Sentenza n. 315 del 1990

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SENTENZA N.315

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Giovanni CONSO, Presidente

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 192, ultimo comma, del codice di procedura penale del 1930, sostituito dall'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22 (Nuova disciplina della contumacia), promosso con ordinanza emessa il 25 settembre 1989 dalla Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di Trovero Adriano, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1990.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 marzo 1990 il Giudice relatore Giovanni Conso.

Ritenuto in fatto

1.- La Corte di cassazione, con ordinanza del 25 settembre 1989, emessa nel corso del procedimento penale a carico di Trovero Adriano, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione ed all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, questione di legittimità dell'art. 192, ultimo comma, dei codice di procedura penale del 1930, quale sostituito ad opera dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, "per la parte in cui non consente al difensore di imputato contumaciale irreperibile impugnazione della sentenza contumaciale se non sia stato munito di specifico mandato".

Analizzati gli argomenti addotti dalla Relazione al progetto preliminare del nuovo codice di procedura penale, estremamente significativi sul punto, in quanto la norma denunciata costituisce anticipazione dell'assetto organico dato dal codice del 1988 alla contumacia, il giudice a quo si sofferma, con specifico riguardo all'art. 192 del codice di procedura penale del 1930, sulla necessità dello "specifico mandato", come "logica ed inevitabile conseguenza della nuova disciplina della contumacia e della restituzione in termini introdotta dalla legge n. 22/89". Ma detto risultato sarebbe non del tutto convincente sul piano della legittimità costituzionale, lasciando "presumere che l'imputato abbia effettuato una preventiva valutazione circa le conseguenze dell'attività che il difensore potrà compiere nel suo interesse", un'eventualità che é, invece, da escludere categoricamente quando l'imputato sia irreperibile. Di conseguenza, in caso di irreperibilità sarebbe assolutamente irragionevole ritenere "il silenzio come sintomatico di una volontà di non impugnare".

D'altro canto, il difensore d'ufficio di un imputato irreperibile mai avrebbe potuto ricevere lo specifico mandato richiesto dalla legge; quindi, "il diverso minor diritto a chiedere la restituzione in termini" attribuito all'imputato non sarebbe in grado di bilanciare la sottrazione al difensore del diritto di proporre gravame, donde una duplice violazione dell'art. 24 della Costituzione, sia con riguardo al difensore sia con riguardo allo stesso imputato.

Specie con riferimento alla difesa tecnica risulterebbe vulnerato il diritto protetto dalla norma costituzionale, se é vero che, ogni qual volta l'autodifesa non sia concretamente esercitabile, "la legge processuale riconosce alla difesa tecnica poteri di sostituzione in virtù dei quali si realizza quella integrazione con l'altra parte tanto da soddisfare i principi costituzionali".

Nei "casi estremi di irreperibilità" sottrarre al difensore il potere autonomo di impugnare equivale ad estromettere di fatto dal processo la difesa tecnica, che potrebbe subito far valere l'illegittimità della decisione.

Ulteriori perplessità quanto alla conformità all'art. 24 della Costituzione della norma denunciata si profilerebbero alla stregua dell'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che garantisce ad ogni accusato il diritto di difendersi da sè o ad avere l'assistenza di un difensore per assicurare l'equità del processo, ossia un equilibrio di autodeterminazione dell'imputato in un quadro di garanzie tecniche che hanno rilevanza anche oggettiva per l'intera società.

Sotto tale aspetto, al giudice a quo appare preminente per il "cittadino sottoposto a procedimento penale" la presenza del difensore tecnico: tanto più quando questo "cittadino" sia contumace, latitante, all'estero o irreperibile.

La mancanza del diritto di impugnare per il difensore non potrebbe dirsi adeguatamente compensata dal nuovo regime della restituzione nel termine. E ciò perchè "la restituzione in termini può arrivare, quando ne ricorrano i presupposti, allorchè gravi danni si siano verificati per effetto del passaggio in giudicato della sentenza e dell'inizio della esecuzione della pena detentiva, sicchè il rinvio successivo si risolve in una minore garanzia rispetto a quella assicurata dall'autonomo potere di impugnativa del difensore".

Con riguardo alla violazione, pur'essa dedotta, dell'art. 3 della Costituzione, il giudice a quo rileva come una irrazionale disparità di trattamento debba ravvisarsi nella disciplina riservata al contumace rispetto alla disciplina riservata all'imputato assente (ma non contumace) e all'imputato presente. Infatti, un imputato assente, non essendo contumace, é validamente rappresentato dal difensore legittimato a proporre impugnativa secondo le regole generali anche in mancanza di uno specifico mandato ad impugnare; così come é egualmente garantita la posizione dell'imputato presente il cui difensore può, anche in tal caso, senza necessità di uno specifico mandato, autonomamente proporre impugnazione.

Quanto alla "posizione degli imputati irreperibili (ipotesi non considerata dalla norma denunciata per sospetta incostituzionalità)", il giudice a quo ricorda come sia 'stata "ripetutamente ritenuta inapplicabile la procedura del decreto penale contro gli irreperibili essendo i decreti opponibili solo dagli interessati e non anche da difensori", così univocamente riconoscendosi che all'irreperibile deve garantirsi comunque una rappresentanza che si esplichi attraverso un difensore tecnico.

Conclusivamente, la sovrapposizione al regime dell'autonomo gravame del difensore del regime della restituzione nel termine crea "una frattura pericolosa tra difesa tecnica e difesa diretta, essa stessa inammissibile per dettato costituzionale": la difesa "deve sempre e comunque esprimersi in fatto e in diritto, quanto meno con riferimento alla realtà processuale".

2.- L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 3, prima serie speciale, del 17 gennaio 1990.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente ad altro atto difensivo prodotto per questione del tutto identica sottoposta all'esame della Corte dal Tribunale di Roma con ordinanza del 29 aprile 1989.

Considerato in diritto

1. - La Corte di cassazione dubita che l'art. 192, terzo comma, del codice di procedura penale del 1930, quale sostituito ad opera dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, sia in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, nonchè con l'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, <nella parte in cui non consente al difensore di imputato contumaciale irreperibile l'impugnazione della sentenza contumaciale se non munito di specifico mandato>.

2. - Ad avviso del giudice a quo, la norma impugnata lederebbe sia il principio di eguaglianza, in quanto <si presenta come ingiustificatamente penalizzante della posizione processuale> dell'imputato contumace irreperibile rispetto alla posizione dell'imputato presente o considerato tale, sia il principio di inviolabilità del diritto di difesa, in quanto, <nei casi estremi di irreperibilità>, che tolgono <di fatto la possibilità di esprimersi alla difesa personale>, l'eliminazione del potere autonomo di impugnativa del difensore viene altresì ad <estromette(re) di fatto dal processo la difesa tecnica>. Il che porta a dubitare della legittimità della norma anche con riferimento alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, là dove, all'art. 6, <garantisce ad ogni accusato il diritto di difendersi da sè o ad avere l'assistenza di un difensore>.

La questione non è fondata.

3. - Per quanto concerne la prima doglianza, è ben vero che, nel testo sostituito ad opera dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, il terzo comma dell'art. 192 del codice di procedura penale del 1930 riserva una previsione del tutto particolare al difensore dell'imputato contumace, sia questi pure irreperibile o no. E ciò perchè con la seconda parte del comma, del tutto priva di riscontro nel testo sostituito, si stabilisce che <contro una sentenza contumaciale il difensore può proporre impugnazione solo se munito di specifico mandato, rilasciato con la nomina o anche successivamente nelle forme per questa previste>, così aperta mente derogando alla regola generale enunciata nella prima, ed inizialmente unica, parte dello stesso comma (L'impugnazione può anche essere proposta dal difensore che ha assistito o rappresentato l'imputato nel procedimento).

Peraltro, anche a proposito della nuova diversità di disciplina in tal modo introdotta dal legislatore del 1989 fra l'imputato contumace e l'imputato presente e, quindi, fra l'imputato contumace e l'imputato assente per espressa rinuncia - rispetto ad esso l'art. 427, secondo comma, del medesimo codice prescrive, infatti, che <si procede come fosse presente> - questa Corte non può non ribadire quanto ha già avuto modo di affermare (v. sentenze n. 48 del 1976 e n. 136 del 1971; ordinanza n. 76 del 1973) a proposito di altre diversità di disciplina riscontrabili fra l'imputato contumace e l'imputato assente: e, cioè, che la disparità di trattamento è <pienamente giustificata dalla diversità delle situazioni> confrontate.

A differenza dell'assente, il contumace <non ha manifestato alcuna volontà negativa in ordine alla comparizione e alla presenza in udienza, e potrebbe, in estrema ipotesi, anche ignorare l'esistenza del giudizio o la data del dibattimento>. A quest'ultimo riguardo, il caso dell'imputato contumace irreperibile, che l'ordinanza di rimessione assume a base della sollevata questione, si prospetta estremamente sintomatico, ponendosi addirittura in antitesi al caso dell'imputato rinunciante e, più ancora, al caso dell'imputato presente.

Resta, naturalmente, ferma l'esigenza che il particolare trattamento predisposto dal legislatore per la situazione <diversa> sia rispettoso del <principio di ragionevolezza> (v., fra le tante, sentenze n. 15 del 1982, n. 164 del 1971,  n. 7 del 1965) e degli altri parametri costituzionali eventualmente invocati, quale, appunto, nella specie, l'art. 24, secondo comma, essendosi espresso dal giudice a quo l'avviso che la <necessità dello 6specifico mandato" > al difensore ponga <seri problemi di limitazione del diritto di difesa>, in quanto non <logica e inevitabile conseguenza> della nuova disciplina dovuta alla legge n. 22 del 1989.

4. - Come puntualizza la stessa Corte di cassazione, la doglianza riferita all 'art . 24, secondo comma, della Costituzione non va, dunque, esaminata considerando alla stregua di una norma fine a se stessa la parte del terzo comma dell'art. 192 sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale.

Adottando una simile ottica, i dubbi circa la conformità della norma denunciata all'art. 24, secondo comma, potrebbero divenire davvero difficilmente superabili, e ciò non solo sotto lo specifico aspetto della difesa tecnica, direttamente coinvolta dall'art. 192, terzo comma, del codice di procedura penale, ma anche nel quadro globale del diritto di difesa, trattandosi di imputato irreperibile, concretamente impossibilitato, almeno di massima, ad impugnare nel termine ordinariamente previsto.

Una verifica così circoscritta avrebbe, però, il torto di prescindere dallo stretto legame che unisce la norma in questione alle altre norme della legge 23 gennaio 1989, n. 22, l'ultima ad aver novellato il codice di procedura penale del 1930 poco prima della sua abrogazione da parte del nuovo codice di procedura penale, all'epoca anzi già pubblicato. Tale collegamento assume rilievo decisivo soprattutto per quanto attiene all'art. 1, che, nel sostituire l'art. 183-bis del vecchio codice, ha notevolmente modificato ed ampliato la sfera di applicazione dell'istituto della restituzione in termini.

A seguito dell'intervenuta sostituzione, il secondo comma dell'art. 183-bis, anch'esso privo di ogni riscontro nel testo precedente, dispone, infatti, che <Se è stata pronunciata sentenza contumaciale..., può essere chiesta la restituzione nel termine per proporre impugnazione... nonchè per la presentazione dei motivi anche dall'imputato che provi di non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento impugnato, sempre che l'impugnazione non sia stata già proposta dal difensore e>, ulteriore condizione, <il fatto non sia dovuto a sua colpa ovvero, quando la sentenza contumaciale è stata notificata a norma dell'art. 170..., egli non si sia sottratto volontariamente alla conoscenza degli atti del procedimento>. Con il che il legislatore del 1989 ha dedicato specifica attenzione all'ipotesi dell'imputato irreperibile, destinatario, appunto, delle notificazioni eseguite ex art. 170 <mediante deposito nella cancelleria o segreteria dell'ufficio giudiziario nel quale si procede> e contemporaneo avviso del deposito al difensore, solitamente nominato d'ufficio.

Lo scopo perseguito affiancando il novellato terzo comma dell'art. 192 al novellato secondo comma dell'art. 183-bis è trasparente: evitare che l'impugnazione proposta dal difensore non munito di specifico mandato in situazioni del tipo di quella delineata dal giudice a quo comprometta ogni possibilità di impugnazione da parte dell'imputato: questi, verosimilmente già non in grado, proprio perchè irreperibile, di avvalersi del termine di tre giorni dalla notificazione della sentenza mediante deposito in cancelleria (v. artt. 170, 198, terzo comma, e 500 del codice di procedura penale del 1930), non si troverebbe nemmeno in grado di proporre impugnazione una volta venuto ad effettiva conoscenza della decisione pronunciata nei suoi confronti, proprio perchè in quel momento l'esercizio del relativo potere risulterebbe consumato dall'iniziativa del difensore.

L'ordinanza di rimessione dà fedelmente conto di questo motivo ispiratore di una riforma che, avendo voluto <anticipare eguali disposizioni del nuovo codice di procedura penale (art. 175 e 571)>, trova nella Relazione al progetto preliminare di quel codice l'esplicazione della sua ragion d'essere, ravvisata, come puntualmente riporta l'ordinanza, <nel fatto che l'impugnazione proposta dal difensore esaurisce per l'imputato la possibilità di ottenere, se contumace, la restituzione in termini> (e, va aggiunto, la rinnovazione del dibattimento, a norma dell'art. 520, secondo comma, del codice di procedura penale, quale inserito dall'art. 6 della legge n. 22 del 1989), donde la limitazione della <legittimazione del difensore nel caso di sentenza contumaciale, allo scopo di impedire gli effetti preclusivi che scaturirebbero da una impugnazione frettolosamente proposta da un difensore il quale, sia esso legato o meno da un rapporto fiduciario, è ben possibile non abbia potuto prendere contatto con l'imputato nel breve termine previsto per la proposizione del gravame>.

Lo stesso giudice a quo ritiene, peraltro, che gli argomenti così addotti non siano <convincenti> e tali, quindi, da non escludere una indebita compressione del diritto di difesa. Ciò perchè, al fine di controbilanciare il limite posto all'impugnativa del difensore, <l'imputato si vedrebbe riconosciuto il diverso minor diritto a chiedere la restituzione in termini>, la quale <può arrivare, quando ne ricorrono i presupposti, allorchè gravi danni si siano già verificati per effetto del passaggio in giudicato della sentenza e dell'inizio della esecuzione della pena detentiva, sicchè il rimedio successivo si risolve in una minore garanzia rispetto a quella assicurata dall'autonomo potere di impugnativa del difensore>.

L'osservazione è senz'altro calzante, con particolare riguardo all'ipotesi, più facilmente verificabile, in cui l'interessato venga ad effettiva conoscenza dell'atto dopo il passaggio in giudicato della sentenza contumaciale, a fronte di un ordine di carcerazione e, quindi, in coincidenza con l'inizio dell'esecuzione della pena detentiva. É, infatti, dal momento in cui l'imputato ha avuto effettiva conoscenza dell'atto che comincia a decorrere il termine di dieci giorni previsto dal terzo comma dell'art. 183-bis del codice di procedura penale del 1930 per la presentazione dell'istanza di restituzione nel termine, il cui esame, a sua volta, può richiedere anche tempi non brevi.

Il rilievo non coinvolge, tuttavia, l'art. 192, terzo comma, in sè e per sè considerato, bensì i suoi rapporti con la normativa concernente l'esecuzione della sentenza e, in particolare, con il settimo comma dell'art. 183-bis, che, senza distinguere tra le varie ipotesi di restituzione in termini, subordina <la scarcerazione dell'imputato detenuto in esecuzione della sentenza> all'accoglimento dell'istanza di restituzione nel termine per pro porre impugnazione avverso la sentenza di condanna.

La prospettazione di eventuali dubbi di legittimità costituzionale nei confronti di questa o di altra norma attinente all'esecuzione delle sentenze di condanna sarebbe, comunque, non pertinente in questa sede, non riscontrandosi in ordine alla specie oggetto del giudizio a quo alcuna situazione di libertà personale ristretta. Il che, ovviamente, non esclude l'opportunità di una rimeditazione a livello legislativo della disciplina della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, soprattutto quando emessa nei confronti di un imputato irreperibile, così da evitare che il diritto di proporre impugnazione personalmente si traduca in un <minor> diritto a causa del sacrificio della libertà personale che ne accompagna l'esercizio.

5. - Per quanto riguarda la lamentata mancanza di adeguamento all'art. 6, paragrafo 3, lettera c), parte prima, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali- anche a prescindere dal più volte ripetuto insegnamento che la norma pattizia <non si colloca di per se stessa a livello costituzionale> (v. sentenza n. 15 del 1982; nonchè sentenza n. 188 del 1980, proprio con specifico riferimento all'art. 6, paragrafo 3, lettera c, della Convenzione richiamata dal giudice a quo) -le considerazioni sopra svolte in ordine al diritto di difesa portano comunque ad escludere che l'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, sostitutivo dell'art. 192, terzo comma, del codice di procedura penale del 1930, sia non conforme alla prescrizione pattizia. L'aver privilegiato, ai fini dell'esercizio del diritto di impugnazione, l'autodifesa rispetto alla difesa tecnica è in linea con una delle regole minime -per l'esattezza, la sesta (<...i termini di ricorso non devono decorrere che a partire dal momento in cui il condannato ha avuto conoscenza effettiva della sentenza notificata, salvo che sia accertato che egli si sia sottratto volontariamente alla giustizia>)-- la cui osservanza è stata raccomandata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa con la Risoluzione n. 11 del 21 maggio 1975.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 192, terzo comma, del codice di procedura penale del 1930, quale sostituito ad opera dell'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, n. 22, nella parte in cui esclude che il difensore di imputato irreperibile possa impugnare la sentenza contumaciale quando non sia munito di specifico mandato, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione ed all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/06/90.

Giovanni CONSO, PRESIDENTE

Giovanni CONSO, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 05/07/90.