Sentenza n. 42 del 1977
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SENTENZA N. 42

ANNO 1977

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Leopoldo ELIA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 8, 12, 13 e 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (disposizioni sulla stampa) e degli artt. 57 e 595 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 24 settembre 1974 dal pretore di Roma, nel procedimento penale a carico di Francesco Rinaldini, iscritta al n. 489 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 dell'8 gennaio 1975.

Visti gli atti di costituzione di Francesco Rinaldini e di Willy De Luca;

udito nell'udienza pubblica del 24 novembre 1976 il Giudice relatore Edoardo Volterra;

uditi gli avvocati Giuliano Vassalli e Egidio Tosato, per il Rinaldini.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso del procedimento penale a carico del giornalista Francesco Rinaldini, perseguito per aver trasmesso nel telegiornale una notizia diffamatoria, il pretore di Roma, con ordinanza emessa il 24 settembre 1974, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 8, 12, 13 e 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 e degli artt. 57 e 595 del codice penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Rilevava il pretore che le norme denunciate, applicabili alle diffamazioni commesse a mezzo stampa, non sono estensibili, per unanime dottrina e giurisprudenza, al caso di notizie diffuse attraverso il telegiornale, e che pertanto gli autori di una diffamazione commessa attraverso tale mezzo non sono soggetti all'obbligo di rettifica (art. 8), a quello di pubblicazione della sentenza (art. 9, alla riparazione pecuniaria (articolo 12), alla maggior pena per il reato di diffamazione (art. 13) alla competenza del Tribunale ed al giudizio direttissimo (art. 21), alla responsabilità a titolo di colpa del direttore (art. 57 cod. pen.).

La risultante disparità di trattamento non sarebbe sorretta da nessuna ragionevole giustificazione, poiché se la ratio della speciale disciplina per i reati commessi a mezzo stampa sta nella ritenuta necessità di dare una congrua risposta al danno che deriva dall'elevato grado di diffusione delle notizie, tale ragione deve sussistere, a fortiori, per un mezzo come il telegiornale.

L'applicabilità della disciplina comune della diffamazione (art. 595 cod. pen.) realizzerebbe dunque un'ingiustificata disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Venendo quindi al problema del come eliminare tale disparità, secondo il pretore si aprono alla Corte due vie: o ricondurre i reati a mezzo stampa alla disciplina comune, ovvero estendere, mediante una sentenza "additiva", la disciplina dei reati a mezzo stampa al telegiornale.

Secondo il pretore, che pure dichiara di non avere un onere di scelta, la soluzione corretta sarebbe la prima in quanto ispirata al favor libertatis.

Occupandosi poi delle possibili obiezioni d'irrilevanza della questione per come prospettata, il pretore crede di superarle osservando che con l'eliminazione della disciplina più sfavorevole per i reati commessi a mezzo stampa la sua pronuncia non verrebbe a realizzare una disparità di trattamento a favore delle radiodiffusioni lesiva dell'art. 3, altrimenti sussistente nell'ambito dell'ordinamento.

Ove invece si ritenesse di accogliere la questione nel senso di estendere alle radiodiffusioni la disciplina dei reati di stampa, un problema di rilevanza non si dovrebbe porre, a meno di non accedere all'opinione per cui le norme penali favorevoli non sarebbero in ipotesi soggette a sindacato della Corte costituzionale, non potendo mai una pronuncia della Corte retroagire in senso negativo sulla posizione dell'inquisito.

In ogni modo parte delle norme denunziate é di natura processuale e per esse non dovrebbe sorgere alcun dubbio di rilevanza. Così dicesi in relazione all'art. 21 della legge sulla stampa, e anche in relazione agli artt. 9, 12 e 13, che pur non essendo norme processuali non sono nemmeno norme incriminatrici.

La questione invece potrebbe porsi in relazione all'art. 57 cod.pen., che, in quanto norma incriminatrice, sarebbe soggetta al principio di irretroattività sancito dall'art. 25, 2 comma, della Costituzione. Ad avviso del pretore tuttavia altro é la successione delle leggi penali nel tempo, altro sono le pronunce della Corte costituzionale che, riguardando la preesistente situazione normativa, non costituiscono di per sé autonoma fonte legislativa ma, più propriamente, condizioni di applicabilità di norme altrimenti non applicabili.

Richiama in proposito la sentenza n. 49 del 1970 nonché la sentenza n. 17 del 1974 che avrebbe eliminato una disparità di trattamento in materia di carcerazione preventiva attraverso l'inasprimento del relativo regime (ritenuto da dottrina e giurisprudenza più appartenente al diritto sostanziale che a quello processuale).

Osserva infine che, così intesa l'efficacia della pronuncia della Corte, essa potrebbe condurre a risultati illiberali, ma ciò non é certo più grave dell'immutato principio dell'inescusabilità dell'errore di diritto (art. 5 cod.pen.) sicché non sembra ingiusto eliminare ingiustificati privilegi attraverso un peggioramento della disciplina relativa alle libertà personali.

2. - L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

Si sono costituiti dinanzi alla Corte costituzionale Francesco Rinaldini e Willy De Luca, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuliano Vassalli, Egidio Tosato e Giuseppe Gianzi per chiedere che la questione venga ritenuta non fondata o comunque inammissibile perché irrilevante.

La particolare natura delle trasmissioni radiotelevisive, vigilate e controllate da organi pubblici, la pressoché totale mancanza di commenti ed opinioni che accompagnano le notizie diffuse attraverso il telegiornale, costituiscono gli elementi in base ai quali il legislatore ha ritenuto di non estendere a dette trasmissioni le norme della legge sulla stampa. Tanto più che mentre gli stampati sono destinati a durare nel tempo, ponendosi quali strumenti "di obiettivazione permanente dell'idea delittuosa", il giornale radiofonico o televisivo esaurisce i suoi effetti nell'azione della diffusione della notizia.

La materia comunque rientrerebbe nell'ampia discrezionalità del legislatore, non sindacabile dalla Corte costituzionale.

Venendo quindi alla rilevanza, positivamente apprezzata dalla dottrina dominante quale filtro che consente la remissione alla Corte solo di questioni serie e non pretestuose, concrete e non accademiche, le parti costituite accedono all'opinione per cui essa manca quando é possibile escludere ogni influenza della decisione della Corte sul giudizio a quo nel frattempo sospeso.

Nel caso di specie, se la legge sulla stampa fosse dichiarata incostituzionale, il processo dovrebbe essere comunque definito secondo le norme comuni, già allo stato applicabili. Se la legge medesima fosse confermata ed ampliata, tale ampliamento, ai sensi dell'art. 25 Cost., non potrebbe essere esteso al giudizio a quo, che dovrebbe essere definito sempre in base a norme già applicabili. In ogni modo la decisione della Corte non avrebbe nessuna influenza nel caso concreto. Né vale distinguere tra norme penali sostanziali e norme processuali, poiché tale distinzione non si potrebbe porre in relazione all'art. 25 della Costituzione.

Delle due alternative proposte dal pretore, la prima (soluzione ispirata al favor libertatis) potrebbe avere rilevanza solo sotto il profilo "sociale o ambientale" per le ripercussioni sull'opinione pubblica dell'ingiustificata disparità di trattamento tra i giornalisti della Rai-TV e gli altri: ma tale concetto é sicuramente inammissibile.

La seconda alternativa (soluzione più sfavorevole) sembra nascere da un travisamento del concetto di sentenze additive, con le quali la Corte non avrebbe mai esteso norme penali e in ogni caso l'inasprimento di pene o la previsione di nuove sanzioni non potrebbe mai trovare applicazione a fatti commessi durante il vigore della legge preesistente senza violare il principio costituzionale della irretroattività della legge penale. Tanto dicasi anche per le norme processuali, e per il diritto di rettifica (che tra l'altro non appare essere stata richiesta nel corso del procedimento).

Considerato in diritto

1. - Preliminarmente deve dichiararsi inammissibile la costituzione nel presente giudizio del dott. Willy De Luca, che risulta estraneo al procedimento penale instaurato avanti il pretore di Roma a carico di Francesco Rinaldini, nel corso del quale é stata sollevata avanti questa Corte la questione di legittimità costituzionale.

2. - Il giudice a quo, partendo dalla constatazione che l'art. 1 della legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, fa riferimento esclusivamente a stampe e stampati, cioè alla riproduzione di più esemplari di un medesimo scritto, che il complesso delle disposizioni della legge stessa appare diretto a regolare la stampa in senso tradizionale, mancando in essa qualunque riferimento alla diffusione di notizie con mezzi diversi da questa, afferma la non applicabilità agli autori di un telegiornale delle norme speciali che prevedono per gli autori dei giornali quotidiani e della stampa in genere l'obbligo di rettifica (art. 8), l'obbligo della pubblicazione della sentenza (art. 9), l'obbligo della riparazione pecuniaria (articolo 12), la maggior pena per il reato di diffamazione (articolo 13), la competenza del tribunale e il giudizio col rito direttissimo (art. 21), la responsabilità a titolo di colpa del direttore (art. 57 del codice penale).

Afferma pertanto che la disparità di trattamento conseguente alla indicata situazione legislativa previsto per gli autori di una diffamazione commessa a mezzo stampa e quello per gli autori del medesimo reato commesso a mezzo di diffusione radiofonica, sottoposti invece al regime comune, non avrebbe ragionevole giustificazione e contrasterebbe con il principio costituzionale di uguaglianza.

3. - Per eliminare la segnalata disparità di trattamento, il giudice a quo, pur affermando di non avere onere di scelta, indica alla Corte due vie da seguire. La prima, che egli ritiene quella costituzionalmente corretta "in quanto ispirata al favor libertatis, che trova nella Costituzione una specifica tutela (art. 21)" consisterebbe nella dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 9, 12, 13, 21 della legge n. 47 del 1948 e dell'art. 57 del codice penale con la conseguente sottoposizione dei reati commessi a mezzo stampa alla disciplina comune.

É Ovvio però rilevare che la denunzia di incostituzionalità sotto il profilo esposto dal giudice, cioè che le norme impugnate pongono in essere una disciplina differenziata e più severa per i soli reati commessi a mezzo stampa, si appalesa del tutto irrilevante giacché l'eventuale pronunzia di illegittimità così richiesta non spiegherebbe effetto sul giudizio penale in corso avente per oggetto atti commessi con mezzi diversi dalla stampa.

Va aggiunto che irrilevante appare anche la denunzia di incostituzionalità fatta nell'ordinanza della applicabilità dell'obbligo della rettifica sancito nell'art. 8 della citata legge 47 del 1948 soltanto alle diffamazioni compiute a mezzo stampa, in quanto la norma concernente la rettifica non é applicabile nel processo.

4. - Ma inammissibile si palesa anche la questione sollevata nella seconda prospettazione, di estendere cioè ai reati commessi a mezzo radiodiffusione la disciplina più grave prevista per i reati commessi a mezzo stampa.

Anche a ritenere che questa Corte possa eliminare dall'ordinamento norme penali di favore allo scopo di restaurare il vigore generale delle norme incriminatrici derogate, restando riservato ai giudici di merito valutare l'efficacia di una simile pronunzia nei giudizi penali in corso, é certo che essa, invece, non può, sempre nella materia penale, sottrarre alcune fattispecie alla disciplina comune per ricondurle in una disciplina speciale che si ritiene più congruamente tutelare gli interessi coinvolti e tanto meno quando ciò comporti un aggravamento di pena. Simile scelta, che deve essere definita eminentemente politica, é infatti riservata dall'art. 25 della Costituzione al solo legislatore, restando esclusa ogni possibllità di intervento attraverso sentenze cosiddette additive.

Ora, nel caso in esame, l'inammissibilità della questione é palese domandandosi di sottrarre alla disciplina comune della diffamazione, la diffamazione commessa attraverso la diffusione radiotelevisiva delle informazioni, per comprenderla nella regolamentazione della diffamazione a mezzo stampa contenuta nella legge 8 febbraio 1948, n. 47.

Ne consegue che la Corte, pur augurando che il legislatore, così come ha fatto con l'art. 7 della legge 14 aprile 1975, n. 103, provveda sollecitamente a colmare nella sua discrezionalità lacune eventualmente esistenti, non può sostituirsi ad esso e tanto meno può estendere norme legislative previste per un'attività determinata ad altra attività obbiettivamente diversa.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 57 e 595 del codice penale e degli artt. 1, 8, 9, 12, 13 e 21 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (disposizioni sulla stampa), promossa con l'ordinanza in epigrafe in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Leopoldo ELIA

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 gennaio 1977.