Sentenza n.103 del 1984

 

 

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SENTENZA N. 103

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 22, primo comma, 23, primo, secondo e terzo comma, 68, primo comma, 69, primo, secondo, quarto e quinto comma, 70, primo e secondo comma, 74, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 19 agosto 1977 dal Magistrato di sorveglianza del Tribunale di Padova sul ricorso di Caselli Gianfranco, iscritta al n. 485 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 347 dell'anno 1977;

2) ordinanza emessa il 1 febbraio 1978 dal Magistrato di sorveglianza del Tribunale di Verona sul ricorso di Rotta Angelo, iscritta al n. 154 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 154 dell'anno 1978;

3) ordinanza emessa il 2 agosto 1976 dal Magistrato di sorveglianza del Tribunale di Bologna sul ricorso di Coconica Sergio ed altri, iscritta al n. 318 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 264 dell'anno 1978;

4) sei ordinanze emesse il 15 settembre e 28 novembre 1978 dal Magistrato di sorveglianza del Tribunale di Pescara sui ricorsi di Schisano Giovanni, Micheli Giancarlo, D'Amario Antonio, Coletti Ercole, Di Giacomo Filippo e Baroni Benito, iscritte ai nn. 573, 574 del registro ordinanze 1978 e ai nn. 4, 5, 6 e 7 del registro ordinanze 1979 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 73 dell'anno 1979.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 novembre 1983 il Giudice relatore Giovanni Conso;

udito l'Avvocato generale dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Bologna, chiamato a decidere sui reclami proposti dai detenuti Coronica Sergio ed altri, con ordinanza del 2 agosto 1976 ha denunciato, in riferimento agli artt. 36 e 3, primo e secondo comma, della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 23, primo, secondo e terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché dell'art. 22, primo comma, della stessa legge, là dove é prescritto che le mercedi per i detenuti sono equitativamente stabilite in misura non inferiore ad un terzo delle tariffe sindacali.

Secondo il giudice a quo, un lavoro così retribuito non é socializzante, finendo col divenire per il detenuto o un mezzo di sfruttamento o un semplice rimedio per passare il tempo vuoto che il carcere offre: in entrambi i casi non educa certamente il detenuto al lavoro.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 264 del 20 settembre 1978.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto preliminarmente che la questione venga dichiarata inammissibile.

Rileva l'Avvocatura che la giurisprudenza di questa Corte (si cita la sentenza n. 72 del 1968), definendo "giudizio" ogni procedimento davanti al giudice, riconosce al magistrato di sorveglianza il potere di sollevare incidente di legittimità costituzionale. Non tutto ciò che fa capo al magistrato di sorveglianza é però un giudizio e non tutte le norme dell'ordinamento penitenziario sono necessariamente influenti e rilevanti sui poteri attribuiti a tale magistrato.

Il procedimento a quo - poiché il reclamo riguarda l'osservanza delle norme sull'attribuzione della qualifica lavorativa, le questioni concernenti la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali - si svolge senza forme particolari e senza contraddittorio ed é deciso con ordine di servizio non soggetto ad impugnazione. La procedura concerne, dunque, una mera vigilanza sull'osservanza delle norme e non é affatto un giudizio sui diritti patrimoniali; l'ordine di servizio non ha né contenuto né forma di pronuncia giurisdizionale, capace della forza del giudicato, che risolva un conflitto di interessi sui diritti del lavoratore. Diverso inquadramento trovano, invece, i provvedimenti del magistrato di sorveglianza relativi alla esecuzione della pena e, in generale, al trattamento penale, che sono dati con ordinanza e comportano una valutazione discrezionale produttiva di effetti.

Quando il procedimento viene deciso con l'ordine di servizio, si accertano mere violazioni di norme sul trattamento, dando disposizione all'autorità preposta per l'eliminazione di comportamenti non conformi alla legge, ma non si decidono controversie di lavoro o di previdenza sociale.

Conseguentemente, secondo l'Avvocatura, la questione di illegittimità costituzionale appare, da un canto, "inammissibile" perché pronunciata in un procedimento amministrativo non attinente al trattamento penale e, dall'altro, "manifestamente irrilevante" perché non spetterebbe mai al magistrato di sorveglianza decidere con ordine di servizio sui diritti patrimoniali dei lavoratori.

Nel merito l'atto d'intervento ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.

2. - Il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Padova, chiamato a decidere sul reclamo proposto dal detenuto Caselli Gianfranco, con ordinanza emessa il 19 agosto 1977 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, 36, 37 e 38 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 22 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui consente che le mercedi per i detenuti lavoratori siano equitativamente stabilite in misura inferiore fino a un terzo da una speciale commissione.

Rileva l'ordinanza di rimessione che la disciplina denunciata, oltre ad apparire irragionevole (non esistendo differenze in relazione all'opera prestata tra lavoratori detenuti e lavoratori liberi) e contraddittoria (perché analogo trattamento non é riservato in tema di "lavoro all'esterno" e di lavoro prestato dal detenuto in stato di semilibertà), viene ad incidere sul principale (e spesso unico) mezzo di elevazione del "carcerato", e determina una retribuzione insufficiente e sproporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 347 del 21 dicembre 1977.

L'Avvocatura dello Stato, intervenuta nel giudizio, ha contestato, riportandosi alle deduzioni sub 1, l'ammissibilità e, comunque, la fondatezza della dedotta questione.

3. - Il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Verona, chiamato a pronunciarsi su una richiesta di corresponsione di arretrati proposta da un detenuto per l'attività lavorativa da lui svolta presso la locale casa circondariale; con ordinanza del 1 febbraio 1978 ha denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 35, primo comma, e 36, primo comma, Cost., l'illegittimità dell'art. 69, quarto comma, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui attribuisce al magistrato di sorveglianza la competenza a decidere con ordine di servizio sui reclami dei detenuti e degli internati in materia riguardante l'attribuzione della qualifica lavorativa, le questioni concernenti la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali.

Secondo il giudice a quo il detenuto, che, per quanto attiene alla valutazione dell'attività lavorativa prestata, non può essere distinto da alcun altro lavoratore, viene menomato nel suo diritto alla tutela giurisdizionale, data la esclusiva competenza nella materia del magistrato di sorveglianza (secondo il binomio, del tutto insufficiente, reclamo - ordine di servizio), viene sottratto al giudice ed alla procedura dei diritti (il giudice ed il procedimento del lavoro) e privato, proprio per l'assenza di un'adeguata protezione processuale, del diritto alla tutela del lavoro e del diritto ad una retribuzione proporzionata.

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 154 del 5 giugno 1978.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha chiesto, riproducendo, sostanzialmente, le precedenti deduzioni (con il richiamo anche alla sentenza n. 132 del 1973), che la questione venga dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata.

4. - Il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Pescara, con due ordinanze, emesse il 15 settembre 1978 su reclami di detenuti lavoratori, ha sollevato questione di legittimità costituzionale: dell'art. 68, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata dalla legge 12 gennaio 1977, n. 1, nella parte in cui, in relazione alla tabella A allegata alla legge stessa, comprendendo una pluralità di tribunali nella giurisdizione di quasi tutti gli unici sorveglianza, ed in particolare di quello istituito presso il Tribunale di Pescara, di fatto non mette in grado il magistrato ad esso addetto di assicurare la sua presenza con eguale continuità nei diversi istituti penitenziari, con conseguente disparità di trattamento tra i ristretti nei vari istituti, in violazione dell'art. 3 Cost.; dell'art. 68, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata dalla legge 12 gennaio 1977, n. 1, nella parte in cui, per i motivi sopra indicati, non mettendo il magistrato di sorveglianza, in particolare quello di Pescara, nelle condizioni di assicurare affatto, e comunque con la continuità necessaria, la sua presenza negli istituti penitenziari distanti dalla sede dell'ufficio e quindi di raccogliere le istanze e i reclami in forma orale dei detenuti ivi ristretti, rende possibile la limitazione del diritto alla difesa di costoro, in violazione all'art. 24, secondo comma, Cost.; dell'art. 68, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata dalla legge 12 gennaio 1977, n. 1, nella parte in cui, non ponendo, per gli stessi motivi, il magistrato di sorveglianza, in particolare quello di Pescara, nelle condizioni di assicurare in ogni caso, e comunque con la necessaria continuità, la sua presenza negli istituti più distanti dalla sede del suo ufficio e di garantire anche ai soggetti ivi ristretti l'esercizio dei diritti riconosciuti ai detenuti, lo configura come un magistrato precostituito dalla legge in maniera del tutto innaturale ed illogica, in violazione dell'art. 25, primo comma, Cost.; degli artt. 68, primo comma, 70, primo e secondo comma, 74, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata dalla legge 12 gennaio 1977, n. 1, nella parte in cui tali norme, considerate singolarmente e nel loro combinato disposto, imponendo al magistrato di sorveglianza, in particolare a quello addetto all'ufficio di sorveglianza di Pescara, un'attività itinerante esasperata di là da ogni limite di accettabilità e ragionevolezza, precludono e comunque menomano fortemente l'esercizio stesso delle funzioni giurisdizionale e giudiziaria di tale magistrato, in violazione dell'art. 102, primo comma, Cost., ed al contempo confermano e aggravano le condizioni da cui derivano le situazioni di illegittimità costituzionale prima indicate; dell'art. 69, primo, secondo, quarto e quinto comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata dalla legge 12 gennaio 1977, n. 1, nella parte in cui, assegnando al magistrato di sorveglianza funzioni meramente ispettive e amministrative con potestà decisionale (ordine di servizio) limitata e affidata nell'esito alla disponibilità dell'amministrazione penitenziaria ad ottemperare, riduce il magistrato di sorveglianza ad organo extra ordinem spoglio di giurisdizione, non (più) soggetto soltanto alla legge, non (più) autonomo e indipendente da ogni altro potere, in violazione degli artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione; dell'art. 69, quinto comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata dalla legge 12 gennaio 1977, n. 1, nella parte in cui, prevedendo la procedura de plano attraverso ordini di servizio, senza possibilità di difesa tecnica e di gravame per il reclamante e i controinteressati, anche in materia di lavoro e, quindi, di diritti soggettivi, pone in tale materia una disparità di trattamento fra cittadini detenuti e non detenuti e lede il diritto alla difesa del reclamante e dei controinteressati, in violazione, rispettivamente, degli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost..

Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state entrambe pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 7 febbraio 1979 Si é costituita la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili perché proposte in sede di decisione su reclami in materia di lavoro dei detenuti, materia nella quale il magistrato di sorveglianza esercita funzioni amministrative e non giurisdizionali.

5. - Analoghe questioni il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Pescara ha sollevato, adottando motivazioni quasi identiche, con quattro ordinanze, emesse il 28 novembre 1978, sulle istanze di remissione del debito proposte da D'Amano Antonio, Coletti Ercole, Di Giacomo Filippo e Baroni Benito.

Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 14 marzo 1979.

É intervenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni, se ritenute rilevanti (del che vi sarebbe da dubitare giacché il giudice a quo avrebbe posto in essere l'accorgimento di avvalersi del giudizio in corso per sollevare "direttamente" un giudizio di legittimità costituzionale), vengano dichiarate non fondate.

Considerato in diritto

1. - Le nove ordinanze in epigrafe sottopongono all'esame della Corte questioni di legittimità costituzionale più o meno strettamente connesse, così da giustificare la riunione de; relativi giudizi, al fine di deciderli con un'unica sentenza.

2. - Le questioni dedotte coinvolgono, tutte, norme della legge 26 luglio 1975, n. 354, aventi attinenza, diretta o indiretta, con le funzioni del magistrato di sorveglianza, quali risultano articolate dal nuovo ordinamento penitenziario. Più esattamente, i dubbi di costituzionalità hanno per oggetto sia norme dalla portata generale, riflettentisi come tali sul complesso di dette funzioni, sia norme dalla portata particolare, concernenti cioè una singola, determinata funzione. Le esigenze sottostanti al requisito della rilevanza impongono di prendere le mosse da quest'ultimo, più specifico, aspetto.

3. - Dall'esame delle situazioni concrete, quali emergono dal tipo di domanda inizialmente rivolta a ciascuno dei giudici a quibus, si ricava con chiarezza che, fra i tanti settori di intervento previsti dall'ordinamento penitenziario per il nuovo magistrato di sorveglianza, sono essenzialmente due a venire in evidenza: da un lato (ordinanze n. 485/77, nn. 154, 318, 573, 574/78), quello cui fanno capo i reclami dei detenuti in materia di lavoro; dall'altro (ordinanze nn. 4, 5, 6, 7/79), quello cui fanno capo le richieste di remissione del debito. Le differenze che, quanto a natura e forme dell'intervento, caratterizzano l'un settore rispetto all'altro importano, come immediata conseguenza, la necessità di affrontare distintamente le tematiche poste dai due gruppi di ordinanze.

4. - Con le cinque ordinanze del primo gruppo i Magistrati di sorveglianza presso i Tribunali di Padova, Verona, Bologna e Pescara chiamano complessivamente in causa gli artt. 22, primo comma, 23, primo e secondo comma, 68, primo comma, 69, primo, secondo, quarto e quinto comma, 70, primo e secondo comma, e 74, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, in riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 25, primo e secondo comma, 27, terzo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 37, primo comma, 38, secondo comma, 101, secondo comma, 102, primo e secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione. Rispetto a tali questioni l'Avvocatura dello Stato ha sistematicamente premesso ad ogni altro rilievo un'eccezione di inammissibilità del tutto preliminare.

Infatti, nelle relative difese in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, risulta sempre contestata la legittimazione del magistrato di sorveglianza a sollevare questione di legittimità costituzionale nel corso di procedimenti originati da reclami di detenuti in materia di lavoro: e ciò in quanto si sarebbe in presenza di un "procedimento amministrativo non attinente al trattamento penale", ovvero "di una materia nella quale il magistrato di sorveglianza esercita funzioni amministrative e non giurisdizionali", limitandosi all'emanazione di un ordine di servizio (art. 69, quinto comma, lett. a, della legge n. 354 del 1975).

L'eccezione va accolta, ma non tanto in base ai due precedenti richiamati dall'Avvocatura dello Stato (sentenza n. 72 del 1968, peraltro invocata in direzione opposta dai Magistrati di sorveglianza di Padova e di Bologna, e sentenza n. 132 del 1973), entrambi aderenti a situazioni normative troppo diverse dall'attuale, quanto in base ad un precedente di epoca successiva all'instaurazione dei presenti giudizi, costituito com'esso é dall'ordinanza n. 87 del 1978. Con tale ordinanza, questa Corte - chiamata a pronunciarsi su un conflitto di attribuzione tra un magistrato di sorveglianza e il Ministero di grazia e giustizia a proposito dell'esecuzione di un ordine di servizio emanato ai sensi dell'art. 69, quinto comma, lett. a, della legge 26 luglio 1975, n. 354 - ha preso recisa posizione sul problema della natura dell'intervento del magistrato di sorveglianza in materia di lavoro, sia pure sotto il particolare profilo del riconoscimento della "legittimazione ad essere parte in conflitto di attribuzioni" limitatamente all'esercizio della funzione giurisdizionale", affermando senza riserve che "nell'attività giurisdizionale" non può essere ricompresa la potestà del magistrato di sorveglianza di decidere con ordine di servizio sui reclami dei detenuti concernenti la qualifica lavorativa e la mercede".

L'affermazione non può che essere ribadita anche sotto il profilo dell'iniziativa per il controllo incidentale di legittimità (v. pure, con riguardo ad un'altra competenza non giurisdizionale del magistrato di sorveglianza, la sentenza n. 74 del 1979): la ragione fondamentale del diniego di giurisdizionalità nei confronti dell'intervento di cui all'art. 69, quinto comma, lett. a, della legge n. 354 del 1975 resta quella, già allora evidenziata, che il procedimento instaurato dal reclamo del detenuto in materia di lavoro "non sostituisce" la tutela giurisdizionale, che é riservata al giudice dei diritti ", secondo le regole della competenza ordinaria, non essendovi motivo di distinzione, a tale proposito, tra il normale lavoro subordinato ed il lavoro dei detenuti o internati.

5. - Con le quattro ordinanze del secondo gruppo il Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Pescara chiama complessivamente in causa gli artt. 68, primo comma, 69, primo, secondo, quarto e quinto comma, 70, primo e secondo comma, e 74, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, primo comma, 102, primo e secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione. Per quanto riguarda tali ordinanze, emanate nel corso di altrettanti procedimenti instaurati per ottenere il beneficio della remissione del debito (art. 56 della legge n. 354 del 1975), la legittimazione del magistrato di sorveglianza a proporre questioni incidentali di legittimità costituzionale non si presta a discussioni (v., per un implicito precedente, la sentenza n. 51 del 1984). A dimostrazione che l'intervento del magistrato di sorveglianza in materia di remissione del debito si traduce in un'attività sicuramente giurisdizionale concorrono i mezzi di difesa assicurati alle parti (artt. 71 e 71 bis della legge n. 354 del 1975), la ricorribilità del provvedimento per cassazione (art. 71 ter della stessa legge) e l'impossibilità di adire altri giudici di merito, trattandosi di tutela riservata al magistrato di sorveglianza.

Lungi dal contestare tutto ciò, l'Avvocatura dello Stato prospetta il problema dell'ammissibilità delle questioni in esame sotto un altro profilo, mettendone in dubbio la rilevanza "ai fini del decidere il giudizio nel corso del quale tali questioni sono state sollevate". Alla rilevanza, si precisa, sarebbe dedicata "qualche considerazione che appare meramente di stile e, quindi, ben poco convincente", tanto da suscitare l'impressione che il giudice a quo "abbia posto in essere l'accorgimento di avvalersi di un giudizio in corso, alla definizione del quale non soccorre, perché non occorre, la soluzione delle proposte questioni di legittimità costituzionale", al reale scopo di " sollevare direttamente un giudizio di tal natura".

Pur dovendosi riconoscere che nelle quattro ordinanze del Magistrato di sorveglianza di Pescara la motivazione presenta innegabili connotati di genericità, non solo e non tanto perché di contenuto perfettamente identico, ma anche e soprattutto perché quasi del tutto coincidente con quella delle due ordinanze di rimessione (nn. 573, 574/78: v. retro, n. 4) pronunciate dallo stesso magistrato di sorveglianza in altrettanti procedimenti su reclami in materia di lavoro, non si può, d'altra parte, trascurare il fatto che le quattro ordinanze si diversificano dalle due precedenti per la più ampia, specifica, attenzione dichiaratamente prestata al requisito della rilevanza e per il concreto richiamo all'oggetto dell'istanza (remissione del debito) ogni volta contenuto nelle rispettive intestazioni.

Ciò non comporta, ovviamente, che le relative questioni siano per ciò solo da ritenere ammissibili, ma impone una più attenta analisi dei loro eventuali riverberi sulla decisione dei giudizi a quibus, tanto più che la pluralità delle questioni sollevate da ciascuna ordinanza non consente un discorso unitario, occorrendo distinguere a seconda che tali questioni abbiano per oggetto norme attinenti alla competenza del magistrato di sorveglianza (art. 69, primo, secondo, quarto e quinto comma, della legge n. 354 del 1975) oppure norme attinenti all'organizzazione giudiziaria (artt. 68, primo comma, 70, primo e secondo comma, e 74, primo comma, della stessa legge, nelle parti indicate dalle ordinanze).

6. - Le prime questioni, nonostante l'impegno dedicato dal giudice a quo alla motivazione sulla rilevanza, appaiono così palesemente prive di incidenza ai fini del decidere da far risultare la motivazione stessa del tutto inconferente nei loro confronti. Si tratta, infatti, di questioni di legittimità costituzionale che nulla hanno in comune con la remissione del debito. Ne sono oggetto norme che - concernendo, rispettivamente, la vigilanza sull'organizzazione degli istituti di prevenzione e di pena (art. 69, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354), la vigilanza sull'esecuzione della custodia degli imputati (art. 69, secondo comma), l'approvazione con ordine di servizio del programma di trattamento (art. 69, quarto comma) e la decisione con ordine di servizio dei reclami in materia di lavoro o di procedimenti disciplinari (art. 69, quinto comma) - rimangono del tutto estranee alla remissione del debito e sono, quindi, assolutamente inapplicabili a questa. Lo conferma il fatto che le questioni così dedotte addebitano al legislatore di avere con tali norme assegnato al magistrato di sorveglianza "funzioni meramente ispettive e amministrative" con " potestà decisionale limitata", previa semplice " procedura de plano": in materia di remissione del debito, invece, come già si é sottolineato ad altri fini (v. retro, n. 5), la funzione esplicata dal magistrato di sorveglianza, attraverso una procedura tutt'altro che de plano, é di tipo prettamente giurisdizionale.

Rispetto alle questioni in parola, il difetto di rilevanza prospettato in termini generali dall'Avvocatura dello Stato viene, perciò, ad evidenziarsi, sia pure per altra via, in maniera talmente netta da rendere ineluttabile la relativa declaratoria di inammissibilità

7. - Restano le questioni di legittimità costituzionale che hanno per oggetto norme attinenti all'organizzazione giudiziaria. Nei loro confronti non si può certo parlare di assoluta estraneità alla materia della remissione del debito. Il fatto che ne siano coinvolte la collocazione territoriale degli uffici di sorveglianza, cui sovraintende il magistrato di sorveglianza come organo monocratico (art. 68, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nelle tre parti specificatamente indicate dalle ordinanze), e la composizione degli organi collegiali (sezione di sorveglianza, consiglio di aiuto sociale) di cui sono chiamati a far parte uno o più magistrati di sorveglianza (artt. 70, primo e secondo comma, e 74, primo comma, della stessa legge, nelle parti rispettivamente indicate dalle ordinanze), consente al giudice a quo di dolersi che la strutturazione complessiva della figura del magistrato di sorveglianza, anche in considerazione dell'ambito territoriale affidatogli, non lo mette nelle condizioni di assicurare con la continuità necessaria la propria presenza nei diversi istituti penitenziari: imponendo a detto magistrato un'attività itinerante esasperata, gli si precluderebbe e comunque gli si menomerebbe l'esercizio stesso delle funzioni giurisdizionali, compresa, dunque, quella che lo legittima a provvedere sulla remissione del debito. Ciò é tanto vero che, nel motivare circa la rilevanza, le ordinanze di rimessione fanno leva sulla " circostanza che l'organo decidente, per colpa dell'innaturale precostituzione dell'ufficio di sorveglianza, non abbia potuto attingere personalmente, attraverso i pur previsti contatti diretti con l'interessato, solo perché questi era ristretto in un istituto penitenziario posto lontano dalla sede dell'ufficio, elementi utili alla migliore valutazione della condotta tenuta durante la detenzione".

A prescindere dal rilievo, comunque marginale, che, per una delle quattro ordinanze (la n. 4/1979), la circostanza non trova corrispondenza negli atti di causa, provenendo la richiesta di remissione del debito da persona già dimessa dal carcere, si può senz'altro convenire sull'esistenza degli inconvenienti lamentati, primo fra tutti quello derivante dalle dimensioni delle circoscrizioni territoriali di gran parte degli uffici di sorveglianza, nel quadro di un sistema di competenze che - creato quasi dal nulla nel 1975 e poi via via ampliatosi (legge 12 gennaio 1977, n. 1; legge 20 luglio 1977, n. 450; legge 24 novembre 1981, n. 689) - meriterebbe sicuramente, dopo circa un decennio di intensa sperimentazione, di essere riveduto.

Ma un simile intervento, implicando una pluralità di scelte discrezionali, non rientra nei poteri di questa Corte ed esula dai mezzi a sua disposizione. In particolare, la Corte non può operare scelte nell'ambito di complessi normativi, la cui estesa articolazione é di per sé dimostrativa della necessità di una serie di previsioni, anche di natura organizzativa (si pensi, in primis, alla tabella A, ove sono elencate "sedi e giurisdizioni degli uffici di sorveglianza per adulti", allegata alla legge 26 luglio 1975, n. 354, nella versione sostituita dall'art. 14 della legge 12 gennaio 1977, n. 1), che soltanto il legislatore, nella discrezionalità che gli é propria, può effettuare (cfr. le sentenze n. 137 del 1981, nn. 205, 214 e 274 del 1983, nn. 25 e 70 del 1984). Per questa ragione, anche le questioni aventi per oggetto parti degli artt. 68, primo comma, 70, primo e secondo comma, e 74, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, vanno dichiarate inammissibili.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 22, primo comma, 23, primo, secondo e terzo comma, 68, primo comma, 69, primo, secondo, quarto e quinto comma, 70, primo e secondo comma, 74, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, 25, primo e secondo comma, 27, terzo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 37, primo comma, 38, secondo comma, 101, secondo comma, 102, primo e secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Bologna con l'ordinanza emessa il 2 agosto 1976 (reg. ord. n. 318 del 1978), dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Padova con l'ordinanza emessa il 19 agosto 1977 (reg. ord. n. 485 del 1977), dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Verona con l'ordinanza emessa il 1 febbraio 1978 (reg. ord. n. 154 del 1978) e dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Pescara con le due ordinanze emesse il 15 settembre 1978 (reg. ord. nn. 573 e 574 del 1978);

b) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 69, primo, secondo, quarto e quinto comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sollevate, in riferimento agli artt. 3,24, secondo comma, 102, primo e secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Pescara con le quattro ordinanze emesse il 28 novembre 1978 (reg. ord. nn. 4, 5, 6 e 7 del 1979);

c) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 68, primo comma, 70, primo e secondo comma, e 74, primo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, primo comma, e 102, primo comma, della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Pescara con le quattro ordinanze emesse il 28 novembre 1978 (reg. ord. nn. 4, 5, 6 e 7 del 1979).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE  -Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  -Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria l'11 aprile 1984.