Ordinanza n. 146 del 1993

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ORDINANZA N. 146

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 30, terzo comma, e 31, quinto comma, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 23 marzo 1992 dalla Corte d'appello di Venezia nel procedimento penale a carico di Chioccarello Remigio, iscritta al n. 262 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20 prima serie speciale dell'anno 1992;

2) ordinanza emessa il 19 giugno 1992 dal Tribunale di Udine nel procedimento penale a carico di Gabassi Mario, iscritta al n. 584 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42 prima serie speciale dell'anno 1992.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Enzo Cheli;

Ritenuto che, nel procedimento penale a carico di Remigio Chioccarello, la Corte d'appello di Venezia, con ordinanza emessa il 23 marzo 1992 (R.O. n. 262 del 1992), ha sollevato - in relazione all'art. 3 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale degli artt. 30, terzo comma, e 31, quinto comma, della legge 11 febbraio 1992, n.157;

che, nell'ordinanza di rinvio si espone che la legge n. 157 del 1992, pur abrogando la legge 27 dicembre 1987, n. 968, continua a qualificare la fauna selvatica come patrimonio indisponibile dello Stato e persegue l'obiettivo della protezione della fauna selvatica conformemente all'interesse nazionale ed internazionale;

che - ad avviso del giudice a quo - il principio di appartenenza pubblica del patrimonio faunistico comporta che lo svolgimento dell'attività venatori avvenga in regime di concessione dello Stato (art.12, primo comma, della legge n. 157 del 1992)e che non si determini l'effetto acquisitivo della proprietà a favore del cacciatore se l'atto venatorio non è conforme alla legge (art. 12, secondo comma, e art. 13 della stessa legge);

che, pertanto, sempre secondo il giudice remittente, l'abbattimento di selvaggina in violazione delle norme della legge n. 157 del 1992 non comporterebbe trasferimento della proprietà della selvaggina stessa al cacciatore, mentre l'impossessamento a fine di profitto della selvaggina abbattuta o catturata in situazioni di illiceità integrerebbe gli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie del furto;

che, invece, per effetto delle norme impugnate, non ricorrerebbero gli estremi del reato di furto nell'impossessamento di selvaggina illecitamente abbattuta o catturata nei centri pubblici o privati di riproduzione nè sarebbe punibile a titolo di furto l'impossessamento a fine di profitto di mammiferi o uccelli di cui sia vietata la caccia, con la conseguenza che le norme impugnate riserverebbero a chi si impossessa di selvaggina illecitamente abbattuta o catturata un trattamento radicalmente diverso e privilegiato rispetto a quello previsto per ogni altra ipotesi di sottrazione di cosa mobile altrui a fine di profitto;

che il principio di eguaglianza risulterebbe violato in quanto, da un lato, la tutela penale del soggetto passivo verrebbe "eliminata sol perchè l'azione di impossessamento ricade su taluni beni a differenza di altri ... facenti parte del medesimo patrimonio indisponibile e forniti di tutela anche penale a sanzione del furto" e, dall'altro, una disciplina identica (consistente in sanzioni amministrative o solo contravvenzionali) sarebbe applicata ad ipotesi diverse quali l'esercizio venatorio illecito seguito o non seguito dall'impossessamento di selvaggina mentre si avrebbe una disciplina di versa (sanzione penale del furto o sanzioni amministrative o contravvenzionali) in casi non differenziabili quali l'impossessamento di selvaggina nell'ambito di esercizio venatorio illecito o vietato da un lato e l'impossessamento compiuto al di fuori dell'attività venatoria dall'altro;

che, infine, la questione di costituzionalità sarebbe rilevante "in quanto l'appello del Procuratore generale tende ad ottenere la condanna dell'imputato per furto venatorio in applicazione delle norme vigenti all'epoca del fatto" e la dichiarazione di illegittimità della normativa che esclude la configurabilità del reato di furto "comporterebbe ...il possibile accoglimento dell'appello";

che nel procedimento penale a carico di Mario Gabassi, imputato del reato di cui agli artt. 624 e 625 del codice penale per l'abbattimento di un fagiano, il Tribunale di Udine, con ordinanza del 19 giugno 1992 (R.O. n. 584 del 1992), ha sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 30, terzo comma, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, in relazione all'art. 3 della Costituzione, sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte dalla Corte d'appello di Venezia nell'ordinanza n. 262 del 1992;

che nei giudizi dinanzi a questa Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le questioni siano dichiarate infondate.

Considerato che per l'identità delle questioni i giudizi possono essere riuniti;

che entrambi i giudici remittenti chiedono a questa Corte di dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 30, terzo comma, mentre la Corte d'appello di Venezia chiede anche la declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 31, quinto comma, della legge 11 febbraio 1992, n.157;

che le censure svolte nelle ordinanze di rinvio si appuntano sulle norme che hanno espressamente dichiarato inapplicabili gli articoli 624, 625 e 626 del codice penale rispettivamente alle fattispecie penalmente sanzionate contemplate nell'art. 30 della legge n. 157 del 1992 ed alle ipotesi di illecito amministrativo elencate nell'art. 31 della citata legge n. 157;

che, pertanto, i giudici a quibus sollecitano un intervento del giudice costituzionale diretto a rendere nuovamente configurabile nel nostro ordina mento il furto venatorio ed applicabili gli artt. 624, 625 e 626 del codice penale nei casi in cui l'impossessamento a fine di profitto della selvaggina abbattuta o catturata sia conseguito mediante esercizio di attività venatoria contraria a norme della legge n. 157 del 1992;

che la caccia è oggetto di una disciplina legislativa speciale nel cui ambito il legislatore ha identificato le fattispecie da sanzionare ed il tipo di sanzioni da applicare, graduando le sanzioni stesse;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le altre le sentenze n. 108 del 1981 e n. 42 del 1977), al giudice costituzionale non è dato di pronunciare una decisione dalla quale possa derivare la creazione - esclusivamente riservata al legislatore - di una nuova fattispecie penale; e ciò in forza del principio di legalità sancito dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione;

che, infine, una eventuale pronuncia di accoglimento della questione prospettata dal giudice remittente - oltre ad interferire indebitamente, per le ragioni suesposte, in ambiti rigorosamente riservati al legislatore - risulterebbe comunque irrilevante nel giudizio a quo in virtù del principio di applicazione della legge penale più favorevole;

che pertanto le questioni vanno dichiarate manifestamente inammissibili.

Visti gli artt.26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 30, terzo comma, e 31, quinto comma, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), sollevate, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Venezia e dal Tribunale di Udine con le ordinanze di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 06/04/93.