Sentenza n. 96 del 1975
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SENTENZA N. 96

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 406, prima parte, e, per connessione, degli articoli da 389 a 397 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1973 dal Presidente del tribunale di Civitavecchia nel procedimento penale a carico di Vellino Giovanni Antonio ed altri, iscritta al n. 312 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 236 del 12 setsembre 1973.

Udito nella camera di consiglio del 6 febbraio 1975 il Giudice relatore Giulio Gionfrida.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza emessa il 13 marzo 1973, il Presidente del tribunale di Civitavecchia - richiesto dal p.m., in esito alla svolta istruttoria sommaria, di emettere decreto di citazione a giudizio ex art. 406, prima parte, del codice di procedura penale, a carico di Giovanni Vellino ed altri - ha sollevato, di ufficio, questione di legittimità costituzionale dell'art. 406 innanzi indicato - in relazione all'art. 396 e, per connessione, agli articoli da 389 a 397 del codice di procedura penale - per contrasto con gli artt. 102, primo comma, e 25, primo comma, della Costituzione.

Nel giudizio innanzi a questa Corte non vi é stata costituzione di parti né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Come in narrativa detto, questa Corte é chiamata a decidere della legittimità costituzionale dell'art. 406, prima parte, del codice di procedura penale - relativamente all'obbligo, da tale norma fatto al Presidente del tribunale, di emettere decreto di citazione a giudizio "dopo pervenuta la richiesta del p.m." - e, per connessione, dell'intera disciplina processuale dell'istruttoria sommaria (articoli da 389 a 397 cod. proc. pen.), in riferimento agli artt. 1O2 e 25 della Costituzione.

La questione é sollevata dal giudice a quo sulla duplice premessa, per un verso, della natura di "organo non giurisdizionale" del p.m. (quale sarebbe confermata dai precetti costituzionali di cui agli artt. 108 e 112, che vietano la concentrazione nel medesimo organo dell'iniziativa dell'esercizio della azione penale e della potestà di decisione sul giudizio così iniziato) e, per altro verso, della "natura giurisdizionale, invece, delle funzioni svolte dal p.m. nel procedimento di istruzione sommaria, quantomeno al momento in cui l'istruttoria culmina nella richiesta di citazione a giudizio".

Discenderebbe, appunto, da tali premesse la violazione:

a) dell'art. 102 della Costituzione, in quanto la funzione giurisdizionale, nella specie, verrebbe, per quanto detto, esercitata da soggetto che non é giudice;

b) dell'art. 25 della Costituzione, poiché l'assoggettamento dell'imputato al p.m. comporterebbe la sottrazione dell'imputato stesso al suo giudice naturale che, nella fase istruttoria del processo, é il giudice istruttore.

2. - La questione é infondata sotto entrambi i profili della sua prospettazione.

Il pubblico ministero - anche se non é investito del potere decisorio onde non può qualificarsi giudice in senso stretto - é, comunque, anch'egli un magistrato, come dimostra la collocazione degli articoli della Costituzione che lo riguardano (in particolare da 104 a 107) nel titolo VI de "La Magistratura" e financo nella sez. de "L'ordinamento giurisdizionale". L'esattezza dell'inquadramento del p.m. fra gli "organi della giurisdizione" in senso lato ha, del resto, già trovato conferma da parte di questa Corte, che, con sentenza n. 190 del 1970, ha testualmente definito la posizione del p.m. come quella, appunto, di un magistrato appartenente all'ordine giudiziario collocato in posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere che "non fa valere interessi particolari ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge, perseguendo fini di giustizia".

Da ciò deriva che nel concetto di "giurisdizione" - quale contemplato nell'art. 102, che é il primo dei parametri costituzionali, di cui é dedotta la violazione - deve intendersi compresa non solo l'attività decisoria, che é peculiare e propria del giudice, ma anche l'attività di esercizio dell'azione penale, che con la prima si coordina in un rapporto di compenetrazione organica a fine di giustizia e che l'art. 112 della Costituzione, appunto, attribuisce al pubblico ministero.

Nell'esplicazione di tale potestà d'iniziativa, evidentemente, rientrano tutte le attività di natura istruttoria che il p.m. svolge, perché necessarie alla acquisizione di elementi utili per porsi in grado di esercitare l'azione penale. Tali attività - proprio in quanto costituiscono esercizio di giurisdizione (in senso lato) da parte di un organo che é, comunque, un magistrato - risultano pienamente compatibili con il sistema delineato dalla Costituzione. Pertanto, le norme che le attività stesse contemplano (artt. 389 a 397 cod. proc. pen.) non contrastano con l'art. 102 della Costituzione citato.

3. - Tale ordine di considerazioni vale anche per la richiesta di emissione del decreto di citazione a giudizio, di cui all'art. 396 cod. proc. pen. - sulla quale in particolar modo si appuntano i rilievi dell'ordinanza di rimessione - poiché, invero, anche tale atto va ricondotto alla potestà di iniziativa dell'azione penale da parte del p.m., della quale anzi rappresenta un momento tipico. Né può ritenersi sussistere un contrasto tra l'art. 396 cod. proc. pen. citato e l'art. 102 della Costituzione sotto il profilo che la richiesta del p.m. travalichi la detta funzione di iniziativa per sconfinare nel campo dell'attività decisoria riservata al giudice: attesoché, tale richiesta - se pur evidentemente implica una valutazione in senso logico delle prove raccolte - non per questo acquista natura decisoria, essendo diversa dal giudizio in senso tecnico, in quanto non contiene alcuna decisione sulla notitia criminis.

4. - L'esaminato potere attribuito al p.m., di compiere in casi particolari (e sempre con le garanzie di legge) atti istruttori, neppure, infine, viola l'art. 25 della Costituzione: per la medesima ragione innanzi esposta che l'esplicazione di tali atti resta contenuta nella funzione (latamente giurisdizionale) di esercizio dell'azione penale e si arresta di fronte ad atti invece di contenuto decisorio, come il rinvio a giudizio o il proscioglimento istruttorio (che il p.m. é, appunto, tenuto a richiedere all'organo giudicante), di fronte ai quali soltanto opera la garanzia costituzionale della precostituzione del giudice (v. anche la sentenza di questa Corte n. 148 del 1963).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 406, prima parte, e, per connessione, degli articoli da 389 a 397 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 102 e 25 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe indicata.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 29 aprile 1975.