Sentenza n. 190 del 1970
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SENTENZA N. 190

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale: a) dell'art. 303 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 marzo 1969 dal giudice istruttore del tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Bertett Luigi ed altri, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969; b) dell'art. 304 bis del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1970 dalla Corte costituzionale nel corso del giudizio di legittimità costituzionale sub a), iscritta al n. 203 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 177 del 15 luglio 1970.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 28 ottobre 1970 il Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Franco Casamassima, per il Presidente del Consiglio dei ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Nel corso di un procedimento penale pendente innanzi al giudice istruttore del tribunale di Roma la difesa del sig. Luigi Bertett - a seguito del rigetto di una sua istanza diretta ad essere ammessa a presenziare, al pari del pubblico ministero, all'interrogatorio dell'imputato - eccepiva l'illegittimità costituzionale dell'art. 303 del codice di procedura penale per violazione dell'art. 24 della Costituzione: secondo la sua tesi, infatti, il principio di parità tra accusa e difesa, implicito nella norma costituzionale che garantisce l'inviolabilità di quest'ultima, determinerebbe l'illegittimità della disposizione che, mentre consente al p.m. di assistere agli atti istruttori e di formulare osservazioni ed istanze, non prevede analoghe facoltà per il difensore dell'imputato.

A tale eccezione il p.m. contrapponeva un triplice ordine di argomenti contrari: a) il principio enunciato nell'art. 24 della Costituzione non implica necessariamente la parità fra p.m. e difesa dell'imputato; b) il p.m. che é organo del potere giudiziario, ha istituzionalmente la funzione di garantire l'osservanza della legge e la realizzazione della giustizia e non può essere messo sullo stesso piano delle parti private che perseguono interessi particolari: le facoltà ed i poteri concessi all'organo requirente e preordinati alla predetta funzione non possono ledere il diritto di difesa, mentre, d'altro canto, la loro estensione al difensore dell'imputato scardinerebbe i principi fondamentali del nostro ordinamento; c) a parte ciò, poiché l'illegittimità riguarderebbe (posto che essa davvero sussistesse) l'assenza di una norma attributiva di poteri al difensore, manca l'oggetto di una vera e propria questione di legittimità costituzionale perché il sindacato della Corte può esercitarsi solo su una norma esistente.

2. - Con ordinanza del 10 marzo 1969 il giudice istruttore di Roma, pronunziandosi sulle descritte opposte conclusioni della difesa dell'imputato e del p.m., rimetteva a questa Corte - come rilevante e non manifestamente infondata, ed in riferimento all 'art. 24, secondo comma, della Costituzione la questione di legittimità costituzionale concernente "l'articolo 303 c.p.p., in relazione agli artt. 365, 366, 367 e 368, nella parte in cui accorda, nell'istruzione formale, al p.m. la facoltà di assistere all'interrogatorio dell'imputato e di fare, in tale occasione, istanze, osservazioni e richieste".

Sul punto c) delle riferite argomentazioni del p.m. il giudice a quo osserva che la questione di legittimità costituzionale, se non può esser posta allo scopo di determinare l'attribuzione al difensore di poteri che attualmente egli non ha, può correttamente tendere ad eliminare dall'ordinamento la disposizione che conferisce al pubblico ministero, e solo a lui, determinati poteri, facendo venir meno in questa guisa quella disparità della quale si assume l'illegittimità costituzionale.

Nel merito della questione l'ordinanza, dopo aver ricordato la giurisprudenza di questa Corte sul diritto di difesa e sulla sua applicazione e dopo aver esposto i termini della problematica inerente alle funzioni che sono proprie dell'organo requirente, osserva che l'art. 24 della Costituzione non può implicare, certo, una assoluta parità fra pubblico ministero ed imputato, giacché il primo é organo del potere giudiziario e come tale é portatore di interessi pubblicistici: tuttavia la disparità deve ritenersi illegittima tutte le volte in cui "essa menomi l'esistenza del diritto di difesa, rendendone estremamente difficile l'esercizio e venendone a frustrare lo scopo e la funzione". Facendo applicazione del principio in questi termini enunciato, il giudice istruttore osserva che la disposizione in esame, privando l'imputato dell'assistenza tecnica in un delicatissimo atto processuale ed esponendolo alle osservazioni, contestazioni ed istanze del p.m. senza l'ausilio del difensore che potrebbe controbatterle, viola il contraddittorio: violazione che verrebbe meno ove l'interrogatorio si svolgesse senza la presenza né del difensore né del pubblico ministero.

3. - Con atto del 4 giugno 1969 si costituiva innanzi a questa Corte il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Nelle sue deduzioni la difesa dello Stato sostiene l'infondatezza della questione sulla base di due presupposti: a) la inviolabilità del diritto di difesa non implica parità fra accusa e difesa; b) il p.m., nell'esercizio delle sue funzioni nel processo penale, non può essere considerato "parte alla stregua delle altre parti".

Sul primo punto l'Avvocatura afferma che la pretesa parità accusa - difesa nella fase istruttoria appare estranea al sistema costituzionale. A tal proposito essa osserva che se, come la Corte affermò nella sentenza n. 29 del 1962 con esplicita esemplificazione relativa proprio all'istruttoria penale, il diritto di difesa non deve sempre e necessariamente identificarsi con l'assistenza del difensore, manca un comune punto di riferimento al quale possa poggiarsi l'esigenza della predetta parità.

Per quanto riguarda la posizione del p.m. nel processo, l'Avvocatura ricorda l'evoluzione legislativa in materia e mette in rilievo che ormai, in base ai vigenti principi costituzionali, non può mettersi in dubbio l'appartenenza del p.m. all'ordine giudiziario. Portatore di un pubblico interesse (tanto che lo stesso codice processuale lo distingue dalle parti private), egli non può essere posto sullo stesso piano del difensore dell'imputato, ed a lui legittimamente sono attribuiti, in vista delle funzioni affidategli, poteri non riconosciuti al secondo: ciò giustifica la ratio del diverso trattamento.

Ad avviso della difesa dello Stato, l'impostazione che l'ordinanza ha dato alla questione di legittimità sembra diretta a render palese l'esigenza di innovare ulteriormente uno degli aspetti più tipici del vigente sistema processuale, vale a dire quello attinente al segreto istruttorio: é chiaro, allora, che ci si trova di fronte ad un problema di politica legislativa. Quel che sul piano costituzionale conta - così conclude l'Avvocatura - é che anche nella fase istruttoria sia adeguatamente garantito il diritto di difesa, e ciò avviene anche per l'interrogatorio in virtù dell'art. 304 quater che dispone il deposito in cancelleria del relativo verbale e mette il difensore in condizione di spiegare gli opportuni interventi.

4. - Nell'udienza pubblica dell'11 marzo 1970 l'Avvocatura dello Stato, riportandosi alle riferite argomentazioni, concludeva chiedendo che la questione di legittimità costituzionale venisse riconosciuta non fondata.

5. - Con ordinanza n. 100 del 4 giugno 1970 questa Corte riteneva: a) che, contrariamente all'avviso espresso dal giudice a quo, nel nostro ordinamento esiste una norma - desumibile dall'art. 304 bis, primo comma, del codice di procedura penale - che esclude il diritto del difensore ad assistere all'interrogatorio dell'imputato; b) che il dubbio di non manifesta infondatezza formulato dall'ordinanza di rimessione investe anche siffatta norma; c) che la denunziata disparità di trattamento fra pubblico ministero e difensore, ove venisse riconosciuta come contrastante con il diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, potrebbe essere rimossa sia escludendo il primo dall'assistenza all'interrogatorio (attraverso una pronunzia di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 303 c.p.p.) sia ammettendovi il secondo (attraverso una pronunzia di parziale illegittimità costituzionale dell'articolo 304 bis dello stesso codice); d) che la scelta fra l'una e l'altra soluzione non può dipendere dal modo in cui la questione viene fissata dall'ordinanza di rimessione, ma deve essere operata tenendo conto sia dei principi generali ai quali risulta ispirata la struttura del processo penale sia delle direttive desumibili dalla norma costituzionale di raffronto.

Sulla base di tali considerazioni questa Corte disponeva la trattazione innanzi a sé della questione di legittimità costituzionale concernente "l'art. 304 bis, primo comma, c.p.p., nella parte in cui esclude il diritto del difensore di assistere all'interrogatorio dell'imputato", in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione; ordinava altresì la trattazione congiunta di questa questione e di quella proposta con l'ordinanza di rimessione del giudice istruttore del tribunale di Roma.

6. - Nell'udienza pubblica del 28 ottobre 1970 l'Avvocatura generale dello Stato si é richiamata all'atto 4 giugno 1969 col quale il Presidente del Consiglio era intervenuto nel giudizio promosso dal giudice istruttore del tribunale di Roma.  

Considerato in diritto 

1. - L'attuale questione di legittimità costituzionale - quale risulta dall'ordinanza 10 marzo 1969 del giudice istruttore del tribunale di Roma e dall'ordinanza 4 giugno 1970 di questa Corte - investe la disciplina desumibile dagli articoli 303, primo comma, e 304 bis, primo comma, del codice di procedura penale, in forza della quale nel corso dell'istruttoria formale il solo pubblico ministero, e non anche il difensore, può assistere all'interrogatorio dell'imputato e può fare, in tale occasione, istanze, osservazioni e riserve. La Corte é chiamata a decidere se l'esclusione del contraddittorio nel momento dell'assunzione del predetto atto istruttorio si risolva in una illegittima menomazione di quel diritto di difesa che la Costituzione (art. 24, secondo comma) garantisce, come inviolabile, in ogni stato e grado del procedimento.

2. - Per la decisione di siffatta questione occorre preliminarmente accertare se nel processo penale il ruolo del pubblico ministero e quello del difensore dell'imputato presentino quel minimo di omogeneità che consenta una comparazione dei poteri dalla legge conferiti all'uno od all'altro.

A tal proposito si deve riconoscere che il pubblico ministero, in via di principio, non può essere considerato come parte in senso stretto. Magistrato appartenente all'ordine giudiziario, collocato come tale in posizione di istituzionale indipendenza rispetto ad ogni altro potere, egli non fa valere interessi particolari, ma agisce esclusivamente a tutela dell'interesse generale all'osservanza della legge: persegue, come si usa dire, fini di giustizia. Si comprende, pertanto, perché il pubblico ministero svolga la funzione che gli é propria anche quando promuove accertamenti che possano dimostrare l'innocenza dell'imputato, quando chiede l'emissione del c.d. decreto di archiviazione, quando conclude per il proscioglimento dell'imputato e così via. E tuttavia queste ragioni, come non sono ovviamente idonee a far confondere la posizione di lui con quella del giudice (sul che, sia pure ad altri effetti, ebbe già a pronunziarsi la Corte nella sentenza n. 148 del 1963), così non sono certo sufficienti ad escludere che l'interesse di cui egli é portatore e l'interesse che fa capo all'imputato restino dialetticamente contrapposti. Nel processo penale si controverte intorno alla responsabilità dell'imputato, e la realtà effettuale, della quale l'interprete del diritto non può non tener conto, é che in questa controversia i due poli del contraddittorio si incentrano, appunto, nel pubblico ministero da un lato, nell'imputato e nel suo difensore dall'altro. La netta distinzione fra gli interessi a tutela dei quali essi rispettivamente agiscono e fra i fini che essi conseguentemente perseguono giustifica la conclusione che nella dialettica del processo e di fronte al giudice i predetti soggetti sono da considerare parti: e, in conseguenza di ciò, tali correttamente li qualifica lo stesso codice processuale (libro primo, titolo terzo: "delle parti").

Va peraltro posto in rilievo che questa conclusione non comporta la conseguenza che i poteri processuali del pubblico ministero debbano sempre ed in ogni caso essere pari a quelli dell'imputato e del suo difensore. La peculiare posizione istituzionale e la funzione assegnata al primo ovvero esigenze connesse alla corretta amministrazione della giustizia e di rilievo costituzionale possono giustificare una disparità di trattamento: ma la giustificano, ovviamente, solo quando in quella posizione, in quella funzione od in quelle esigenze essa possa trovare una ragionevole motivazione.

3. - Una volta accertato che pubblico ministero ed imputato sono contrapposti protagonisti nel processo, occorre ricordare che, secondo un principio affermato dalla Corte fin dalla sentenza n. 46 del 1957 e poi fermamente e costantemente ribadito in numerose, successive occasioni, il diritto di difesa é, in primo luogo, garanzia di contraddittorio e di assistenza tecnico - professionale. Il che é quanto dire che quel diritto, di regola, é assicurato nella misura in cui si dia all'interessato la possibilità di partecipare ad una effettiva dialettica processuale, non pienamente realizzabile senza l'intervento del difensore. E che ciò sia vero anche per quanto riguarda formazione ed acquisizione delle prove durante l'istruttoria é cosa che risulta in modo non equivoco dalla decisione con la quale questa Corte - sentenza n. 52 del 1965 - giudicò incompatibile con la Costituzione l'esclusione del difensore dall'assistenza a determinati atti istruttori del rito sommario.

Bisogna, tuttavia, tener presente - come del pari risulta dalla costante giurisprudenza di questa Corte - che l'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto fa riferimento ad "ogni stato e grado del procedimento", non importa necessariamente che contraddittorio e presenza del difensore abbiano ad essere garantiti in ogni momento ed in ogni atto processuale. Vero é, in effetti, che é d'uopo di volta in volta accertare, in relazione all'importanza del singolo atto, se l'assenza del difensore e la conseguente minor pienezza di contraddittorio si traducano, per gli effetti che abbiano a derivarne, in una effettiva lesione del diritto costituzionale di cui si discorre. In riferimento all'attuale questione l'indagine deve perciò rivolgersi a verificare se l'interrogatorio dell'imputato, valutato nell'economia dell'intera istruttoria, abbia un rilievo tale da comportare che l'assenza del difensore e la presenza del pubblico ministero realizzino una grave menomazione del diritto di difesa.

La Corte ritiene che al quesito debba darsi risposta affermativa. Ed invero l'importanza fondamentale dell'interrogatorio é stata già riconosciuta in numerosi episodi giurisprudenziali (da ult. cfr. sent. n. 109 del 1970), e su tale riconoscimento furono basate le dichiarazioni di illegittimità pronunziate con la sentenza n. 33 del 1966 (art. 398, c.p.p.) e con la sentenza n. 151 del 1967 (artt. 376,395, ult. comma, e 398, ult. comma, c.p.p.). La stessa legge processuale considera l'interrogatorio, oltre che mezzo di prova (art. 304, terzo comma, c.p.p., nel testo modificato dalla legge 5 dicembre 1969, n. 932), mezzo di difesa, come si evince dalla circostanza che il giudice (art. 367, secondo comma) é tenuto ad invitare l'imputato "a discolparsi e a indicare le prove in suo favore", col conseguente suo obbligo (art. 368) di "investigare su tutti i fatti e su tutte le circostanze che l'imputato ha esposto". Da tutto ciò emerge quale sia l'importanza dell'interrogatorio al fine dell'acquisizione delle prove di innocenza o di colpevolezza ed il suo carattere prodromico, sottolineato dallo stesso legislatore (art. 365 c.p.p.), rispetto all'ulteriore corso delle indagini.

Orbene, che in occasione di un atto di tanto significato l'imputato sia esposto alle osservazioni, ai rilievi, alle contestazioni del pubblico ministero senza essere assistito dal difensore, che per la sua preparazione tecnico - professionale più di lui é in grado di avvertire la necessità di opportuni chiarimenti a difesa, é cosa che (nonostante la facoltà di non rispondere che la legge n. 932 del 1969 riconosce all'imputato) non può non menomare gravemente il diritto di difesa. Val la pena, del resto, di osservare che lo stesso legislatore ha ormai avvertito l'esigenza di far posto a sia pur limitati interventi difensivi. Già nella novella del 1955 l'interrogatorio é compreso fra gli atti i cui verbali devono essere depositati entro i cinque giorni dal loro compimento (art. 304 quater c.p.p.) al fine di consentire al difensore di prenderne visione e di fare istanze; e nella recente legge 5 dicembre 1969, n. 932 (art. 8) si pone il divieto di utilizzazione delle dichiarazioni rese dall'indiziato di reato prima della nomina del difensore. E tuttavia queste innovazioni legislative, se valgono a mostrare che già la legge ha rilevato il bisogno di consentire in certa misura, proprio in relazione all'interrogatorio, il dispiegarsi di garanzie difensive, appaiono chiaramente insufficienti a realizzare un effettivo contraddittorio. Nella disciplina tuttora vigente resta fermo che il pubblico ministero interviene al momento della formazione dell'atto con gli ampi poteri che la legge gli consente, laddove il difensore può intervenire ad atto già formato ed acquisito. E non si può omettere di considerare che la legge (art. 304 quater, quinto comma) consente che il giudice, magari proprio su richiesta del pubblico ministero, disponga che il deposito del verbale sia ritardato, con la conseguenza che l'intervento del difensore può essere spiegato non solo dopo la formazione dell'atto, ma anche a notevolissima distanza di tempo: il che incide in maniera gravissima sul diritto di difesa, specialmente quando, trattandosi di imputato detenuto, il difensore é costretto ad ignorare a lungo perfino le precise contestazioni mosse al suo patrocinato ed il modo in cui questo si é discolpato, con la conseguenza di dover espletare il suo mandato senza essere in condizione di valutare finanche quali allegazioni e richieste difensive possano essere utili al fine di far cessare lo stato di detenzione.

5. - La Corte ritiene che tale disparità di trattamento fra pubblico ministero e difesa dell'imputato - la quale, giova ripeterlo, può in alcuni casi risolversi in un pregiudizio eccezionalmente grave per quest'ultimo - non trovi giustificazione in motivi costituzionalmente rilevanti.

Dalla relazione governativa alla riforma del 1955, che ammise l'intervento del difensore solo agli esperimenti giudiziari, alle perizie, alle perquisizioni domiciliari ed alle ricognizioni (art. 304 bis, c.p.p.), risulta che l'esclusione del difensore dall'interrogatorio fu mantenuta "al fine di permettere che l'imputato si regoli nel rispondere con la maggiore franchezza possibile alle contestazioni che gli vengono mosse, al di fuori di ogni preoccupazione e suggestione derivanti dalla presenza di terzi". Ora é facile constatare che queste ragioni, in quanto implicano una piena sfiducia nell'opera del difensore, si pongono in netto contrasto con il precetto costituzionale, che presuppone chiaramente che il diritto di difesa, lungi dal contrastare, si armonizza perfettamente con i fini di giustizia ai quali il processo é rivolto. E del resto, mentre va rilevato che la legge conferisce al giudice poteri adeguati per reprimere ogni illegittima interferenza (art. 304 bis, ultimo comma), é da contestare che le istanze e le osservazioni del difensore, sempre rivolte al giudice (art. 304 bis, terzo comma), possano preoccupare e suggestionare l'imputato più di quanto non lo preoccupi e non lo suggestioni l'attiva presenza del pubblico ministero. É, al contrario, ragionevole ritenere che l'equilibrio del contraddittorio non solo garantirebbe il diritto di difesa, ma contribuirebbe in modo rilevante ad offrire al giudice fin dal primo atto istruttorio, nella dialettica delle due parti, tutti gli elementi idonei ad orientarlo nell'esercizio della sua delicata funzione. E non é da sottovalutare la circostanza che la presenza e l'assistenza del difensore sortirebbero l'effetto di conferire maggiore fermezza ai risultati dell'interrogatorio, anche per quella parte che potesse risultare sfavorevole all'imputato. Sicché deve convenirsi che la pienezza di contraddittorio giova, per quanto riguarda l'atto qui considerato, alla stessa amministrazione della giustizia.

Né a favore della tesi dell'infondatezza della questione possono giovare le considerazioni basate sul c.d. carattere inquisitorio dell'istruzione o sulla esigenza di salvaguardare il segreto istruttorio.

Per le prime é da osservare che le linee fondamentali delle già ricordate innovazioni legislative hanno già attenuato, ed in misura notevole, le caratteristiche dell'istruttoria quali risultavano dal codice del 1930. E ad ogni modo decisiva é l'obiezione che nel contrasto fra il principio costituzionale enunciato dall'art. 24 della Costituzione e determinate strutture processuali é il primo a dover prevalere sulle seconde, non, certo, queste su quello.

Per quanto riguarda il segreto istruttorio é sufficiente constatare che alla sua tutela provvede l'art. 307 c.p.p., che, ponendo in generale il relativo obbligo a carico dei difensori per tutti gli atti ai quali essi assistano, troverebbe automatica applicazione anche all'interrogatorio, ove a questo fosse esteso l'intervento della difesa. La Corte, peraltro, ritiene suo dovere sottolineare che all'ampliamento dei poteri dei difensori si deve accompagnare l'ampliamento delle loro responsabilità, sulle quali sono chiamati a vigilare, secondo le loro istituzionali attribuzioni, i competenti Consigli degli ordini forensi.

6. - Accertato che la questione, nei termini e nei limiti precisati al n. 1, é fondata, si deve decidere se, in relazione all'interrogatorio, la parità di contraddittorio, nel quadro della legislazione vigente, debba essere assicurata attraverso la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 303, primo comma, ovvero dell'art. 304 bis, primo comma, c.p.p.

In base ai criteri già enunciati nell'ordinanza n. 100 del 1970 la Corte ritiene che si debba necessariamente adottare la seconda soluzione, che é l'unica coerente coi principi generali ai quali risulta ispirato il vigente codice processuale e che meglio garantisce quel diritto inviolabile di difesa in riferimento al quale l'attuale questione viene riconosciuta fondata. Quanto al primo punto, é importante rilevare che il pubblico ministero é ammesso ad assistere a tutti gli atti di istruzione (art. 303 c.p.p.), e ciò in considerazione di quella funzione pubblica di cui innanzi si é discorso: sicché questa funzione sarebbe menomata ed a quella regola si porrebbe una irrazionale eccezione se si escludesse il suo potere di assistere all'interrogatorio; nel contempo proprio le più recenti innovazioni legislative concorrono a dimostrare una tendenza evolutiva con la quale la presenza del difensore nell'interrogatorio si armonizza meglio che non l'esclusione del pubblico ministero. Quanto al secondo punto, ciò che innanzi si é detto sulla particolare importanza dell'interrogatorio e sulle conseguenze che derivano dal divieto di assistervi fatto al difensore convincono che proprio la rimozione di questo divieto é la soluzione più idonea a realizzare la parità di contraddittorio attraverso una disciplina che, conformemente alle direttive imposte dall'art. 24 della Costituzione, consente un più efficiente esercizio del diritto di difesa.

7. - Per tutte queste ragioni l'art. 304 bis, primo comma, del codice di procedura penale deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui esclude il diritto dell'imputato di farsi assistere dal difensore in occasione dell'interrogatorio, mentre, di conseguenza, deve essere dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale per quanto concerne il primo comma dell'art. 303.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 304 bis, primo comma, del codice di procedura penale, limitatamente alla parte in cui esclude il diritto del difensore dell'imputato di assistere all'interrogatorio;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 303, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui ammette che il pubblico ministero possa assistere all'interrogatorio dell'imputato, sollevata dalla ordinanza del giudice istruttore del tribunale di Roma, indicata in epigrafe, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 16 dicembre 1970.