Sentenza n. 463 del 1993

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SENTENZA N. 463

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, iscritto al n. 24 del registro conflitti 1993, notificato il 15 giugno 1993, depositato in cancelleria il 3 luglio successivo, per conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, sorto in relazione alla deliberazione dell'Assemblea nella seduta del 29 aprile 1993 con la quale è stata negata l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'On. Craxi Benedetto, detto Bettino, per i capi di imputazione di cui alle ipotesi di corruzione in Milano (numeri 1, 3, 5, 7, 9, 11, 13, 15, 17 e 19 della domanda, formulata il 12 gennaio 1993 e concernente il procedimento n. 8655/92 R.G., trasmessa alla Camera dei deputati dal Ministro di grazia e giustizia il 13 gennaio 1993), concessa invece per i capi concernenti le ipotesi di violazione delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti in Milano (numeri 2, 4, 6, 8, 10, 12, 14, 16, 18 e 20 della stessa richiesta di autorizzazione).

 

Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;

 

udito nell'udienza pubblica del 14 dicembre 1993 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

 

uditi l'avvocato Valerio Onida per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e gli avvocati Giovanni Maria Flick e Federico Sorrentino per la Camera dei deputati.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso depositato il 19 maggio 1993 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati, chiedendo a questa Corte di dichiarare, in base agli artt. 68, 101, 102, 104 e 112 della Costituzione, che spetta all'autorità giudiziaria e nella specie al pubblico ministero, quale titolare dell'azione penale, nella fase delle indagini preliminari, la ricostruzione dei fatti e la qualificazione giuridica di essi, mentre spetta alla Assemblea cui il parlamentare appartiene concedere o negare l'autorizzazione a procedere prevista dall'art. 68 della Costituzione, senza modificare la ricostruzione dei fatti e la loro qualificazione giuridica. Il ricorrente chiede quindi che sia annullata la deliberazione della Camera dei deputati, votata dall'Assemblea nella seduta del 29 aprile 1993, con la quale è stata negata l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'on. Craxi Benedetto, detto Bettino, per i capi di imputazione concernenti ipotesi di corruzione, mentre l'autorizzazione è stata concessa per i capi di imputazione concernenti violazioni delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti. Il ricorrente chiede inoltre che gli atti siano rinviati alla Camera dei deputati, per una nuova deliberazione sulla richiesta di autorizzazione a procedere.

 

Il Procuratore della Repubblica di Milano afferma preliminarmente che il pubblico ministero è organo legittimato a proporre conflitto, in quanto titolare dell'azione penale il cui esercizio è obbligatorio (art. 112 della Costituzione): la competenza a dichiarare definitivamente la volontà dello Stato in ordine all'azione penale spetta difatti all'ufficio del pubblico ministero procedente.

 

In ordine all'ammissibilità oggettiva del conflitto il ricorrente osserva che la Camera ha adottato le proprie determinazioni esercitando il potere ad essa attribuito dall'art. 68, secondo comma, della Costituzione. Tuttavia l'esercizio di tale potere può essere sindacato dalla Corte costituzionale se, mediante un uso di esso non conforme ai principi della Costituzione, siano state lese attribuzioni di altri poteri dello Stato.

 

Nel merito il ricorrente ritiene che, nella fase delle indagini preliminari, l'autorizzazione a procedere, che deve essere presentata entro trenta giorni dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome del parlamentare indagato, significa autorizzare il pubblico ministero a svolgere le indagini necessarie in relazione ad un fatto, per le conseguenti determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale e con la qualificazione giuridica necessaria ai fini dell'iscrizione nel registro stesso.

 

Nella specie il ricorrente sostiene che si è in presenza di un unico fatto riconducibile a due diverse figure delittuose valutate come inscindibili: avere pertanto concesso l'autorizzazione a procedere per le imputazioni di violazione delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti, e non anche per le imputazioni di corruzione, interferirebbe sulla qualificazione giuridica del fatto e condizionerebbe l'esercizio dell'azione penale.

 

Le modalità di voto adottate dall'Assemblea, che si è espressa non su ogni capo d'imputazione ma per blocchi di essi, aggregati in relazione al titolo del reato ipotizzato, sarebbero, ad avviso del ricorrente, sintomatiche dello sconfinamento dalle attribuzioni parlamentari.

 

2. - Il ricorso per conflitto di attribuzione è stato dichiarato ammissibile, in prima e sommaria delibazione, con ordinanza n. 265 del 1993, e notificato a cura della parte, unitamente all'ordinanza che, riportando compiutamente l'oggetto della domanda, ne ha dichiarato l'ammissibilità.

 

3. - Si è ritualmente costituita in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, rigettato.

 

Difetterebbero anzitutto, ad avviso della Camera, i requisiti soggettivi di ammissibilità del ricorso, giacchè il singolo ufficio del pubblico ministero non sarebbe competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene. Il nuovo codice di procedura penale ha eliminato gran parte dei poteri di gerarchia esterna che caratterizzavano la precedente posizione del pubblico ministero, ma ha mantenuto il potere di avocazione del procuratore generale presso la Corte d'appello; ha inoltre previsto che il Procuratore generale, rispettivamente presso la Corte di cassazione o presso la Corte d'appello a seconda dei casi, risolva i contrasti insorti tra le diverse procure della Repubblica nella fase delle indagini preliminari. L'organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del pubblico ministero ed a difendere in giudizio le attribuzioni assegnate dall'art. 112 della Costituzione non può essere individuato nell'ufficio territoriale che ha iniziato le indagini, giacchè esso non impegna nel conflitto tutto il potere di appartenenza, nè è chiamato ad esercitare le proprie attribuzioni in condizioni di indipendenza costituzionalmente garantita.

 

Il conflitto sarebbe anche inammissibile per carenza dei requisiti oggettivi, giacchè l'autorizzazione a procedere costituisce un atto politico dell'Assemblea, che non richiede motivazioni, in quanto non legato a parametri normativamente predeterminati, e per il quale si risponde unicamente in sede politica nei confronti del Corpo elettorale.

 

Quanto alle modalità di votazione, la Camera richiama il principio già affermato dalla Corte, che riconosce alla singola Camera la "legittimazione esclusiva alla scelta del tempo e del modo di esercizio della competenza che le spetta, perchè soltanto la singola Camera è legittimata a regolare lo svolgimento dei propri lavori" (sentenza n. 9 del 1970). Afferma quindi che le modalità di votazione, anche per parti separate, rientrano nella piena autonomia della Camera e, attinendo alla formazione della volontà di essa, non possono produrre alcuna lesione delle attribuzioni di altri poteri dello Stato.

 

La Camera nega, comunque, di aver sovrapposto il proprio giudizio a quello del pubblico ministero, imponendo a costui una diversa qualificazione dei fatti. In realtà essa si sarebbe attenuta alle qualificazioni prospettate dall'organo requirente, autorizzando il procedimento per alcune e non per altre imputazioni e quindi accogliendo solo parzialmente le richieste del Procuratore della Repubblica ricorrente. L'effetto preclusivo di ulteriori indagini e dell'inizio dell'azione penale discenderebbe direttamente dalla norma costituzionale, che attribuisce alla Camera di appartenenza del parlamentare il potere di apprezzamento circa gli elementi di fatto e di diritto che sorreggono le domande di autorizzazione e consente, in relazione a questi, di considerare l'opportunità politica di accordare o di rifiutare l'autorizzazione.

 

Il ricorso sarebbe comunque, ad avviso della Camera, infondato nel merito.

 

Tra finanziamento illecito dei partiti e corruzione propria non vi sarebbe identità del fatto costituente reato, ma solo coincidenza di alcuni elementi della fattispecie penale.

 

In prossimità dell'udienza la Camera dei deputati ha depositato una memoria, ripetendo le deduzioni contenute nell'atto di costituzione.

 

4. - Anche la difesa della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha depositato, nell'imminenza dell'udienza, una memoria, per ribadire, anzitutto, la sussistenza dei requisiti soggettivi di ammissibilità del conflitto.

 

L'ordinamento vigente attribuisce a ciascun ufficio del pubblico ministero una propria competenza, che viene esercitata dall'organo requirente presso ciascun organo giudicante ed in riferimento alle competenze di questi ultimi.

 

La configurazione del pubblico ministero come potere "diffuso", operante in condizioni di indipendenza costituzionalmente garantita, non sarebbe alterata dalla previsione di casi eccezionali nei quali è possibile l'avocazione di singoli affari in ragione dell'inerzia del pubblico ministero procedente; nè sarebbe contraddetta dal potere del Procuratore generale presso la Corte d'appello e del Procuratore generale presso la Corte di cassazione di risolvere conflitti di competenza tra uffici del pubblico ministero, non diverso da quello riconosciuto alla Corte di cassazione per i conflitti di competenza fra organi giudicanti, senza che ciò determini alcuna subordinazione gerarchica.

 

In definitiva, in ordine ai poteri di indagine ed all'esercizio dell'azione penale nessun altro organo potrebbe sostituire la propria volontà a quella della procura della Repubblica competente.

 

Per quanto concerne i requisiti di ammissibilità oggettiva, il ricorrente ribadisce che sussiste il livello costituzionale del conflitto, dal momento che la Camera dei deputati, nell'esercizio dell'attribuzione prevista dall'art. 68, secondo comma, della Costituzione, avrebbe interferito con lo svolgimento dell'attribuzione che l'art. 112 della Costituzione assegna al pubblico ministero.

 

Nel merito la Procura della Repubblica osserva che l'istituto dell'autorizzazione a procedere non costituisce una fonte di speciale immunità dalla giurisdizione penale dei membri del Parlamento, ma rappresenta la garanzia degli organi parlamentari rispetto al rischio di un esercizio indebito dell'azione penale, che si potrebbe tradurre in una minaccia alla libertà e all'indipendenza della rappresentanza politica.

 

Ritiene quindi che il diniego di autorizzazione a procedere non può essere considerato insindacabile; dovrebbe anzi essere motivato per consentire di valutare se sia stato apprezzato il carattere improprio e persecutorio dell'iniziativa giudiziaria.

 

Con riferimento alla vicenda che ha dato luogo al conflitto, il ricorrente sostiene che il parziale ed immotivato diniego dell'autorizzazione, in contrasto con la motivata proposta della apposita Giunta referente, sarebbe illegittimo. Inoltre la natura dell'autorizzazione a procedere e la sua finalità costituzionale comportano che l'autorizzazione stessa possa essere concessa o negata, ma che non possa, viceversa, essere data con contenuti diversi dalla richiesta, o accompagnata da riserve e condizioni.

 

La deliberazione della Camera, permettendo in concreto di indagare solo nella direzione del reato di illecito finanziamento dei partiti e non in quello del reato di corruzione, avrebbe limitato la portata e orientato il contenuto dell'iniziativa giudiziaria.

 

5. - Successivamente alla prima udienza di discussione del 5 ottobre 1993, nella quale le parti hanno ribadito le rispettive conclusioni, è stata promulgata la legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, di modifica dell'art. 68 della Costituzione, che nel nuovo testo non prevede più l'autorizzazione della Camera di appartenenza per poter sottoporre a procedimento penale un membro del Parlamento.

 

La Corte, con ordinanza n. 388 del 1993, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, ravvisando l'opportunità di sentire nuovamente le parti in ordine alla rilevanza della modifica costituzionale nel presente giudizio.

 

6. - In prossimità della nuova udienza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha depositato, fuori termine, una memoria nella quale conclude che, a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale n.3 del 1993, non vi sarebbe più spazio per una decisione di merito, essendo cessata la materia del contendere o comunque venuto meno l'interesse delle parti alla decisione del ricorso.

 

7. - Nell'udienza del 14 dicembre 1993 la difesa della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha osservato che la legge costituzionale n. 3 del 1993 ha soppresso del tutto la condizione di procedibilità nei confronti dei parlamentari, consistente nella preventiva autorizzazione a procedere concessa dalla Camera di appartenenza.

 

Essendo l'oggetto del conflitto esclusivamente il diniego di autorizzazione a procedere per talune ipotesi di reato, è venuto meno ogni impedimento, costituito dalla mancanza della condizione di procedibilità. Ciò determinerebbe la cessazione della materia del contendere e comunque il venir meno di ogni concreto interesse della Procura ricorrente alla decisione di merito, giacchè l'unico interesse che stava a fondamento del ricorso era quello attinente alla rimozione dell'impedimento frapposto, ad avviso della Procura illegittimamente, all'attività del pubblico ministero in relazione ai fatti-reato in questione.

 

Il ricorrente rileva inoltre che le decisioni sui conflitti di attribuzione presuppongono non già una semplice divergenza sulla delimitazione astratta delle sfere di competenza, ma una attuale e concreta lesione delle attribuzioni costituzionalmente spettanti al ricorrente.

 

La difesa della Camera dei deputati, nel prendere atto del dichiarato venir meno dell'interesse dell'ufficio ricorrente alla decisione del conflitto, ha escluso che nel caso di specie si versi in ipotesi di cessazione della materia del contendere, che attiene all'oggetto del giudizio e presuppone l'annullamento o la revoca dell'atto oggetto dell'impugnazione. Essendo peraltro venuto obiettivamente meno, a seguito della modifica dell'art. 68 della Costituzione, l'interesse a ricorrere, che deve sussistere nella fase iniziale della proposizione del ricorso e perdurare fino al momento della decisione sul conflitto, la difesa della Camera dei deputati ha concluso chiedendo che venga dichiarata l'inammissibilità per ragioni sopravvenute o l'improcedibilità del conflitto per sopravvenuta carenza di interesse.

 

Considerato in diritto

 

l. - Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione al diniego, deliberato nella seduta del 29 aprile 1993, di autorizzazione a procedere, per alcuni dei reati per i quali la richiesta era stata formulata, nei confronti dell'on. Craxi Benedetto, detto Bettino.

 

Il ricorrente ritiene che la mancata concessione dell'autorizzazione a procedere per i capi d'imputazione concernenti reati di corruzione, mentre l'autorizzazione è stata concessa per i capi di imputazione concernenti reati di violazione delle norme sul finanziamento pubblico dei partiti politici, determinerebbe un'invasione della sfera propria dell'autorità giudiziaria, interferendo sulla ricostruzione dei fatti e sulla loro qualificazione giuridica. Il ricorrente deduce la violazione degli artt. 68, 101, 102, 104 e 112 della Costituzione e chiede alla Corte di dichiarare che spetta all'autorità giudiziaria, rappresentata dal pubblico ministero in sede di indagini preliminari e di esercizio dell'azione penale, ricostruire il fatto per cui si procede e deciderne la qualificazione giuridica, con la formulazione della richiesta di autorizzazione a procedere, mentre spetta alla Camera concedere o negare l'autorizzazione in relazione a tale ricostruzione e qualificazione giuridica senza alcuna modifica o condizione, che, si assume, deriverebbe dalla autorizzazione concessa solo per alcuni reati e non per altri.

 

Il ricorrente chiede pertanto che, annullato il diniego di autorizzazione a procedere, gli atti siano rinviati alla Camera dei deputati per una nuova deliberazione.

 

Resiste al ricorso la Camera dei deputati, sostenendo che esso è inammissibile e, nel merito, infondato.

 

2. - Nelle more del giudizio è sopravvenuta la nuova disciplina dettata dalla legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, che, modificando l'art. 68 della Costituzione, non richiede più l'autorizzazione della Camera di appartenenza per sottoporre a procedimento penale un membro del Parlamento.

 

3. - Prima di valutare se la nuova situazione determinata dalla legge di revisione dell'art. 68 della Costituzione abbia influenza sulla prosecuzione del giudizio in corso, è necessario verificare definitivamente se sussistano i requisiti, già sommariamente delibati nella prima fase del giudizio di ammissibilità (ordinanza n. 265 del 1993), per l'instaurazione di un giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

 

La Corte ha già ritenuto, esaminando un contestuale ricorso di analogo contenuto (sentenza n.462 del 1993), che nel corso delle indagini preliminari - per la cui prosecuzione è necessaria l'autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza della persona alla quale il reato è attribuito (art. 68 della Costituzione, nel testo anteriore alla revisione apportata con la legge costituzionale n. 3 del 1993; artt. 343 e 344 del codice di procedura penale) - l'ufficio del pubblico ministero procedente è l'organo legittimato a proporre conflitto per il diniego, che assuma lesivo delle proprie attribuzioni, di autorizzazione a sottoporre a procedimento penale un parlamentare.

 

Al pubblico ministero è, in questo caso, da riconoscere la competenza a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, così come richiede l'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per l'ammissibilità soggettiva del conflitto.

 

Difatti al pubblico ministero, configurato come organo inserito nel complesso del potere giudiziario (sentenze n. 190 del 1970, n. 96 del 1975 e n. 88 del 1991), sono attribuiti l'iniziativa e l'esercizio dell'azione penale (art. 74 dell'Ordinamento giudiziario; art. 50 del codice di procedura penale), la cui titolarità ed il cui obbligatorio esercizio hanno una base costituzionale (art. 112 della Costituzione). Le attribuzioni della procura della Repubblica in questa materia non possono essere surrogate da altri organi giudiziari, tanto che anche nel caso di mancato accoglimento della richiesta di archiviazione il giudice dell'udienza preliminare non provvede all'imputazione, ma può solo disporre che il pubblico ministero la formuli (art. 409 del codice di procedura penale).

 

Al fine di valutare la legittimazione del ricorrente, e non di altri organi del pubblico ministero, è da ricordare che nell'ambito dell'articolazione di tali uffici le funzioni relative alle indagini preliminari, comprese nell'iniziativa e preordinate all'esercizio dell'azione penale, sono attribuite al pubblico ministero presso il giudice competente in ordine al reato per il quale si procede (art. 51 del codice di procedura penale).

 

Questo ufficio, nel caso in esame la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, è idoneo ad assumere determinazioni definitive per l'iniziativa penale in ordine ai fatti per i quali vi è competenza del giudice presso il quale egli esercita le proprie funzioni.

 

Il potere di soluzione dei possibili contrasti tra pubblici ministeri affidato, a seconda dei casi, al Procuratore generale presso la Corte d'appello o al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ancorato ai criteri della competenza, non configura una sostituzione dell'ufficio procedente nell'iniziativa e nell'esercizio dell'azione. Il potere di sorveglianza sui magistrati e sugli uffici conferito al Procuratore generale presso la Corte d'appello (art. 16 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, nel testo sostituito dall'art. 30 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449) non incide sulle competenze e sulle determinazioni processuali del pubblico ministero procedente. Non vale, difatti, nè ad escludere nè a limitare le attribuzioni proprie del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, senza alcuna direttiva, interferenza o sostituzione nelle indagini volte all'iniziativa ed all'esercizio dell'azione penale, nei termini stabiliti dalla legge.

 

Anche il potere di avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell'azione penale, attribuito al Procuratore generale presso la Corte d'appello (art. 412 del codice di procedura penale), non incide sulla competenza della Procura della Repubblica di Milano, nella fase nella quale il conflitto è insorto, a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene. Nella disciplina vigente l'avocazione non tende alla sostituzione di un organo del pubblico ministero ad un altro organo del pubblico ministero nella conduzione delle indagini e nella assunzione delle determinazioni relative all'esercizio dell'azione, così come si configurava nel precedente codice di procedura penale.

 

L'avocazione costituisce solo un'ulteriore e successiva garanzia di esercizio dell'azione, e presuppone necessariamente l'inerzia del pubblico ministero procedente ed il mancato esercizio del potere allo stesso rimesso.

 

Si deve, in conclusione, ritenere, che il Procuratore della Repubblica di Milano è soggetto legittimato a proporre il conflitto di attribuzione sottoposto al giudizio della Corte.

 

Quanto all'altro soggetto del conflitto nessun dubbio sussiste, nè è stato ipotizzato, sull'idoneità dell'Assemblea parlamentare a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene.

 

4. - La sussistenza dei requisiti oggettivi di ammissibilità del ricorso "per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali" (art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87) deve essere valutata secondo la prospettazione della domanda offerta dal ricorso, indipendentemente da ogni apprezzamento sulla sua fondatezza.

 

La Camera, deliberando in ordine alle richieste di autorizzazione a procedere formulate dalla Procura della Repubblica di Milano con una distinta elencazione di imputazioni, ha certamente esercitato, secondo le regole rimesse alla propria autonomia organizzativa, un potere ad essa attribuito dall'art. 68 della Costituzione, in base alla disciplina allora vigente. Il ricorrente deduce tuttavia che la Camera, nell'esercizio di tale potere, avrebbe sconfinato dalle proprie attribuzioni sino a concedere un'autorizzazione a procedere non solo parziale, ma tale da subordinare l'esercizio dell'azione penale alla possibilità di ravvisare, in relazione ai fatti per i quali si procede, solo talune ipotesi di reato.

 

Ai limitati fini della valutazione di ammissibilità del conflitto, non rileva apprezzare la corrispondenza tra le singole imputazioni per le quali è stata richiesta l'autorizzazione a procedere e le correlative deliberazioni di con cessione o di diniego dell'autorizzazione stessa, adottate dalla Camera in conformità al proprio regolamento. Il preliminare giudizio di ammissibilità richiede solo di valutare se la materia dedotta sia possibile oggetto di conflitto.

 

La Corte ha ritenuto, esaminando un contestuale ed analogo ricorso già in precedenza richiamato, che il conflitto riguarda attribuzioni, come quella relativa all'autorizzazione a procedere spettante a ciascuna Camera nei confronti dei propri membri e quella attinente all'azione penale il cui obbligatorio esercizio è demandato al pubblico ministero, che sono determinate, rispettivamente, dall'art. 68, secondo comma, e dall'art. 112 della Costituzione. La Corte ha anche ritenuto che l'esercizio del potere di autorizzazione a procedere non può essere considerato come assolutamente insindacabile e di per sè non idoneo a produrre interferenze lesive nei confronti di altri poteri dello Stato (sent. 462 del 1993).

 

Sussistono, quindi, oltre che i requisiti soggettivi, anche quelli oggettivi richiesti per la legittima instaurazione del giudizio.

 

5. - Successivamente all'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 1993, che ha sostituito interamente il testo dell'art. 68 della Costituzione ed ha eliminato la disposizione che richiedeva l'autorizzazione della Camera di appartenenza per sottoporre a procedimento penale un membro del Parlamento, nell'udienza del 14 dicembre 1993 le parti in giudizio hanno modificato e precisato le conclusioni precedentemente enunciate, ritenendo che non vi sia più interesse alla decisione del ricorso. In particolare la difesa della Procura della Repubblica di Milano ha affermato che è venuto meno l'ostacolo alla procedibilità in ordine ai fatti- reato oggetto della deliberazione di diniego dell'autorizzazione a procedere, in relazione alla quale è insorto il conflitto di attribuzione. La difesa della Camera dei deputati, ritenendo che non si possa dar luogo a cessazione della materia del contendere, la quale presuppone l'eliminazione dell'atto oggetto dell'impugnazione, ha sostenuto che è venuto obiettivamente meno l'interesse al ricorso.

 

In conclusione le stesse parti ritengono che non vi sia più alcun interesse ad ottenere una decisione sul merito del conflitto.

 

Si deve constatare che successivamente all'instaurarsi del giudizio è intervenuta una revisione dell'art. 68, secondo comma, della Costituzione che ha abolito l'istituto dell'autorizzazione a procedere a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 1993. Ritenuto che, in conseguenza, è venuto meno l'interesse delle parti, pur originariamente sussistente, ad avere una pronunzia di merito, come pure riconoscono negli atti di causa le stesse parti, va dichiarata l'improcedibilità del conflitto di attribuzione in esame per sopravvenuta carenza di interesse (sent. n. 462 del 1993).

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara improcedibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano nei confronti della Camera dei deputati, con il ricorso indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/12/93.

 

Francesco, Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Cesare MIRABELLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 24/12/93.