Ordinanza n. 496 del 1991

 

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ORDINANZA N. 496

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Dott. Aldo CORASANITI                                         Presidente

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                  Giudice

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

Prof. Giuliano VASSALLI                                              “

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma quarto, del regio decreto 16 luglio 1905 n. 646 (Approvazione del testo unico delle leggi sul credito fondiario) promosso con ordinanza emessa il 9 marzo 1991 dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Vigevano nel ricorso proposto da Garelli Francesco ed altri nei confronti dell'Istituto Bancario S. Paolo di Torino ed altra iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1991;

 

Visti gli atti di costituzione di Garelli Francesco ed altri e dell'Istituto Bancario S. Paolo di Torino nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nella camera di consiglio del 6 novembre 1991 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

Ritenuto che il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Vigevano, con ordinanza in data 9 marzo 1991, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, quarto comma, del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646 (Approvazione del testo unico delle leggi sul credito fondiario);

 

che la norma impugnata viene censurata nella parte in cui, consentendo all'istituto di credito mutuante di promuovere l'azione esecutiva nei confronti dell'originario debitore, ancorché deceduto, qualora gli eredi non abbiano provveduto alla notifica (allo stesso istituto fondiario) del loro subentro nel possesso o godimento del fondo, si porrebbe in contrasto con l'art. 6.3.a) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848), secondo cui, "ciascun convenuto ha diritto ad essere informato in maniera dettagliata, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell'azione portata a suo carico", così violando l'art. 10, primo comma, della Costituzione, che impone all'ordinamento giuridico italiano di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute;

 

che gli eredi del debitore originario, opponenti nel giudizio a quo, si sono costituiti osservando che le ragioni per le quali questa Corte ha già escluso che la norma impugnata possa determinare un'ingiustificata disparità di trattamento con le altre procedure esecutive (art. 3 della Costituzione) o possa ledere il diritto di difesa dei successori (art. 24 della Costituzione) non sarebbero invocabili allorquando, come nella specie, risulti documentalmente provato che l'istituto di credito era sicuramente a conoscenza del decesso del debitore originario e dell'identità dei suoi eredi;

 

che in questo caso, infatti, imporre l'onere della notifica in mancanza della quale il processo esecutivo può essere intentato contro l'originario debitore defunto, risulterebbe del tutto irragionevole ed irrazionale;

 

che, la questione andrebbe pertanto esaminata da questa Corte anche sotto tale profilo, poiché l'eccezione di illegittimità della norma - da loro sollevata con esclusivo riferimento al parametro della ragionevolezza intrinseca (art. 3 della Costituzione) - è stata ritenuta, nella fattispecie, irrilevante dal giudice a quo nell'inesatto presupposto che l'istituto procedente non fosse al corrente della situazione successoria;

 

che si è costituito l'istituto Bancario San Paolo di Torino deducendo che le ragioni per le quali si è già ritenuto che la disposizione denunciata non violi l'art. 24 della Costituzione non potrebbero non valere anche in riferimento al prospettato contrasto con l'art. 6.3.a) della Convenzione dei diritti dell'uomo, attesa la sostanziale analogia tra la norma costituzionale e la disposizione della convenzione;

 

che il predetto istituto ha poi osservato che la questione risulterebbe comunque infondata, in quanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il rinvio di cui all'art. 10 della Costituzione non riguarda le norme pattizie ma solo il diritto consuetudinario;

 

che è intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato la quale, osservando che l'adeguamento automatico alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute si riferisce soltanto alle norme a carattere consuetudinario e non anche a quelle di fonte pattizia, ha chiesto che la questione venga dichiarata manifestamente infondata.

 

Considerato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, i termini della questione di legittimità costituzionale sollevata in via incidentale sono quelli fissati dal giudice a quo nell'ordinanza di rimessione e deve quindi escludersi che le parti possano estendere o modificarne il contenuto o i profili;

 

che, pertanto, la questione non può essere esaminata in relazione all'ipotesi che l'istituto procedente risulti - a prescindere dalla notifica dovuta dagli eredi - comunque a conoscenza del subentro di quest'ultimi nel possesso del fondo, e ciò sia perché la violazione del parametro costituzionale invocato non è stata dedotta in questi termini, sia perché la relativa questione sollevata sotto tale profilo dalle parti, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, è stata motivatamente ritenuta dal giudice a quo priva di rilevanza;

 

che, peraltro, rispetto alla questione, così come prospettata nell'ordinanza di rimessione, appare assorbente su ogni altra considerazione (attinente alla riferibilità o meno della disposizione di raffronto ai procedimenti di carattere civile, ovvero, alla sua sostanziale analogia con l'art. 24 della Costituzione, in relazione al quale qualsiasi violazione, da parte della norma impugnata, è stata già esclusa) il rilievo che, in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, le norme internazionali pattizie, quale l'invocato art. 6, paragrafo 3, lettera a, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, fuoriescono dall'ambito di operatività dell'art. 10 della Costituzione che può avere ad oggetto soltanto norme di carattere consuetudinario (sentt. nn. 32 del 1960, 69 del 1976, 48 del 1979, 96 del 1982, 323 e 364 del 1989, e in particolare, 104 del 1969, 188 del 1980, 91 del 1986, 153 del 1987, 315 del 1990);

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, quarto comma, regio decreto 16 luglio 1905, n. 646 (Approvazione del testo unico delle leggi sul credito fondiario), sollevata in riferimento all'art. 10, primo comma, della Costituzione, dal giudice dell'esecuzione presso il Tribunale di Vigevano, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 1991.

 

 

Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA - Giuliano VASSALLI.

 

 

Depositata in cancelleria il 27 dicembre 1991.