorrenza e scadenza del sovracanone sono quelle stesse del canone fissato all'atto della concessione.

La previsione normativa in esame configurerebbe una prestazione patrimoniale imposta al concessionario, senza, tuttavia, la necessaria indicazione né dei presupposti di fatto, né dei criteri che riguardano l'esercizio del potere demandato al Ministro. Si deduce, infatti, che l'area degli anzidetti presupposti non può considerarsi esaurita con la semplice previsione della "attualità della concessione", dalla quale trae origine il sovracanone, restando l'imposizione affidata alla discrezionalità dell'organo esecutivo; che il potere impositivo così configurato non incontra poi alcuna idonea limitazione, per il solo fatto che il legislatore ha stabilito la misura massima del sovracanone ed individuato gli enti beneficiari. La norma censurata, si soggiunge, fa riferimento alle condizioni economiche degli enti interessati, e al danno da essi eventualmente subito in dipendenza dalla concessione - "oltre che ad altri, non precisati eventi" - esclusivamente con riguardo alla ripartizione del sovracanone tra i comuni rivieraschi e le rispettive province; non si detta dunque alcun criterio, viene precisato, in ordine all'altro ed autonomo momento, in cui la prestazione é deliberata. Le denunziate carenze della previsione normativa - alle quali, si dice non può supplire l'opera dell'interprete - offenderebbero la riserva di legge posta nell'art. 23 Cost., ed altresì il principio costituzionale di eguaglianza, in quanto, non avendo il legislatore adeguatamente definito presupposti, criteri e limiti dell'imposizione, sussiste il pericolo che situazioni analoghe possano risultare assoggettate ad un'ingiustificata disparità di trattamento.

2. - La questione non é fondata. Il sovracanone costituisce, certo, una prestazione patrimoniale, che va imposta al concessionario della derivazione di acqua nel rispetto dell'art. 23 Cost.; nella specie, però, essa trova, come esige l'invocato disposto costituzionale, idoneo fondamento nella legge.

Nell'ordinanza di rinvio si lamenta, prima di tutto, che il solo presupposto di fatto per l'imposizione in esame stia "nell'attualità della concessione". Ma questo rilievo, come ammette lo stesso giudice a quo, non basta a concretare la prospettata ipotesi di illegittimità costituzionale: né implica ancora che difetti alcun limite o criterio, al quale l'organo esecutivo debba, per stabilire il sovracanone, secondo legge adeguarsi. Infatti, la disposizione censurata individua il soggetto passivo della prestazione, che é il concessionario della derivazione d'acqua. Così si fa implicito ma chiaro riferimento al contesto dei dati - quali la potenziale utilizzazione delle acque, o l'importanza delle opere da eseguire - che vengono, secondo l'atteggiarsi del rapporto di concessione, di volta in volta in rilievo nell'apprezzamento dell'organo competente a gravare il concessionario di quest'onere aggiuntivo. In secondo luogo é individuato il necessario beneficiano della prestazione. Tale, precisamente, é l'ente locale, che la norma contempla; e là dove si statuisce che il sovracanone é "stabilito a favore dei comuni rivieraschi e delle relative province", si definisce, con ciò stesso, anche lo scopo dell'imposizione. Del resto, la normativa sottoposta al giudizio della Corte testualmente prevede le condizioni economiche degli enti anzidetti (prima ancora che l'eventuale danno scaturente dalla concessione) come un elemento di valutazione, di cui l'organo deliberante é tenuto a giovarsi, dove si tratti di ripartire il sovracanone fra gli enti rivieraschi. Il giudice a quo, é vero, distingue l'imposizione della ripartizione del sovracanone, e ne trae la conseguenza che i parametri indicati in sede di riparto non concernono il momento in cui l'onere é deliberato. Ma ciò non toglie che la ragione giustificativa della prestazione patrimoniale sia qui, nel sistema della legge, quella di sopperire alle esigenze degli enti interessati. Si spiega allora, pur adottando il punto di vista accolto nell'ordinanza di rinvio, come lo stesso criterio, che viene in considerazione al fine di imporre l'onere, sia stato, per coerenza di disciplina, poi richiamato con espresso e puntuale riferimento alla fase in cui il gettito dell'imposizione é ripartito fra gli enti anzidetti.

Ancora: la discrezionalità riconosciuta al Ministro va esercitata con l'osservanza della garanzia procedurale, che si connette all'obbligo di sentire l'organo consultivo - il Consiglio superiore dei Lavori pubblici - anche quando si versi fuori dagli apprezzamenti di indole prettamente tecnica, e comunque - ciò che più importa, per l'attuale indagine -in conformità ed attuazione della finalità perseguita dalla legge. La quale vuole, in definitiva, che l'autorità competente tenga in conto le circostanze, in cui decide se stabilire il sovracanone, sotto un duplice riguardo: da un canto l'apporto che può essere ragionevolmente preteso dal titolare della sottostante concessione, dall'altro le condizioni economiche dei beneficiari.

3. - Detto ciò, occorre ricordare che il potere conferito al Ministro é delimitato anche in relazione al possibile ammontare del sovracanone. Ora, come la Corte ha in altra occasione affermato (cfr., ad esempio, sentenza n. 4 del 1957), la legge che manchi di fissare il massimo della prestazione imponibile non vulnera, per ciò solo, il precetto dell'art. 23 Cost. Siffatta cautela, si é sopra precisato (v. supra n. 1), é stata invece introdotta nella disciplina del caso in esame. Vi é quindi un'altra e decisiva ragione per fugare il sospetto che la scelta demandata all'Amministrazione resti esente dai vincoli prescritti dal testo costituzionale e così possa trasmodare in arbitrio.

Per concludere: la concessione della derivazione di acqua opera come presupposto di fatto perché il concessionario sia obbligato, in virtù del provvedimento ministeriale, al versamento dell'ulteriore canone, oggetto dell'attuale controversia. L'onere pecuniario così configurato deve essere tuttavia stabilito in base alla previsione di legge, e dunque secondo il criterio impositivo che ha riguardo - sempre entro i limiti della prestazione massima consentita - sia a quanto é esigibile dal soggetto passivo in rapporto alla sua posizione di concessionario, sia al fabbisogno dei comuni o delle province, cui é destinato il sovracanone.

Non si può, d'altronde, nemmeno trascurare che l'imposizione in parola soddisfa anche ad una specifica esigenza di ordine costituzionale, qual é il sostegno dell'autonomia locale: tanto più rilevante, sul piano della applicazione fin qui ricevuta dalla norma censurata, in quanto il sovracanone ha offerto la via per un'indispensabile integrazione delle risorse degli enti rivieraschi.

Le considerazioni svolte valgono, infine, ad escludene la violazione del principio di eguaglianza, delineata nel provvedimento di rimessione sull'assunto che risultasse inosservata la riserva di legge, posta nell'ant. 23 Cost.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 53 R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, come sostituito dall'art. 1 legge 4 dicembre 1956, n. 1377, e modificato dall'art. 1, terzo comma, legge 21 dicembre 1961, n. 1501, sollevata dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, con l'ordinanza in epigrafe, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 23 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 dicembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO - Ettore GALLO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 31 dicembre 1982.